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La devozione alla Madonna

Posté par atempodiblog le 31 janvier 2013

La devozione alla Madonna dans Fede, morale e teologia San-Giovanni-Bosco

Un sostegno indispensabile per te, o caro giovane, è la devozione a Maria Santissima. Se sarai devoto di Lei, ELLA TI FARA’ DA MADRE, ti coprirà col Suo Manto, ti colmerà di benedizioni in questo mondo e ti darà, alla fine, il Paradiso. Qualsiasi grazia Le domanderai, ti sarà concessa purché non sia cosa che torna a danno della tua anima. Io perciò ti raccomando di chiedere tre grazie speciali necessarie a tutti, ma specialmente a te che sei giovane.
La prima grazia è che ti aiuti a non commettere mai peccato mortale per tutta la tua vita.
Tu sai, infatti, cosa vuol dire cadere in peccato mortale? Vuol dire rinunciare ad essere figli di Dio per diventare schiavi di Satana. Vuol dire perdere quella bellezza che ti rende come un angelo agli occhi di Dio, per diventare deforme come un demonio. Vuol dire perdere tutti i meriti già acquistati per la vita eterna. Vuol dire restare sospeso per un filo sottilissimo sopra la bocca dell’Inferno. Vuol dire fare un’enorme ingiuria ad una Bontà infinita, e questo è il male più grande che si possa immaginare. Credimi, mio caro amico, qualsiasi grazia la Madonna dovesse concederti, sarebbe inutile senza quella di non cadere mai in peccato.
Perciò, questa grazia dovrai chiederla mattino e sera e tutte le volte che a Lei ti rivolgi.
La seconda grazia che ti raccomando di domandare alla Madonna è quella di poter conservare la preziosa virtù della purità.
A Lei dovrai chiedere di aiutarti in modo speciale a custodire gli occhi, che sono le finestre per cui il peccato si fa strada nel nostro cuore e attraverso le quali il demonio viene a prendere possesso della nostra anima. Non fermarti mai a guardare cose contrarie alla modestia. S. Domenico Savio, interrogato perché fosse tanto cauto negli sguardi rispose: “Ho preso la decisione di distogliere gli occhi da tutto ciò che non è puro per essere più degno di incontrare lo sguardo della Madonna, Vergine Immacolata”.
La terza grazia che dovrai domandare alla Madonna, è di poter stare sempre lontano dai compagni cattivi, cioè da coloro che fanno discorsi che non si farebbero alla presenza dei genitori. Sta lontano da costoro, anche se fossero tuoi parenti. Posso assicurarti che talvolta fa più danno la loro compagnia che quella di un demonio. Felice te, o mio caro figliolo, se fuggirai la compagnia dei malvagi! Sarai allora sicuro di camminare per la strada del Paradiso; diversamente correrai un gravissimo rischio di perderti in eterno.
Perciò, se sentirai dei compagni che bestemmiano, che disprezzano la Religione o, peggio ancora, che dicono parole contrarie alla virtù della modestia, devi fuggirli come la peste.
Ti assicuro che quanto più i tuoi sguardi e i tuoi discorsi saranno puri, tanto più Maria si compiacerà di te e tante più grazie ti otterrà da Gesù.
Queste sono le tre grazie più importanti per la tua età, che otterrai se reciterai ogni giorno il Santo. Rosario o almeno tre Ave e tre Gloria con la giaculatoria: “Cara Madre, Vergine Maria, fa che io salvi l’anima mia”.
Con queste tre grazie camminerai fin d’ora per la strada che ti renderà uomo onorato e con esse avrai la certezza di raggiungere l’eterna felicità.

San Giovanni Bosco
Tratto da: Don Bosco Ritorna

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Quando il deserto comincia a fiorire

Posté par atempodiblog le 31 janvier 2013

 Quando il deserto comincia a fiorire dans Citazioni, frasi e pensieri crocedesertorussolillo

“[...] il Signore stabilisce le cose e le circostanze in modo tale che noi non siamo compresi, non siamo considerati da coloro con cui viviamo e per i quali lavoriamo. Quando uno si lagna per questo fatto di non trovare chi lo comprende, chi lo considera, ecc… non capisce proprio niente dell’abc della vita spirituale. Bisogna accettare questa condizione che è grazia del Signore. E’ la condizione più favorevole all’unione con Dio, per qualunque motivo avvenga l’incomprensione, da qualunque lato provenga questo stato di cose. Oh, veramente ci si trova in un deserto! Quando il deserto è amato, allora comincia a fiorire”.

Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

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L’educazione è cosa di cuore

Posté par atempodiblog le 30 janvier 2013

L’educazione è cosa di cuore dans Citazioni, frasi e pensieri Don-bosco-educatore

“L’educazione è cosa di cuore: tutto il lavoro parte da qui, e se il cuore non c’è, il lavoro è difficile e l’esito è incerto. Che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati”. 

San Giovanni Bosco

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Un sì pubblico a Dio

Posté par atempodiblog le 30 janvier 2013

Un sì pubblico a Dio dans Citazioni, frasi e pensieri TRJA2820

“La Croce è la manifestazione toccante dell’atto d’amore infinito con il quale il Figlio di Dio ha salvato l’uomo e il mondo dal peccato e dalla morte. Per questo il segno della Croce è il gesto fondamentale della preghiera del cristiano. Segnare se stessi con il segno della Croce è pronunciare un sì visibile e pubblico a Colui che è morto per noi e che è risorto, al Dio che nell’umiltà e debolezza del suo amore è l’Onnipotente, più forte di tutta la potenza e l’intelligenza del mondo”.

