Dio nella Sua essenza

Posté par atempodiblog le 26 mai 2013

Dio nella Sua essenza dans Citazioni, frasi e pensieri S-Faustina-Kowalska

Una volta stavo riflettendo sulla SS. Trinità, sull’Essenza di Dio. Volevo assolutamente approfondire e conoscere chi è questo Dio… In un istante il mio spirito venne come rapito in un altro mondo. Vidi un bagliore inaccessibile e in esso come tre sorgenti di luce, che non riuscii a comprendere. E da quella luce uscivano parole sotto forma di fulmini, che si aggiravano attorno al cielo ed alla terra. Non comprendendo nulla di questo, mi rattristai molto. Improvvisamente dal mare di luce inaccessibile usci il nostro amato Salvatore, di una bellezza inconcepibile, con le Piaghe sfavillanti: E da quella luce si udì questa voce: «Qual è Dio nella Sua essenza, nessuno potrà sviscerarlo, né la mente angelica, né umana». Gesù mi disse: «Procura di conoscere Dio attraverso la meditazione dei Suoi attributi». Un momento dopo Gesù tracciò con la mano il segno della croce e scomparve.

Santa Maria Faustina Kowalska

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Per ottenere le grazie da Dio

Posté par atempodiblog le 26 mai 2013

Per ottenere le grazie da Dio dans Citazioni, frasi e pensieri San-Filippo-Neri

“Sappiate, figliuoli, e credete a me, che lo so: non vi è mezzo più potente ad ottenere le grazie da Dio che la Madonna Santissima”.

San Filippo Neri

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Elevazione dell’anima alla SS. Trinità

Posté par atempodiblog le 26 mai 2013

Elevazione dell'anima alla SS. Trinità dans Citazioni, frasi e pensieri Elisabetta-della-Santissima-Trinit

“Ama sempre la preghiera… e quando dico la preghiera, non intendo tanto l’imporsi una quantità di preghiere vocali ogni giorno, ma quella elevazione dell’anima a Dio attraverso tutte le cose, che ci mette in una specie di continua comunione con la Santissima Trinità, così semplicemente, facendo tutto sotto il suo sguardo”.

Beata Elisabetta della Trinità

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Una piccola via

Posté par atempodiblog le 26 mai 2013

Una piccola via dans Rosanna Brichetti Messori teresinadelbambinges

[...] Teresa di Gesù Bambino [...] Innamorata com’è di Gesù, il 9 giugno 1895, Festa della Santissima Trinità, la piccola Teresa soffre acutamente, poiché l’amore del Signore “da tutte le parti è misconosciuto, respinto; i cuori nei quali tu desideri prodigarlo si volgono verso le creature..invece di gettarsi tra le tue braccia ed accogliere il tuo Amore infinito”. Per rimediare atanta stoltezza ed ingratitudine e consolare il cuore del Signore, Teresa offre se stessa affinché tutto questo Amore non rimanga respinto, rimanendo non realizzato, ma possa vicariamente riversarsi nel suo cuore, consumandolo e incendiandolo in un fuoco d’amore, come fanno i raggi del sole concentrati sulla paglia da una lente. La lente è il suo stesso atto offerta all’Amore Misericordioso.
Ed ecco quel che accade subito dopo: “Ah, da quel giorno felice, mi sembra che l’Amore mi penetri e mi circondi, mi sembra che ad ogni istante questo Amore Misericordioso mi rinnovi, purifichi la mia anima e non vi lasci nessuna traccia di peccato, perciò non posso temere il purgatorio” (Ms A 84 r°).
Teresa ha così la prova che l’Amato Dio, altro non desidera che di essere corrisposto da un “tu” che sappia accogliere il suo appassionato Amore. Affascinata da Gesù, si ritrova nel cuore di Dio, e ne conosce in se stessa il nome: Amore che ricolma l’Amato, Amato che Lo accoglie totalmente, Amore che circonda e unisce e rinnova senza posa.Dio, essendo Amore, non può essere altro che Trinità.

di Padre Angelo del Favero - Zenit, il mondo visto da Roma

divisore dans Medjugorje

Santa Teresina del Bambin Gesù ha scoperto una “piccola via”, quella dell’abbandono totale al Padre nell’assimilazione completa a Gesù Cristo. Una via in cui conta non ciò che si fa, ma ciò che si è. E che conduce l’anima dapprima alla perfezione e poi al Cielo.
di Rosanna Brichetti Messori – Il Timone

