Il segreto della confessione
Posté par atempodiblog le 24 janvier 2013
Il sigillo sacramentale (questo è il termine esatto), è di diritto divino da cui neppure la Chiesa può dispensare. In pratica, il Papa stesso non può ordinare a un sacerdote di rivelare quanto ha udito in confessione, neppure se ciò fosse necessario per salvare l’intero universo.
E ciò perché il sacerdote quando amministra il sacramento della penitenza, rappresenta Dio che “conosce il cuore dell’uomo”, davanti a cui si presenta il peccatore nella sua miseria, fiducioso di ricevere la misericordia di Dio. Se il penitente non fosse certo della discrezione del sacerdote, cadrebbe la necessaria fiducia e il precetto di confessare il peccato mortale sarebbe vanificato, col rischio, per molte anime, di cadere nella disperazione. A fronte di questo pericolo la stessa accusa di un innocente è un male minore della dannazione eterna.
I cann. 983-984 del Codice di Diritto Canonico, proibisce assolutamente di rivelare direttamente i peccati di una persona, o di prendere iniziative o altro che possano mettere in pericolo tale segreto, o di usare in qualsiasi modo le conoscenze acquisite nella confessione con “pregiudizio del penitente”, anche quando sia escluso il “pericolo di rivelare qualcosa”.
Il sacerdote che viola il sigillo cade immediatamente in una scomunica che può essere assolta solo dalla Santa Sede (latae sententiae). Persino coloro che per caso fossero venuti a conoscenza del segreto, se lo rivelassero, non solo commetterebbero peccato mortale, ma sarebbero passibili di gravi provvedimenti.
Il sigillo riguarda ogni confessione, anche quando il sacerdote non avesse potuto assolvere il penitente per mancanza di vero pentimento.
Naturalmente per chi non ha fede, tutto ciò potrebbe apparire una sciocchezza, dico “potrebbe”, perché anche umanamente parlando si può comprendere come sarebbe terribile se una persona, oppressa da una grande dolore e che si confidasse con un amico, venisse poi ad apprendere che il tutto è stato rivelato ad estranei. Per non parlare dei “segreti vitali” per il bene di un Paese, che quando vengono rivelati sono severamente puniti. E anche questi sono segreti che riguardano solamente il bene terreno, immensamente meno importante di quello eterno.
Del resto il Nuovo accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana, 18 febbraio 1984, art. 4, n. 4, dice: «Gli ecclesiastici non sono tenuti a dare ai magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero».
Pretendere che l’autorità pubblica abbia libero passaggio nelle coscienze di tutti, anche con la scusa della “giustizia”, sarebbe una tale minaccia alla libertà che è meglio tollerare eventuali ingiustizie che cadere sotto il giogo di meccanismi giuridici che troppo spesso – come la storia dimostra – manifestano l’automatismo di una macchina mortale.
Quando il penitente venisse a conoscenza in confessione di un delitto compiuto dal penitente per cui un innocente è stato condannato, il sacerdote dovrà eventualmente esortare il penitente ad autodenunciarsi, ma più di questo non potrà fare. A volte la custodia del segreto potrebbe essere veramente gravosa, ma il sacerdote deve accettare tutto come facente parte della propria croce particolare.
Ogni uomo e donna deve aver la certezza di trovare con sicurezza un cuore umano, consacrato in modo speciale da Dio e per Dio, pronto ad ascoltarli fino in fondo e pronto a dar loro quella pace che solo la grazia divina può donare.
di Massimiliano Maria Zangherati
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