Benedetto XVI

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Il valore culturale misconosciuto delle grandi ricorrenze cristiane

Posté par atempodiblog le 30 janvier 2013

Il valore culturale misconosciuto delle grandi ricorrenze cristiane in un volume di Mimmo Muolo
Quelle feste scippate

Pubblichiamo la prefazione che l’arcivescovo presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione ha scritto per il libro di Mimmo Muolo intitolato Le feste scippate. Riscoprire il senso cristiano delle festività (Milano, Àncora, 2012, pagine 135, euro 12).
di Rino Fisichella
Tratto da: Il blog degli amici di Papa Ratzinger

Il valore culturale misconosciuto delle grandi ricorrenze cristiane dans Libri monsrinofisichella

Non è senza una vena di amarezza che si leggono le belle pagine di quest’ultimo libro di Mimmo Muolo. Essa sorge, lentamente ma inesorabilmente, dall’analisi che compie. Le feste scippate pone dinanzi a una situazione culturale che provoca a prendere una decisione e a fare una scelta. Non si può affrontare questo tema senza fare qualcosa per restituire alla festa il suo valore originario. Non è questione di nostalgia per il passato. Al contrario. È condizione per poter avere un futuro. Ciò che emerge da queste pagine è un lento ma inesorabile movimento che tende all’oblio del sacro per imporre una visione neopagana. Non si sa cosa emergerà seguendo questa onda. Ciò che è certo, invece, è la disintegrazione di un’identità personale e sociale, radicata su un fondamento culturale che è stato plasmato dalla fede. Chi vuole seguire questo movimento di estraniazione è libero di farlo, ma deve sapere a cosa va incontro. L’oblio per il valore sacro della festa viene sostituito solo dal puro divertimento imposto dal consumo. La sproporzione è troppa per poter essere accettata in maniera passiva e indolore. Alla memoria di eventi che hanno segnato la vita di intere generazioni, creando storia, si contrappone ora l’arroganza e la furbizia di chi sa vendere meglio il prodotto per il proprio guadagno. Poco, troppo poco per consentire che vada perduta l’originalità della cultura.
Quanto Mimmo Muolo descrive non è fantasia. Purtroppo, è la vicenda di questi ultimi decenni. Io stesso ne ho fatta esperienza. Alcuni anni fa, nel mese di dicembre, mi trovavo a New York. Durante una sosta dagli impegni, passeggiai fino a Washington Square. Incuriosito da un vasetto di miele bianco, entrai nel negozio. Pagando alla cassa, la signora con molta gentilezza mi chiese se volevo fare un’offerta per un’iniziativa che veniva da loro sponsorizzata. Le chiesi se il denaro sarebbe andato realmente a buon fine e, ricevuta la sua assicurazione, lasciai il resto. Nel salutarla le dissi volutamente: «Merry Christmas». Lei mi rispose: «Happy holidays». La guardai con un sorriso e rincarai la dose: «Sa, io sono italiano: Merry Christmas». Di nuovo, sempre con tanta gentilezza, mi rispose: «Happy holidays». Allora le chiesi per quale motivo ci fossero le vacanze. La risposta fu: «Perché è Natale». «Bene, allora perché non dice anche lei “Merry Christmas?”», ripresi io con un accenno polemico. La signora, allora, mi prese le mani e tenendole strette mi sussurrò a bassa voce: «Non possiamo più dirlo». Un caso isolato? Non credo. Sfido a trovare in New York biglietti natalizi augurali con la scritta «Merry Christmas»!
Leggere queste pagine mi ha riportato alla mente questo fatto che mi ha coinvolto direttamente. Eppure, anche Benedetto XVI, parlando alle autorità civili del Regno Unito nella Westminster Hall il 17 settembre 2010, ha detto testualmente: «Vi sono alcuni che sostengono che la voce della religione andrebbe messa a tacere, o tutt’al più relegata alla sfera puramente privata. Vi sono alcuni che sostengono che la celebrazione pubblica di festività come il Natale andrebbe scoraggiata, secondo la discutibile convinzione che essa potrebbe in qualche modo offendere coloro che appartengono ad altre religioni o a nessuna… Questi sono segni preoccupanti dell’incapacità di tenere nel giusto conto non solo i diritti dei credenti alla libertà di coscienza e di religione, ma anche il ruolo legittimo della religione nella sfera pubblica». Parole molto eloquenti. Mentre, da una parte, descrivono il fenomeno come un fatto molto più vasto di quello che si possa pensare, dall’altra indicano la strada che siamo chiamati a percorrere, perché non vinca il senso di oblio che si vuole imporre sulla memoria.
Abbiamo una grande responsabilità: trasmettere a quanti verranno dopo di noi il grande patrimonio di cultura che abbiamo ricevuto. Privarli di questo tesoro non può essere il frutto di una scelta subita o di un agire inconsapevole. Il senso della festa e il valore impresso dalla fede appartengono a questo patrimonio. Trasmetterlo con coscienza arricchendolo dell’esperienza personale può essere un modo per sentirsi ancora coinvolti nell’uscire dal tunnel di una crisi profonda e creare di nuovo genuina cultura.

