Larghe intese per la vita

Posté par atempodiblog le 12 mai 2013

Larghe intese per la vita
L’indifferentismo abortista, la terza Marcia pro life, i segnali di risveglio fra laici e cattoliciLarghe intese per la vita dans Aborto empty
di Maurizio Crippa – Il Foglio.it

marcianazionalevita dans Articoli di Giornali e News

“La giornata più nera della mia vita è stata quella in cui ho firmato la legge sull’aborto”. Questo confessò Giulio Andreotti, parlando nel 2001 al Meeting di Rimini. Fu tentato dal dimettersi, ma come ricordò più volte, e anche in una conversazione del 2008 con il Foglio, “se io mi fossi dimesso nessun altro democristiano avrebbe potuto firmarla: si sarebbe aperta una crisi politica senza sbocco… con le dimissioni, avrei contribuito a un male maggiore di quello che volevo evitare. Così firmai”.
Nei giorni delle larghe intese, la morte di Giulio Andreotti ha fatto scorrere un fiume di riflessioni sul rapporto tra la chiesa, il cattolicesimo italiano e lo stato repubblicano. Ma la storia della legge 194 firmata come compromesso su un male minore – o sarebbe meglio dire come armistizio alla meno peggio dopo una sconfitta antropologica epocale (ma allora la parola non andava ancora di moda) è rimasta tra parentesi. Sottaciuta. Quasi una conferma di come in Italia – al di là delle statistiche che, più che di un calo, dicono di una assuefazione stazionaria al tran-tran ospedalizzato della 194: nel 2011 109 mila IVG (dato provvisorio), meno 5 per cento sul 2010 – l’aborto sia diventato in sostanza moralmente indifferente, e anzi paradigma di una superiorità soggettiva sul fatto oggettivo. Un dato di fatto relativizzato, per così dire, anche dalla chiesa, che in tre decenni non hai mai più affrontato di petto la battaglia su un piano culturale. Così che oggi, anche sugli altri fronti sensibili, dall’eutanasia alle nozze gay, c’è una sorta di paralizzata preoccupazione davanti al nuovo fronte di frana che potrebbe essere repentino, come dimostra il caso francese.

Il profumo di questa opaca aria occidentale che soffia sull’Italia lo raccontano due libri recenti. La scrittrice Simona Spartaco è entrata nella dozzina per lo Strega con “Nessuno sa di noi”, romanzo che parla di un aborto eugenetico (illegale e all’estero) dopo la 23esima settimana. Storia semplice: loro hanno voluto il loro bambino a furia di bombardamenti ormonali (è un loro legittimo desiderio, no?), adesso scoprono che quello sgorbio è malato. Perché non dovrebbero eliminarlo (è un loro diritto, no?)? C’è poi un saggio di Chiara Lalli per Fandango, “La verità, vi prego, sull’aborto”, basato su interviste a donne per nulla traumatizzate di aver abortito (altro che SPA, la sindrome post-abortiva), che prova a ribaltare il paradigma “della colpa” e smontare il pregiudizio per cui l’aborto “è sempre un trauma”. Lalli spiega come sia vero il contrario: “Voglio esplorare una possibilità teorica che si possa scegliere di abortire, che lo si possa fare perché non si vuole un figlio o non se ne vuole un altro, che si possa decidere senza covare conflitti o sensi di colpa”.
Eppure, mentre ci si avvia a celebrare i 35 anni della legge 194, il caso in Italia appare tutt’altro che chiuso. Domani, domenica 12 maggio, a Roma è convocata una piccola grande Marcia per la Vita: indipendente, anzi alternativa, rispetto alle tradizionali strutture pro life cattoliche. Nella stessa domenica arriva davanti a tutte le chiese d’Italia la mobilitazione per la raccolta europea di firme (ne servono un milione) della campagna “Uno di noi”, che intende proporre alla Commissione europea di “estendere la protezione giuridica della dignità, del diritto alla vita e dell’integrità di ogni essere umano fin dal concepimento”, cioè far riconoscere a livello europeo i diritti dell’embrione – iniziativa sostenuta dal Movimento per la Vita e in modo ufficioso dalla chiesa italiana, tramite le associazioni laicali e una martellante campagna di Avvenire.

Il messaggio inatteso di Angelo Scola

L’aborto, il suo scandalo lacerante anche nel corpo vivo della chiesa italiana appare insomma per quello che è: una questione tutt’altro che chiusa. Dolorosa, causa di timori e ripensamenti, ma viva. I segnali ad alto livello che qualcosa stia cambiando rispetto al passato non mancano. Uno assai eloquente, anche se buttato lì in modo informale, durante la presentazione milanese del suo ultimo libro “Non dimentichiamoci di Dio”, l’ha dato il cardinale di Milano, Angelo Scola. Rivolgendosi a Giuliano Ferrara e ricordando il suo impegno in materia, ha detto: “Mi sono sentito in colpa per quello che non siamo riusciti a dire noi, non l’abbiamo detto con chiarezza”. Ammissione più inedita che rara per un cardinale italiano, un “noi” che è suonato come una chiamata in causa di tutta la gerarchia, lasciando intendere che non si sia trattato di voce dal sen fuggita (del resto non è il genere di un teologo ad alta razionalità come Scola), ma di un giudizio meditato e foriero di approfondimenti. Se verranno, potrebbero essere anche divisivi, certo fuori dall’ecclesialese a bassa intensità in cui il dibattito in casa cattolica si è sempre svolto.

Bisogna tornare per un momento a quel 1978 e ad Andreotti. Per Paolo VI quella legge italiana, giunta nei suoi ultimi mesi di vita, fu un dolore immenso, ma è noto che né dal Vaticano né dalla Cei arrivò alcuna scomunica al presidente del Consiglio che la firmò. Lo ha ricordato, quasi unica medaglia in un articolo velenoso, Alberto Melloni: “Sarà però il Divo Giulio nel maggio 1978 a controfirmare la legge sull’aborto votata dal Parlamento: cosa che non accende alcuna sfiducia ecclesiastica”. E’ noto che quando partì la mobilitazione per il referendum i timori e le divisioni nelle gerarchie furono enormi. E’ noto che Andreotti non fosse certo l’unico contrario, così come non aveva condiviso la sciagurata campagna fanfaniana contro il divorzio, aveva anzi scritto un librino prezioso dei suoi, “I minibigami”, in cui sosteneva i possibili vantaggi di un doppio regime in caso di matrimonio: uno religioso e l’altro civile. Il referendum del 1981 fu una forzatura, pagata a caro prezzo. Il Sabato, allora settimanale della “ricomposizione dell’area cattolica”, dopo la batosta titolò “Si ricomincia da 32” (la percentuale raggiunta dagli antiabortisti), il wishful thinking forse più disastroso della storia del giornalismo cattolico: la ferita anche psicologica di quella sconfitta stracciò il tessuto ecclesiale in due lembi asimmetrici, una piccola minoranza pro life e una maggioranza che su quella ferita provò, di fatto, a spalmare l’anestetico di un quietismo distratto. Pochi davvero furono i tentativi di ripulirla, la ferita, tirandone via le croste indurite, cercando di purificare un pensiero pro life che fosse all’altezza dei tempi, della secolarizzazione ormai compiuta, di un rapporto con le leggi dello stato che andasse al di là della recriminazione e della tattica. Ci volle un ventennio perché la chiesa dei valori non negoziabili provasse una nuova strada. Furono gli anni dell’eccezionalismo italiano, della legge 40 e del Family day. Pochi anni dopo, col caso Englaro e la ventata di buon umore della moratoria contro l’aborto, la chiesa italiana è sembrata invece spaventata dalla vertigine di volare troppo alto. Recentemente il cardinale Camillo Ruini, dialogando col direttore di Repubblica Ezio Mauro, ha ricordato che la linea della chiesa non è mai stata né deve essere quella dello scontro: “E se la stessa chiesa andasse in minoranza?”, gli chiedeva Mauro. “Nessun problema”, replicava Ruini: “Per divorzio e aborto, tanto per citare il caso italiano, la chiesa non ha invitato alla rivolta civile, ma s’è appellata alla coscienza personale, perché l’uomo non ha solo una libertà esteriore, bensì una, ed è quella più importante, interiore”. Si farebbe un gran torto al cardinale a definirla una posizione mediana, lui è stato sempre tra i più netti sostenitori del dovere di intervento della chiesa nello spazio pubblico delle questioni legate al “grave dovere di dare la vita”. Ma certo la sua riflessione va inscritta in una più generale visione d’insieme, la stessa che Ruini ha esposto nella lectio magistralis per Magna Carta che il Foglio ha pubblicato martedì scorso sul rapporto tra le convinzioni religiose e la società aperta e secolarizzata.

La dottrina tradizionale, di per sé, è limpida. Ma nella chiesa italiana un pensiero bioetico forte ha stentato a nascere. Così come la sua sottolineatura pastorale. I richiami sono sempre stati netti ma generici, mai ultimativi, le iniziative di stimolo blande. Anche sul mero fronte della “attuazione integrale” della 194, quel preambolo che nega (negherebbe) tra le cause di aborto quelle economiche, si è fatto pochino. Il tempo ha un po’ logorato e infiacchito un mondo pro life mai davvero decollato, certo non nella misura battagliera tipica di altri contesti, per lo più anglosassoni. Qualche ruggine personalistica, qualche innegabile scontro interno, non hanno giovato. La poca incisività, i pochi volontari e la risibile dotazione dei Centri di aiuto alla vita, anche dei più battaglieri come quello di Paola Bonzi alla Mangiagalli di Milano, sono segnali che anche nelle ovattate stanze della Cei si stanno prendendo in considerazione. Ma non è solo il volontariato: in questi giorni cambieranno i vertici di Scienza e Vita, con l’ambizione di rilanciare la fucina culturale del pro life cattolico, di cui si erano perse le tracce.
I segni che qualcosa stia cambiando non mancano. A partire dall’appoggio a una iniziativa nata spontanea come la Marcia per la Vita (questa è la terza edizione), che ha raccolto l’adesione e la benedizione del presidente della Cei Angelo Bagnasco e di una trentina tra cardinali e vescovi. Se è naturale la partecipazione al convegno che precederà l’evento di prelati da sempre outspoken sui temi della vita come monsignor Gianpaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste, o il cardinale di Bologna Carlo Caffarra, che svolgerà una lectio magistralis sul Vangelo della Vita, indicative sono anche altre adesioni, tra cui quella di Vincenzo Paglia, capo del pontificio Consiglio per la Famiglia. Alla Marcia parteciperà anche il cardinale americano Leo Raymond Burke, Prefetto del Supremo tribunale della segnatura apostolica, che in una recente intervista ha sparato alzo zero: “Credo che in alcuni posti ci sia grande esitazione da parte dei prelati a coinvolgersi in manifestazioni pubbliche. Quasi fosse percepita come una sorta di attività politica che un prete non deve intraprendere”.

L’iniziativa “Uno di noi” è un altro segnale di una galassia pro life in lenta uscita dalla letargia. La cosa più interessante è il tentativo di spostare il punto di vista, adeguandolo alle nuove sfide, anche di carattere legislativo. Spiega Alfredo Mantovano, tra i responsabili del comitato italiano, che “certo non c’è l’illusione di ottenere il risultato”, ma la mobilitazione internazionale serve per indicare che l’asticella sulle legislazioni della vita si sta alzando: “Ormai parliamo di eutanasia, di infanticidio (come documentato dal Foglio mercoledì, dell’eutanasia dei bambini possibile in Olanda “se le loro prospettive di vita sono fosche”, ndr). Mettere all’attenzione e chiedere un pronunciamento dei legislatori europei sullo statuto dell’embrione – tra l’altro in presenza di pareri di parte europea non sempre e non tutti negativi¬ – è più forte del semplice contrasto delle legislazioni abortiste che ormai ci sono quasi ovunque”. A Mantovano sembra che questo impegno non sia da poco, anche se riconosce che c’è stato un calo di tensione negli ultimi anni. Ma il clima sta cambiando: “E non è affatto migliorato. Anzi il rischio di nuove campagne negative, come l’iniziativa radicale sull’eutanasia, è alto, bisogna aggiornare il vecchio modo di affrontare questi temi. E una mobilitazione tra politica e società serve”.

Aggiornare il linguaggio
Servirebbe anche un aggiornamento dei linguaggi. Per dirla con Scola, se anche la chiesa non riuscisse più a far intendere che “la vita è sacra”, dovrà pur sempre trovare il modo di affermare che “l’autogenerazione non sarà mai possibile”. A rendere bisognosa di aggiornamento la lingua cattolica sulla vita in Italia è certamente anche il contesto. Più duro, a lungo più ideologizzato che altrove. La moratoria sull’aborto fu presa a uova e sassi, qualsiasi richiesta anche solo di finanziare l’aiuto alle donne che vogliono tenersi il loro bambino (come il meritorio progetto pilota Nasco della regione Lombardia) è sempre aggredita con un sordo “la 194 non si tocca”. La lingua di legno ideologica non è mai stata veramente scalfita, come invece capita all’estero. Da noi nessun film come “Juno”, nessuna star di prima grandezza come Jack Nicholson, non proprio l’icona del bravo ragazzo, pronta a dichiarare di essere risolutamente pro life “perché la vita è il dono più grande”. E’ culturalmente significativo lo scandalo generato nella cultura pop, pochi giorni fa, dall’autobiografia del tennista Jimmy Connors, come dire l’icona di un certo modo di essere eroi americani, l’alter ego di John McEnroe, che ha raccontato come la causa della rottura della sua relazione con Chris Evert fu la scelta di lei, allora diciannovenne, di abortire senza nemmeno consultarlo: “Avrei gradito che la natura facesse il suo corso, mi sarei preso le mie responsabilità, ma Chris ritenne che il momento non fosse quello giusto”.
Il mondo americano è diverso, e questo ha un riflesso anche sulla chiesa. Negli Stati Uniti la “Roe v. Wade” è un dibattito sempre aperto, non un tabù, e certe scelte obamiane non hanno fatto che acuirlo. E i vescovi parlano, spesso e volentieri. Negli ultimi anni, inchieste e analisi come quelle sull’aborto selettivo delle bambine in Asia sono diventate fonte di riflessione e scandalo non più taciuto. In Italia, le copertine dell’Economist inciampano nel ridimensionamento scettico, scivolano su una condivisione pelosa, nella traduzione infedele della “strage delle bambine”, nel tentativo di attutire e travisare la vera natura morale dello problema nel sottoinsieme dello scandalo di genere. Persino il teologo Vito Mancuso cessa di fare notizia, quando su Repubblica si lascia sfuggire che “la vita umana non fa eccezione: anch’essa è sacra e va trattata con rispetto dal concepimento fino alla fine”. E poi su Facebook glossa il filosofo cattolico Jean Guitton: “L’aborto è l’uccisione di un innocente” con un perentorio “sono totalmente d’accordo”.
Eppure in un altro paese cattolico come la Spagna, che ha subìto una bufera di secolarizzazione impetuosa e gli anni della follia ciudadana, i vescovi hanno la forza, in questi mesi, di sostenere una battaglia per la revisione della legge sull’aborto. Eppure in Irlanda, dove la chiesa è stata scossa alle radici dalla questione pedofilia, il disegno di legge che dovrebbe legalizzare l’aborto stenta anche per l’impegno preciso dei politici cattolici.