teresinadilisieux dans Santa Teresa di Lisieux

C’è un’esperienza spirituale che mi ha molto aiutata e che vorrei condividere con voi. Una autentica scoperta che mi è stata donata in momenti difficili e che è diventata da molto tempo un punto di riferimento essenziale per la mia fede. Si tratta di quel percorso spirituale noto come “la piccola via” di S. Teresa di Gesù Bambino, S. Teresina, come spesso viene chiamata per distinguerla da un’altra grande carmelitana, la fondatrice dell’ordine, S. Teresa d’Avila.
Era, questa Teresina, null’altro, agli occhi del mondo, che una giovane monaca normanna morta di tisi a soli ventiquattro anni in quel Carmelo di Lisieux in cui era entrata, dopo molte insistenze e con un permesso speciale, a soli quindici anni. Nulla aveva fatto che sembrasse rilevante. Le era solo riuscito di fare per qualche tempo l’assistente della maestra delle novizie. Eppure, nel silenzio e nella preghiera, nell’umiltà e nella ascesi di una malattia che l’aveva braccata sempre più da vicino, in una aridità interiore che era quasi una costante della sua vita, aveva vissuto un singolare itinerario mistico. Un cammino che l’avrebbe portata non solo ad essere proclamata santa, quasi a furor di popolo, a poco più di vent’anni dalla sua morte ma che le sarebbe valso il titolo di “dottore della Chiesa” riservato da sempre solo ai grandi Maestri dello spirito.
Perché tutta questa attenzione nei suoi confronti? Che cosa ha detto di nuovo e di diverso, rispetto alla grande tradizione contemplativa in cui aveva scelto di inserirsi, questa figlia del Carmelo? Il motivo sta tutto proprio in quella “piccola via dritta, molto breve, una piccola via tutta nuova” di cui abbiamo detto, che si rivelò assai valida per lei ma nella quale la Chiesa ha riconosciuto una spiritualità singolare e importante che giunge nel cuore stesso del cristianesimo. Semplice ed essenziale: dunque, utile non solo per una monaca come Teresa, ma anche per i molti che, conoscendola, volessero praticarla. È la via dell’abbandono totale al Padre nell’assimilazione completa a Gesù Cristo. Una via in cui ciò che conta davvero non è ciò che si fa, ma ciò che si è. Un itinerario in cui si intuisce che ciò che Dio chiede è sempre e soprattutto una adesione piena e fiduciosa al Suo amore. Un cammino in cui la sofferenza ha la sua parte, come è avvenuto per Gesù, e come, del resto, è inevitabile per ogni uomo, ma che non è fine a se stessa. Una spoliazione di sé che ha come scopo di introdurre in un ordine ancor più misterioso. Dirà dell’itinerario ascetico di Teresa lo storico Daniel Rops: «In lei la sofferenza stessa trovava il suo senso non più in una accettazione penitenziale, ma in una specie di uragano d’amore che travolgeva l’anima intera, portandola a raggiungere quello che Gesù stesso ha voluto sopportare per amore degli uomini».
Ma procediamo con calma, per meglio capire ciò che Teresa stessa comprese sempre più e sempre meglio nel corso della sua breve vita. Figlia di due genitori profondamente credenti – sono stati fatti santi anch’essi, prima coppia di sposi nella storia della Chiesa – sorella ultimogenita di altre quattro che sceglieranno esse pure di entrare in monastero, Teresa fin dalla più tenera età fu oggetto di predilezione divina. Emotivamente fragile, certamente ipersensibile, soprattutto dopo la morte della madre persa a soli quattro anni, sperimentò tuttavia fin da piccola la presenza divina nella sua vita che si espresse in una chiamata precocissima alla vita religiosa e in due guarigioni improvvise – a dieci e a tredici anni – che la trassero da situazioni di penosa sofferenza fisica e morale.
Quando riuscì finalmente ad entrare in Carmelo, era animata dal desiderio di farsi santa e di offrire la sua vita di preghiera e di penitenza per la salvezza di molti. La routine monastica, dura e senza sconto alcuno, anche se prevista, le fece tuttavia ben presto capire che da sola non ce l’avrebbe mai fatta. Conscia della propria debolezza, fece di questa il suo punto di forza: “Chi è molto piccolo venga a me” aveva letto nei Proverbi (IX, 4). “Come una madre accarezza il suo bambino, così io vi consolerò e vi cullerò sulle ginocchia” le aveva confermato Isaia (LXVI, 13-12). Da quel momento capirà che la santità cui aspira “non consiste in questa o quella pratica” bensì “in una disposizione del cuore che ci rende umili e piccoli fra le braccia di Dio, coscienti della nostra debolezza e fiduciosi fino all’audacia nella sua bontà di Padre”. Paragonando la vita di fede ad una scala di cui è impossibile all’uomo solo salire anche il primo gradino, trova un compagno di strada, un “ascensore” (“le tue braccia, Gesù”) che le comunicheranno quella forza soprannaturale che la cingerà, lei piccola, e la innalzerà verso la grandezza divina. È l’infanzia spirituale che il vangelo considera indispensabile per entrare nel Regno. Ma non è ancora tutto. Teresa conosce la scienza della Croce e l’umiltà che si abbandona all’aiuto divino per viverla. Ma non ha ancora piena coscienza del mistero d’Amore che dietro ad essa si cela. Lo apprenderà durante la messa della festa della Trinità, nel 1895, nel corso della quale le verrà dato di comprendere come accettare la Croce sia una generosità ammirevole ma inadeguata a ciò che Dio è. Questa visione, infatti, è ancora nell’ordine della giustizia e non in quello della misericordia. Occorre fare come Gesù, cioè offrire tutto se stesso, con pienezza, all’Amore. Questo soltanto è in grado di ristabilire l’ordine rotto dal peccato permettendo a Dio “di non più comprimere le ondate d’infinita tenerezza” che il disprezzo di coloro che lo negano e che lo ignorano impedisce di sgorgare dal suo cuore. Da questo momento, il proposito della giovane monaca sarà “vivere in un atto di perfetto Amore”, martire, cioè testimone, non della giustizia ma della misericordia divina.
E su questa strada il cammino continuerà ancora. Così, Teresa capirà sempre meglio come questo Amore al quale si è offerta senza nulla tenere per sé sia una forza missionaria potentissima: l’anima, incandescente d’amore, non deve fare altro che dire a Gesù “attraetemi!” e “tutte le anime che essa ama sono trascinate dietro di lei”. È una conseguenza naturale, dice la santa, della sua attrazione verso Gesù.
E questo è anche il ruolo vero, il mistero profondo, lo scopo della Chiesa che, proprio per questo, le si rivela come fornita di un cuore nel quale palpita l’Amore eterno che attende risposta, il principio unico di ogni autentica vocazione. In essa, infatti, ognuno è chiamato all’impegno di fede con carismi diversi, secondo vocazioni che sembrano tra loro differenziarsi. In realtà, tuttavia, ognuna di esse sussiste e opera davvero solo se è sostenuta dalla vocazione più profonda, cioè da questa risposta totale all’Amore. Per questo, alla fine, Teresa potrà dire di aver trovato la sua autentica vocazione proprio essendo “Amore nel cuore della Chiesa, mia Madre”. Sarà proprio questa pienezza di adesione all’Amore Misericordioso che le consentirà, pur restando carmelitana, di vivere nella Chiesa, cogliendone tutte le vocazioni, nella loro fonte originaria.
Vertici mistici mirabili nella loro semplicità. Capaci di riscattare qualunque vita, anche quelle più assediate dal dolore, dalla malattia, dal fallimento. Anche le nostre, magari meno tragiche, ma appesantite dalla fatica della fedeltà quotidiana. Un’ottica che toglie di mezzo ogni ostacolo interiore, ogni superfluo nella vita spirituale. Che anima ogni cosa vivificandola con l’Amore. A un solo patto: che non si abbia paura di questa apertura totale e senza misura, di questa assimilazione piena a Gesù. Che ci si fidi di quanto Dio opererà nel cuore che con generosa pienezza gli si affiderà. Non potranno che venirne un bene e una gioia sempre più grandi, accompagnati da frutti di apostolato sorprendenti e imprevedibili.

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Quel messaggio dal cielo: “Amatevi e non giudicate”

Posté par atempodiblog le 25 mai 2013

Quel messaggio dal cielo: “Amatevi e non giudicate”
Milioni di pellegrini ogni anno pregano la Madonna a Medjugorje. Parole segrete rivelate dai veggenti. Un posto mistico, dove il vero miracolo è la fede
di Maurizio Carvezan – Il Giornale

Quel messaggio dal cielo: “Amatevi e non giudicate” dans Articoli di Giornali e News podbrdomedjugorje

Piedi nudi sulla roccia. Procedono lentamente. Una donna accompagnata da un’amica, forse una sorella. A piedi scalzi, sulla nuda pietra. Sugli spuntoni della pietra. Sulla roccia viva. Salgono, senza fiatare. Nel silenzio della notte. Sono vestite di scuro, né giovani né vecchie.

Sostano davanti alle stazioni della via Crucis. Sulla pietraia delle apparizioni. Una collina appena illuminata. Mezz’ora di ascesa, poco più. Forse per un voto. Sulla pietraia impervia, tra i cespugli. Il posto delle apparizioni, sopra il villaggio di Bijakovici, frazione di Medjugorje, Erzegovina. Il Podbrdo che domina la valle. Qui, dal 24 giugno 1981, «una figura femminile luminosa» si mostra a sei veggenti. Affida loro dei messaggi. In continuità con le apparizioni di Fatima. Contengono dei segreti sulle sorti del mondo. In una visione escatologica, di scontro fra il potere delle tenebre e il regno della luce.
I veggenti erano bambini e ragazzi. Ora sono adulti, uomini e donne sposati. La Jugoslavia era una Repubblica socialista federale. Si è divisa in piccoli Stati. C’è stata una guerra sanguinosa. Le apparizioni sono continuate e Medjugorje è stata risparmiata. Il regime comunista non poteva tollerarle. La polizia politica le ha osteggiate come ha potuto. Si calcola che dal 1981 al 1990 venti milioni di persone siano venute fin qui, pellegrine. Nonostante le difficoltà del viaggio. Nonostante l’ostilità dei governi. Nonostante l’assenza di pellegrinaggi ufficiali. Per Vittorio Messori quanto accaduto in questo paesino è «il maggior movimento di masse cattoliche del postconcilio». Ma non vengono solo cattolici. Anche curiosi, gente di tutti i tipi.