(©L’Osservatore Romano 30 gennaio 2013)

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Qualcuno deve venire

Posté par atempodiblog le 29 janvier 2013

Qualcuno deve venire dans Avvento 20tp2f7

«Mi sento indicibilmente solo e so in anticipo
che non avrò neanche un secondo per precipitarmi nell’abisso di luce…
Ma voglio ancora sperare.
Attendo ancora Qualcuno.

Qualcuno di molto povero, molto conosciuto e molto grande.
Qualcuno deve venire,
Qualcuno che io sento galoppare sul fondo degli abissi
deve venire, in modo inaudito»

Léon Bloy

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Tutti si schierino sui principi non negoziabili

Posté par atempodiblog le 29 janvier 2013

Magistrale prolusione di Bagnasco da Gesù alle elezioni: tutti si schierino sui principi non negoziabili
La splendida prolusione di Angelo Bagnasco al Consiglio Permanente della Cei iniziato ieri rimarrà, a mio parere, uno degli interventi più significativi della sua Presidenza.

di Assuntina Morresi – Tempi.it

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La splendida prolusione del Card. Bagnasco al Consiglio Permanente della Cei  iniziato ieri rimarrà, a mio parere, uno degli interventi più significativi  della sua Presidenza. Un testo da leggere, rileggere e meditare in tutti i suoi  tantissimi spunti e suggestioni, nelle riflessioni che propone e nella strada  che indica da percorrere. Nella confusione cupa che il nostro paese sta  attraversando si percepisce nettamente la certezza delle fede cristiana nelle  parole del Cardinale, insieme alla lucidità di un giudizio di cui è evidente  l’origine.

L’inizio è quasi disarmante: “No, non finiremmo mai di parlare di Gesù” e il  Cardinale già immagina che non saranno queste le parole che saranno riprese  dalla stampa, e che il richiamo alla Persona di Cristo potrebbe sembrare ovvio,  e lo dice, per ribadire che “si sappia però che è questo, è Gesù Cristo che noi  vogliamo porgere, il Suo nome far risuonare”.

E proprio per questo scopo – far risuonare il Suo nome – la prolusione  diventa una lunga e interessante lettura del tempo che stiamo attraversando.  Tante le questioni affrontate, nessuna in modo scontato. Dura la denuncia delle  persecuzioni dei cristiani, con la distrazione dell’Occidente che “ proclama sì  i diritti umani ma poi sembra volerli applicare ed esigere con pesi e misure  diversi”, ed è forte l’invito alla “sistematica memoria” dei fratelli  perseguitati. E poi la crisi alimentare e quella economica, e l’importanza del “capitale umano”: la persona sempre al centro, insomma, a partire dalla vita  delle parrocchie, per le quali si raccomanda la cura dei sacramenti, fino al  giudizio sulla situazione sociale e politica del nostro paese.

Nel bel mezzo della campagna elettorale il capo dei vescovi italiani racconta  del “senso di smarrimento”, della “percezione di un paese perennemente  incompiuto”:  espressioni di chi sa ascoltare la sua gente e sa farsi  interprete del suo sentire. E delle prossime elezioni il Cardinale affronta la  questione fondante, quella antropologica, riassumibile nei principi non  negoziabili, ai quali è dedicata quasi l’intera seconda metà della prolusione,  con un rilievo enorme, forse mai così intenso come in questa occasione.

Difficile adattare il testo a piccole convenienze di campagna elettorale: è  detto forte e chiaro che “quando la Chiesa si interessa dell’inizio e della fine  della vita, lo fa anche per salvaguardare il “durante”, perché ciò che le sta a  cuore è tutto l’uomo”, e soprattutto che non “ci si può illudere di  neutralizzare in partenza il dibattito, acquisendo all’interno delle varie  formazioni orientamenti così diversi da annullare potenzialmente le posizioni, o  prevedere al massimo il ricorso pur apprezzabile all’obiezione di coscienza. […] quando si giunge di fronte alla grande porta dei fondamentali dell’umano, non è  possibile il silenzio da parte di alcuno, persone e istituzioni: si è arrivati  al “dunque”. Reticenze e scorciatoie non sono possibili: bisogna dire il volto  che si vuole dare allo Stato”.

Ricorrono nel testo il significato e il valore della famiglia basata sul  matrimonio, senza ombra di retorica, perché “nulla può esserle equiparata”. L’agenda politica deve avere come priorità questi princìpi, basati sulla ragione  e sulla costituzione, che definiscono la radice dell’umano, perché “se la natura  dell’uomo non esiste, allora si può fare tutto, non solo ipotizzare il  matrimonio tra persone dello stesso sesso”. Una lectio magistralis per chi vota  e per chi è votato, in nome della verità della natura umana. Da un pastore al  popolo tutto.