Per contro in Italia, dopo gli anni dell’eccezionalismo, la Cei è sembrata curarsi maggiormente dei suoi dossier sociali. E la politica pro life ha perduto un’intera legislatura, quella nata proprio nei giorni di Eluana Englaro. Il “tagliando alla 194”, che avrebbe dovuto essere la risposta piena di buon senso alla dura ma non moralistica e non antifemminile moratoria del Foglio, non è mai stato fatto, mentre il governo dell’anarca etico Berlusconi diventava anarchico e basta. Nell’agosto del 2010, a governo ormai pronto per i protocolli di Groningen, fu presentata la cosiddetta “agenda biopolitica”, iniziativa dei ministri del Welfare e della Salute Maurizio Sacconi e Ferruccio Fazio, insieme al sottosegretario Eugenia Roccella. C’era anche Beatrice Lorenzin, oggi ministro alla Salute. Parlò di una “intesa trasversale sulla priorità dei temi etici che sta emergendo dalla presentazione dell’agenda biopolitica del governo… su questi problemi fondamentali c’è un’evidente maggioranza parlamentare pro life”. Tutto restò lettera morta, per le note vicende indipendenti dalla buona volontà. Che oggi ci sia la possibilità di creare larghe intese su questi argomenti, è indubbiamente un wishful thinking. Scorre invece una maggiore preoccupazione, nella chiesa cattolica, che si possa assistere a qualche tentativo di forzatura alla francese. Intanto, si marcia.

Publié dans Aborto, Articoli di Giornali e News, Riflessioni | Pas de Commentaire »

La giovane Italia non pensa cattolico

Posté par atempodiblog le 11 mai 2013

Rapporti prematrimoniali, convivenza, divorzio e contraccettivi: tutto normale secondo i ragazzi del terzo millennio. Lo rivela un’inchiesta molto attendibile. Brutte sorprese anche nelle risposte dei cattolici praticanti
di Mario Palmaro – Il Timone

La giovane Italia non pensa cattolico dans Mario Palmaro mariopalmaro

Italia, 2011: che cosa pensano i giovani in materia di matrimonio, contraccezione, omosessualità, aborto, figli in provetta, eutanasia? La risposta arriva da un sondaggio – serio e per nulla fazioso – promosso dall’Associazione Difendere la Vita con Maria, e realizzato dall’Università Cattolica e dalla Fondazione ESAE. Gli intervistati sono giovani fra i 14 e i 25 anni di Novara e provincia, e sono un campione rappresentativo, che fotografa il modo di pensare di un ragazzo italiano all’inizio del terzo millennio.
C’è poco da stare allegri. Cominciamo dal matrimonio: un massiccio 69% di giovani considera normale la convivenza prematrimoniale. I decisamente contrari sono poco più di 7 su 100. “Quando è giusto avere il primo rapporto sessuale?” Un etereo 2,9 per cento risponde «dopo il matrimonio». Per il 52 per cento «solo quando si è innamorati», mentre per il 18% «qualunque momento va bene».
I ragazzi del 2011 non sembrano ostili al matrimonio, e il 60% si rifiuta di definirlo superato. Ma più del 44% è d’accordo o abbastanza d’accordo nel definire il divorzio «una possibilità normale». E circa il 50% pensa che non debba essere evitato a tutti i costi.

C’era una volta la morale
Tutta l’etica sessuale – o almeno quello che ne rimane – è coerente con questo approccio. L’ultimo tabù rimasto é “tradire il proprio partner”, giudicato come grave o inaccettabile da un massiccio 70%. D’altra parte, i giovani formano un “partito bulgaro” di favorevoli alla contraccezione: più dell’82% degli intervistati ritiene che usare metodi anticoncezionali «non è per niente grave». Solo per 8 ragazzi su 100 è invece molto grave o inaccettabile. Si registra in questo caso la quota più modesta di «non sa, non risponde», pari al 4,8%. È il trionfo della cultura contraccettiva, humus ideale nel quale prosperano la precocità delle prime esperienze sessuali, la convivenza prima o in luogo del matrimonio, la giustificazione dell’aborto «almeno in certi casi».
Secondo il 41% dei giovani, avere rapporti omosessuali rimane «molto grave o inaccettabile»; ma di poco inferiore (37,7%) è il gruppo secondo il quale «non è per niente grave». Si tratta di numeri che rivelano un epocale cambiamento di atteggiamento nei confronti dell’omosessualità. «Un figlio può avere genitori dello stesso sesso?»: più del 60% dei giovani é decisamente o almeno abbastanza in disaccordo, ma il 20% si dichiara abbastanza o decisamente d’accordo. Secondo il 38% degli intervistati una “donna sola”, se vuole, ha il diritto di avere un figlio.

Aborto, diritto intoccabile
Per quanto riguarda l’aborto, quasi il 46% dei giovani sostiene che la persona umana esiste dal concepimento: un dato incoraggiante, anche se non si deve trascurare un 34% che colloca l’inizio della persona «dopo alcuni giorni o mesi dal concepimento», e il solito piccolo esercito (20,2%) di enigmatici «non sa, non risponde». “Se tu fossi incinta, potresti pensare di abortire?” A un sorprendente 44,2% che risponde decisamente «no, mai», fa da contraltare un 16% di «sì, senz’altro», affiancato da un 39,8% di possibilisti «sì, forse». Non cambiano di molto le risposte da parte dei maschi, chiamati a misurarsi con l’ipotesi che sia la loro ragazza ad aspettare un bimbo. Il 94,4% degli intervistati dichiara con sicurezza di sapere che cosa sia «la pillola del giorno dopo», ma il 31% è convinto si tratti di un normale contraccettivo, ignorando che essa è potenzialmente anche abortiva. Risultato: per il 44,7% il ricorso alla pillola del giorno dopo «non è per niente grave», e solo un modesto 14,5% giudica molto grave o inaccettabile un simile comportamento. Se la gravidanza è indesiderata, o se vi sono delle difficoltà economiche, più del 20% ritiene che non sia per niente grave abortire, mentre il 35% è decisamente contrario. Se invece l’aborto è praticato per tutelare la salute della madre, i favorevoli passano a un massiccio 48,5%, e i contrari a un modesto 15,4%.
Un dato singolare: nonostante la diffusa mentalità eugenetica che porta a eliminare i figli «difettosi», i giovani del sondaggio sembrano meno favorevoli all’aborto per malattie del feto: il 26% ritiene che in questa situazione abortire non sia per niente grave, ma il 21,5% pensa che sia abbastanza grave, e quasi il 40% giudica molto grave o inaccettabile l’aborto eugenetico. Si tratta del dato positivamente più sorprendente dell’intera ricerca. Le resistenze all’aborto crollano di fronte ai cosiddetti «casi limite»: per la metà dei giovani intervistati (il 50,5%) l’aborto non è per niente grave in caso di violenza sessuale, mentre uno “zoccolo duro” del 13,5% lo condanna. In molte risposte emerge in filigrana il principio di autodeterminazione della donna, veicolato dalla legge 194 del 1978: il 18,6% ritiene che, se un’amica confidasse di voler abortire, non le direbbe nulla. Percentuale alla quale andrebbero sommati il 19,2% che «non sa, non risponde», e il 17% che ritiene la decisione di abortire «un problema solo suo». Peraltro, più del 55% é decisamente o abbastanza d’accordo che il padre del concepito dovrebbe potersi opporre all’aborto. L’affermazione perentoria secondo cui «nessuno ha diritto di decidere di abortire» trova decisamente d’accordo, però, solo uno striminzito 9,6% del campione.

Plebiscito per la dolce morte e i figli in provetta
L’eutanasia? Per il 42% non è per niente grave, contro un 22% che la giudica illecita. E la fecondazione artificiale? I giovani attribuiscono una imponente legittimazione al cosiddetto «figlio in provetta»: il 68% degli intervistati ritiene che «non è per niente grave». A resistere il «solito » zoccolo duro del 13,7% che giudica molto grave o inaccettabile la fecondazione artificiale. Il dato è, francamente, impressionante. La stessa popolazione che conserva remore morali comunque significative sull’aborto procurato, sugli atti omosessuali e sul divorzio, assume invece un atteggiamento totalmente assolutorio sul «figlio in provetta», in misura di 7 intervistati su 10. C’è di che riflettere sulle “strategie” adottate in materia di legge 40 del 2004.

Cattolici, praticanti e sorprendenti
E i giovani cattolici “praticanti regolari”? Forse è questa la parte più sconvolgente del sondaggio: il 33% spiega che potrebbe pensare di abortire; il 20% definisce la pillola del giorno dopo “un normale metodo anticoncezionale” e il 26% sostiene che non è per niente grave usarla. Abortire per la salute della madre non è per niente grave secondo il 37% dei giovani cattolici praticanti; in caso di violenza carnale, sono favorevoli il 31%. L’affermazione “nessuno ha diritto di decidere di abortire” trova d’accordo solo il 16% dei cattolici praticanti. Il 12% dei ragazzi che vanno in chiesa almeno ogni domenica ritiene che usare droghe leggere non sia per niente grave. Capitolo omosessualità: per il 21% dei giovani praticanti “non è per niente grave”. L’eutanasia? Per il 22% si può fare senza problemi, per il 35% è molto grave o inaccettabile, il 24% non sa o non risponde. La debacle più vistosa arriva sulla contraccezione: il 71,2% ritiene che usarla non sia per niente grave. Ma anche la fecondazione artificiale raccoglie consensi massicci, superiori al 50%. I rapporti prematrimoniali e la convivenza prematrimoniale sono condannati da un modesto 12%.
Da qualche anno si parla, anche in casa cattolica, di emergenza educativa. Leggendo questi numeri, forse sarebbe meglio parlare di una debacle: il Magistero della Chiesa insegna che convivenza e rapporti prematrimoniali sono peccato grave, ma 9 giovani su 10 che vanno alla Messa tutte le domeniche pensano esattamente il contrario. Evidentemente, in troppe chiese e parrocchie il “piatto” della dottrina cattolica piange. Urgono immediate e robuste contromisure.

divisore dans Medjugorje

Inoltre iconarrowti7 Una dottrina propria

Publié dans Mario Palmaro, Riflessioni | Pas de Commentaire »

Un’indagine svela l’“effetto Francesco”

Posté par atempodiblog le 11 mai 2013

Un’indagine svela l’effetto Francesco”
di Massimo Introvigne – La nuova Bussola Quotidiana
Tratto da: Ascolta tua Madre

Un'indagine svela l'“effetto Francesco” dans Andrea Tornielli papafrancescomisericord

Il primo a rilevarlo è stato, tra i giornalisti, l’amico Andrea Tornielli. C’è un «effetto Francesco» e a Pasqua, commossi dagli appelli del nuovo Papa ad affidarsi senza riserve alla misericordia divina, molti «lontani» sono tornati in chiesa, spesso dopo tanti anni, e si sono confessati. Anch’io ho sentito tanti aneddoti di questo genere, non solo in Italia, raccontati da sacerdoti o religiosi, e anche da autorità ecclesiastiche, e ho verificato questo effetto in ambienti dove non me lo sarei mai aspettato.

Siccome però sono un sociologo, diffido sempre un po’ delle impressioni aneddotiche e preferisco affidarmi ai dati quantitativi. Il centro che dirigo, il CESNUR, ha dunque promosso un’indagine intesa a trasformare le impressioni aneddotiche sull’effetto Francesco in un dato statistico, per quanto primo e parziale. Impostare un’indagine dopo un solo mese di pontificato di Francesco non è stato facile, e i sacerdoti e religiosi sono un universo non sempre entusiasta di rispondere ai sociologi. Ho quindi scelto la tecnica detta a cascata, in cui da un gruppo qualificato d’intervistati si passa, sfruttando i loro contatti, a un altro gruppo.

Mi sono servito di un software che permette di raccogliere risposte a questionari a partire dai social network Facebook e Twitter, e mi
sono rivolto ai sacerdoti e religiosi presenti in una serie di gruppi e ambiti qualificati: non solo i miei amici – che sono comunque cinquemila, il
massimo consentito, su Facebook – ma i partecipanti a gruppi di ex alunni di seminari, di lettori della Nuova Bussola Quotidiana e di Avvenire,
di ascoltatori di Radio Maria, di persone interessate alle news su associazioni e movimenti cattolici.

La ricerca si è chiusa automaticamente al ricevimento della duecentesima risposta ricevuta da un sacerdote o religioso, un campione –
considerata la tecnica usata – rappresentativo e sufficiente. Sono stati intervistati, a titolo di controllo, anche laici cattolici impegnati in una
specifica comunità e un piccolo numero di religiose.
Tra i sacerdoti e religiosi il 53% ha affermato di avere riscontrato nella propria comunità un aumento delle persone che si riavvicinano alla
Chiesa o si confessano, aggiungendo che queste persone citano esplicitamente gli appelli di Papa Francesco come ragione del loro
riavvicinamento alla pratica religiosa. Nel 43,8% di questi casi l’aumento di fedeli è definito come consistente, superiore al 25%. Lo notano di
più i religiosi (66,7%) rispetto ai sacerdoti diocesani (50%). E per il 64,2% del campione l’aumento riguarda particolarmente le confessioni.

Abbiamo condotto la stessa indagine anche su un campione di oltre cinquecento laici cattolici. Percepiscono l’effetto Francesco meno dei
sacerdoti e religiosi, che sono impegnati direttamente nei confessionali. Ma un significativo 41,8% dei laici si è accorto dell’effetto di ritorno
alla Chiesa motivato dagli appelli di Papa Francesco, che sembra dunque essere visibile, per così dire, anche a occhio nudo. Il 17,7% dei laici
dichiara specificamente di avere rilevato un aumento di coloro che si confessano nella propria comunità. Per quanto poi il numero di religiose
che hanno risposto sia modesto, questo primo dato indica che le suore si sono accorte del fenomeno in modo massiccio: 81,82%.

