La strada dritta per il Paradiso

Posté par atempodiblog le 6 mars 2013

La strada dritta per il Paradiso
Se muoio non piangete per me”. Il beato padre Jerzy Popiełuszko nel racconto dell’anziana madre Marianna
di Włodzimierz Rędzioch – L’Osservatore Romano, 5 marzo 2013
Tratto da: Kairòs

La strada dritta per il Paradiso dans Jerzy Popieluszko jerzypopieluszko

Marianna ha gli occhi stanchi: dei suoi 92 anni; degli oltre 70 anni di duro lavoro in campagna e in casa. E delle lacrime versate per i suoi morti: durante la seconda guerra mondiale i russi uccisero il più piccolo dei suoi fratelli; nel 1953 morì tra le sue braccia la figlioletta Edvige di due anni; nel 1984 i servizi segreti del regime comunista polacco fecero morire suo figlio sacerdote.

Negli occhi di questa donna minuta e apparentemente fragile, non c’è però disperazione. Questa semplice contadina ha vissuto come se avesse preso per motto una filastrocca imparata dall’infanzia: «Amare la gente, amare Dio: ecco la strada dritta per il paradiso. Ama con il cuore e con le opere: sarai con gli angeli nel paradiso» (in polacco questi versi fanno rima). Per incontrare questa anziana donna, la madre del beato padre Jerzy Popiełuszko, bisogna andare in un remoto angolo della Polonia, vicino alla frontiera con la Lituania, a circa 200 chilometri da Varsavia. Marianna Gniedziejko — questo il suo cognome da nubile — è nata lì, nel 1920, a Grodzisko, un piccolo villaggio della sconfinata pianura del centro dell’Europa (i cartografi hanno calcolato che proprio qui si trova il centro geografico del continente).

Come è nata in suo figlio la vocazione al sacerdozio?

Siamo una famiglia molto religiosa. Da noi ogni mattina, dopo il risveglio, e la sera, prima di andare a dormire, si pregava in ginocchio. Inoltre, nella nostra casa avevamo un altarino dove pregava tutta la famiglia. Tre volte la settimana cucinavo i pasti senza carne, perché l’uomo già da bambino deve sapere che nella vita c’è bisogno di sacrificio e che non tutto va secondo i suoi desideri o capricci. Jerzy cresceva in tale atmosfera. Andava a confessarsi e faceva la santa Comunione; pregava anche da solo. Più tardi divenne un chierichetto. Tutti i giorni si alzava presto per arrivare in chiesa per le sette e doveva fare cinque chilometri a piedi attraverso il bosco per arrivare a Suchowola. Non importava se pioveva, nevicava e c’era il gelo. E così è stato dalla prima classe della scuola elementare fino all’ultimo anno del liceo.

Ai tempi del regime comunista lo zelo religioso dei bambini non doveva essere ben visto…
È vero. Una volta una delle insegnanti mi ha chiamata a scuola e mi ha detto che mio figlio andava troppo spesso in chiesa. Per questo motivo avrebbe abbassato il suo voto in condotta. Ma forse lo Spirito Santo mi ha ispirata, perché le ho detto che, dopo tutto, in Polonia c’era la libertà di religione. E non è successo niente.

Quando suo figlio le ha svelato che voleva entrare in seminario?
Devo confessare che quando ero incinta di lui, ho pregato per la grazia della vocazione per il bambino che portavo in grembo. In una parola, l’ho dato a Dio ancora prima della nascita. Però, non gli ho mai detto nulla. Ma lui ha trovato la sua strada da solo. Fino alla maturità non mi ha detto nulla. Forse ha tenuto tutto in segreto, perché ai tempi del comunismo, i giovani che sceglievano il seminario erano perseguitati dai servizi segreti. Disse che sarebbe andato in seminario soltanto nel giugno del 1965, quando tornò dal ballo di maturità.

Il regime comunista costringeva i seminaristi a fare un duro servizio militare di due anni. Ha mai saputo quanto Jerzy abbia sofferto durante tutto quel periodo?
I giovani erano sottoposti non soltanto all’indottrinamento forzato, ma venivano maltrattati fisicamente e psicologicamente: tutto questo per costringerli ad abbandonare il seminario. Jerzy, però, non mi diceva niente. Fu solo più tardi che ho saputo da suoi colleghi come veniva maltrattato. Tra le altre cose, lo gettavano in piscina, anche se non sapeva nuotare, gli ordinavano di stare a piedi nudi nella neve mentre recitava il rosario, lo facevano correre giù per le scale con il pieno equipaggiamento militare. In questo modo distrussero la sua salute e dopo il servizio militare dovette andare in ospedale.