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Speciale presenza di Maria

Posté par atempodiblog le 28 janvier 2013

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“In questa età nostra – come i cristiani sovente hanno avuto occasione di sperimentare e sperimentano ancora – l’Augusta Madre di Dio fa sentire in modo speciale la Sua presenza e il Suo aiuto nelle vicende umane. Quanto più la carità si raffredda, con tanto maggiore premura Essa richiama i suoi figli a sentimenti di pietà, di amore alla virtù e di penitenza per i propri peccati; e mentre si aggrava la minaccia di sciagure che incombono da ogni parte, avvertiamo che Essa, Mediatrice clementissima, implora per noi la Divina Misericordia e ci allontana il meritato castigo delle colpe. Abbiamo cioè una Patrona che può moltissimo presso la Divina Maestà, abbiamo una Madre che con cuore pietosissimo compatisce tutte le sofferenze dei suoi figli. Per tale ragione mette in pericolo la sua salvezza chiunque, sbattuto dalle tempeste di questo mondo, rifiuta di accogliere la Sua mano soccorritrice”.

Beato Giovanni XXIII, radiomessaggio 27 aprile 1959

Tratto da: Rivista Papa Giovanni

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Preghiera per i sofferenti

Posté par atempodiblog le 27 janvier 2013

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Signore, insegnaci a non amare noi stessi,
a non amare soltanto i nostri,
a non amare soltanto quelli che amiamo.
Insegnaci a pensare agli altri
e ad amare in primo luogo quelli che nessuno ama.
Signore,
facci soffrire delle sofferenze altrui,
facci la grazia di capire che, ad ogni istante,
mentre noi viviamo una vita troppo felice,
protetta da Te,
ci sono milioni di esseri umani,
che sono pure tuoi figli e nostri fratelli,
che muoiono di fame,
senza aver meritato di morire di fame,
che muoiono di freddo,
senza aver meritato di morire di freddo.
Signore, abbi pietà
di tutti i poveri del mondo!
Abbi pietà dei lebbrosi,
ai quali Tu così spesso hai sorriso
quand’eri su questa terra,
pietà dei milioni dei lebbrosi
che tendono verso la Tua misericordia
le mani senza vita, le braccia senza mani.
E perdona noi di averli,
per una irragionevole paura, abbandonati.
E non permettere più,
Signore,
che noi viviamo felici da soli.
Facci sentire l’angoscia della miseria universale,
e liberaci da noi stessi.
Così sia.

Raoul Follereau

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Papa: il ricordo dell’Olocausto monito a rispettare la dignità della persona

Posté par atempodiblog le 27 janvier 2013

Papa: il ricordo dell’Olocausto monito a rispettare la dignità della persona
All’Angelus Benedetto XVI parla delle odierne Giornate della memoria, dei malati di lebbra e di intercessione per la pace in Terra santa. Il Vangelo di oggi « ci fa pensare al nostro modo di vivere la domenica: giorno del riposo e della famiglia, ma prima ancora giorno da dedicare al Signore ».
Tratto da: AsiaNews

Papa: il ricordo dell'Olocausto monito a rispettare la dignità della persona dans Articoli di Giornali e News santopadrepapa

Il ricordo dell’Olocausto, celebrato nella odierna Giornata della memoria, « deve rappresentare per tutti un monito costante affinché non si ripetano gli orrori del passato, si superi ogni forma di odio e di razzismo e si promuovano il rispetto e la dignità della persona umana ».

Le « vittime del nazismo » e della « immane tragedia, che colpì così duramente soprattutto il popolo ebraico » sono state evocate da Benedetto XVI in occasione di un Angelus che lo ha visto ricordare anche le odierne Giornate per i malati di lebbra e di intercessione per la pace in Terra santa.

« Si celebra oggi – le parole del Papa – la sessantesima Giornata mondiale dei malati di lebbra. Esprimo la mia vicinanza alle persone che soffrono per questo male e incoraggio i ricercatori, gli operatori sanitari e i volontari, in particolare quanti fanno parte di organizzazioni cattoliche e dell’Associazione
Amici di Raoul Follereau. Invoco per tutti il sostegno spirituale di san Damiano de Veuster e di santa Marianna Cope, che hanno dato la vita per i malati di lebbra. In questa domenica ricorre anche una speciale Giornata di intercessione per la pace in Terra Santa. Ringrazio quanti la promuovono in molte parti del mondo e saluto in particolare quelli qui presenti ».

Pace, quella « che viene da Dio », anche nelle parole dei due ragazzi dell’Azione Cattolica della diocesi di Roma che, accanto al Papa, hanno letto il messaggio della loro « Carovana della Pace », seguito dal tradizionale lancio di due colombe.

Un invito a « pensare al nostro modo di vivere la domenica » è stato invece al centro della riflessione del Papa prima della recita della  preghiera mariana. Rivolgendosi alle 30mila persone presenti in piazza san Pietro, Benedetto XVI ha commentato, come di consueto, il Vangelo del giorno,  che questa domenica ci presenta anche Gesù che in sinagoga « si alzò a leggere e trovò un passo del profeta Isaia che inizia così: «Lo Spirito del Signore Dio è su di me, / perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; / mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri» (61,1-2) ». E « Gesù, terminata la lettura, in un silenzio carico di attenzione, disse: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» ».