I dati sono, nei limiti dell’indagine, molto significativi. Un effetto rilevato da oltre metà di un campione è un fenomeno non solo esistente
ma di grande rilievo. Non è tanto importante che il 47% dei sacerdoti e religiosi non riscontri l’effetto. I fenomeni sociali percepiti dall’unanimità
o quasi di chi risponde a un questionario sono pochissimi. Né si potrebbe sostenere che gli intervistati hanno scambiato il consueto aumento
di fedeli e penitenti a Pasqua per un effetto legato a Papa Francesco.

Agli intervistati è stato chiesto specificamente di rispondere solo con riferimento a fedeli che motivassero specificamente il loro ritorno alla
Chiesa con gli appelli del nuovo Pontefice, e il questionario era strutturato in modo da indurli a paragonare la Pasqua 2013 a quelle degli anni
precedenti, non ad altri periodi dell’anno liturgico.
Se cercassimo di tradurre il dato in termini numerici e su scala nazionale, con riferimento a metà delle parrocchie e comunità, dovremmo
parlare di centinaia di migliaia di persone che si riavvicinano alla Chiesa accogliendo gli inviti di Papa Francesco. Un effetto massiccio e
perfino spettacolare.

Naturalmente, l’effetto Francesco è anche un effetto Ratzinger: molti affermano spontaneamente di essere stati commossi e scossi anche
dalla rinuncia di Benedetto XVI. E l’effetto andrà verificato alla prova del tempo.
Potrebbe trattarsi di quella che i sociologi chiamano effervescenza religiosa, che non sempre è di lunga durata. Tuttavia, fin da ora possiamo
affermare che non si tratta di impressioni e di aneddoti, ma di numeri reali.

Publié dans Andrea Tornielli, Massimo Introvigne, Papa Francesco I | Pas de Commentaire »

L’Ascensione di Gesù

Posté par atempodiblog le 11 mai 2013

L’Ascensione di Gesù
Storia o fantasia? Episodio leggendario, dice qualche teologo “moderno”. Fatto storico, vero, realmente accaduto, insegna la Chiesa.
di Stefano Bivaschi – Il Timone
Tratto da: Il profeta del vento

L'Ascensione di Gesù dans Commenti al Vangelo ascensionesignoreges

Qualche teologo vuole demolire, dopo quella della Risurrezione, anche la storicità dell’Ascensione.
Cito, a campione di questa demolizione cui alludo, il libro Come leggere e capire la Bibbia (ed. Città Nuova) di Josef Imbach, uno dei portavoce di quella corrente di teologi che inquadra il racconto dell’Ascensione (e non solo quello) nell’ambito di un genere letterario leggendario.
Ma quali modelli o prototipi letterari – si chiede l’autore – può avere usato Luca per le sue descrizioni?” e risponde a se stesso affermando che l’evangelista ha usato un linguaggio attinto dalla letteratura antica, ed esattamente dalle storie di rapimenti estatici” di cui si parla per Alessandro Magno e per Augusto.
Scrive: Dalla storia del rapimento estatico di Romolo, fondatore di Roma, si può cogliere lo schema seguito in queste narrazioni”. E così, se Luca non avesse conosciuto queste leggende (ma le ha davvero conosciute?), non avrebbe raccontato l’Ascensione di Gesù come l’ha raccontata. L’evangelista, incalza lmbach, con le sue descrizioni abbastanza contraddittorie, non voleva tanto raccontare un avvenimento storico quanto comunicare un messaggio teologico”.
Premesso che quel messaggio è teologico nella misura in cui è anche storico, vediamo quali sarebbero queste contraddizioni” di cui parla Imbach.
Luca riporta il racconto dell’Ascensione nel suo Vangelo (24, 50-53) e all’inizio degli Atti degli Apostoli (1, 9-11 ).
Ma questo, per Imbach, non è ancora sufficiente ad affermarne la storicità: Se l’evento fosse accaduto veramente nel modo descritto, se ne dovrebbe trovare traccia nelle tradizioni trasmesse dagli altri evangelisti”, scrive; ma si dimentica il significativo passo di Marco riguardante l’ultimo atto del Risorto: Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio” (16,19-20) e quel passo di Giovanni nel quale Gesù risorto dice alla Maddalena: Non sono ancora salito al Padre: ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: lo salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (20,17).
Quindi una traccia” c’è, anche se Luca è più ricco di particolari: Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse alloro sguardo. E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, ecco due uomini in bianche vesti che si presentarono a loro e dissero: Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato tra di voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (At 1, 9-11).
A parer mio non vi è alcuna enfasi in questo racconto, che mi sembra anzi assai realistico nella sua essenzialità, e nel suo quasi umoristico ricondurre con i piedi a terra quegli apostoli con il naso ancora per aria. Imbach parla inoltre di divergenze geografiche e cronologiche.
La presunta divergenza geografica”: nel vangelo Luca dice: verso Betania”, mentre negli Atti scrive: Allora tornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi”. Ma basta aprire una cartina geografica per accorgersi che il monte degli Ulivi è verso Betania”, cioè esattamente sulla strada che da Gerusalemme conduce a Betania.
Quanto alla presunta divergenza cronologica”, starebbe tutta qui: negli Atti, l’Ascensione avviene quaranta giorni dopo la Pasqua, mentre, per Imbach, il testo evangelico tende a collocare l’ evento nel giorno di Pasqua”.
Ora, quest’ultima affermazione si fonda su un grave errore interpretativo. Imbach pesca il complemento di tempo che si trova all’inizio del capitolo 24 di Luca (ove si parla della Risurrezione, nel giorno di Pasqua) e lo applica anche alla fine dello stesso capitolo, ove si parla dell’Ascensione. Così Resurrezione e Ascensione risultano allo stesso giorno. Ma si tratta di un applicazione arbitraria, errata.
lo preferisco schierarmi con il Magistero, con il Catechismo della Chiesa Cattolica per il quale l’Ascensione, come la Risurrezione, è un avvenimento ad un tempo storico e trascendente” (n. 660).
Non sarebbe ora che i teologi leggessero e spiegassero questo prezioso testo del Magistero ancora tutto da scoprire?

Inoltre

Come la Risurrezione, anche l’Ascensione è evento sia fisico che metafisico. Il Magistero della Chiesa, infatti, definisce l’avvenimento «ad un tempo storico e trascendente» (CCC 660). Storico (e non mitologico) ma anche trascendente, perché il cielo che accoglie il Risorto non è quello fisico, ma quello metafisico, il regno dei cieli da cui il Verbo era venuto ed a cui ritorna nella gloria. Ecco allora che il cielo fisico, o la nuvola, pur appartenendo alla reale esperienza degli apostoli, diventano simbolo di realtà più alte ed a loro ancora invisibili.
Il vero carattere dell’Ascensione è escatologico e le Scritture stesse la collegano alla promessa del dono dello Spirito, alla venuta del Regno, ed alla Parusia finale del ritorno di Gesù (cfr At 1,1-14). Dice il Catechismo: «Il Corpo di Cristo è stato glorificato fin dall’istante della sua Risurrezione, come provano le proprietà nuove e soprannaturali di cui ormai gode in permanenza. Ma durante i quaranta giorni nei quali egli mangia e beve familiarmente con i suoi discepoli e li istruisce sul Regno, la sua gloria resta ancora velata sotto i tratti di un’umanità ordinaria. L’ultima apparizione di Gesù termina con l’entrata irreversibile della sua umanità nella gloria divina simbolizzata dalla nube e dal cielo ove egli siede ormai alla destra di Dio» (CCC 659). Il Figlio, che con l’Incarnazione era sceso nella natura umana, ora, con l’Ascensione, la riconsegna al Padre redenta. «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo. Ora lascio il mondo e vado al Padre» (Gv 16,28).
La sua missione è compiuta e torna nella gloria vittorioso e carico di doni per noi. «Ora io vi dico la verità: è meglio per voi che io parta, perché se non parto il Paraclito non verrà a voi. Se invece me ne vado lo manderò a voi» (Gv 16,7).

Publié dans Commenti al Vangelo, Fede, morale e teologia | Pas de Commentaire »

Perché papa Francesco non dà la comunione

Posté par atempodiblog le 10 mai 2013

Perché papa Francesco non dà la comunione
Perché, dice, tra i fedeli potrebbero infilarsi dei pubblici peccatori non pentiti e lui non vuole assecondare la loro ipocrisia. Il caso dei politici cattolici fautori dell’aborto
di Sandro Magister – Settimo Cielo, L’Espresso Blog

Perché papa Francesco non dà la comunione dans Papa Francesco I papafrancescou

C’è una particolarità, nelle messe celebrate da papa Francesco, che suscita degli interrogativi rimasti finora senza risposta.

Al momento della comunione, papa Jorge Mario Bergoglio non la amministra di persona ma lascia che siano altri a dare l’ostia consacrata ai fedeli. Si siede e aspetta che la distribuzione del sacramento sia completata.

Le eccezioni sono pochissime. Nelle messe solenni il papa, prima di sedersi, dà la comunione a chi lo assiste all’altare. E nella messa dello scorso Giovedì Santo, nel carcere minorile di Casal del Marmo, ha voluto dare lui la comunione ai giovani detenuti che si sono accostati a riceverla.

Una spiegazione esplicita di questo suo comportamento Bergoglio non l’ha data, da quando è papa.

Ma c’è una pagina di un suo libro del 2010 che fa intuire i motivi all’origine del gesto.

Il libro è quello che raccoglie i suoi colloqui con il rabbino di Buenos Aires Abraham Skorka.

Al termine del capitolo dedicato alla preghiera, Bergoglio dice:

Davide era stato adultero e mandante di un omicidio, e tuttavia lo veneriamo come un santo perché ebbe il coraggio di dire: ‘Ho peccato’. Si umiliò davanti a Dio. Si possono commettere errori enormi, ma si può anche riconoscerlo, cambiare vita e riparare a quello che si è fatto. È vero che tra i parrocchiani ci sono persone che hanno ucciso non solo intellettualmente o fisicamente ma indirettamente, con una cattiva gestione dei capitali, pagando stipendi ingiusti. Sono membri di organizzazioni di beneficenza, ma non pagano ai loro dipendenti quel che gli spetta, o fanno lavorare in nero. […] Di alcuni conosciamo l’intero curriculum, sappiamo che si spacciano per cattolici ma hanno comportamenti indecenti di cui non si pentono. Per questa ragione in alcune occasioni non do la comunione, rimango dietro e lascio che siano gli assistenti a farlo, perché non voglio che queste persone si avvicinino a me per la foto. Si potrebbe anche negare la comunione a un noto peccatore che non si è pentito, ma è molto difficile provare queste cose. Ricevere la comunione significa ricevere il corpo del Signore, con la coscienza di formare una comunità. Ma se un uomo, più che unire il popolo di Dio, ha falciato la vita di moltissime persone, non può fare la comunione, sarebbe una totale contraddizione. Simili casi di ipocrisia spirituale si presentano in molti che trovano riparo nella Chiesa e non vivono secondo la giustizia che predica Dio. E non mostrano pentimento. È ciò che comunemente chiamiamo condurre una doppia vita”.

Come si può notare, Bergoglio spiegava nel 2010 il suo astenersi dal dare personalmente la comunione con un ragionamento molto pratico: Non voglio che queste persone si avvicinino a me per la foto”.

Da pastore sperimentato e da buon gesuita, egli sapeva che tra chi si accostava a ricevere la comunione potevano esserci dei pubblici peccatori non pentiti, che peraltro si professavano cattolici. Sapeva che a quel punto sarebbe stato difficile negare loro il sacramento. E sapeva degli effetti pubblici che quella comunione avrebbe potuto avere, se ricevuta dalle mani dell’arcivescovo della capitale argentina.

Si può arguire che Bergoglio avverta lo stesso pericolo anche da papa, anzi ancor più. E per questo adotti lo stesso comportamento prudenziale: Non do la comunione, rimango dietro e lascio che siano gli assistenti a farlo”.

I pubblici peccati che Bergoglio ha portato ad esempio, nel suo colloquio con il rabbino, sono l’oppressione del povero e la negazione del giusto salario all’operaio. Due peccati tradizionalmente elencati tra i quattro che gridano vendetta al cospetto di Dio”.

Ma il ragionamento è lo stesso che in questi ultimi anni è stato applicato da altri vescovi a un altro peccato: il pubblico sostegno alle leggi pro aborto da parte di politici che si professano cattolici.

Quest’ultima controversia ha il suo epicentro negli Stati Uniti.

Nel 2004 l’allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, trasmise alla conferenza episcopale statunitense una nota con i principi generali” sulla questione.

La conferenza episcopale decise di applicare” volta per volta i principi richiamati da Ratzinger affidando a ciascun vescovo di esprimere prudenti giudizi pastorali nelle circostanze a lui proprie”.

Da Roma il cardinale Ratzinger accettò questa soluzione e la definì in armonia” con i principi generali della sua nota.

In realtà i vescovi degli Stati Uniti non sono unanimi. Alcuni, anche tra i conservatori, come i cardinali Francis George e Patrick O’Malley, sono riluttanti a fare dell’eucaristia un campo di battaglia politica”. Altri sono più intransigenti.  Quando il cattolico Joe Biden fu scelto come vicepresidente da Barack Obama, l’allora vescovo di Denver Charles J. Chaput, oggi a Filadelfia, disse che l’appoggio dato da Biden al cosiddetto diritto” all’aborto è una grave colpa pubblica e quindi per coerenza egli si dovrebbe astenere dal presentarsi a ricevere la comunione”.

Sta di fatto che lo scorso 19 marzo, nella messa d’inaugurazione del pontificato di Francesco, il vicepresidente Biden e la presidente del partito democratico Nancy Pelosi, anch’essa cattolica pro aborto, facevano parte della rappresentanza ufficiale degli Stati Uniti.

E tutti e due hanno ricevuto la comunione. Ma non dalle mani di papa Bergoglio, che se ne stava seduto dietro l’altare.

__________

Il libro:

Jorge Bergoglio, Abraham Skorka, Il cielo e la terra”, Mondadori, Milano, 2013.

__________

La controversia negli Stati Uniti sul dare o no la comunione ai politici cattolici pro aborto, con il testo integrale della nota di Ratzinger del 2004:

> Il vice di Obama è cattolico. Ma i vescovi gli negano la comunione (27.8.2008)

__________

Quando papa Francesco dà la comunione a quelli che lo assistono all’altare, la dà in bocca e mentre sono inginocchiati.