Le due donne sono arrivate. Si inginocchiano davanti alla statua della Regina della Pace. Una statua semplice. Eretta per ricordare le prime rivelazioni. C’è un giardino nel quale i devoti depositano foglietti con le invocazioni. Non sono tantissimi. A Medjugorje si viene per chiedere guarigioni spirituali più che miracoli per la salute. I lampioncini sono candele sulla pietraia. Si prega. Silenzio tutto intorno. La donna a piedi nudi si alza. Quella che la segue, forse una sorella, le porge le scarpe per scendere. Domattina, davanti alla croce blu un po’ più in basso, è attesa l’apparizione a Mirjana. Come avviene ogni secondo giorno del mese da quando la Madonna le affidò il decimo segreto, il 25 dicembre 1982. La notte sarà una lunga meditazione. Per migliaia di pellegrini l’attesa è cominciata quando sono saliti sui pullman che li hanno portati qui. Da Trento, da Cuneo, da Senigallia, da Como. Dalla Spagna, dalla Francia, dalla Germania, dalla Polonia. Molti hanno trascorso la notte in pullman. Ora si muovono a frotte, al seguìto di un sacerdote. Visitano le bancarelle. Sul piazzale dietro il santuario retto da frati francescani è in corso l’adorazione al Santissimo. Migliaia e migliaia di persone in silenzio. Code lunghissime per confessarsi, in tutte le lingue. Nei confessionali, ma anche all’aperto. Si alza il lamento di un violino. Ave marie e mercatini di souvenir. Come in tutti i luoghi di religiosità popolare. Devozione e negozi. Canti e bazar. Processioni, alberghi, pizzerie, code alle toelette, taxi. Bar con «lo spritz alla veneta». Campane che suonano. Inizia la messa in croato. Libriccini di preghiere, icone, boccette d’incenso, fazzoletti ricamati, articoli da campeggio, acquesantiere, medagliette, catenine, cartoline, gelati, crocifissi in legno pietra metalli vari, candele benedette, fotografie dei veggenti, ritratti dei veggenti, opuscoli con i segreti, manifesti con i segreti, la sede di Radio Maria, liquori e grappe di prugne, quadri a tema religioso, fotografie di Papa Francesco, rosari dovunque. Ci si può scandalizzare. Troppo mercato, troppo commercio. Folclore. Un evento religioso muove l’economia di un’ex villaggio: dov’è il male? Gestire una bancarella di rosari e immagini sacre è lavoro. Serve per mantenere una famiglia. Così come guidare il pullman che scarica in piazza i pellegrini. Quello di Chieti ha un display sul parabrezza dove scorre il testo di un messaggio: «Se sapeste quanto vi amo piangereste di gioia». Vendere vestiti, biancheria e giornali va bene, vendere icone e candele no. Se si acquista un souvenir sul Mar Rosso o a Barcellona va bene, se lo si compra a Medjugorje no. Così pensa il mondo. «Non conformatevi», dice San Paolo.

È cominciata la notte che porterà all’appuntamento tra Mirjana e la Vergine. Sulla pietraia ci sono diversi gruppi, organizzati tra loro. Sacchi a pelo, chitarre, termos. Ognuno segue un proprio copione. Il risultato è confuso. Si sovrappongono i canti di un gruppo e quelli di un altro. Le pietre ammaccano. Arriva altra gente alla spicciolata. Gli spazi si restringono. Le ore trascorrono lente. Ci si appisola. Alle cinque un sacerdote inizia a guidare la recita del rosario. Canti ingenui, semplicissimi. Persino un Romagna mia trasformato in «Madonna mia». Persino un archeologico Glory glory alleluia. Si susseguono le ave marie: in croato, italiano, francese, inglese, tedesco, polacco. In cinese, in arabo, in una lingua africana. Tutto il mondo è qui. Si prega per «quelli che non amano, non credono, non adorano». E anche «per i nostri sacerdoti». Qualcuno lo fa con trasporto, con enfasi. Come ispirato. Sembra trasognato, occhi e mani rivolti verso l’alto, in un’estasi preventiva. Accenni di fanatismo. Finalmente, dopo le otto arriva una donna bionda con occhi chiari. Mirjana Dragicevic ha 48 anni, è sposata, madre di due figlie. [...] L’intenzione di preghiera che la Vergine le ha consegnato negli anni è «per i non credenti, quelli che non conoscono l’amore di Dio». Assembramenti, macchine fotografiche, telefonini. Poco prima delle nove la preghiera s’interrompe. Quasi tutti, migliaia e migliaia, sono in ginocchio. Dopo qualche minuto viene letto il messaggio che la Madonna le ha rivelato. In croato, in inglese, infine in italiano. «Cari figli, vi invito nuovamente ad amare e a non giudicare…». Il raduno si scioglie. Ci si accalca in discesa. Esodo verso il paese. Gente di tutte le etnie, in maggioranza donne. Gente dimessa. «Ti ringrazio Padre, perché hai nascosto queste cose ai grandi e ai sapienti e le hai fatte conoscere ai piccoli» (Matteo, 11, 25).
«Il messaggio di stamattina è molto forte», riflettono tra loro due ragazzi. Laggiù le due donne vestite di scuro camminano svelte.

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Consacrazione alla SS. Trinità

Posté par atempodiblog le 25 mai 2013

 “O SS. Trinità Padre Figlio e Spirito Santo, spero fermamente  di possederTi nella grazia in questo mondo e nella gloria in Paradiso!”.

Consacrazione alla SS. Trinità dans Don Giustino Maria Russolillo SS-Trinit

SS. Trinità, mio Dio e mio tutto, o Padre, Figlio e Spirito Santo, io credo e spero in Te, e ti adoro e ti amo con tutto il cuore.

Grazie per tutti i favori che mi tieni preparati, grazie soprattutto per l’infinito amore con cui mi ami e mi vuoi tutto tuo!

Preservami, o mio Signore, oggi e sempre, da ogni peccato; fammi crescere, oggi e sempre, nella tua grazia con ogni perfezione.

Offro e consacro tutto me stesso, in ogni atto esterno e interno, alla tua Gloria, Amore  e Volontà, in unione di Gesù, Maria e Giuseppe.

Concedetemi la costante, perfetta imitazione di Gesù, Maria e Giuseppe e la perenne ascensione all’unione con Te, Padre, Figlio e Spirito Santo!

Io intendo e Te ne supplico che ogni mio atto sia purissima intenzione della tua Gloria, purissimo adempimento della Tua Volontà, purissimo esercizio del Tuo Amore!

Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

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Don Bosco apostolo e teologo popolare dell’Ausiliatrice

Posté par atempodiblog le 24 mai 2013

Don Bosco apostolo e teologo popolare dell’Ausiliatrice
In preparazione alla consacrazione della chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice, don Bosco pubblicò come fascicolo del mese di maggio un libretto dal titolo: Maraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice. In esso esponeva le ragioni teologiche, storiche e contingenti che motivavano…
di Don Pierluigi Cameroni – Salesiani Don Bosco, Casa Madre Torino-Valdocco

Don Bosco apostolo e teologo popolare dell’Ausiliatrice dans Fede, morale e teologia JMHZ4468

Com’è noto, gli anni 1862-68 furono cruciali per la religiosità mariana di don Bosco. Nonostante la fondazione della compagnia dell’Immacolata tra i suoi giovani nel 1855, nonostante avesse pubblicato nel 1858 Il mese di maggio consacrato a Maria SS. Immacolata, le sue preferenze dopo il 1862 si concentrarono in modo dominante e definitivo sul titolo mariano Auxilium Christianorum. Iniziata nel 1865 la costruzione della chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice, l’edificio sacro fu portato a compimento e solennemente consacrato il 9 giugno 1868.

In preparazione a quell’evento don Bosco pubblicò come fascicolo del mese di maggio delle Letture cattoliche un libretto dal titolo: Maraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice.

In esso esponeva le ragioni teologiche, scritturistiche, storiche e contingenti che motivavano la scelta di quel titolo. Le argomentazioni erano compendiate nelle pagine introduttive. Attingendo all’apologista francese Auguste Nicolas e citando espressamente l’autorità di Mons. Parisis, arcivescovo di Parigi, don Bosco asseriva che era ormai la Chiesa stessa a volere «negli ultimi tempi segnalare il titolo di Auxilium Christianorum»; si era infatti in un’epoca di «crisi straordinarie»: «Il bisogno oggi universalmente sentito di invocare Maria non è particolare, ma generale; non sono più tiepidi da infervorare, peccatori da convertire, innocenti da conservare [...].