« Questo brano – ha commentato – interpella «oggi» anche noi. Anzitutto ci fa pensare al nostro modo di vivere la domenica: giorno del riposo e della famiglia, ma prima ancora giorno da dedicare al Signore, partecipando all’Eucaristia, nella quale ci nutriamo del Corpo e Sangue di Cristo e della sua Parola di vita. In secondo luogo, nel nostro tempo dispersivo e distratto, questo Vangelo ci invita ad interrogarci sulla nostra capacità di ascolto. Prima di poter parlare di Dio e con Dio, occorre ascoltarlo, e la liturgia della Chiesa è la « scuola » di questo ascolto del Signore che ci parla. Infine, ci dice che ogni momento può diventare un «oggi» propizio per la nostra conversione.
Ogni giorno (kathēmeran) può diventare l’oggi salvifico, perché la salvezza è storia che continua per la Chiesa e per ciascun discepolo di Cristo. Questo è il senso cristiano del «carpe diem»: cogli l’oggi in cui Dio ti chiama per donarti la salvezza! ».

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«Nel mondo c’è posto per tutti»

Posté par atempodiblog le 27 janvier 2013

Leandro Aletti, ginecologo che ha lavorato soprattutto in Mangiagalli a Milano, è noto alle cronache per le battaglie contro l’aborto e per le denuncie fatte e ricevute nel corso del suo impegno. Durante l’intervista il rischio di aver in mente un articolo “già fatto” in cui far rientrare le parole dell’intervistato è fortissimo: farsi raccontare tutti i fatti, le ingiustizie e spiegare tutte le sue motivazioni. Ma per fortuna la verità è più forte di tutti i pezzi già scritti in testa e Leandro Aletti racconta solo alcuni fatti che hanno segnato la sua storia, per il resto “lascia la scena” a Cristo, vero fondamento.
di Benedetta Consonni – La nuova Bussola Quotidiana

«Nel mondo c'è posto per tutti» dans Aborto neonatipostopertutti

“Il 28 dicembre 1936 il Cardinal Schuster consacrò l’altare della Chiesa di San Giuseppe in Policlinico ai Santissimi Innocenti – racconta Aletti – Sempre il 28 dicembre, ma del 1988, dalle pagine del quotidiano Avvenire, io e il collega Luigi Frigerio abbiamo denunciato la pratica di un aborto terapeutico al quinto mese di gravidanza all’interno della clinica Mangiagalli. La bambina aveva un’anomalia fetale, un cromosoma in più, che significa che rischiava di nascere sterile. La bambina era normalissima». Una denuncia a cui seguirono diverse tribolazioni per il medico Aletti, che però non si sofferma su questo, ma va dritto al punto. «Fino a quando avrò fiato non mi interessa giustificarmi perché chi mi giustifica è un Altro. Il punto è il fondamento da porre, cioè Gesù Cristo, se non avessi fatto questo, avrei passato il mio tempo a giustificarmi» dice il ginecologo, che ha potuto contare il genetista e servo di Dio Jérôme Lejeune tra i suoi difensori.

Gli scappa solo un anedotto. “Ad un processo mi è stata fatta questa domanda per inquadrare la mia personalità: lei in che cosa crede? Io ho risposto una cosa molto semplice: mettete a verbale il Credo della Chiesa Cattolica, che io dico tutte le domeniche, per intero per favore. Allora si alzò il presidente dicendo che la domanda non era pertinente, perciò agli atti del processo non figurò mai questa domanda. Fui assolto”.

Leandro Aletti ha 8 figli e 8 nipoti, forse l’obiettivo ricercato da chi ama tanto la vita, eppure racconta Aletti: “Io non volevo niente. Semplicemente quando uno si sposa, si esprime con il corpo che ha e se tu dici a una donna che la ami, lo esprimi anche con il tuo corpo. Non c’è da censurare nulla. Oggi si fa la censura con la pillola contraccettiva. La mentalità è ormai questa, poi si può sbagliare anche 120.000 volte e non sta a me giudicarlo, però non posso non dire che la strada è un’altra”. Infatti Aletti è un ginecologo obiettore di coscienza. “La storia dell’obiezione di coscienza è molto semplice, – spiega – tutti gli uomini sono nati da una donna e tutti sono passati da un organo che si chiama utero, anche quelli nati con l’embryo transfer, ovvero la fertilizzazione artificiale. Nel Te Deum si canta: Non horruisti uterum virginis, che significa: non hai avuto orrore di passare attraverso l’utero di una donna. Questo ginecologicamente è interessantissimo, perché significa che attraverso Gesù, che è vero Dio e vero uomo, l’infinito è entrato nel ventre di una donna”. Una visione che lascia trasparire tutta la sacralità, dolcezza e mistero della maternità. Continua Aletti: “Se tu guardi bene tutti in faccia, a qualsiasi latitudine e longitudine, sai che tutti hanno una mamma. Di tutti questi uomini, nessuno ha chiesto il permesso di venire al mondo, me compreso. Soltanto Uno ha chiesto il permesso di venire al mondo e che cos’è successo? Che l’Angelo del Signore portò l’annuncio a Maria. E quella donna di 15 anni è stata messa in cima al Duomo di Milano e io lo dico ai miei figli e a tutti quelli che incontro che quella è la mia mamma. Questo lo dico abbassando il capo, perché non sono degno di guardare quella donna e mi debbo convertire”.