Proprio come faceva Benedetto XVI con tutti.

preghiera dans Papa Francesco I

Nel suo libro-intervista del 2010 Luce del mondo”, Joseph Ratzinger motivò così questa sua scelta:

Non sono contro la comunione in mano per principio, io stesso l’ho amministrata così ed in quel modo l’ho anche ricevuta. Facendo sì che la comunione si riceva in ginocchio e che la si amministri in bocca, ho voluto dare un segno di profondo rispetto e mettere un punto esclamativo circa la presenza reale. Non da ultimo perché proprio nelle celebrazioni di massa, come quelle nella basilica di San Pietro o sulla piazza, il pericolo dell’appiattimento è grande. Ho sentito di persone che si mettono la comunione in borsa, portandosela via quasi fosse un souvenir qualsiasi. In un contesto simile, nel quale si pensa che è ovvio ricevere la comunione – della serie: tutti vanno avanti, allora lo faccio anch’io – volevo dare un segnale forte. Deve essere chiaro questo: È qualcosa di particolare! Qui c’è Lui, è di fronte a Lui che cadiamo in ginocchio. Fate attenzione! Non si tratta di un rito sociale al quale si può partecipare o meno”.

__________

Inoltre:

Si può dare la comunione in mano ai fedeli? Si, a condizione che…

__________

Publié dans Papa Francesco I | Pas de Commentaire »

Maria, debellatrice di tutte le eresie

Posté par atempodiblog le 10 mai 2013

Maria, debellatrice di tutte le eresie
La devozione alla Madonna strumento imprescindibile per salvare il proprio pensiero e l’integrità della Dottrina.
di Corrado Gnerre – Radici Cristiane

Maria, debellatrice di tutte le eresie dans Corrado Gnerre mariadebellaeresie

San Luigi Grignion de Montfort, ne La vera devozione a Maria, scrive che la mancanza di amore alla Madonna è «il segno più infallibile e più indubitabile per distinguere (…) un uomo di cattiva dottrina».
Da sempre, infatti, la Vergine Maria è considerata la debellatrice di tutte le eresie. Padre Tinti nel suo celebre Maria, debellatrice delle eresie, così scrive: «La Chiesa ha sempre invocato Maria SS.ma come debellatrice di tutte le eresie, ed ha introdotto nella sacra liturgia quel versetto che racchiude il più magnifico elogio che si possa fare della Beatissima Vergine: “Gaude, Maria Virgo, cunctas haereses sola interemisti in universo mundo” [Gioisci o Maria perché sola hai debellato le eresie in tutto l’universo] (Dal Breviario Romano). (…)
Ora se la Chiesa ha inserito nella sua liturgia [questo elogio] bisogna ammettere che sino dal tempo apostolico questa fosse una convinzione universale, e cioè che la Beatissima Vergine Maria, Madre di Dio, per i misteri operati in Lei, aveva dato modo di confermare i dogmi della Divina Incarnazione, della reale persona di Cristo e della universale redenzione. Da questi dogmi ne vennero poi gli argomenti che sconfissero le varie eresie. Di qui l’elogio attribuito a Maria SS.ma debellatrice delle eresie».
Ma adesso vediamo di individuare alcuni punti importanti per i quali la devozione alla Madonna davvero diventa la salvaguardia più importante per l’integrità della dottrina. Individuiamo quattro punti.

Maria ci ha donato la Verità
Infatti, se Maria non avesse detto di “sì” all’Angelo, sarebbe stato pregiudicato il progetto di Dio. Ci sarebbe stata una seconda possibilità? Non lo sappiamo. Può darsi di sì, ma può anche darsi di no. Ragioniamo su questo.
L’assenso di Maria Vergine è l’obbedienza. Ella, “nuova Eva”, si contrappone alla “prima Eva” per la quale entrò il peccato nel mondo. Ciò che rende diversa Maria da Eva è l’umiltà. Eva peccò perché attratta dalla possibilità di “diventare come Dio”; Maria ci ha ridonato la Grazia convinta che l’unica posizione umanamente ragionevole fosse quella di farsi “ancella di Dio”.
Ebbene, dietro ogni eresia c’è sempre l’orgoglio. C’è l’intenzione di non voler ascoltare, bensì rielaborare secondo i propri criteri e le proprie ambizioni. Dunque, da questo punto di vista, si capisce bene quanto la devozione mariana serva per ottenere la virtù dell’umiltà.

Maria ha generato la Verità
Maria non si è limitata a donarci la Verità, l’ha anche generata. Ella ha dato il suo contributo. Il Verbo incarnato è l’unione del divino con l’umano. Ebbene, mentre il divino è stato apportato dallo Spirito Santo, l’umano è stato apportato da Maria Vergine.
Maria ha dato il suo sangue e il suo nutrimento alla Verità incarnata. Se a Gesù avessero fatto l’analisi del nucleo mitocondriale, avrebbero trovato lo stesso nucleo mitocondriale di Maria. Ragioniamo su questo. Mettersi alla scuola di Maria, vuol dire mettersi alla scuola di Colei che ha generato la Verità e non si può conservare questa stessa Verità senza chiedere l’aiuto a Colei che l’ha generata.

Maria ha portato la Verità nel suo grembo
Maria è veramente Madre della Chiesa. La Chiesa è l’unione del divino con l’umano e già Cristo (il Capo) è tutta la Chiesa, per cui si può ben dire che la Vergine ha generato e portato la Chiesa dentro di sé. Ha alimentato la Chiesa con il suo sangue.
Questo fatto che la Vergine abbia portato dentro di sé la Chiesa fa capire tutta la connotazione antignostica del Cristianesimo. La Verità è portata dal grembo di una donna, per cui si è chiamati, relativamente alla Verità, a una dimensione di convivenza e non solo di conoscenza.
Le eresie nascono sempre da un approccio alla Verità in senso primariamente intellettualistico. Paradossalmente (ma non troppo) anche in quelle eresie che negano il valore e la propedeuticità della ragione per l’atto di Fede.
Il “Caso Lutero” lo dimostra ampiamente: per lui la ragione non aveva valore, eppure cercò nello studio della Scrittura il fondamento delle sue teorie. Così possiamo dire che tutta la deriva in senso intellettualistico della teologia contemporanea ha come causa proprio la voluta dimenticanza della devozione mariana; e nello stesso tempo la voluta dimenticanza di questa devozione è a sua volta causa della deriva intellettualistica della teologia contemporanea.

Maria è l’immacolatezza della Verità
Maria è la purezza in quanto tale. Ella, a Lourdes, dice di sé: “Io sono l’Immacolata Concezione”. Maria, dunque, ricorda come la purezza sia alla base dell’acquisizione della Verità. Ella fu preservata proprio perché doveva generare il Verbo incarnato.
Di per sé la perdita della purezza può non essere il peccato più grave, ma è senz’altro il peccato che più compromette la sfera intellettuale. Il rifiuto della purezza è la bestializzazione; e con la bestializzazione c’è la morte del retto intendere e della logica. Non si vive come si pensa, si finisce sempre col pensare come si vive.
A tal riguardo, se si approfondisce lo studio della vita privata di molti eretici, si scopre quanto le formulazioni degli errori siano state precedute da cedimenti sul piano della disciplina e della vita morale.

Publié dans Corrado Gnerre, Fede, morale e teologia, Mese di maggio con Maria, Riflessioni | Pas de Commentaire »

Commento di p. Livio al messaggio di Medjugorje del 2/05/2013 dato a Mirjana

Posté par atempodiblog le 9 mai 2013

Come ogni 2 del mese verso le ore 9 del mattino la Madonna è apparsa a Medjugorje alla veggente Mirjana e le ha dato il seguente messaggio:

Commento di p. Livio al messaggio di Medjugorje del 2/05/2013 dato a Mirjana dans Medjugorje madonnadelsilenzio

Cari figli,
vi invito nuovamente ad amare e non a giudicare.
Mio Figlio, per volontà del Padre Celeste, è stato in mezzo a voi per mostrarvi la via della salvezza, per salvarvi e non per giudicarvi.
Se volete seguire mio Figlio, non giudicherete, ma amerete, come il Padre Celeste ama voi.
Anche quando state più male, quando cadete sotto il peso della croce, non disperatevi, non giudicate, ma ricordate che siete amati e lodate il Padre Celeste per il suo Amore.
Figli miei, non deviate dalla strada per cui vi guido.
Non correte verso la perdizione.
La preghiera ed il digiuno vi rafforzino, affinché possiate vivere come il Padre Celeste vorrebbe; affinché siate i miei apostoli della fede e dell’amore; affinché la vostra vita benedica coloro che incontrate; affinché siate una cosa sola col Padre Celeste e con mio Figlio.
Figli miei, questa è l’unica verità, la verità che porta alla vostra conversione e poi alla conversione di tutti coloro che incontrate e che non hanno conosciuto mio Figlio, di tutti coloro che non sanno cosa significa amare.
Figli miei, mio Figlio vi ha donato i pastori: custoditeli, pregate per loro.
Vi ringrazio!”.

Commento di Padre Livio al messaggio del 2 maggio 2013

giudicare dans Misericordia

Il Messaggio è estremamente ricco di pensieri, potremmo dire che ogni affermazione della Regina della Pace avrebbe bisogno di una meditazione specifica, quindi noi cerchiamo di cogliere qualcosa di un messaggio che dobbiamo meditare tutto questo mese di maggio.
Non c’è dubbio che l’ammonimento fondamentale di questo messaggio riguarda il giudicare. Potremmo dire che la Madonna sta commentando quel brano del Vangelo delle Beatitudini in cui Gesù dice: “non giudicate, non condannate, ma perdonate”.
Questo è lo spunto evangelico dove Gesù ci proibisce di giudicare.

A questo riguardo per comprendere la posizione di Cristo e anche della Madonna e quindi anche la nostra posizione, dobbiamo mettere a fuoco che Dio ci ammonisce, ci proibisce di giudicare le persone, cioè di giudicare la loro responsabilità morale, mentre noi possiamo giudicare quello che una persona pensa, i suoi scritti, le sue affermazioni, quello che una persona dice e anche giudicare i comportamenti di una persona. Per esempio se una persona uccide un’altra persona, questo comportamento è inaccettabile, quindi noi giudichiamo i comportamenti, se una persona dice una falsità noi diciamo che ha detto una falsità.
Quindi questo fa parte del discernimento cristiano, cioè c’è un giudizio che è necessario, un giudizio dello Spirito Santo, un giudizio della fede che riguarda non le persone nella loro responsabilità morale, ma riguarda quello che dicono, quello che insegnano, quello che affermano, quello che scrivono e anche come si comportano.
Giudicando i comportamenti, le affermazioni e ovviamente tutto quello che dice una persona, i suoi pensieri, noi facciamo del discernimento spirituale e quindi, come dice San Paolo “omnia probate, quod bonum est, tenete”, cioè “vagliate tutto e trattenete ciò che è buono”.

Invece ci viene proibito severamente di giudicare le persone.
Per quale motivo? Ci sono tantissimi motivi, ma il motivo principale è questo: noi non possiamo conoscere la responsabilità morale delle persone, noi non possiamo leggere nel cuore delle persone, noi non possiamo saper qual è il loro grado di vicinanza o di lontananza da Dio, noi non possiamo sapere qual è la responsabilità morale dei loro comportamenti, dei loro pensieri, noi non possiamo conoscere i loro condizionamenti, non ci è possibile, ci è coperto l’accesso al cuore delle persone, là dove solo Dio può arrivare, là dove solo Dio può giudicare, là dove solo Dio può operare. E quindi il giudizio spetta a Dio.
Noi possiamo giudicare ciò che una persona dice, ciò che una persona pensa, come un persona si comporta, per cui, se una persona si comporta male diciamo: quella persona si è comportata male, ma noi non possiamo giudicare o condannare, perché c’è proprio una stretta connessione tra il giudicare e il condannare le persone, perché non conosciamo il loro grado di responsabilità morale.
Qui subentra l’altra ragione per cui non dobbiamo giudicare le persone.

La Madonna mette bene in evidenza che chi giudica le persone si preclude il cammino di conversione, perché si comporta come il fariseo nella parabola del pubblicano e del fariseo.
In quella parabola il pubblicano guarda se stesso, si ritiene indegno di Dio, si batte il petto e chiede perdono. Quindi si mette di fronte a Dio, non giudica quello che gli sta vicino, ma guarda il male che è in lui, sa che anche lui sarà giudicato, non giudica gli altri e quindi si inginocchia e chiede perdono ed esce da quella preghiera giustificato. Invece il fariseo non guarda dentro di sé, non guarda il suo peccato, ma giudica l’altro che gli è vicino e dice: io non sono mica come quello lì, che fa questo, fa quello…
Quindi, chi giudica gli altri non guarda se stesso. Non guardando se stesso, non vede il suo peccato, non se ne pente e si preclude il cammino di conversione, per cui la Madonna arriva a dire che di questo passo noi ci incamminiamo sulla via della perdizione.
Ecco perché giudicare gli altri è un grave pericolo, perché esprime l’atteggiamento di chi è accecato, non guarda se stesso, non vede il suo peccato, non si pente, si pregiudica la conversione.
È per questo che la Madonna ci dice: “non deviate dalla strada per cui vi guido”, della conversione, “non correte verso la perdizione”.

Poi la Madonna ci dà l’esempio di Gesù che è venuto non per giudicare, ma Gesù ha messo in evidenza il male che è in noi e quindi ha riportato i Comandamenti al loro primitivo splendore. Gesù ci ha dato la luce perché ognuno di noi veda i suoi peccati, se ne penta e si converta.
Gesù è venuto per salvare, non per giudicare le persone.
Questo è il tempo non del giudizio sulle persone, che può dare comunque soltanto Dio, ma è il tempo in cui Dio è venuto qui, sulla terra per salvarle, il tempo in cui noi, come Gesù, non dobbiamo perderci, perdere tempo, far del male a noi stessi giudicando gli altri.
Il nostro problema è salvare noi stessi e aiutare gli altri a salvarsi.
La Madonna ci dice “guardate mio Figlio”, il quale “è stato in mezzo a voi per mostrarvi la via della salvezza, per salvarvi e non per giudicarvi”, così noi stessi, nel medesimo modo, dobbiamo guardare ai nostri peccati, pentirci dei nostri peccati, convertirci e poi noi possiamo portare alla conversione tutti quelli che incontriamo, che non hanno conosciuto Gesù e che non sanno neanche che cosa significhi amare e quindi, se noi, invece di giudicare le persone, preghiamo per loro, le amiamo e diamo loro testimonianza, noi, per queste persone, saremo una benedizione, la nostra vita benedirà coloro che incontriamo.