Ma è la stessa Chiesa Cattolica che è assalita. È assalita nelle sue funzioni, nelle sacre sue istituzioni, nel suo capo, nella sua dottrina, nella sua disciplina; è assalita come Chiesa Cattolica, come centro della verità, come maestra di tutti i fedeli». Appunto per questo, aggiungeva don Bosco, «per meritarsi una speciale protezione del Cielo [...] si ricorre a Maria, come madre comune, come speciale ausiliatrice dei re e dei popoli, come cattolici di tutto il mondo». In quei medesimi anni don Bosco aveva moltiplicato i fascicoli delle Letture cattoliche che ragguagliavano sulle grazie straordinarie ottenute invocando Maria aiuto dei cristiani; aveva introdotto nei suoi oratori e collegi la nuova effigie e il nuovo culto; aveva fondato nel 1869 l’Associazione dei devoti di Maria Ausiliatrice; aveva indotto a denominare la pratica pia del mese di maggio come mese di Maria Ausiliatrice. A Mornese, in diocesi di Acqui, Maria Domenica Mazzarello e altre giovani, già associate nell’Unione di Maria Immacolata, aderiscono a don Bosco e danno origine alla congregazione femminile delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

L’invocazione e il culto dell’Ausiliatrice diventavano distintive di don Bosco e delle sue opere che andavano ormai dilatandosi fuori d’Italia, in Europa e in America. Il fatto che l’Ausiliatrice nel sentire comune della gente del popolo figuri come “La Madonna di don Bosco” è dovuto oltre all’attività taumaturgica del santo, alle sue fondazioni ed opere, anche alla sua produzione letteraria specificatamente mariana. Infatti non appena don Bosco avvertì che la devozione e il titolo dell’Ausiliatrice andava sempre più diffondendosi, volle accompagnare tale fatto offrendo contributi teologici e storici.

Fermo al principio di “illuminare le menti per rendere buono il cuore e di popolarizzare quanto si può la scienza”, ideò e condusse a termine nello spazio di un decennio la pubblicazione di sei operette che in ordine di tempo sono: Maraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice (1868). Rimembranza di una solennità in onore di Maria Ausiliatrice (1868). Associazione de’ divoti di Maria Ausiliatrice canonicamente eretta nella chiesa a lei dedicata in Torino con ragguaglio storico su questo titolo (1869). Nove giorni consacrati all’Augusta Madre del Salvatore sotto il titolo di Maria Ausiliatrice (1870). Maria Ausiliatrice col racconto di alcune grazie ottenute nel primo settennio dalla Consacrazione della Chiesa a Lei dedicata in Torino (1870). La Nuvoletta del Carmelo ossia la Devozione a Maria Ausiliatrice premiata di nuove grazie (1877). Non si tratta di opere scientifiche, né propriamente di divulgazione teologica, ma come emerge dai titoli di una teologia e di una storia popolare del titolo “Auxilium Christianorum”.

Questi umili opuscoli, di cui l’espressione più matura è Maraviglie della Madre di Dio, rappresentano il primo riuscito tentativo di una riflessione e giustificazione della dottrina concernente il culto a Maria Ausiliatrice. Attraverso la propagazione di tale titolo emerge da un lato la mediazione ecclesiale di Maria, tipica della coscienza cattolica italiana di quel tempo, dall’altro si impone la dimensione popolare del carisma salesiano, che mediante la devozione all’Ausiliatrice traccia un cammino di educazione alla fede per il popolo, valorizzando i contenuti della religiosità popolare e orientandoli verso la saggezza evangelica. Come già accennato è in particolare il trattatello delle Maraviglie della Madre di Dio a indicare le basi storiche e teologiche delle convinzioni e della missione di don Bosco.

Un primo livello sono le prove e le argomentazioni teologiche fondate su basi bibliche e patristiche. Ciò che colpisce è che la fatica fatta da don Bosco ci guida molto bene nello sviluppo degli enunciati fondamentali che desidera comunicare: al centro vi è la convinzione che “La più splendida prova che Maria è aiuto dei Cristiani noi la troviamo sul monte Calvario… Maria pertanto diventando nostra madre sul monte Calvario, non solo ebbe il titolo di aiuto dei cristiani, ma ne acquistò l’uffizio, il magistero, il dovere. Noi abbiamo dunque un sacro diritto di ricorrere all’aiuto di Maria. Questo diritto è consacrato dalla parola di Gesù e garantito dalla tenerezza materna di Maria. Ora che Maria abbia interpretato l’intenzione di Gesù Cristo in croce in questo senso e che Egli la facesse madre ed ausiliatrice di tutti i cristiani lo prova la condotta che essa tenne di poi”. Da ciò ne consegue “affinché la gloria di Maria potesse estendersi a tutte le generazioni e avessero a chiamarla beata, bisognava che qualche benefizio straordinario e perenne venisse da Maria a tutte queste generazioni; cosicché essendo perpetuo in esse il motivo di loro gratitudine fosse ragionevole la perpetuità della lode. Ora questo benefizio continuo e mirabile non può esser altro che l’aiuto che Maria presta agli uomini. Aiuto che doveva abbracciare tutti i tempi, estendersi a tutti i luoghi, ad ogni genere di persone”.

L’argomentazione teologica è integrata da quella storica: “Un’esperienza di diciotto secoli ci fa vedere in modo luminosissimo che Maria ha continuato dal cielo e col più gran successo la missione di madre della Chiesa ed ausiliatrice dei cristiani che aveva incominciato sulla terra”. E don Bosco con la sua spiccata sensibilità storica narra una numerosa serie di interventi di Maria a favore della Chiesa, in particolare le sue manifestazioni in difesa della Chiesa e del papato, sia dagli attacchi esterni, sia da quelli interni con le lacerazioni provocate dalle eresie e dagli scismi, che corrompono la fede e attaccano la comunione. Davvero Maria è “Magnum in Ecclesia praesidium: Grande presidio nella Chiesa”. Da tali racconti emerge una grande visione della storia che esalta, nella luce della fede, la mediazione materna dell’Ausiliatrice intimamente associata all’opera della redenzione e alla missione salvifica della Chiesa.

Insieme alle prove teologiche e storiche don Bosco accenna ad argomentazioni di natura liturgica, ad espressioni legate alla pietà popolare, a fatti taumaturgici e in particolare a due dipinti presenti nella basilica di Valdocco da lui ispirati e voluti, espressione plastica delle sue convinzioni. Il primo è la grande tela del Lorenzone da tutti conosciuta e che già abbiamo commentato. Il secondo, meno noto, è un affresco del Rollini suggerito da don Bosco per la volta della cappella di San Francesco di Sales. Sotto il globo del mondo su cui è posto un ostensorio col SS. Sacramento è rappresentato l’Arcangelo Michele che scaccia e disperde l’errore e l’eresia: “la Riforma in figura di donna, che al vedere gli angeli riverenti, i quali adorano il SS. fugge spaventata portando nell’una mano la bibbia adulterata e abbandonando dall’altra, quali armi spuntate, la maschera dell’ipocrisia e le monete corruttrici, con cui tenta di recar guerra al SS. Sacramento; 2° il Materialismo in figura d’uomo di forme atletiche, il quale stringendo una fiaccola accesa onde portare incendio e distruzione dovunque passa la Riforma, esso pure è rovesciato dall’angelo, e rotolando dall’alto sembra si stacchi dalla volta per piombare a capofitto sul pavimento”. In conclusione “Don Bosco non scrive con la penna del teologo, ma con il fervore del santo ed del fondatore. Scrive sotto la sua esperienza di Maria e del suo amore personale per Lei. Intimamente consapevole di quanto la Madonna fosse stata presente e determinante come Madre e Maestra nell’itinerario della sua vocazione e missione, egli è mosso dal profondo stupore di sperimentare quanto sia potente ed efficace l’intercessione e l’intervento dell’Ausiliatrice…

L’intento di Don Bosco è quello di accreditare la verità del titolo mariano di Ausiliatrice e di raccomandarlo alla venerazione del popolo di Dio, attestandone la prodigiosa efficacia nella vita della Chiesa e nella sua esperienza carismatica. Sotto il profilo teologico, il tema è quello di Maria come Mediatrice di grazia, ma le specificazioni legate al titolo di Ausiliatrice non sono irrilevanti. Non sarà difficile mostrare come la devozione all’Ausiliatrice non sia semplicemente legata alle circostanze storiche in cui Don Bosco è vissuto, ma si estenda ad ogni epoca, particolarmente la nostra, profondamente segnata dal divorzio fra fede e cultura, un’epoca in cui gli uomini sembrano non avere più antenne per Dio e in cui Dio sembra non avere più peso nella vita degli uomini. Così si esprime Papa Benedetto XVI: «Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più»”.