La Madonna è un modello di accoglienza per tutte le mamme, anche per quelle per cui la gravidanza costituisce un momento di prova. «Il problema è che la diagnostica prenatale – spiega Aletti – tesa ad individuare embrioni malformati da sopprimere con aborto selettivo è razzismo, mentre al mondo c’è posto per tutti, sani e non sani. Tutti quelli che sono venuti al mondo hanno una mamma e quindi il punto qual è? L’accoglienza, di cui la Madonna è il paradigma». Maria, che con il suo sì ha detto sì alla vita. «Quando non accogli ti schieri con la morte e purtroppo una donna che non dice sì alla vita vivrà un tormento per tutta la vita. Le donne vanno aiutate e non lasciate sole». Continua Aletti: “In Italia con la legge 194 sono stati fatti 6 milioni di aborti: per avere questo dato basta prendere i dati della relazione annuale al Parlamento del Ministero della Salute e sommare tutti gli aborti da quando esiste la legge. Questi 6 milioni di persone che mancano hanno una notevole ripercussione economica: significa che in Italia manca una generazione e mezza e il mercato è fermo perché manca l’utenza. Madre Teresa di Calcutta, quando ritirò il premio Nobel per la pace disse: l’aborto creerà più danni della bomba atomica”.

Due incontri speciali hanno segnato la vita di Aletti, con Arturo e con Leandro, due bimbi morti subito dopo la nascita, di cui il ginecologo ci racconta la storia per far sapere a tutti che esistono anche Arturo e Leandro. “Erano le due di notte – ricorda Aletti – ed è nato un bambino alla quindicesima settimana, che sai benissimo che muore, anzi è campato 10 minuti di orologio l’Arturo. Ho chiesto alla mamma: lo vogliamo battezzare? La mamma mi ha detto di si. Signora possiamo chiamarlo Arturo? Bene, io ho battezzato l’Arturo, non lo so perché proprio Arturo. Se avessi chiamato il cappellano sarebbe morto prima del suo arrivo. Un collega, che passava di lì, mi dileggia e mi dice: Aletti non buttare l’acqua su quel bambino, cosa fai? Io gli ho risposto: l’Arturo è campato 10 minuti, ha cercato di fare un vagito appena, ma l’ho battezzato perché riconosco che l’Arturo come me (e l’ho chiesto anche alla mamma naturalmente) è chiamato allo stesso destino mio”.

Al secondo incontro speciale invece Aletti dà il suo nome, Leandro. “Leandro è nato al quinto mese ed è ricoverato in una struttura di cui io ero il direttore. Il medico che lo ha ricoverato giustamente ha scritto aborto inevitabile. La situazione purtroppo era così. Il medico ha fatto notare questo alla madre, che ha disconosciuto il figlio, cioè non lo ha voluto perché era un aborto. Non le interessava la sepoltura. Quindi questo bambino è completamente abbandonato. I medici non sapevano cosa fare e lo avevano messo in un bidoncino. Quando sono arrivato mi hanno fatto presente la situazione. Io mi sono fatto portare dell’acqua e ho detto: come potete vedere questo è un uomo. Leandro io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Leandro è campato un giorno. E’ stato messo in una piccola culletta, dove ogni tanto qualcuno andava a bagnargli le labbra. E’ morto la sera stessa”.

Due storie apparentemente tristi, ma che sono storie di vita, anche se dura soltanto dieci minuti. “Siamo rimasti in tre gatti a dire queste cose, ma non importa, io sono felice. Non è questione di coraggio, io non ho nessun coraggio e non sono un eroe, lo scriva, anzi davanti a queste questioni è meglio mettersi in ginocchio e farci aiutare dalla Madonna” conclude Aletti. E così mi capita di terminare un’intervista coma mai avevo fatto prima. Aletti mi dice: preghiamo. Fa il segno della croce e diciamo insieme un’Ave Maria alla Madonna, nelle cui mani ricolme di grazie affido l’intervista che ho appena raccolto.

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Entrare in rapporto con Qualcuno che ci ascolta

Posté par atempodiblog le 27 janvier 2013

Entrare in rapporto con Qualcuno che ci ascolta dans Citazioni, frasi e pensieri jeanguitton

“Credere in Dio significa credere in un essere inintelligibile ma di cui si conosce la capacità di ascolto. Ecco cosa significa inginocchiarsi. Quando, la sera, non ci s’inginocchia più per recitare le preghiere, non si crede più in Dio. In altre parole, credere in Dio è entrare in rapporto con Qualcuno che ci ascolta”.

Jean Guitton

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Quel Primato riconosciuto

Posté par atempodiblog le 27 janvier 2013

Nell’antichità, il vescovo della Chiesa di Roma era riconosciuto capo della Chiesa anche dalle autorità politiche dell’impero romano. Una ulteriore conferma del ruolo unico ricoperto dal successore di Pietro.
di Marta Sordi- Il Timone