C’è anche un altro passaggio di questo messaggio che forse è un po’ implicito, ma che andrebbe, a mio parere, messo in evidenza là dove la Madonna dice: “anche quando state più male, quando cadete sotto il peso della croce, non disperatevi, non giudicate, ma ricordate che siete amati, e lodate il Padre Celeste per il suo Amore”.
C’è non solo la tentazione di giudicare e condannare gli altri, ma c’è anche la tentazione di giudicare Dio.
Giudichiamo Dio, perché a qualcuno dà le grazie e a noi non le dà e secondo noi Dio ci manda troppi pesi, troppe croci e quindi, dice la Madonna, attenzione, “quando state male, quando cadete sotto il peso della croce”, non giudicate Dio, non mormorate contro Dio, non disperatevi, ma ricordate che il Padre Celeste vi sta potando, perché diate frutto, e quindi ricordate che, anche sotto la croce, quando siete sotto questo peso, “ricordate che siete amati”. Invece di giudicare Dio, “lodate il Padre Celeste per il suo Amore”.
La Madonna dice: “non deviate dalla strada per cui vi guido, non correte verso la perdizione”.

Infine uno dei temi che sta tanto a cuore alla Madonna, che da due anni porta avanti in tutti i messaggi che dà a Mirjiana, riguarda il giudizio che noi diamo sui Sacerdoti. Una volta ha detto: “non andate a Messa per criticare il Sacerdote, andate a Messa per incontrare mio Figlio”.
La Madonna ci vuole tenere le labbra chiuse. Non giudicare i pastori, ma attenzione, non giudicare i pastori non significa che non dobbiamo giudicare quello che dicono, perché, nel caso doloroso che qualche prete dicesse delle eresie, dicesse cose che non vanno bene, noi dobbiamo giudicare, ma giudichiamo quel che dice, non la sua persona, non parliamo male di quella persona, diciamo: quello che ha detto è sbagliato. Ha detto che il diavolo non c’è? È sbagliato. Ha detto che l’inferno non c’è? È sbagliato. Ha detto che quello che la Chiesa ritiene un peccato grave non è peccato? È sbagliato.
Quindi quando la Madonna ci dice di non giudicare i pastori, soprattutto i sacerdoti con cui noi abbiamo il contatto più immediato, significa che non dobbiamo giudicare la loro vita, criticare la loro vita, dobbiamo tenere le labbra chiuse, non hanno bisogno, dice la Madonna, delle nostre critiche, hanno bisogno delle nostre preghiere. Oggi dice una parola bellissima: “custoditeli, pregate per loro”.
È un messaggio che ci provoca un profondissimo esame di coscienza, che dobbiamo veramente fare e abbiamo tanto da cui emendarci.

Trascrizione dall’originale audio ricavata dal sito: www.medjugorjeliguria.it

Publié dans Medjugorje, Misericordia, Padre Livio Fanzaga | Pas de Commentaire »

Mirjana di Medjugorje: “La Madonna non giudica mai e ci insegna a non giudicare mai”

Posté par atempodiblog le 9 mai 2013

Mirjana di Medjugorje: “La Madonna non giudica mai e ci insegna a non giudicare mai” dans Apparizioni mariane e santuari gospamariamadonna

Padre Livio: Senti, Mirjana, come ti guarda la Madonna?
Mirjana: Come una mamma che guarda i suoi figli, così mi guarda.
Padre Livio: Non giudica?
Mirjana: La Madonna non giudica mai e ci insegna a non giudicare mai.
Padre Livio: E se voi non vi sentite proprio a posto, ve lo fa capire?
Mirjana: Ecco, vedi la Madonna non ha bisogno di dirmi: “Tu puoi chiedermi questo o chiedermi quello; tu hai fatto questo o non hai fatto questo”. Tutto questo tu lo senti dentro di te. Potrei vedere la Madonna anche per cento anni, ma io sarò sempre cosciente che lei è la Madre di nostro Signore, mentre io sono una che cammina sulla terra e una peccatrice. Sono sempre cosciente di questo e non ho bisogno che la Madonna mi dica: “Io vedo questo dentro di te”. La Madonna ha un grande, grandissimo rispetto. Alcuni pensano che, siccome vedo la Madonna da molti anni, allora c’è un rapporto molto… No, no la Madonna è sempre la Madonna, è la Madre di nostro Signore, e io sono una donna della terra e questo tu lo sai sempre dentro di te…
Padre Livio: Tuttavia la Madonna, dal trono della sua sublime santità, non ci guarda dall’alto in basso e tanto meno con disprezzo.
Mirjana: No, la Madonna ci guarda con tanto amore, con i suoi occhi, come una mamma guarda i suoi figli.
Padre Livio: Mi ha molto colpito una frase di Santa Bernadette, la veggente di Lourdes, la quale diceva la Madonna guarda “come una persona guarda a un’altra persona”, cioè con grandissimo rispetto.
Mirjana: Sì certamente. Io, però, la sento in modo particolare come una mamma che vuole così tanto bene ai suoi figli che è pronta a fare tutto per loro. Così io sento dentro di me mentre vedo la Madonna e guardo i suoi occhi che sono pieni di amore per i suoi figli.
Padre Livio: Sì, penso che proprio questo sia uno dei messaggi fondamentali di Medjugorje: la Madonna che si manifesta soprattutto come Madre. Difatti tutti i messaggi incominciano con le parole: “Cari figli”.
MIRJANA: Sì, è vero ed è bellissimo. Questo significa che la Madonna ci accetta così come siamo.

Medjugorje, 8/08/2001

Publié dans Apparizioni mariane e santuari, Lourdes, Medjugorje, Padre Livio Fanzaga, Santa Bernadette Soubirous | Pas de Commentaire »

Senza Dio non c’è Stato

Posté par atempodiblog le 9 mai 2013

Il Foglio.it
SENZA DIO NON C’E’ STATO

In una società aperta e secolarizzata si decide a maggioranza, ma solo dopo una discussione libera e rispettando la coscienza di tutti. La chiesa è in gioco
di Camillo Ruini
Tratto da: Ignazio Contini

Pubblichiamo il testo della lectio magistralis intitolata “Quale ruolo della fede in Dio nello spazio pubblico?” che il cardinale Camillo Ruini ha pronunciato ieri, 6 maggio, come Lettura annuale 2013, in occasione del decennale della Fondazione Magna Carta

Senza Dio non c'è Stato dans Articoli di Giornali e News cardcamilloruini

Parleremo non del ruolo di Dio ma del ruolo della fede in Dio, nello spazio pubblico: è una precisazione necessaria perché quando si parla di Dio la questione è inevitabilmente filosofica e teologica (di questa ho parlato nel mio libro intervista con Andrea Galli). Quando invece si parla della fede in Dio la questione può essere anche storica, culturale, sociologica, politica. La domanda su Dio però si ripropone, nel senso che occorre precisare a quale Dio si rivolga la fede: la differenza tra gli dèi del politeismo, il Dio del monoteismo, o il Dio del panteismo è infatti assai grande e ha conseguenze decisive anche per il ruolo della fede nello spazio pubblico. Dirò dunque che mi riferisco al Dio di Gesù Cristo, cioè al Dio della nostra tradizione italiana, europea e non solo europea. Il riferimento a questo Dio ha plasmato la nostra cultura e la nostra civiltà. A mio parere, e secondo la dottrina della chiesa cattolica, questo Dio può essere conosciuto, per alcuni aspetti, anche dalla nostra ragione e in questa misura è accessibile ai non credenti in Cristo. La piena conoscenza di lui si ha però solo accogliendo nella fede il suo manifestarsi a noi nella storia di Israele e soprattutto in Gesù di Nazaret. Nella storia delle religioni e delle culture il ruolo di Dio nello spazio pubblico è qualcosa di ovvio e di originario, anche se viene concepito in modi molto differenziati.
Le religioni, tradizionalmente, hanno svolto, e tuttora svolgono assai spesso, un ruolo centrale nella genesi e articolazione delle culture, delle società e della vita pubblica. Proprio con il cristianesimo è accaduto però qualcosa di nuovo. Per comprendere questa novità è importante inquadrarla un poco storicamente. Nel VI secolo a. C., in un periodo nel quale sono avvenuti grandi rivolgimenti culturali in aeree geografiche anche molto distanti e disparate, in Grecia le divinità mitiche dell’Olimpo hanno cominciato a essere soppiantate dal Dio dei filosofi, o meglio dall’Essere assoluto, unico ed eterno, con il quale però, per la sua trascendenza rispetto a noi e al mondo, non si potrebbe interloquire e non avrebbe senso rivolgersi nella preghiera. Così si apre un frattura tra la conoscenza razionale di Dio e il senso religioso. Nello stesso periodo in Israele, proprio al tempo della catastrofe politica dell’esilio in Babilonia e della fine dell’indipendenza, giunge a compimento (ad esempio a opera di un profeta che ha scritto la seconda parte del libro di Isaia) la convinzione che il Dio di Israele, Yahweh, non è solo l’unico Dio che Israele deve adorare, ma anche l’unico Dio esistente, creatore e salvatore universale, l’unico vero Dio di tutti i popoli. Si ha quindi uno sviluppo analogo a quello avvenuto in Grecia, ma con una differenza essenziale: questo unico Dio è assoluto ed eterno ma è anche a noi sommamente vicino, è il Dio che si interessa di noi e ha preso l’iniziativa di rivelarsi al popolo di Israele. Di più, è il Dio sommamente libero e personale, che ha creato il mondo liberamente e per amore. Questo è anche il Dio di Gesù Cristo: in Cristo anzi la vicinanza e l’amore di Dio giungono al vertice umanamente inconcepibile della morte del Figlio per noi. Non solo, ma anche da parte nostra il rapporto con Dio non è più legato ad aspetti etnici e giuridici, come l’appartenenza a un popolo e l’osservanza della legge mosaica, bensì è aperto a ogni persona, sulla base della libera scelta personale della fede e della conversione. Così la libertà diventa fattore centrale nel rapporto tra Dio e noi, per così dire da entrambe le parti, dalla parte di Dio e dalla parte dell’uomo. Il cristianesimo può quindi ben dirsi la religione della libertà, oltre che la religione del Logos, della ragione, e – soprattutto – dell’amore. Possiamo aggiungere che il concetto stesso di persona, fondamentale nella nostra civiltà, ha origini teologiche: viene sviluppato infatti nel tentativo di comprendere l’unità di Dio Padre e del Figlio, e dello Spirito Santo, nella relazione e donazione reciproca. Perciò, fin dall’origine, persona è un concetto relazionale, dice rapporto all’altro e non chiusura in se stessi. In questo quadro assumono tutto il loro rilievo le celebri parole di Gesù “Date a Cesare quello che è di Cesare e date a Dio quello che è di Dio” (Matteo 22,21 e paralleli). La rilevanza pubblica della fede in Dio non viene affatto negata ma passa attraverso la libertà delle persone. Che questa rilevanza pubblica sussista nel cristianesimo fin dalle origini appare nel modo più chiaro dal carattere pubblico del processo a Gesù e dal significato che i primi discepoli attribuivano alla sua risurrezione, come adempimento della promessa di Dio a Israele, che era promessa di liberazione e salvezza del popolo, e in concreto come venuta del regno di Dio annunciato da Gesù, che significava la signoria salvifica di Dio su ogni aspetto della nostra vita e della realtà. Di fatto per i primi tre secoli della sua storia il cristianesimo ha effettivamente mantenuto e testimoniato, soprattutto attraverso il martirio affrontato per non rendere culto divino all’Imperatore romano, l’affermazione sia della libertà della fede sia del suo carattere pubblico. La svolta, come sappiamo, è avvenuta nel secolo IV, non tanto con Costantino, che si è limitato a riconoscere la libertà e liceità del culto cristiano, quanto con Teodosio, che nel suo Editto del 380 impose a tutti i sudditi dell’Impero il credo cristiano, nella forma del Credo del Concilio di Nicea, anche (anzi soprattutto) allo scopo di reprimere le eresie all’interno del cristianesimo e preservare l’unità dell’Impero. Così il cristianesimo è divenuto, contro la sua origine e la sua natura più profonda, religione di stato, sebbene, almeno in occidente, mai in forma pacifica e piena: è stata mantenuta infatti la distinzione dei due poteri, ecclesiastico e civile (allora in concreto del Papa e dell’Imperatore), teorizzata un secolo dopo l’Editto di Teodosio dal Papa Gelasio I. Inoltre la teologia cattolica non ha mai ammesso che qualcuno venga obbligato con la forza a credere, ma solo – in modo in verità assai poco coerente – che venga usata la forza per impedire a chi aveva già creduto di abbandonare la fede (in concreto, per procedere contro gli eretici). Possiamo dire che alla base di questa posizione sta “l’oggettivismo”medioevale, cioè il primato unilaterale dell’istanza della verità su quella della libertà. Solo con la fine dell’unità religiosa dell’occidente a seguito della riforma protestante questa situazione entra in crisi. Senza ripercorrere le varie tappe di una storia nota, possiamo dire che il primato unilaterale della verità ha condotto alle guerre di religione dei secoli Sedicesimo e Diciassettesimo e che si è usciti da questa situazione insostenibile attraverso la secolarizzazione della politica, cioè la fine del ruolo pubblico vincolante della fede religiosa. Questo però non equivale ancora alla fine di ogni ruolo pubblico delle religioni, in particolare di un ruolo che passi attraverso le libere scelte dei cittadini. Uno sviluppo di questo genere si è verificato più tardi, soprattutto in Francia, con l’illuminismo francese e la rivoluzione francese, ed è tuttora tipico dei paesi latini di matrice cattolica: qui la rivendicazione della ragione e della libertà assumono un volto decisamente ostile alla chiesa e talvolta chiuso a ogni trascendenza, mentre la chiesa a sua volta fatica e tarda a lungo a distinguere tra le istanze anticristiane, a cui evidentemente non poteva non opporsi, e la rivendicazione della libertà sociale e politica, che invece avrebbe potuto e dovuto essere accolta positivamente, sulla base del messaggio cristiano stesso. La “laicità” alla francese implica proprio la chiusura a ogni ruolo pubblico delle religioni. Che sviluppi di questo genere non fossero un portato necessario della modernità appare soprattutto dalla vicenda storica degli Stati Uniti d’America. La loro stessa nascita infatti è dovuta, in larga misura, a quei gruppi di cristiani protestanti che erano fuggiti dal sistema delle chiese di stato vigente anche nell’Europa protestante e che formavano libere comunità di credenti. Il fondamento della società americana è costituito pertanto dalle chiese libere, per le quali è essenziale non essere chiese dello stato ma fondarsi sulla libera unione dei credenti. In questo senso si può dire che alla base della società americana c’è una separazione tra chiesa e stato determinata, anzi reclamata dalla religione e rivolta anzitutto a proteggere la religione stessa e il suo spazio vitale, che lo stato deve lasciare libero. Per conseguenza, tutto il complesso dei rapporti tra sfera statale e non statale in America si è sviluppato diversamente che in Europa, attribuendo anche alla sfera non statale un concreto carattere pubblico, favorito dal sistema giuridico e fiscale. In questa America, con la sua specifica identità, i cattolici si sono integrati bene, riconoscendo ben presto il carattere positivo della separazione tra stato e chiesa legata a motivazioni religiose e l’importanza della libertà religiosa così garantita. Fino al Concilio Vaticano II però rimaneva una difficoltà, o una riserva di principio, che non riguardava i cattolici americani come tali, ma la chiesa cattolica nel suo complesso. Questa difficoltà si riferiva al riconoscimento della libertà religiosa, non semplicemente come accettazione di un dato di fatto (questa accettazione c’era già prima del Concilio), ma come affermazione di un diritto. Il Vaticano II ha superato questa difficoltà con la Dichiarazione sulla libertà religiosa, documento decisivo per il rapporto tra chiesa e modernità come ha sottolineato Benedetto XVI in uno dei suoi ultimi discorsi, quello al clero romano del 14 febbraio scorso. Non per caso la Dichiarazione sulla libertà religiosa è stata redatta con il forte contributo dei vescovi e dei teologi nordamericani. La libertà religiosa vi è affermata chiaramente come diritto universale, fondato sulla dignità che appartiene per natura alla persona umana; non quindi, come spesso si faceva e si continua a fare, su un approccio relativistico che escluda il valore di verità di ogni religione e in particolare del cristianesimo. Con il Concilio è stata ricuperata dunque, e concretizzata nell’attuale situazione storica, la concezione cristiana originaria della libertà del nostro rapporto con Dio. Più in generale, il Vaticano II ha rappresentato il superamento, almeno in linea di principio, di quel ritardo storico del cattolicesimo nell’epoca moderna a cui ho accennato. Il Concilio ha fatto propria infatti la centralità del soggetto umano, che è la rivendicazione di fondo dell’età moderna, mostrandone la radice cristiana e l’infondatezza della contrapposizione tra centralità dell’uomo e centralità di Dio. Ha inoltre affermato la legittima autonomia delle realtà terrene (che a sua volta non significa negazione del rapporto con il Creatore): il filosofo Giovanni Fornero, decisamente laico, scrive, alla voce “Laicismo”nel Dizionario di filosofia dell’Abbagnano, che per laicismo si intende “il principio dell’autonomia delle attività umane, cioè l’esigenza che esse si svolgano secondo regole proprie, che non siano imposte dall’esterno, per fini o interessi diversi da quelli a cui tali attività si ispirano”. Ma queste sono, quasi alla lettera, le parole con cui il Vaticano II (Gaudium et spes, 36) definisce la legittima autonomia delle realtà terrene. Quindi anche sulla laicità, come sulla libertà religiosa e sulla centralità del soggetto umano, si poteva sperare che dopo il Concilio il contenzioso tra “cattolici” e “laici”(per usare una terminologia che non mi convince) fosse ormai alle nostre spalle. In particolare per l’Italia anche l’ostacolo del Concordato sembrava sostanzialmente rimosso, dopo che l’Accordo di revisione del 1984 aveva espressamente riconosciuto che “Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato nei Patti lateranensi della religione cattolica come sola religione dello stato italiano”. Le vicende degli ultimi decenni sembrano però smentire crudamente una tale speranza: ci troviamo infatti in una fase nuova, e acuta, della contesa intorno alla laicità, o forse più propriamente al ruolo della fede nello spazio pubblico. Ma in realtà l’oggetto del contendere si è profondamente modificato. Non si tratta più, almeno in linea principale, dei rapporti tra chiesa e stato come istituzioni: a questo riguardo infatti la loro distinzione e l’autonomia reciproca sono sostanzialmente accettate e condivise sia dai cattolici sia dai laici, e con esse l’apertura pluralista degli ordinamenti dello stato democratico e liberale alle posizioni più diverse, che di per sé hanno tutte, davanti allo stato, uguali diritti e uguale dignità. Le polemiche che vengono sollevate su queste tematiche sembrano dunque piuttosto pretestuose e sono probabilmente il riflesso dell’altro e ben più consistente contenzioso di cui ora dobbiamo occuparci. Oggetto di quest’ultimo sono principalmente le grandi problematiche etiche ed antropologiche che sono emerse negli ultimi decenni, a seguito sia dei profondi cambiamenti intervenuti nei costumi e nei comportamenti sia delle nuove applicazioni al soggetto umano delle biotecnologie, che hanno aperto orizzonti fino ad un recente passato imprevedibili. Queste problematiche hanno infatti chiaramente una dimensione non soltanto personale e privata ma anche pubblica e non possono trovare risposta se non sulla base della concezione dell’uomo a cui si fa riferimento: in particolare della domanda di fondo se l’uomo sia soltanto un essere della natura, frutto dell’evoluzione cosmica e biologica, o invece abbia anche una dimensione trascendente, irriducibile all’universo fisico. Sarebbe strano, dunque, che le grandi religioni non intervenissero al riguardo e non facessero udire la loro voce sulla scena pubblica. Come è naturale, di questo si fanno carico anzitutto, nelle diverse aree geografiche e culturali, le religioni in esse prevalenti: in occidente quindi il cristianesimo e in particolare, specialmente in Italia, la chiesa cattolica. In concreto la loro voce risuona con una forza che pochi avrebbero previsto quando una secolarizzazione sempre più radicale era ritenuta il destino inevitabile del mondo contemporaneo, o almeno dell’occidente: quando cioè sembrava fuori dall’orizzonte quel risveglio, su scala mondiale, delle religioni e del loro ruolo pubblico che è una delle grandi novità degli ultimi decenni. Vorrei ricordare, a questo proposito, la sorpresa e lo sconcerto che provocarono, anche in ambito cattolico, le affermazioni fatte da Giovanni Paolo II al Convegno di Loreto, nell’ormai lontano aprile 1985, quando invitò a riscoprire “il ruolo anche pubblico che il cristianesimo può svolgere per la promozione dell’uomo e per il bene dell’Italia, nel pieno rispetto anzi nella convinta promozione della libertà religiosa e civile di tutti e di ciascuno, e senza confondere in alcun modo la chiesa con la comunità politica”.