Preghiera
O Maria, Vergine potente,
Tu grande illustre presidio della Chiesa;
Tu aiuto meraviglioso dei Cristiani;
Tu terribile come esercito schierato a battaglia;
Tu sola hai distrutto ogni eresia in tutto il mondo;
Tu nelle angustie, nelle lotte, nelle strettezze
difendici dal nemico e nell’ora della morte
accogli l’anima nostra in Paradiso!
Amen

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“Le apparizioni di Medjugorje antidoto alla fine del mondo”

Posté par atempodiblog le 24 mai 2013

“Le apparizioni di Medjugorje antidoto alla fine del mondo”
Il direttore di Radio Maria: “La Madonna vede che l’uomo rifiuta Dio e può distruggere il pianeta. Perciò è venuta come Regina della Pace, per preservarci”
di Maurizio Caverzan – Il Giornale

“Le apparizioni di Medjugorje antidoto alla fine del mondo” dans Articoli di Giornali e News padrelivioevicka

Insieme con il teologo francese René Laurentin, padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria e autore con Diego Manetti de I segreti di Medjugorje, è uno dei massimi conoscitori del fenomeno delle apparizioni mariane nel villaggio della ex Jugoslavia.

Padre Livio, tra qualche settimana saranno 32 anni che la Madonna appare a Medjugorje: come va letto un fenomeno di così lunga durata?
«Queste sono le più lunghe apparizioni pubbliche da quando esistono le apparizioni mariane. Fanno parte di un piano che va da Fatima a Medjugorje come la Madonna stessa ha detto. Ovvero, che è venuta a completare quello che ha iniziato a Fatima riguardo a un tempo di pace per l’umanità. I veggenti stessi dicono che siamo ancora all’inizio di questo piano in parte realizzato con la conversione della Russia già in atto grazie alla riconquistata libertà religiosa. Per la maggior parte però deve ancora realizzarsi perché l’apostasia dalla fede è anch’essa in atto in Occidente e nel medesimo tempo il mondo per la prima volta nella storia umana è a rischio di autodistruzione».

È questo pericolo di autodistruzione a rendere indispensabile un’iniziativa così potente della Madre di Gesù?
«La Madonna ha detto di essere venuta per risvegliare la fede in un mondo nuovo che è senza Dio. La Madonna vede che stiamo costruendo un mondo senza Dio: per questo siete infelici e per questo non c’è né futuro né vita eterna. L’autodistruzione è una possibilità concreta: l’uomo può distruggere il pianeta sul quale vive e la Madonna è venuta come Regina della pace per preservarci».

Nel libro I segreti di Medjugorje che il Giornale pubblicherà da domani lei scrive dando un’indicazione metodologica che «dobbiamo saper leggere le vicende umane nella loro connessione con gli avvenimenti spirituali». Poi usa termini molto forti parlando di «scontro apocalittico», di «combattimento» tra le forze del male e del bene.
«La Madonna ha dato la visione teologica dell’attuale momento storico fin dai primi mesi dell’apparizione quando ha detto che è in atto una battaglia tra suo Figlio e Satana. Che suo Figlio avrebbe vinto, ma che anche Satana avrebbe avuto la sua parte».

Che parte sarebbe?
«Come già a Fatima, la Madonna ha detto che oggi molte anime vanno all’inferno».

Perché in questi messaggi trova grande spazio il ruolo di Satana. Normalmente siamo abituati a non parlarne, a considerarlo come un’entità di altri tempi…
«Il messaggio centrale di Medjugorje è che Gesù Cristo è il salvatore del mondo, e che il cielo è la meta cui dobbiamo tendere con tutte le nostre forze. Al centro c’è l’amore di Dio. Ma la Madonna parla a un mondo che in gran parte rifiuta Dio e quindi apre la prospettiva all’inferno. Una delle sue frasi ricorrenti è che “all’inferno ci va chi ci vuole andare”. Il catechismo parla di autoesclusione».

Lei scrive nel suo libro che con le sue apparizioni, con i suoi messaggi è come se la Madonna supplisse a «una mancanza di catechesi» e volesse guidare i cristiani attraverso le parole rivelate ai veggenti. È così?
«Non c’è dubbio che come non ha fatto in nessun’altra apparizione, a Medjugorje dà messaggi regolari che sono una vera e propria forma di evangelizzazione. Una evangelizzazione materna, semplice ma molto profonda e molto cattolica, cioè assolutamente conforme alla sana dottrina».

Ma non le pare che, grazie ai media, mai come in questi anni la catechesi del Papa, vicario di Cristo, sia divulgata in tutto il mondo?
«C’è un’impressionante sintonia fra ciò che la Madonna dice e ciò che gli ultimi tre papi, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, insegnano. Ovvero: la centralità della persona di Cristo. Da qui discende tutta la vita cristiana: i sacramenti, in modo particolare la confessione e l’eucarestia, la preghiera».

Insisto: non basta già seguire il magistero del Papa e dei vescovi per essere cristiani?
«Sì, certo. Però non bisogna dimenticare che la Madonna svolge un compito materno che non sostituisce quello della Chiesa ma lo sostiene».

Come possiamo inquadrare la scelta dei sei veggenti?
«A mio parere la cosa più significativa è la scelta di un paesino collocato dentro la famosa cortina di ferro. La Madonna ci ha preparato al crollo del comunismo che ha profetizzato fin dal 1981, ovvero dieci anni prima che avvenisse. Poi esortando al digiuno e alla preghiera ha ottenuto da lì che non scoppiasse la terza guerra mondiale come poteva accadere».

Questi sei ragazzi non avevano niente in particolare: perché sono stati scelti?
«Perché, secondo le parole della Madonna, “non erano né migliori né peggiori di altri”. Però bisogna dire che dopo 32 anni sono stati fedeli al loro compito, anche perché nei primi anni sono stati fatti oggetto di persecuzioni da parte dello Stato e della polizia politica anche con minacce alle famiglie, interrogatori, reclusioni improvvise».

Più che alla località di Medjugorje le apparizioni sono legate a loro: Marija vive in Italia, a Monza, Ivan trascorre lunghi periodi a Boston.
«Tutti i sei veggenti sono radicati a Bjakovici, la frazione di Medjugorje, a ridosso della collina delle prime apparizioni dove anche Marija e Ivan trascorrono buona parte dell’anno. È a Medjugorje che la Madonna dà particolari grazie, come Lei ha detto. Però queste apparizioni non sono legate al luogo, ma alla persona del veggente in qualsiasi parte della terra si trovi».

Qualcuno dice che in questi anni i veggenti si sono arricchiti.
«A Medjugorje tutte le famiglie vivono sull’accoglienza dei pellegrini. Non ci sono altre possibilità di lavoro. Tutti cercano di avere a disposizione almeno 50 letti per poter ospitare un pullman. Anche i veggenti, che hanno famiglie con parecchi figli, provvedono in questo modo al loro sostentamento. Casa e lavoro fanno parte del “pane quotidiano” che chiediamo al Signore. C’è anche da dire che a Medjugorje la domanda di alloggio è superiore all’offerta».

Perché è così importante la questione del crollo del comunismo? Mi pare non per una questione di classi e di censo, quanto per una questione filosofica: rappresenta la pretesa dell’uomo di fare senza Dio.
«La questione del comunismo riguarda la sua visione atea e materialistica della vita che però, negli anni, è stata supportata dallo Stato con la persecuzione della Chiesa. Non è tanto una questione politica, ma ideologica nel senso che questa visione rimane tuttora la vera grande tentazione del mondo moderno. Cioè l’uomo mette se stesso al posto di Dio. Pretende di salvarsi da solo, di essere autosufficiente».