Jerzy fu ordinato sacerdote il 28 maggio 1972, nella cattedrale di Varsavia. Come ha vissuto quel giorno?

Ero orgogliosa perché ero diventata la madre di un sacerdote. Per di più, fu lo stesso primate Wyszyński a presiedere l’ordinazione: fu la prima volta che l’ho visto da vicino. Il primate chiese preghiere costanti per i nostri figli sacerdoti. E io ho eseguito questa richiesta: ho sempre sostenuto il sacerdozio di Jerzy con la preghiera.

Nel 1978 padre Jerzy venne trasferito nella chiesa universitaria di Sant’Anna di Varsavia: lavorare con gli studenti, la futura classe dirigente del Paese, doveva essere molto impegnativo…
Padre Jerzy non mi parlava di questo aspetto del suo lavoro, ma gli ex studenti che frequentarono la chiesa di Sant’Anna dicevano che padre Jerzy fu per loro non solo una guida spirituale, ma anche un confidente, un amico.

Nello stesso anno, accadde una cosa incredibile: il cardinale Karol Wojtyła divenne Papa…
Trovavo difficile credere che il Papa fosse un polacco. Ma appena appresa la notizia sono andata in chiesa per assistere alla messa di ringraziamento. Non mi venne in mente allora di pensare che un giorno l’avrei conosciuto personalmente.

Quello successivo fu per la storia della Polonia un anno particolare…
Il 1° luglio 1980 il governo comunista aveva aumentato i prezzi dei prodotti alimentari scatenando un’ondata di scioperi. Quando cominciò lo sciopero nelle acciaierie «Huta Warszawa», andò a celebrare la messa per i siderurgici. E così iniziò il suo lavoro pastorale fra gli scioperanti.

Il 1980 fu anche l’anno della nascita di Solidarność. Era preoccupata per suo figlio che stava nella capitale?
Solidarność fu soppresso il 13 dicembre 1981 con l’introduzione della legge marziale dal generale Jaruzelski. Sapevo che padre Jerzy non era al sicuro a Varsavia e allora pregavo molto per lui. Lui aiutava chi poteva e come poteva. Non ho mai potuto parlare con lui con calma e mi preoccupavo sempre di più, ma sapevo che Dio aveva un piano e avrebbe vegliato su di lui.

Nei tempi dello stato di guerra, padre Jerzy era diventato famoso per le cosiddette “Messe per la Patria”. Lei partecipava a queste celebrazioni?
Le messe per la Patria cominciò a organizzarle il parroco, padre Bogucki. Invece padre Jerzy si mise a celebrarle dal 17 gennaio 1982. Alle messe partecipava moltissima gente che la chiesa non poteva contenere, allora migliaia di fedeli stavano fuori in piedi. Normalmente ascoltavo le sue messe per la Patria alla radio «Free Europe»: mi emozionavo sentendo le parole di mio figlio alla radio. Ma, prima di tutto, ero contenta di quelle messe perché sapevo che grazie a esse tante persone si convertivano.

Padre Jerzy è stato spiato e perseguitato in vari modi. Perché il regime comunista ce l’aveva così tanto con suo figlio?
Nella Bibbia è scritto che, quando si colpisce il pastore, le pecore saranno disperse. I comunisti combattevano i pastori della Chiesa per disperdere il gregge di fedeli; perseguitavano padre Jerzy perché pensavano che spaventando un sacerdote, avrebbero messo paura agli altri.

Quando ha visto suo figlio per l’ultima volta?
È stato nel mese di settembre del 1984. È venuto a casa senza preavviso. Non parlava di se stesso, ma sapevo che lo seguivano: anche dalle finestre della nostra casa abbiamo potuto vedere le auto con gli agenti. Ma lui era coraggioso, anche se fisicamente debole. Mi ha lasciato la sua tonaca da rammendare dicendo: «La prenderò la prossima volta. Se no, avrai un ricordo di me». Invece salutandoci disse: «Mi raccomando: se muoio, non piangete per me». Rimasi pietrificata, perché non aveva mai parlato in questo modo.

Le era venuto in mente, qualche volta, che suo figlio sacerdote avrebbe potuto morire da martire?
Certamente che no. Ma oggi penso che, proprio diventando sacerdote, doveva sapere che sarebbe potuto morire come un martire, perché il martirio è iscritto nella vocazione sacerdotale.

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