Quel Primato riconosciuto dans Fede, morale e teologia martasordi

Nel periodo della clandestinità, quando la Chiesa, incoraggiata in un certo senso dal conquirendi non sunt di Traiano (Plinio, Ep. X, 97), dal divieto cioè dell’imperatore di cercare i Cristiani, che potevano essere incriminati e processati solo su accuse non anonime, faceva le sue riunioni al riparo della proprietà privata, lo Stato romano sembra non conoscere l’organizzazione gerarchica dei Cristiani, anche se una strana confusione fra Cristo e Pietro nell’attribuzione di una profezia citata da Flegone di Tralles, liberto e portavoce letterario dell’imperatore Adriano, mostra che il nome e l’importanza del capo degli Apostoli erano noti ai pagani.
Ma quando la Chiesa, alla fine del regno di Marco Aurelio o nei primi anni di Commodo, uscì dalla clandestinità, rivendicando la proprietà dei luoghi di culto e di sepoltura, la sua struttura gerarchica, con i vescovi, i presbiteri, i diaconi, cominciò ad essere ben nota e divenne chiara ai pagani la preminenza del vescovo di Roma. Fedele alla mentalità romana secondo cui, dove c’era una moltitudine doveva esserci chi la governava (come ricorda Livio 39,15,11), la classe dirigente della fine del II secolo e degli inizi del III, del periodo cioè della tolleranza di fatto, non sentì un pericolo nell’organizzazione gerarchica della Chiesa, che rendeva possibile allo Stato trattare con dei responsabili, ma nella clandestinità, che i Cristiani, peraltro, non avevano voluto, e che li sottraeva ad ogni controllo.
Organizzati in modo analogo ai collegia religionis causa, per i quali non era necessaria nessuna autorizzazione preventiva, i Cristiani poterono così trattare, attraverso i loro capi, direttamente con l’impero: così Ippolito (Philos. IX,12) ricorda che papa Vittore ottenne da Commodo, tramite l’intercessione di Marcia, la grazia per i Cristiani deportati in Sardegna; così Alessandro Severo attribuì alla Chiesa di Roma (Storia Augusta, Vita Alex. 49,6) un’area contesa ad essa dal collegio dei popinarii (tavernieri); così il legato d’Arabia, sotto Caracalla, per ottenere la venuta presso di sé di Origene, allora molto celebre, chiese il permesso al prefetto di Egitto e al vescovo di Alessandria.
Quando, al termine della lunga tolleranza di fatto, Decio volle riprendere l’iniziativa della persecuzione, il primo ad essere colpito fra i Cristiani fu il vescovo di Roma, Fabiano, nel gennaio del 250: Cipriano (Ep. 55), vescovo di Cartagine, ci informa che lo stesso Decio impedì la rielezione del suo successore fino al 251, perché temeva di più un vescovo a Roma che un pretendente nell’impero.
La piena conoscenza dell’organizzazione ecclesiastica emerge con chiarezza dagli editti di Valeriano nella grande persecuzione degli anni 257-260, cosicché, quando Gallieno, nel 260, volle porre fine ad essa, non si limitò più alla tolleranza di fatto, ma dette alla Chiesa come istituzione un pieno riconoscimento giuridico, restituendole i luoghi di culto e di sepoltura precedentemente confiscati: se l’editto generale di Gallieno è per noi perduto, abbiamo però il rescritto con cui egli scrisse personalmente al vescovo di Alessandria, Dionigi, nel 262, per estendere anche all’Egitto, rimasto fino ad allora sotto un usurpatore, le concessioni già fatte nel resto dell’impero (Eusebio, Storia ecclesiastica, VII, 13). Sul riconoscimento della Chiesa con la sua struttura gerarchica da parte di Gallieno è fondato l’arbitrato di Aureliano del 272 (Eusebio, ibid., VII, 30,19), che io ritengo particolarmente importante per la conoscenza del primato del vescovo di Roma da parte dei pagani prima di Costantino: nella secessione di Zenobia regina di Palmira, a cui Aureliano pose fine, la “casa della Chiesa di Antiochia” era stata occupata dal vescovo Paolo di Samosata, già condannato da un sinodo asiatico, sia per l’eresia della sua dottrina, sia perché era stato ducenarius al servizio della regina. Quando Aureliano entrò in Antiochia, i Cristiani gli chiesero, a nome del sinodo, di far sgombrare Paolo e di restituire al vescovo legittimo, Domno, la “casa della Chiesa” di Antiochia. Aureliano rispose che la “casa” doveva essere data a coloro ai quali “i vescovi di Roma e di Italia epistelloien”.
L’espressione è stata intesa in vari modi: secondo alcuni essa significa “a coloro che erano riconosciuti dai vescovi di Roma e d’Italia”; secondo altri “a coloro a cui l’avevano assegnata i vescovi di Roma e d’Italia”; secondo altri ancora “a coloro che erano designati dai vescovi di Roma e d’Italia”. Chi dà la seconda e la terza interpretazione intende che la scelta doveva essere affidata a vescovi lontani e, quindi, imparziali: ma, a parte il fatto che questa ricerca di imparzialità sembrerebbe fuori luogo da parte di Aureliano, per il quale Paolo di Samosata, partigiano di Zenobia, era un ribelle, e che doveva perciò vedere con favore la richiesta del sinodo asiatico, il significato di epistellein come “essere in comunicazione per iscritto” e, quindi, “essere in comunione”, è confermato dalla stessa lettera sinodale riportata da Eusebio, nella quale, dopo aver deposto Paolo ed eletto Domno, si invitavano il vescovo di Roma e quello di Alessandria a scrivere a lui e a ricevere da lui lettere di comunione e si aggiungeva: “in quanto a Paolo epistèlleto (“scriva”) ad Artemone (alla cui eresia egli si era avvicinato) e quelli che la pensano come Artemone siano in comunione con lui”.
Rinviando la decisione sulla Chiesa di Antiochia al vescovo di Roma, Aureliano prendeva atto dunque della struttura della Chiesa come era stata riconosciuta nel 260 da Gallieno: da buon romano preferiva attenersi al diritto riconosciuto da Roma più che alla convenienza immediata che doveva suggerirgli l’adesione senza rinvii alla richiesta del sinodo asiatico.
L’importanza preminente del vescovo di Roma, che già Cipriano definisce “primato”, appare del resto confermata da un’ironica espressione con cui Tertulliano, ormai montanista, definisce polemicamente tale vescovo: pontifex scilicet maximus, quod est episcopus episcoporum, applicando il termine pagano di “pontefice massimo” al concetto cristiano di “vescovo dei vescovi” (De Pudicizia 1,27).
La pretesa che Tertulliano coglie polemicamente nel vescovo di Roma rivela da parte di quest’ultimo la piena consapevolezza della sua funzione.