La Madonna insiste sul digiuno e la penitenza. È un cristianesimo un po’ quaresimale quello che affiora da queste apparizioni?
«Quello che appare a Medjugorje è un cristianesimo centrato sulla preghiera, in particolare sui sacramenti dell’eucarestia e della confessione. Oggi la tentazione più grave è la perdita della fede e l’antidoto più efficace è la preghiera».

Credere nelle apparizioni di Medjugorje però non è vincolante per essere cristiani?
«Medjugorje è il più grande evento in duemila anni di cristianesimo. Perdere questa occasione di avere la Madonna come guida nel cammino spirituale è in un certo senso imperdonabile. Sarebbe insensato trascurare o snobbare un aiuto del genere».

La Chiesa però non l’ha ancora riconosciuto ufficialmente.
«La Chiesa non darà ufficialità finché l’evento non si sarà concluso. Ma nel medesimo tempo vigila su Medjugorje e si rallegra per le conversioni».

isegretidimedjugorje dans Diego Manetti

I DIECI SEGRETI DI MEDJUGORJE. La Regina della Pace rivela il futuro del mondo
La storia, le apparizioni, i miracoli

Venerdì 24 maggio, con il Giornale, il primo inserto de “I segreti di Medjugorje”. Un’opera, a inserti, per riflettere e scuotere le coscienze

«Il mondo di oggi attraversa forti tensioni e cammina sull’orlo di una catastrofe»: con queste parole la Madonna a Medjugorje ha cominciato a mettere in guardia l’umanità dai pericoli che incombono sul suo cammino.
La Regina della Pace si è manifestata a sei ragazzi di un piccolo paese della ex-Jugoslavia, ormai trent’anni fa, e tuttora continua ad apparire.
A questi ragazzi, oggi adulti, ha consegnato anche dei segreti – dieci in tutto – che rivelerebbero il futuro del mondo.
Padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, indaga il mistero dei dieci segreti di Medjugorje, tramite i quali la Madonna svela il “tempo della prova” che si prepara per l’umanità. Attraverso le interviste ai veggenti e il commento ai messaggi della Regina della Pace, si delinea lo scenario futuro del mondo.

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La fede

Posté par atempodiblog le 23 mai 2013

La fede dans Citazioni, frasi e pensieri Madre-Flora-De-Santis-Volto-Santo-Napoli

“La fede è il dono più bello che ci può dare il nostro Creatore. Solo la fede risuscita i morti, sana gli infermi, scuote i monti. L’anima che crede opera prodigi”.

Serva di Dio Flora De Santis (Madre Flora)

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Per avere la gioia e la pienezza

Posté par atempodiblog le 23 mai 2013

Per avere la gioia e la pienezza dans Chiara Amirante chiaraamirantenuovioriz

Quando ci preoccupiamo più di sostenere che di essere sostenuti, di portare tutto il nostro contributo per migliorare ogni situazione che di passare il nostro tempo ad arrabbiarci su ciò che gli altri dovrebbero fare e non fanno; essere attenti ai grandi problemi di chi ci passa accanto che lasciarci completamente assorbire dalle nostre piccole difficoltà, allora e solo allora riusciamo finalmente ad assaporare quella profonda gioia e pienezza che il nostro cuore cerca.

Chiara Amirante

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Sottomettersi l’uno all’altro

Posté par atempodiblog le 23 mai 2013

Sottomettersi l’uno all’altro dans Francesco Agnoli fogliealvento

Un coniuge che pesasse sulla bilancia tutti gli errori dell’altro coniuge, e contabilizzasse ogni sbaglio del suo compagno di vita, sarebbe un cristiano?

Francesco Agnoli: Una grande santa educatrice, Teresa Verzeri, scriveva a sua sorella, che ogni tanto le scriveva parlando dei difetti del marito, “sicuramente tuo marito ha grandi difetti, io che ti conosco ti posso dire che li hai anche tu!”. Diceva “sottomettiti” e la parola, come quella che è nel libro di Costanza Miriano, detta così all’uomo di oggi dà molto fastidio eppure il matrimonio, posso dirlo anch’io per la mia esperienza, è continuamente un sottomettersi l’uno all’altro, perché non si può andare avanti, a meno che non ci sia disparità di un carattere santo accanto ad un caratteraccio. Ma di solito non è così… di solito si sta un po’ sulla stessa barca. Bisogna sottomettersi l’uno all’altro, bisogna, nel matrimonio, costantemente piegare il capo una volta l’uno una volta l’altro, c’è chi lo piega di più… però sostanzialmente bisogna cercare di essere sottomessi l’uno all’altro.

Rosanna Brichetti Messori: Anche perché in realtà noi siamo convinti che l’altro debba, come dire, venire incontro ai nostri bisogni e se l’altro non viene incontro… noi ci lamentiamo e non capiamo invece che il segreto vero, io naturalmente credo che ci ho messo cinquant’anni per capirlo, è andare noi incontro all’altro, cioè non pretendere, accettare l’altro com’è. Invece di pretendere che l’altro venga incontro a noi e ci capisca sempre.

Tratta da una conversazione radiofonica

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Oltre il pregiudizio

Posté par atempodiblog le 23 mai 2013

Oltre il pregiudizio dans Papa Francesco I papafrancesco

Il Vangelo di questo mercoledì ci parla dei discepoli di Gesù che impediscono a una persona esterna al loro gruppo di fare il bene.
“Si lamentano” – afferma il Papa nell’omelia – perché dicono: “Se non è dei nostri, non può fare il bene. Se non è del nostro partito, non può fare il bene”. E Gesù li corregge: “Non glielo impedite – dice – Lasciate che lui faccia il bene”. “I discepoli – spiega Papa Francesco – erano un po’ intolleranti”, chiusi nell’idea di possedere la verità, nella convinzione che “tutti quelli che non hanno la verità, non possono fare il bene”. E “questo era sbagliato” e Gesù “allarga l’orizzonte”.“La radice di questa possibilità di fare il bene, che tutti abbiamo” – osserva il Papa – è “nella creazione”:

“Il Signore ci ha creati a sua immagine e somiglianza, e siamo immagine del Signore, e Lui fa il bene e tutti noi abbiamo nel cuore questo comandamento: fai il bene e non fare il male. Tutti.
‘Ma, padre, questo non è cattolico! Non può fare il bene!’. Sì, può farlo. Deve farlo. Non può: deve! Perché ha questo comandamento dentro.
‘Ma, padre, questo non è cristiano, non può farlo!’. Sì, può farlo. Deve farlo.
Invece, questa chiusura di non pensare che si possa fare il bene fuori, tutti, è un muro che ci porta alla guerra e anche a quello che alcuni hanno pensato nella storia: uccidere in nome di Dio. Noi possiamo uccidere in nome di Dio. E quello, semplicemente, è una bestemmia. Dire che si possa uccidere in nome di Dio, è una bestemmia”.

di Sergio Centofanti – Radio Vaticana

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I “tre effetti” dello Spirito Santo

Posté par atempodiblog le 23 mai 2013

I “tre effetti” dello Spirito Santo dans Mormorazione papafrancesco

Papa Francesco individua “tre effetti” dovuti all’azione dello Spirito. Il primo è la “comunione”. Se Babele, constata, è il monumento alla superbia che provocherà divisione e chiusura tra gli uomini, la Pentecoste, osserva, è il suo opposto. “La lingua del Vangelo – afferma il Papa – è la lingua della comunione”:

“A volte sembra che si ripeta oggi quello che è accaduto a Babele: divisioni, incapacità di comprendersi, rivalità, invidie, egoismo. Io cosa faccio con la mia vita? Faccio unità attorno a me o divido, divido, divido con le chiacchiere, le critiche, le invidie? Cosa faccio? Pensiamo a questo! Portare il Vangelo è annunciare e vivere noi per primi la riconciliazione, il perdono, la pace, l’unità, l’amore che lo Spirito Santo ci dona”.

