Posté par atempodiblog le 23 mai 2013

“La fede è il dono più bello che ci può dare il nostro Creatore. Solo la fede risuscita i morti, sana gli infermi, scuote i monti. L’anima che crede opera prodigi”.
Serva di Dio Flora De Santis (Madre Flora)
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Posté par atempodiblog le 23 mai 2013

Quando ci preoccupiamo più di sostenere che di essere sostenuti, di portare tutto il nostro contributo per migliorare ogni situazione che di passare il nostro tempo ad arrabbiarci su ciò che gli altri dovrebbero fare e non fanno; essere attenti ai grandi problemi di chi ci passa accanto che lasciarci completamente assorbire dalle nostre piccole difficoltà, allora e solo allora riusciamo finalmente ad assaporare quella profonda gioia e pienezza che il nostro cuore cerca.
Chiara Amirante
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Posté par atempodiblog le 23 mai 2013

Un coniuge che pesasse sulla bilancia tutti gli errori dell’altro coniuge, e contabilizzasse ogni sbaglio del suo compagno di vita, sarebbe un cristiano?
Francesco Agnoli: Una grande santa educatrice, Teresa Verzeri, scriveva a sua sorella, che ogni tanto le scriveva parlando dei difetti del marito, “sicuramente tuo marito ha grandi difetti, io che ti conosco ti posso dire che li hai anche tu!”. Diceva “sottomettiti” e la parola, come quella che è nel libro di Costanza Miriano, detta così all’uomo di oggi dà molto fastidio eppure il matrimonio, posso dirlo anch’io per la mia esperienza, è continuamente un sottomettersi l’uno all’altro, perché non si può andare avanti, a meno che non ci sia disparità di un carattere santo accanto ad un caratteraccio. Ma di solito non è così… di solito si sta un po’ sulla stessa barca. Bisogna sottomettersi l’uno all’altro, bisogna, nel matrimonio, costantemente piegare il capo una volta l’uno una volta l’altro, c’è chi lo piega di più… però sostanzialmente bisogna cercare di essere sottomessi l’uno all’altro.
Rosanna Brichetti Messori: Anche perché in realtà noi siamo convinti che l’altro debba, come dire, venire incontro ai nostri bisogni e se l’altro non viene incontro… noi ci lamentiamo e non capiamo invece che il segreto vero, io naturalmente credo che ci ho messo cinquant’anni per capirlo, è andare noi incontro all’altro, cioè non pretendere, accettare l’altro com’è. Invece di pretendere che l’altro venga incontro a noi e ci capisca sempre.
Tratta da una conversazione radiofonica
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Posté par atempodiblog le 23 mai 2013

Il Vangelo di questo mercoledì ci parla dei discepoli di Gesù che impediscono a una persona esterna al loro gruppo di fare il bene.
“Si lamentano” – afferma il Papa nell’omelia – perché dicono: “Se non è dei nostri, non può fare il bene. Se non è del nostro partito, non può fare il bene”. E Gesù li corregge: “Non glielo impedite – dice – Lasciate che lui faccia il bene”. “I discepoli – spiega Papa Francesco – erano un po’ intolleranti”, chiusi nell’idea di possedere la verità, nella convinzione che “tutti quelli che non hanno la verità, non possono fare il bene”. E “questo era sbagliato” e Gesù “allarga l’orizzonte”.“La radice di questa possibilità di fare il bene, che tutti abbiamo” – osserva il Papa – è “nella creazione”:
“Il Signore ci ha creati a sua immagine e somiglianza, e siamo immagine del Signore, e Lui fa il bene e tutti noi abbiamo nel cuore questo comandamento: fai il bene e non fare il male. Tutti.
‘Ma, padre, questo non è cattolico! Non può fare il bene!’. Sì, può farlo. Deve farlo. Non può: deve! Perché ha questo comandamento dentro.
‘Ma, padre, questo non è cristiano, non può farlo!’. Sì, può farlo. Deve farlo.
Invece, questa chiusura di non pensare che si possa fare il bene fuori, tutti, è un muro che ci porta alla guerra e anche a quello che alcuni hanno pensato nella storia: uccidere in nome di Dio. Noi possiamo uccidere in nome di Dio. E quello, semplicemente, è una bestemmia. Dire che si possa uccidere in nome di Dio, è una bestemmia”.
di Sergio Centofanti – Radio Vaticana
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Posté par atempodiblog le 23 mai 2013

Papa Francesco individua “tre effetti” dovuti all’azione dello Spirito. Il primo è la “comunione”. Se Babele, constata, è il monumento alla superbia che provocherà divisione e chiusura tra gli uomini, la Pentecoste, osserva, è il suo opposto. “La lingua del Vangelo – afferma il Papa – è la lingua della comunione”:
“A volte sembra che si ripeta oggi quello che è accaduto a Babele: divisioni, incapacità di comprendersi, rivalità, invidie, egoismo. Io cosa faccio con la mia vita? Faccio unità attorno a me o divido, divido, divido con le chiacchiere, le critiche, le invidie? Cosa faccio? Pensiamo a questo! Portare il Vangelo è annunciare e vivere noi per primi la riconciliazione, il perdono, la pace, l’unità, l’amore che lo Spirito Santo ci dona”.
Secondo effetto, per l’appunto, il “coraggio”. L’esempio che Papa Francesco porta è quello di Pietro, che dopo i giorni della paura si alza in piedi la mattina di Pentecoste e parla pubblicamente di Cristo “a voce alta”. Quel coraggio viene dallo Spirito Santo, dal quale – ribadisce il Pontefice – “si sprigionano nuove energie di missione”:
“Non chiudiamoci mai a questa azione! Viviamo con umiltà e coraggio il Vangelo! Testimoniamo la novità, la speranza, la gioia che il Signore porta nella vita. Sentiamo in noi ‘la dolce e confortante gioia di evangelizzare’. Perché evangelizzare, annunziare Gesù ci dà gioia! Invece l’egoismo ci dà amarezza, tristezza, ci porta giù! Evangelizzare ci porta su!”.
Il terzo effetto, prosegue Papa Francesco, è direttamente connesso alla nuova evangelizzazione ed è chiaro: non c’è “fuoco” dello Spirito se non è invocato nella preghiera. La Chiesa deve chiederlo come gli Apostoli lo invocarono nel Cenacolo:
“Senza la preghiera il nostro agire diventa vuoto e il nostro annunciare non ha anima e non è animato dallo Spirito (…) Lasciamoci guidare da Lui, siamo uomini e donne di preghiera, che testimoniano con coraggio il Vangelo, diventando nel nostro mondo strumenti dell’unità e della comunione con Dio”.
di Alessandro De Carolis – Radio Vaticana
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