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Dio non tenta al male

Posté par atempodiblog le 26 janvier 2013

Dio non tenta al male
di Padre  Livio Fanzaga – Il Falsario, ed. SugarCo

Dio non tenta al male dans Anticristo serpenteantidio

Ti è ormai chiaro che la tentazione ha come grande regista il maligno, il quale opera di nascosto: cerca di indurti al male presentandolo sotto forma di bene. Da parte sua « Dio non può essere tentato dal male e non può tentare nessuno al male » (Gc 1, 13). Come dunque interpretare l’invocazione del Padre nostro: «Non ci indurre in tentazione?». Il termine greco è intraducibile con una sola parola e il suo significato pieno è: «Non permettere di entrare in», «non lasciarci soccombere alla tentazione». Con questa espressione noi quindi preghiamo il Padre celeste « di non lasciarci prendere la strada che porta al peccato » (Catechismo C. C. 2846), ma al contrario di «liberarci» e di «custodirci» dal maligno (Gv 17,15).
Tuttavia Dio non è estraneo alla tentazione. Egli innanzi tutto la permette. Senza la divina permissione satana non potrebbe operare sulla terra. Non solo, ma la divina Sapienza ha stabilito di lasciare una certa libertà di azione al principe delle tenebre anche dopo che è stato detronizzato e « gettato fuori da questo mondo » (Gv 12, 31), permettendogli di avventarsi contro la Donna e contro la sua discendenza (Ap 12, 17).
Perché Dio permette una esperienza che potrebbe vederci soccombenti? Egli lo fa perché si manifesti ciò che vi è nel profondo del nostro cuore e perché cresca l’uomo interiore in vista di una «virtù provata» (Rm 5, 3-5). È nella tentazione che si vede chi sei e quanto vali. È per essa che la grazia diventa merito. È nella lotta che ti confermi nel bene. Dio dunque la permette per un bene maggiore.
Fin dai primi secoli del cristianesimo i Padri della Chiesa avevano idee chiare al riguardo: «Dio non vuole costringere al bene, ma vuole degli esseri liberi… La tentazione ha una sua utilità. Tutti, all’infuori di Dio, ignorano ciò che l’anima nostra ha ricevuto da lui; lo ignoriamo perfino noi. Ma la tentazione lo svela, per insegnarci a conoscere noi stessi e, in tal modo, a scoprire ai nostri occhi la nostra miseria e per obbligarci a rendere grazie per i beni che la tentazione ci ha messo in grado di riconoscere » (Origene, De Oratione 29).
Dio non solo permette ma anche governa la tentazione. Satana non può fare ciò che vuole e in ogni caso non può indurci al male se noi non vogliamo. La Provvidenza divina cura con infinita sapienza e bontà ognianima, creata e redenta dal suo infinito amore. Il quando, il dove e il come di ogni tentazione sono sotto l’occhio paterno di Dio, il quale vigila perché il maligno non prevarichi ed è sollecito nell’accorrere in aiuto alla sua creatura che lo chiama in suo soccorso. Per quanto alcune situazioni siano umanamente spaventose e determinate bufere sataniche sembrino travolgere ogni cosa, non bisogna mai perdere la fiducia in Dio.
Egli permette a volte che vediamo il volto orrendo del male, perché non abbiamo a sottovalutarlo. In alcuni  casi lascia che il drago mostri tutta la sua ferocia, affinché si sveli ai nostri occhi l’orrore spaventoso dell’inferno nel quale potremmo cadere. Satana è sottovalutato e allora Dio permette che nella tentazione mostri tutta la sua ferocia nel cercarci e nel sedurci al fine di divorarci. Tuttavia non dobbiamo mai dimenticare l’esortazione dell’apostolo Paolo: «Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d’uscita e la forza per sopportarla» (1 Cor 10,13).s dans Fede, morale e teologia

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Come un giardino di fiori profumati

Posté par atempodiblog le 26 janvier 2013

Come un giardino di fiori profumati dans Citazioni, frasi e pensieri Santa-Faustina

“La mia vita non è monotona e grigia, ma è variata come un giardino di fiori profumati, dove non so quale fiore cogliere per primo, se il giglio della sofferenza, o la rosa dell’amore del prossimo, o la violetta dell’umiltà”.

Santa Faustina Kowalska

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