VERITA’ E LIBERTA’, LO SCONTRO
Lo stato e l’uomo stesso non sanno“perché vivono”. La chiesa ha consigli da dare
La vera alternativa alle grandi religioni a proposito delle questioni antropologiche ed etiche ha, per così dire, due facce, tra loro certamente collegate ma alla fine reciprocamente incompatibili. Da una parte essa è costituita – come si è detto – dal“naturalismo”, cioè dalla convinzione che l’uomo sia integralmente riconducibile alla natura, all’universo fisico: viene meno così quel primato del soggetto umano, da considerarsi sempre come fine e mai semplicemente come mezzo, che aveva costituito l’istanza fondamentale della modernità. Questa concezione naturalistica è presentata per lo più come il risultato delle scienze empiriche, dimenticando l’autentica natura del pensiero scientifico, che per i suoi stessi metodi è limitato a ciò che è empiricamente verificabile e non può pretendere, senza contraddirsi, di costituire una visione globale della realtà: di una simile pretesa, infatti, nessuna verifica sperimentale è possibile o anche solo ipotizzabile. L’altra faccia dell’alternativa alle grandi religioni è la rivendicazione della libertà individuale, in rapporto alla quale andrebbe evitata ogni discriminazione. Questa libertà, per la quale in ultima analisi tutto è relativo al soggetto, viene eretta a supremo criterio etico e giuridico: ogni altra posizione può essere quindi lecita soltanto finché non contrasta ma rimane subordinata rispetto a questo criterio relativistico. In tal modo vengono sistematicamente censurate, quanto meno nella loro valenza pubblica, le norme morali del cristianesimo. Si è sviluppata così in occidente quella che Benedetto XVI ha ripetutamente denominato “la dittatura del relativismo”, una forma di cultura cioè che taglia deliberatamente le proprie radici storiche e costituisce una contraddizione radicale non solo del cristianesimo ma più ampiamente delle tradizioni religiose e morali dell’umanità. Vediamo ora perché relativismo e naturalismo siano in realtà tra loro incompatibili. Già sul piano logico, il naturalismo pretende di rappresentare l’interpretazione scientifica del mondo, e dell’uomo in esso. Non è pertanto compatibile con il relativismo, per il quale ogni interpretazione è semplicemente soggettiva e destituita di validità universale. Ma è soprattutto sul piano esistenziale, a livello del vissuto di ciascuno di noi, che la contraddizione esplode. Il relativismo, infatti, ha il suo nucleo nell’esaltazione e potremmo dire nell’assolutizzazione della libertà individuale, quindi nel valore e nella centralità del singolo soggetto. Ma è proprio questo ciò che viene radicalmente escluso dalla riconduzione del soggetto umano alla natura, a una natura che non sa niente di lui e non si cura affatto di lui. Proprio questa contraddizione è alla base dello spaesamento e dell’inquietudine che affliggono oggi soprattutto i giovani, ma certo non soltanto essi. E’ qui la radice profonda di un certo affievolirsi della fiducia nella vita, anzi della voglia di vivere. Il taglio delle proprie radici prende spesso la forma dell’odio verso la propria civiltà: si tratta di un fenomeno diffuso nell’Europa occidentale e ripetutamente denunciato da Benedetto XVI. Questo odio si rivolge particolarmente verso il cristianesimo, considerato il principale ostacolo al naturalismo e al relativismo, e a volte si insinua anche tra i credenti, svuotando dall’interno la fede cristiana e l’appartenenza alla chiesa del loro vigore e del loro fascino. Simili posizioni sono però lontane dall’essere da tutti condivise, anche nel cosiddetto “mondo laico”. Molti laici, infatti, ritengono di doverle rifiutare, per rimanere fedeli alle origini e alle motivazioni autentiche del liberalismo, che giudicano incompatibili con la dittatura del relativismo perché, come ha sottolineato Marcello Pera, al centro del liberalismo sta la dottrina dei diritti fondamentali dell’uomo in quanto uomo, che precedono ogni decisione sia degli individui sia degli stati e si fondano su una concezione etica ritenuta vera e transculturale. Joseph Ratzinger, prima e dopo la sua elezione al pontificato, ha motivato sul piano sia storico sia teologico questa nuova sintonia tra cattolici e laici, arrivando a sostenere che la distinzione tra gli uni e gli altri “deve essere relativizzata”. Ritengo anch’io che il loro rapporto non debba necessariamente esaurirsi in un semplice dialogo, pur rispettoso e amichevole, ma possa e debba dar luogo a vere forme di collaborazione, richieste dalla presente situazione storica. E’ doveroso aggiungere però che non tutti i cattolici condividono l’apertura cordiale a quei laici che sostengono queste posizioni: non mancano infatti coloro che li vedono con sospetto, temendo – secondo me a torto – che strumentalizzino la fede cristiana a fini ideologici e politici. Il motivo principale di tale diffidenza è che non pochi, sebbene cattolici, non appaiono realmente convinti della necessità di un impegno forte nel campo dell’etica pubblica. In concreto questi cattolici rimangono piuttosto legati, in materia di laicità, al quadro classico della divisione di competenze tra istituzioni civili ed istituzioni ecclesiastiche e mi sembrano non cogliere pienamente la portata della novità costituita dall’emergere delle attuali problematiche antropologiche ed etiche. Alcuni di loro sono anzi portati a rivendicare per sé l’autentica laicità, intesa come richiamo alla propria coscienza e come autonomia e indipendenza dal magistero della chiesa nell’ambito dell’assunzione di responsabilità pubbliche e di scelte legislative. Sul piano politico e giuridico essi hanno certamente il diritto di agire così, ma non possono pretendere che questi comportamenti siano, per un cattolico, anche teologicamente ed ecclesialmente legittimi. Infatti, mentre per chi non è cattolico gli insegnamenti della chiesa possono avere valore solo nella misura in cui appaiano razionalmente convincenti, per i cattolici essi hanno valore anche e anzitutto in quanto sono espressione del messaggio cristiano nelle concrete circostanze storiche. Spingendo l’analisi più in profondità, rimane attuale la celebre tesi del grande giurista tedesco Ernst-Wolfgang Böckenförde secondo la quale lo stato liberale secolarizzato vive di presupposti che esso stesso non può garantire e tra questi svolgono un ruolo peculiare gli impulsi e i vincoli morali di cui la religione è la sorgente. Molto recentemente Rémi Brague ha proposto un importante aggiornamento della tesi di Böckenförde: anzitutto estendendola dallo stato all’uomo di oggi, che in larga misura ha smesso di credere nel proprio valore, a causa della sua tendenziale riduzione alla natura e del predominare del relativismo. E’ l’uomo dunque, e non solo lo stato, ad aver bisogno oggi di un sostegno che non è in grado di garantirsi da se stesso. In secondo luogo la religione non è soltanto, e nemmeno primariamente, fonte di impulsi e vincoli etici, come sembra pensare Böckenförde. Oggi, prima che di assicurare dei limiti e degli argini, si tratta di trovare delle ragioni di vita e questa è, fin dall’inizio, la funzione, o meglio la missione più propria del cristianesimo: esso infatti ci dice anzitutto non “come” vivere, ma “perché”vivere, perché scegliere la vita, perché gioirne e perché trasmetterla. In una prospettiva di questo genere sembra da capovolgere l’idea assai diffusa secondo la quale il progresso e il futuro dell’Italia consisterebbero nell’omologarsi a quelle altre nazioni europee nelle quali si è andati e si sta andando sempre più avanti nel mettere tra parentesi l’eredità del cristianesimo. Al contrario,“l’eccezione italiana” – nei limiti in cui realmente esiste – può rappresentare un’indicazione positiva perché la società europea possa superare quella sua strana tendenza per la quale essa sembra compiacersi di prosciugare le energie vitali e morali di cui si nutrono le persone, le famiglie, i popoli. Proprio la percezione del valore decisivo di queste riserve di energie è ciò che accomuna oggi molti cattolici e laici e che indica un grande compito comune che ci attende. Prendiamo ora in esame l’obiezione che viene continuamente riproposta, secondo la quale ogni riferimento a contenuti e valori oggettivi e non relativistici costituirebbe una inaccettabile limitazione della libertà e in concreto l’imposizione di una visione particolare, quella cristiana, anche a chi non la condivide. Un’obiezione di questo genere può anzitutto essere facilmente ritorta: proprio il relativismo, infatti tende facilmente ad assolutizzarsi, cioè a negare la liceità di posizioni diverse dalle sue, perché le ritiene incompatibili con la libertà. In questi anni ne abbiamo avuto varie conferme pratiche, come nel caso delle agenzie per l’adozione dei bambini costrette a chiudere in Inghilterra se non erano disponibili a patrocinare l’adozione da parte di coppie dello stesso sesso. In realtà nessuna società o consorzio umano può sussistere senza dotarsi di alcune norme che valgano per tutti i suoi membri. Perché una società sia libera ciò che conta è che queste norme vengano stabilite attraverso il libero gioco democratico e naturalmente che attraverso il medesimo gioco possano essere modificate o anche cambiate integralmente. E’ questa la condizione comune in cui si trovano sia coloro che vogliono introdurre cambiamenti sostanziali nelle concezioni antropologiche ed etiche che erano condivise praticamente da tutti fino a un secolo fa, sia coloro che vogliono invece conservarle nella loro sostanza. Gli uni e gli altri possono ugualmente concorrere a stabilire le norme che valgono per tutti: prevarrà chi saprà ottenere la maggioranza dei consensi. Ciò naturalmente non significa che competa a una maggioranza stabilire cosa sia vero o falso, e nemmeno cosa sia in se stesso giusto o ingiusto. Il gioco democratico non riguarda la verità delle cose, ma solo le regole comuni di comportamento. Coloro che, per motivi di coscienza, ritengono di non potersi adeguare a tali norme, è giusto che abbiano la possibilità dell’obiezione di coscienza. Se le leggi, in quel caso, non consentono tale obiezione, si potrà dare testimonianza delle proprie convinzioni in una forma più costosa ma anche più forte, affrontando le pene previste dalla legge. In effetti i più eroici ed efficaci obiettori di coscienza furono e sono i martiri cristiani delle diverse epoche storiche. Vorrei infine cancellare l’impressione per la quale le posizioni che si rifanno a una matrice cristiana, sia perché animate dalla fede sia per motivi non di fede ma di cultura, sarebbero inevitabilmente prigioniere del passato e incapaci di aprirsi agli sviluppi e ai cambiamenti che ci attendono e sono anzi già in corso. Ho sottolineato infatti che il cristianesimo è la religione sia del logos, sia della libertà, sia dell’amore e della persona come essere in relazione. Sono questi i contenuti essenziali da salvaguardare e proprio essi aprono al futuro, che è appunto il frutto della nostra ragione e della nostra liberà e che può essere costruito in maniera utile e non distruttiva solo attraverso la capacità di relazionarsi all’altro e di collaborare con lui, come mostra tutta l’esperienza storica. Perciò non si tratta affatto di negare la storicità dell’uomo e il variare delle forme storiche in cui la convivenza umana si realizza. Si tratta solo di mantenere, in questo continuo variare, quei fattori essenziali che rendono possibile uno sviluppo autentico, perché conforme alla specificità e dignità irriducibile del nostro essere. Per riassumere tutto si potrebbe dire che, come nel Medioevo si ebbe una prevalenza unilaterale della verità sulla libertà, così la tentazione del nostro tempo è un’altrettanto unilaterale prevalenza della libertà sulla verità del nostro essere. Tenere distinti questi due piani, della libertà e della verità, ma anche cercare sempre di nuovo una loro possibile sintesi è la difficile impresa che il tempo in cui viviamo ha davanti a sé.