Secondo effetto, per l’appunto, il “coraggio”. L’esempio che Papa Francesco porta è quello di Pietro, che dopo i giorni della paura si alza in piedi la mattina di Pentecoste e parla pubblicamente di Cristo “a voce alta”. Quel coraggio viene dallo Spirito Santo, dal quale – ribadisce il Pontefice – “si sprigionano nuove energie di missione”:

“Non chiudiamoci mai a questa azione! Viviamo con umiltà e coraggio il Vangelo! Testimoniamo la novità, la speranza, la gioia che il Signore porta nella vita. Sentiamo in noi ‘la dolce e confortante gioia di evangelizzare’. Perché evangelizzare, annunziare Gesù ci dà gioia! Invece l’egoismo ci dà amarezza, tristezza, ci porta giù! Evangelizzare ci porta su!”.

Il terzo effetto, prosegue Papa Francesco, è direttamente connesso alla nuova evangelizzazione ed è chiaro: non c’è “fuoco” dello Spirito se non è invocato nella preghiera. La Chiesa deve chiederlo come gli Apostoli lo invocarono nel Cenacolo:

“Senza la preghiera il nostro agire diventa vuoto e il nostro annunciare non ha anima e non è animato dallo Spirito (…) Lasciamoci guidare da Lui, siamo uomini e donne di preghiera, che testimoniano con coraggio il Vangelo, diventando nel nostro mondo strumenti dell’unità e della comunione con Dio”.

di Alessandro De Carolis – Radio Vaticana

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Chi ama Gesù eviti i libri di Dan Brown

Posté par atempodiblog le 22 mai 2013

Il Codice da Vinci

Chi ama Gesù eviti i libri di Dan Brown dans Libri gescoronatodispine

Questo libro ha venduto 35 milioni di copie… il perché sia così letto io non lo so, letto tranquillamente! Dice le panzane più orribili, le bestemmie più grosse, le cose più orripilanti di questo mondo. Non soltanto offende Gesù Cristo, il buon senso, gli apostoli, ma attacca la Chiesa Cattolica oggi, le istituzioni cattoliche dandole delle assassine. Alcuni dicono che siccome sono tutte fantasie va bene, dicono che è affascinante… lo credo bene con le Maria Maddalena in foglie di fico, tanto più che Maria Maddalena è la moglie di Cristo, figurati tu!

Mi va bene porgere l’altra guancia, non mi va bene che uno fa le spallucce, se uno insulta tua madre tu che fai? Fai le spallucce? Io la difenderei… Il libro contiene una serie di stupidaggini chè è come se uno si mettesse a tavola e mangiasse escrementi e poi direbbe: “che buono!”.

Questa è la tragedia del nostro tempo: il Figlio di Dio si fa uomo, ci dice parole di vita eterna, le parole della santità e noi cosa facciamo? Cosa leggiamo? Siamo degli scellerati… i quattro Vangeli sono un capolavoro, sono l’opera Divina che non si può descrivere…

Leggere questo libro è stato uno dei più grossi sacrifici che ho dovuto fare nella mia vita… la recensione che ne ha fatto la rivista Studi Cattolici è azzeccata: probabilmente ha venduto l’anima al Diavolo per fare quattrini. Probabilmente c’è qualcosa di diabolico per la diffusione inspiegabile che ha avuto, anche perché è brutto, è pessimo, è fatto male anche dal punto di vista letterario.

Chi ama Gesù non va a leggere un libro, a veder un film dove lo denigrano e gli buttano chili di fango addosso. Non lo potrebbe sopportare! Casomai legge tutte le confutazioni per poter rispondere a chi critica.

Perché invece di passare il tempo con quel libro non lo passate davanti al Tabernacolo dove Egli è vivo e in un attimo può infondervi tanta luce, tanta conoscenza sul Suo mistero?

Tratto da una catechesi audio di Padre Livio Fanzaga

divisore dans Medjugorje

Per approfondire:

iconarrowti7 Codice da Vinci, protagonista è la menzogna

iconarrowti7 “Il Codice Da Vinci”: ma la storia è un’altra cosa

iconarrowti7 Il Codice da Vinci: FAQ – Risposta ad alcune domande frequenti

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Dan Brown: un manifesto per la cultura della morte

Posté par atempodiblog le 22 mai 2013

Dan Brown: un manifesto per la cultura della morte
di Massimo Introvigne – La nuova Bussola Quotidiana

Dan Brown: un manifesto per la cultura della morte dans Articoli di Giornali e News danbrowninfernosullater

«Il Vaticano mi odia», afferma a un certo punto di «Inferno», il nuovo romanzo di Dan Brown, la dottoressa Elizabeth Sinskey, direttrice dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e santa laica del racconto. «Anche lei? Pensavo di essere l’unico», risponde Robert Langdon, il professore di simbologia di Harvard già protagonista dei precedenti romanzi «Angeli e demoni», «Il Codice da Vinci» e «Il simbolo perduto», che svolge sempre la funzione di portavoce delle idee di Dan Brown.

L’avversione per «il Vaticano», cioè per la Chiesa Cattolica, è il filo rosso che tiene uniti i romanzi di Dan Brown. In «Angeli e demoni» – scritto prima de «Il Codice da Vinci», anche se tradotto dopo in italiano – scopriamo che la Chiesa è da secoli nemica della scienza. Ne «Il Codice da Vinci» Brown cerca di distruggere le fondamenta stessa del cristianesimo, rivelandoci che Gesù era sposato con Maria Maddalena, non pensava di essere Dio e non intendeva fondare la Chiesa. Ne «Il simbolo perduto» il romanziere americano aggiunge che la tradizionale rivale della Chiesa, la massoneria, è un’organizzazione molto più simpatica, illuminata e amica del progresso. Stavolta… e qui devo chiedere al lettore interessato a farsi sorprendere dai colpi di scena di Brown di smettere la lettura di questo articolo, perché – pur senza scendere in troppi particolari – per illustrare l’ideologia che presiede a «Inferno» è necessario dire qualcosa della trama.

Stavolta Langdon – che all’inizio del romanzo ha perso la memoria e si trova in un letto d’ospedale a Firenze – è impegnato in una corsa contro il tempo per evitare una pandemia, un’epidemia planetaria scatenata – prima di suicidarsi – dallo scienziato svizzero Bertrand Zobrist. Lo scienziato, un famoso biochimico, fa parte di un’ala estrema del Transumanesimo, un movimento realmente esistente, alle cui origini c’è il biologo Julian Huxley (1887-1975), che propugna la trasformazione della natura umana in una realtà di livello fisicamente e intellettualmente superiore attraverso l’uso senza limitazioni dell’ingegneria genetica. Nel romanzo, Zobrist si convince che gli scopi del Transumanesimo non potranno essere raggiunti, perché richiedono tempi lunghi e nel frattempo l’umanità sarà annientata dalla crescita demografica. Come spiega un’altra scienziata a Langdon, «la fine della nostra specie è alle porte, Non sarà causata dal fuoco né dallo zolfo, dall’apocalisse o da una guerra nucleare… Il collasso globale sarà provocato dal numero di abitanti del pianeta. La matematica non è un’opinione».