Publié dans Articoli di Giornali e News, Riflessioni | Pas de Commentaire »

Gesù non esclude nessuno

Posté par atempodiblog le 9 mai 2013

Gesù non esclude nessuno dans Papa Francesco I papafrancesco

Gesù non ha escluso nessuno. Ha costruito ponti, non muri. Il suo messaggio di salvezza è per tutti. Questa mattina, mercoledì 8 maggio, durante la messa nella cappella della Domus Sanctae Marthae, Papa Francesco si è soffermato sull’atteggiamento del buon evangelizzatore: aperto a tutti, pronto ad ascoltare tutti, senza esclusioni. Fortunatamente, ha notato, «adesso è un buon tempo nella vita della Chiesa: questi ultimi cinquanta anni, sessanta anni, è un bel tempo. Perché io ricordo quando ero bambino si sentiva nelle famiglie cattoliche, anche nella mia: “No, a casa loro non possiamo andare, perché non sono sposati per la Chiesa, eh”. Era come una esclusione. No, non potevi andare! O perché sono socialisti o atei, non possiamo andare. Adesso, grazie a Dio, no, non si dice». 

L’esempio proposto dal Pontefice è quello dell’apostolo Paolo che nell’areopago (Atti degli apostoli, 17, 15. 22 – 18, 1) annunzia Gesù Cristo tra gli adoratori di idoli. Importante è, secondo il Papa, il modo in cui lo fa: «Lui non dice: “Idolatri, andrete all’inferno!”», ma «cerca di arrivare al loro cuore»; non condanna dall’inizio, cerca il dialogo: «Paolo è un pontefice, costruttore di ponti. Lui non vuole diventare un costruttore di muri». Costruire ponti per annunziare il Vangelo, «questo è l’atteggiamento di Paolo ad Atene: fare un ponte al cuore loro, per poi fare un passo in più e annunziare Gesù Cristo».

Paolo è coraggioso e «questo ci fa pensare sull’atteggiamento di un cristiano. Un cristiano deve annunziare Gesù Cristo in una maniera che Gesù Cristo venga accettato, ricevuto, non rifiutato». Del resto, «l’annunzio della verità dipende dallo Spirito Santo. Gesù ci dice nel Vangelo di oggi (Giovanni, 16, 12-15): “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità”. Paolo non dice agli ateniesi: “Questa è la enciclopedia della verità. Studiate questo e avrete la verità!”».  

La verità, dunque, «non entra in una enciclopedia»; è piuttosto l’«incontro con la somma verità: Gesù, la grande verità. Nessuno è padrone della verità» e — ha avvertito il Pontefice — la verità non si può gestire a proprio piacimento, non si può strumentalizzare, «neppure per difenderci». E ancora: «L’apostolo Pietro ci dice: “Voi dovete dar conto della vostra speranza”. Sì, ma una cosa è dar conto della propria speranza e altra cosa è dire: “Noi abbiamo la verità: questa è! Se voi non la accettate, andate via”». Paolo ha seguito l’atteggiamento di Gesù, il quale ha parlato con tutti: «Ha sentito la samaritana, il dialogo con la samaritana; andava a pranzo con i farisei, con i peccatori, con i pubblicani, con i dottori della legge. Gesù ha sentito tutti e quando ha detto una parola di condanna, è stato alla fine, quando non c’era niente da fare». 


Ma Paolo è anche «consapevole che deve evangelizzare, non fare proseliti». La Chiesa «non cresce nel proselitismo; Benedetto XVI ce lo ha detto; ma cresce per attrazione, per la testimonianza, per la predicazione». Infine «Paolo agisce così perché era sicuro, sicuro di Gesù Cristo. Non dubitava del suo Signore. I cristiani che hanno paura di fare i ponti e preferiscono costruire muri, sono cristiani non sicuri della propria fede, non sicuri di Gesù Cristo. E si difendono» erigendo dei muri.  


Paolo insegna quale debba essere il cammino dell’evangelizzazione, da seguire con coraggio. E «quando la Chiesa perde questo coraggio apostolico, diventa una Chiesa ferma. Ordinata, bella; tutto bello, ma senza fecondità, perché ha perso il coraggio di andare alle periferie, qui dove ci sono tante persone vittime dell’idolatria, della mondanità, del pensiero debole». E se a frenare è la paura di sbagliare bisogna pensare che ci si può rialzare e continuare ad andare avanti. «Quelli che non camminano per non sbagliare — ha concluso Papa Francesco — fanno uno sbaglio più grave». 


Tra i concelebranti vi erano il cardinale Francesco Coccopalmerio e l’arcivescovo Oscar Rizzato. Fra i presenti, un gruppo di collaboratori dei servizi generali del Governatorato e i giudici e gli addetti alla cancelleria del Tribunale del Vaticano, con il presidente Giuseppe Dalla Torre.

Messa del Papa a Santa Marta – L’Osservatore Romano, 9 maggio 2013

Publié dans Papa Francesco I | Pas de Commentaire »

“Gesù ci chiede prima l’amore”

Posté par atempodiblog le 8 mai 2013

“Gesù ci chiede prima l’amore”
Tratto da: Blog Lourdes

“Gesù ci chiede prima l’amore” dans Riflessioni donareilcuore

C’era una Chiesa del ‘No, non si può; no, no, si deve, si deve, si deve’, e una Chiesa del ‘Sì: ma … pensiamo alla cosa, apriamoci, c’è lo Spirito che ci apre la porta’. “Quando il servizio del Signore diventa un giogo così pesante, le porte delle comunità cristiane sono chiuse: nessuno vuole venire dal Signore. Noi invece crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati. Prima questa gioia del carisma di annunciare la grazia, poi vediamo cosa facciamo. Questa parola, giogo, mi viene al cuore, mi viene in mente”.

“Che lo Spirito Santo ci assista sempre per diventare comunità di amore, di amore a Gesù che ci ha amato tanto. Comunità di questo ‘sì’. E da questo ‘sì’ compiere i comandamenti. Comunità di porte aperte. E ci difenda dalla tentazione di diventare forse puritani, nel senso etimologico della parola, di cercare una purezza para-evangelica, una comunità del ‘no’. Perché Gesù ci chiede prima l’amore, l’amore per Lui, e di rimanere nel Suo amore”.

Papa Francesco

pentimentosanpietroelgr dans Riflessioni

Si resta sinceramente sconcertati davanti a queste parole di fuoco che Gesù pronuncia contro delle persone perbene, mentre è dolce con i peccatori che, in fin dei conti, sono davvero gente discutibile (anche noi, oggi, detestiamo i disonesti, i profittatori, gli opportunisti e certi sfrenati gaudenti e normalmente vediamo tutti questi vizi negli «altri»: ognuno di noi istintivamente si mette nel novero delle persone che fanno il proprio dovere, le persone perbene). Non è che Gesù invitasse a essere peccatori, ma a essere umili e a non giudicare gli altri, a non vantare la propria rettitudine. Perché questo rende superbi, fa presumere di se stessi e delle proprie capacità. Gesù invece è drastico: «Senza di me non potete far nulla». Nulla. Non dice «potete fare ben poco». Dice «non potete fare nulla». E’ un’espressione pesantissima, sconcertante. Chi è mai costui che avanza una simile «pretesa»?

Gesù chiede di essere amato da tutti così come ciascuno è. Sembra dire a peccatori, incoerenti, poveracci: «Né i limiti e i peccati vostri, né quelli altrui possono comunque impedirvi di volermi bene e rimanere con me. Io farò il resto. Vi cambierò io».
Questo atteggiamento di Gesù è particolarmente evidente nel caso di Pietro, il più emblematico. Dopo tutto quello che aveva ricevuto e visto, nel momento dell’arresto di Gesù e dell’interrogatorio lo rinnegò ben tre volte per paura. Con le labbra, non con il cuore, dice sant’Ambrogio, cioè lo rinnegò per vergognosa viltà e ne pianse amaramente, ma continuava a volergli bene. Neanche lui sapeva spiegarsi questa cosa, ma gli voleva bene. Questo gli era chiaro. Di certo voleva sprofondare mentre lo diceva a se stesso, sentendosi ormai indegno dell’amicizia di Gesù, ma era innegabile quanto fosse attaccato al suo Maestro. Lo cercava sempre con gli occhi. E lo sguardo di Gesù, mentre cantò il gallo, fu il suo ultimo incontro con lui prima dell’esecuzione capitale sulla croce.

Gesù fissa Pietro, che si sarà sentito morire. Ma, diversamente da quanto temeva, Gesù non gli chiede affatto conto del tradimento, non si mette a rimproverarlo per la sua viltà, non gli dice «non peccare, non tradire, non essere incoerente». Ma gli dice: «Simone, tu mi ami?». E addirittura glielo ripete tre volte e per tre volte gli consegna il suo piccolo gregge di amici e lo chiama alla sua grande missione.
Così Gesù fa capire la sola cosa che chiede: il cuore, che si voglia bene a lui. Al resto penserà lui. Trasformerà lui quel focoso e rozzo pescatore, quel codardo nel momento del pericolo, nel pilastro della sua Chiesa, in un padre forte e buono, disposto un giorno a dare anche lui, con eccezionale eroismo, la sua vita su una croce. Gesù si compiace di gente così: l’amico che lo ha rinnegato, la Maddalena, Zaccheo, la Samaritana, il ladrone del Golgota. Li ama così come sono e li perdona. Così li trasforma. Li cambia lui stesso.

Perché, diciamo la verità, per ciascuno di noi i disonesti, i profittatori, gli opportunisti e i puttanieri (o le puttane) sono sempre “gli altri”. E ognuno di noi istintivamente si mette nel novero delle persone che fanno il proprio dovere, le persone perbene. Ebbene, i santi fanno l’esatto opposto. Un giorno frate Masseo chiede a frate Francesco: “perché a te tutto il mondo viene dietro, e ogni persona pare che desideri di vederti, d’udirti, d’ubbidirti? Tu non sei un uomo bello nell’aspetto, tu non sei di grande scienza, tu non sei nobile; dunque perché a te tutto il mondo viene dietro?”. E Francesco: “Vuoi sapere perché a me tutto il mondo mi venga dietro? Questo io ho dagli occhi dell’Altissimo, che in ogni luogo contemplano i buoni e i rei: poiché quegli occhi santissimi non hanno veduto fra i peccatori nessuno più vile, nè più insufficiente, nè più grande peccatore di me; e perché per fare quell’operazione meravigliosa che egli intende fare, non ha trovato più vile creatura sopra la terra… cosicché si conosca che ogni virtù e ogni bene viene da lui e nessuna creatura si possa gloriare al suo cospetto”. Nel mondo alla rovescia che è il cristianesimo è meglio sentirsi nel novero dei peccatori. E mendicare grazia. Come diceva Péguy (un grande convertito che pure, per una sua situazione familiare complessa, non si avvicinava ai sacramenti): “le persone morali non si lasciano bagnare dalla grazia”. La morale le rende impermeabili. Al contrario di chi si riconosce miserabile: “Si spiega così il fatto che la grazia operi sui più grandi criminali e risollevi i più miserabili peccatori”. Anche quando Gesù è in croce, viene dileggiato da qualche osservante della Legge, e viene “riconosciuto” dal ladrone che doveva aver praticato addirittura la lotta armata. E Gesù lo salva. La grazia è arrivata al suo cuore, attraverso le ferite della sua vita, ma non al cuore di chi era corazzato con la sua superba moralità. E’ solo questo atteggiamento umile e mendicante che ci è chiesto.

Infatti il Papa, sull’accesso all’Eucaristia, non ha affatto detto “no tu no, che sei peccatore”, come qualcuno ha fatto credere. Ecco invece le sue splendide parole: “Quanti non possono ricevere la Comunione in ragione della loro situazione, trovano comunque nel desiderio della Comunione e nella partecipazione all’Eucaristia una forza e un’efficacia salvatrice”.