Zobrist ha dunque pensato a una soluzione drastica. Ha nascosto nell’acqua in un luogo molto frequentato una sacca idrosolubile, che entro pochi giorni da quando Langdon entra in scena si aprirà e libererà un virus in grado di diffondersi rapidamente nel mondo intero, risolvendo drasticamente il problema della sovrappopolazione. Aiutato dall’inevitabile bella signora, – ce n’è una diversa in ogni romanzo – di cui finirà per innamorarsi, Langdon si mette dunque alla ricerca della sacca letale. Decifra indizi lasciati dallo stesso Zobrist, fanatico cultore dell’«Inferno» di Dante Alighieri (1265-1321), che alludono alla «Divina Commedia», al pittore e storico dell’arte rinascimentale Giorgio Vasari (1511-1574) e all’astuto e controverso doge veneziano Enrico Dandolo (1107-1205), che lo portano da Firenze a Venezia e da Venezia a Istanbul. Perché Zobrist – se veramente voleva che la sacca non fosse scoperta – abbia lasciato degli indizi che un esperto di simboli può decifrare abbastanza facilmente non è veramente spiegato.

Ma l’appassionato di Dan Brown trova comunque quello che cerca: inseguimenti mozzafiato quasi in ogni capitolo, perché con Langdon corrono per trovare la sacca – senza che si capisca subito chi lavora per chi, chi finge, chi fa il doppio gioco – gli agenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità guidati dalla dottoressa Sinskey, quelli del «Consortium», una società privata di «contractor» – Brown afferma che esiste davvero, gli ha solo cambiato nome – disposta a fare qualunque cosa per il migliore offerente, e i Transumanisti discepoli di Zobrist i quali intendono assicurarsi, dopo il suicidio del loro maestro, che il suo piano giunga comunque a compimento.

Non senza un ulteriore ammonimento a saltare almeno questo paragrafo rivolto a chi vuole leggere il romanzo e lasciarsi sorprendere dal finale – che però è essenziale per capire gli aspetti ideologici – menzionerò soltanto che Langdon, per una volta, fallisce. Quando arriva al luogo dov’è nascosta la sacca, questa si è già aperta, e il virus ha ormai rapidamente contagiato quasi tutti gli abitanti della Terra. Ma non si tratta di un virus che uccide. Rende sterili, ma in alcuni casi l’organismo riesce a difendersi così che questa sterilizzazione forzata, inconsapevole e trasmissibile alle generazioni future colpisce solo un terzo degli abitanti della Terra. E alla fine Langdon, la sua bella e la stessa dottoressa Sinskey si rendono conto che Zobrist usava sì metodi discutibili e perfino criminali ma i suoi scopi erano giusti: conviene non cercare nessun antidoto e lasciare le cose come stanno. Forse lo avrebbe voluto lo stesso Dante, il cui messaggio «non riguardava tanto i tormenti dell’inferno quanto la forza dello spirito umano nell’affrontare qualsiasi sfida, anche la più terribile». Questa «laicizzazione» di Dante, che ignora il profondo cattolicesimo del poeta, ha una lunga tradizione nel mondo esoterico, ma è del tutto infondata.

Nell’epilogo del romanzo Langdon medita sul fatto che il «peccato» esiste, ma non è quello di cui parla la Chiesa Cattolica. È la «negazione» (denial), una «pandemia globale» che fa sì che cerchiamo di non pensare alla bomba a orologeria della sovrappopolazione mondiale che ticchetta e che distruggerà certamente l’umanità, distraendoci e rivolgendo la nostra attenzione ad altri problemi, tutti in realtà meno urgenti.
La Chiesa Cattolica è la principale responsabile di questo «peccato» universale. Si oppone alla sterilizzazione di massa – di cui il virus del romanzo è un’ovvia metafora – e alla «diffusione capillare degli anticoncezionali», specie in Africa. La dottoressa Sinskey spiega che il Papa e i vescovi «hanno speso un’enorme quantità di soldi e di energie per indottrinare i paesi del Terzo mondo e indurli a credere che la contraccezione sia un male». «Chi meglio di un gruppetto di ottuagenari celibi può spiegare al mondo come si fa sesso?» risponde con il consueto livore anti-cattolico Langdon. E, in uno scambio con Zobrist, la Sinskey si vanta del fatto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha «speso milioni di dollari per inviare medici in Africa a distribuire profilattici gratis». Non serve, risponde Zobrist: «dopo di voi un esercito ancora più numeroso di cattolici si è precipitato ad ammonire gli africani che se avessero usato i profilattici sarebbero finiti all’inferno». Per fortuna, ci hanno pensato Bill Gates, il padrone della Microsoft, e sua moglie Melinda – che per avere «coraggiosamente sfidato l’ira della Chiesa» meriterebbero di «essere santificati» – a donare «cinquecentosessanta milioni di dollari per favorire l’accesso al controllo delle nascite in tutto il mondo». Ma anche questo sforzo è arrivato troppo tardi.

Chiudendo il romanzo, si rimane perplessi. Brown non può non sapere che quello dell’esplosione demografica è un mito, un «cavallo morto» – per usare un’espressione americana – distrutto da innumerevoli studi statistici che mostrano come gran parte del mondo soffra precisamente del contrario della sovrappopolazione. L’Europa e la Russia hanno troppe poche nascite, non troppe, e i giovani sono già diventati troppo pochi per mantenere livelli adeguati di produzione, di consumo e di contribuzione pensionistica a favore di chi ha cessato di lavorare.

La Banca Mondiale prevede che la Cina avrà a breve lo stesso problema. L’Africa stessa potrebbe mantenere una popolazione ben superiore a quella attuale, con una migliore e più razionale distribuzione delle risorse. In un momento in cui da tanti grandi economisti a Putin tutti paventano semmai il «suicidio demografico» evocato dal beato Giovanni Paolo II (1920-2005) sembra paradossale che Brown si presenti a frustare il cavallo morto della sovrappopolazione, riprendendo un vecchio mito che sembrava perfino sprofondato nel ridicolo. Chi prende sul serio oggi il Club di Roma che nel 1970 prevedeva intorno al 2000 guerre mondiali per il controllo di risorse agricole che sarebbero dovute venire a mancare a causa dell’aumento della popolazione?

Ma Brown non è solo. Per rimanere a casa nostra Marco Pannella, Dario Fo, Eugenio Scalfari – per non parlare di Gianroberto Casaleggio, il vero capo del movimento di Beppe Grillo, che considera anche lui necessario ridurre da sette miliardi a un miliardo gli attuali abitanti della Terra per assicurare loro un luminoso futuro a cinque stelle – hanno cercato di rilanciare negli ultimi anni, in un coro unanime e sospetto, i vecchi miti della sovrappopolazione. Nostalgie della loro giovinezza? No, c’è una ragione precisa per questo ritorno a miti screditati. Si tratta di fare propaganda per la sterilizzazione forzata, l’aborto, l’eutanasia e anche per l’ultimo abominio, l’infanticidio dei bambini già nati – e sfuggiti all’aborto – di cui si paventano malattie gravi, mascherato sotto il nome ipocrita di «aborto post-natale» e per cui si è già cominciato a battere la grancassa.

Il virus del dottor Zobrist – purtroppo, direbbe Brown – non esiste, è solo un’invenzione da romanzo e non è possibile immetterlo nell’aria per sottoporre a sterilizzazione forzata, senza che possa in alcun modo opporsi, un terzo della popolazione mondiale e i suoi discendenti. Ma siccome la «negazione» e il non voler pensare all’inevitabile e relativamente imminente – cento anni al massimo – fine dell’umanità dovuta alla sovrappopolazione è l’unico vero «peccato», è chiaro che si deve fare qualcosa. Subito: e non manca, come in tutti i romanzi di Dan Brown, la solita avvertenza in prima pagina secondo cui tutti i riferimenti scientifici «si basano su dati reali». Così, il libro si risolve in un manifesto per quella che il beato Giovanni Paolo, Benedetto XVI hanno chiamato la cultura della morte: la cultura dei «disegni di morte» evocata da Papa Francesco nella Messa d’inaugurazione del suo pontificato. Se un virus che rende molti sterili non è disponibile, non resta che lottare contro le nascite con altri mezzi. E favorire le morti: Langdon ricorda che «negli Stati Uniti circa il sessanta per cento delle spese sanitarie serve a curare i pazienti durante gli ultimi sei mesi di vita». «Il nostro cervello capisce che è una pazzia», gli risponde la sua compagna.

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