Padre Pio raccomandava questa “comunione spirituale” ricordata dal Papa e considerata dal Concilio di Trento uno dei modi di comunicarsi (la Santa Messa peraltro è una forza di trasformazione e di salvezza per tutti, non solo per chi si comunica sacramentalmente). Basta sentire la fame e la sete di Lui.

Da articoli di Antonio Socci

Publié dans Riflessioni | Pas de Commentaire »

Giulio Andreotti: “momenti dei miei anni giovanili”

Posté par atempodiblog le 8 mai 2013

Momenti dei miei anni giovanili

Giulio Andreotti: “momenti dei miei anni giovanili” dans Stile di vita giulioandreotti

Ma il sentire Pio XI protestare ad alta voce e, ancor più, vederlo piangere, mi turbò talmente che svenni. Ho ancora il ricordo del vano della finestra in cui restai fino al termine dell’udienza quando monsignore ci ricaricò nella sua capace automobile S.C.V. – che chiamava carrozza – e ci disse di pregare molto perché i cattivi smettessero di contrastare il Papa «che con loro era stato troppo buono»
di Giulio Andreotti – 30Giorni

piazzacapranica dans Stile di vita
Piazza Capranica, su cui si affaccia la chiesa di Santa Maria in Aquiro, in una foto d’epoca

Nel frasario popolare di noi romani, durante i miei anni giovanili, quando si era di fronte a un fatto improvviso non positivo si era portati a dire: «Gesù mio, che succede?». Nella Chiesa del Gesù, invece, dalla vecchia zia presso cui abitavamo ero condotto ad ascoltare le prediche di un oratore brillantissimo che richiamava tanti fedeli. Se avessi dovuto riassumerle non ci sarei riuscito. Però tra i toni abilmente modulati e il forte coinvolgimento dell’uditorio ero preso anche io da un interesse non effimero. Ricordo ancora l’emozione per alcuni temi: l’amicizia di Gesù con Lazzaro richiamato in vita; la moltiplicazione dei pani; i contadini che per prendersi la terra uccidevano gli esattori e lo stesso figlio del padrone.
Rispetto a questa oratoria (che più tardi avrei definito da Ermete Zacconi o Ruggero Ruggeri) quella domenicale del mio parroco – nella chiesa dei Somaschi a piazza Capranica – era una esercitazione da sordomuti. Più che un commento al Vangelo del giorno – come si cominciò a fare parecchi anni dopo – parlava di Gesù Bambino; dei miracoli; di Gesù che si commuove e piange. Oltretutto lo capivo senza bisogno, come accadeva per padre Venturini, di farmi spiegare quasi tutto, lungo la strada del ritorno a casa.
Nella stessa chiesa di Santa Maria in Aquiro, nel primo pomeriggio dei giorni festivi, venivano a farci lezioni di catechismo seminaristi dell’attiguo Collegio Capranica, molto accreditato perché vi si erano formati ecclesiastici illustri.
Ospite del Collegio era anche il prefetto delle Cerimonie pontificie monsignor Carlo Respighi che – capii più tardi il perché – veniva chiamato Ubique, cioè dovunque. Era infatti di una attività prodigiosa. A parte il potere di ordinare al Papa di alzarsi o di stare seduto, era anche Magister del Collegium Cultorum Martyrum e come tale presiedeva le “Stazioni quaresimali”, che andavano da Santa Sabina, il mercoledì delle Ceneri, a San Pancrazio, la domenica successiva alla Pasqua (si chiamava allora in Albis, e ora di “Gesù misericordioso”). Don Carlo ci associò in cinque o sei, non solo in questi quasi due mesi dell’anno, ma anche in altre sue mansioni, comprese le Cappelle papali a San Pietro e alcuni eventi nei Palazzi apostolici.
Così presi a tornare con piena legittimità là dove nel 1927 eravamo stati estromessi essendoci inseriti surrettiziamente in un pellegrinaggio di giovani belgi. Sia pur bonariamente Pio XI ci aveva definito abusivi.

Quattro anni dopo, sulla fine di maggio 1931, ero con il circoletto Respighi nell’aula del Concistoro in un’udienza di fedeli che venivano a esprimere solidarietà con l’Azione cattolica, i cui circoli erano stati invasi dalle organizzazioni fasciste. Sul momento non capii assolutamente di che si trattasse; ma il sentire Pio XI protestare ad alta voce e, ancor più, vederlo piangere, mi turbò talmente che svenni. Ho ancora il ricordo del vano della finestra in cui restai fino al termine dell’udienza quando monsignore ci ricaricò nella sua capace automobile S.C.V. – che chiamava carrozza – e ci disse di pregare molto perché i cattivi smettessero di contrastare il Papa «che con loro era stato troppo buono». Impiegai dieci anni o giù di lì a capire che cosa volesse dire tutto questo. Per me il 1929 sarebbe rimasto memorabile solo per la curiosità di veder aperto tutto il Portone di bronzo che era rimasto chiuso per metà fin dal settembre 1870 (il giorno dell’arrivo dei piemontesi, come diceva zia Mariannina).
Il catechismo insegnato secondo il modulo cosiddetto di Pio X ci presentava Gesù come la seconda persona della Santissima Trinità; e non erano concetti di facile assimilazione. Si era però attratti da Gesù bambino anche perché per il Natale si preparava a casa, ma anche a scuola (la mia era statale), una poesiola che si andava a recitare nella chiesa dell’Ara Coeli sul Campidoglio. Per esattezza i primi due anni mi misi in fila, ma arrivato alla scaletta mi ritrassi intimidito. Ce la feci nel 1929 ed è stata la mia prima sortita da un pulpito. Se non ricordo male la ripetei una o due volte.
L’ora di religione, prevista dal Concordato, formalizzò l’insegnamento catechistico che però di fatto già prima nelle elementari veniva largamente impartito. Arrivato nel 1937 all’Università ebbi nella Federazione cattolica (Fuci) l’insegnamento organico sia nei Gruppi del Vangelo – con un biblista coltissimo, don Primo Vannutelli – sia nella Conferenza di San Vincenzo che ci portava nella borgata di Pietralata a fare un po’ di assistenza scolastica a quei ragazzini. Qui imparai che Cristo è carità, è amore. Materialmente potevamo dare ben poco, salvo qualche ripetizione; ma ricevevamo moltissimo. Lo considero un momento determinante per la mia vita.
Altro coefficiente formativo fu l’appartenenza alla Lega missionaria studenti, l’organizzazione messa in piedi dai Gesuiti per divulgare le attività della Chiesa nei Paesi più lontani. Devo dire che, al riguardo, ho approfondito anche la conoscenza geopolitica del mondo più in queste riunioni che a scuola. Ci facevano anche fare piccole tesine e molti anni dopo io potei più di tanti colleghi politici capire bene, ad esempio, quel che accadeva in Indocina, area che mi era stata assegnata dalla Lega.
Studiando le missioni più che altrove ci si accosta a Gesù amore, ma l’impatto va oltre questo angolo missionario specifico.

santamariainaracoeli
La chiesa di Santa Maria in Ara Coeli dove da sempre si venera la statua di legno del Santo Bambino

Non nascondo che a più riprese io sono stato turbato dalla lettura di quel passo del Vangelo in cui Gesù indica al giovane che chiede l’iter da seguire una strada che lo spaventa e lo fa fuggire.
Forse i sacerdoti con cui ho avuto rapporti si ispiravano tutti a modelli transattivi e non mi hanno mai chiesto quel che non ero capace di dare.
Oltre alla Fuci, io devo tanto alla Congregazione mariana di Sant’Andrea al Quirinale, cui appartenni durante il liceo. Era diretta da un monsignore della Segreteria di Stato (Antonio Colonna) di cui ho capito meglio in seguito il modello formativo. Si arrivava a Gesù attraverso la devozione alla Madonna, anzi alla Sacra Famiglia, dando a san Giuseppe il ruolo dovuto. In proposito, sul momento mi parve una bizzarria la frequenza con cui tornava a parlarci di Gesù, Giuseppe e Maria «più che di sant’Antonio».
Ma anche monsignor Colonna aveva come idea guida la concezione di Gesù amore (Deus charitas est).
Più tardi, quando mi trovai coinvolto nella vita politica, particolarmente in due direzioni trovai la conferma di questa centralità dell’amore: nel ripudio di ogni discriminazione e nell’obbligo di cooperazione allo sviluppo dei Paesi più poveri.
Per il resto, più avanzo negli anni – e sono ben oltre il preveduto – più non dimentico alla sera di recitare la preghierina insegnatami dalla zia: «Gesù, Giuseppe e Maria, spiri in pace con voi l’anima mia».

Publié dans Stile di vita | Pas de Commentaire »

Mariathon: aiutiamo la Madonna ad aiutarci (8-10 maggio 2013)

Posté par atempodiblog le 7 mai 2013

In questi giorni siamo chiamati a testimoniare quello che Radio Maria ci dona ogni giorno con le sue trasmissioni, portando la luce, la pace e la gioia nei cuori.

Mariathon: aiutiamo la Madonna ad aiutarci (8-10 maggio 2013) dans Amicizia mariatonaradiomaria

In questi giorni facciamo il nostro pezzo di strada da casa alla posta o da casa alla banca e cerchiamo anche di diffondere e invitare la gente a fare la mariatona.

Mariatona dans Stile di vita

- Tutte le Radio Maria del mondo si preparano per organizzare la Mariatona -

Noi la faremo Mercoledì 8 – Giovedì 9  – Venerdì 10 Maggio.

Ci mobiliteremo per raccogliere fondi per diffondere Radio Maria nel mondo e per aiutare le Radio Maria dei paesi più poveri. Aiutiamo la Madonna ad aiutarci.

- In preparazione della Mariatona vorrei rendervi partecipi di questa e-mail:

Salve,

sono straniera,di origine africana ,del Camerun ove vivo in questo momento.Mi sono interessata a radio maria e a medjugorje quando ero in ITALIA.Le scrivo per incorragiarla ,lei con tutti quelli che vi aiutano,e vi sostengono  per incorragiarvi.Che le mamma celeste vi colma di grazia e vi benedica,vi ricopra del suo manto virginale e prottetore.

In questo momento, sono provata dalla malattia ,lo stesso per la mia famiglia .Vorrei che lei ci ricordi in preghiera e durante le messe che celebrerà.

LA RINGRAZIO DI CUORE PER TUTTI GLI SFORZI CHE FATE PER SOSTENERE QUELLI CHE VI CHIAMANO IN SOCCORSO E VI CHIEDONO AIUTO.

NON CI DIMENTICHATE , la prego.

Padre Livio Fanzaga – Radio Maria

Divisore

Bollettino postale
Per aiutare Radio Maria con un versamento tramite conto corrente postale, i riferiementi sono i seguenti:

Conto Corrente Postale n° 14 52 22 21
intestato a: Associazione Radio Maria A.P.S.
casella postale 209 – 22036 Erba (CO)

SOLO PER LA SVIZZERA:
Conto Corrente Postale 69-7191-8
Banca Raiffaisen, Filiale di Mendrisio

Bonifico bancario
Per sostenere Radio Maria tramite un bonifico bancario, il conto corrente di riferimento è:

Banca Intesa Sanpaolo Spa
Filiale di Erba (CO)
IBAN: IT 27 W 03069 51270 100000015864

Per versamenti dall’estero:
BIC:BCITITMM

Per altre modalità di donazione visita Freccia mariathon.org

Publié dans Amicizia, Stile di vita | Pas de Commentaire »

Medjugorje: Testimonianza di Mirjana (1 Maggio 2013)

Posté par atempodiblog le 7 mai 2013

Image de prévisualisation YouTube
Image de prévisualisation YouTube" onclick="window.open(this.href);return false;" >

Publié dans Medjugorje | Pas de Commentaire »

La più bella corona di gloria per la SS. Trinità

Posté par atempodiblog le 7 mai 2013

La più bella corona di gloria per la SS. Trinità dans Don Giustino Maria Russolillo Don-Giustino-Russolillo
Immagine tratta da:
Sdv Philippines

Ave Maria piena di grazia nel mistero della vostra predestinazione a tutte le future grandezze.
A voi sovranamente è detto: “Ti ho amata di un amore eterno e perciò ti ho voluta” (Ger 31,3).
Non c’è persona creata in terra e in cielo, destinata a essere più di voi partecipe e consorte della divina natura, immagine e somiglianza di Dio, congiunta in più alta unione con le divine persone.
Ci uniamo alla stima e all’amore che ha per voi lo stesso divin Padre. Vi salutiamo in tutta l’eternità da parte e a nome della prima Persona divina: “Piena della grazia del Padre, egli. Il Signore, è con voi” (Mt 3,17).
Vagheggiandovi da tutta l’eternità insieme col Figlio suo nel divin seno, l’eterno Padre proclama anche di voi a tutto il creato: “ecco la mia figlia diletta, in cui sono le mie compiacenze” (Cantico dei Cantici 2,14).
Ci uniamo o SS. Maria, alla stima e all’amore che ha per voi lo stesso divin Figlio. Vi salutiamo in tutta l’eternità da parte e a nome della seconda Persona divina: “Piena della grazia del Figlio! Egli, il Signore, è con voi”.
Ci uniamo o SS. Maria, alla stima e all’amore che ha per voi lo stesso Spirito Santo. Vi salutiamo in tutta l’eternità da parte e a nome della terza Persona divina: “Piena della grazia dello Spirito Santo! Egli il Signore è con voi”.
L’amore del Padre e del Figlio è la vostra dote; lo Spirito del Padre e del Figlio è il vostro sposo, o Maria e tutta vi cinge d’una corona di grazie privilegiate, come il suo anello divino.
Non solo esente da ogni peccato, ma piena, traboccante di grazia e virtù, integrità e scienza e di tutti i doni della santità originale, e solo per la maggiore perfezione di somiglianza con Gesù, passibile e mortale.
Il Signore è con voi! Tutti i fiumi di grazia affluiscono nella grazia della vostra umiltà, della vostra purezza, degna di Dio, e fanno riversare in voi la vita soprannaturale, in una piena miracolosa, disposizione prossima al suo frutto supremo.
Noi adoriamo Dio in voi, o Maria, reggia di Dio; cielo di Dio; Madre di Dio. Accoglietelo per noi, amatelo per noi, pregatelo per noi, questo Dio fatto uomo in voi, per noi.
Voi siete veramente la più bella corona di gloria per il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo!

Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

Publié dans Don Giustino Maria Russolillo, Mese di maggio con Maria, Preghiere | Pas de Commentaire »

1...34567