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Maria accolta nel Tempio

Posté par atempodiblog le 21 novembre 2012

Maria accolta nel Tempio. Ella, nella sua umiltà, non sapeva di essere la Piena di Sapienza.

Maria accolta nel Tempio dans Maria Valtorta Maria-accolta-nel-Tempio

[30 agosto 1944]
Vedo Maria fra mezzo al padre e alla madre camminare per le vie di Gerusalemme. I passanti si fermano a guardare la bella Bambina, tutta vestita di un bianco di neve e avvolta in un leggerissimo tessuto che per i suoi disegni, a rami e fiori, più opachi fra il tenue dello sfondo, mi pare sia lo stesso che aveva Anna il giorno della sua Purificazione. Soltanto che, mentre ad Anna esso non sorpassava la cintura, a Maria, piccolina, scende fin quasi a terra e l’avvolge in una nuvoletta leggera e lucida di una vaghezza rara. Il biondo dei capelli sciolti sulle spalle, meglio, sulla nuca gentile, traspare là dove non vi è damascatura nel velo, ma unicamente il fondo leggerissimo. Il velo è trattenuto sulla fronte da un nastro di un azzurro pallidissimo, su cui, certamente per opera della mamma, sono ricamati in argento dei piccoli gigli. L’abito, come ho detto, candidissimo, scende fino a terra, e i piedini appena si mostrano nel passo, coi loro sandaletti bianchi. Le manine sembrano due petali di magnolia che escano dalla lunga manica. Tolto il cerchio azzurro del nastro, non vi è altro punto di colore. Tutto è bianco. Maria pare vestita di neve. Gioacchino ed Anna sono vestiti, lui con lo stesso abito della Purificazione, e Anna invece di viola scurissimo. Anche il mantello, che le copre anche il capo, è viola scuro. Ella se lo tiene molto calato sugli occhi. Due poveri occhi di mamma, rossi di pianto, che non vorrebbero piangere e non vorrebbero, soprattutto, esser visti piangere, ma che non possono non piangere sotto la protezione del manto. Protezione che serve per i passanti, e anche per Gioacchino, che del resto ha il suo occhio, sempre sereno, oggi arrossato e opaco di lacrime già scese e ancora scendenti, e che va molto curvo sotto il suo velo messo a quasi turbante, con le ali laterali che scendono lungo il viso. Un vecchio affatto, ora, Gioacchino. Chi lo vede deve pensarlo nonno e forse bisnonno della piccolina che egli ha per mano. La pena di perderla dà al povero padre un passo strascicante, una lassezza di tutto il portamento che lo invecchia di un vent’anni, e il viso pare quello di un malato oltre che vecchio, tanto è stanco e triste, con la bocca che ha un lieve tremito fra le due rughe, che sono così marcate oggi, ai lati del naso. Cercano i due di celare il pianto. Ma, se possono farlo per molti, non lo possono per Maria, che per la sua statura li vede dal basso in alto e, alzando il piccolo capo, guarda alternativamente il padre e la madre. Ed essi si sforzano di sorriderle con la bocca che trema, e aumentano la stretta della loro mano sulla manina minuta ogni volta che la loro figliolina li guarda e sorride. Devono pensare: «Ecco. Un’altra volta di meno da vedere questo sorriso». Vanno piano. A rilento. Pare vogliano protrarre il più a lungo il loro cammino. Tutto serve a fermarsi… Ma una strada deve pur finire! E questa sta per finire. Ecco là, in cima a questo ultimo pezzo di strada che sale, le mura di cinta del Tempio. Anna ha un gemito e stringe più forte la manina di Maria. «Anna, cara, io sono con te!» dice una voce, uscendo dall’ombra di un basso arco gettato su un incrocio di strade. E’ Elisabetta, che certo era in attesa, la raggiunge e stringe al cuore. E, posto che Anna piange, le dice: «Vieni, vieni in questa casa amica per un poco. Poi andremo insieme. Vi è anche Zaccaria. Entrano tutti in una stanza bassa e scura, in cui è lume un vasto fuoco. La padrona, certo amica di Elisabetta, ma estranea ad Anna, cortesemente si ritira lasciando liberi i sopraggiunti. «Non credere che io sia pentita, o che dia con mala volontà il mio tesoro al Signore» spiega Anna fra le lacrime… «ma è che il cuore… oh! il mio cuore come duole, il mio vecchio cuore che torna nella sua solitudine di senza figli!… Se sentissi…» «Lo capisco, Anna mia… Ma tu sei buona e Dio ti conforterà nella tua solitudine. Maria pregherà per la pace della sua mamma. Non è vero?». Maria carezza le mani materne e le bacia, se le passa sul viso per esserne carezzata, e Anna serra fra le sue quel visino e lo bacia, lo bacia. Non si sazia di baciare. Entra Zaccaria e saluta: «Ai giusti la pace del Signore». «Sì» dice Gioacchino, «supplicaci pace, perché le nostre viscere tremano nell’offerta come quelle di padre Abramo mentre saliva il monte, e noi non troveremo altra offerta per riscattare questa. Né lo vorremmo fare, perché siamo fedeli a Dio. Ma soffriamo, Zaccaria. Sacerdote di Dio, comprendici e non ti scandalizzare di noi». «Mai. Anzi, il vostro dolore, che sa non soverchiare il lecito e portarvi all’infedeltà, mi è scuola nell’amare l’Altissimo. Ma fatevi cuore. Anna profetessa avrà molta cura di questo fiore di Davide e Aronne. In questo momento è l’unico giglio della sua stirpe santa che Davide abbia nel Tempio, e sarà curato come perla regale. Per quanto i tempi volgano al termine e dovrebbe esser cura delle madri della stirpe di consacrare le figlie al Tempio, poiché da una vergine di Davide uscirà il Messia, pure, per rilassamento di fede, i posti delle vergini sono vuoti. Troppo poche nel Tempio, e di questa stirpe regale nessuna, dopo che ne uscì sposa, or sono tre anni, Sara di Eliseo. Vero che ancora sei lustri mancano al termine, ma… Ebbene, speriamo che Maria sia la prima di molte vergini di Davide davanti al Sacro Velo. E poi… chissà…». Zaccaria non dice altro. Ma guarda pensoso Maria. Poi riprende: «Io pure veglierò su Lei. Sono sacerdote ed ho il mio potere là dentro. Lo userò per quest’angelo. E Elisabetta verrà sovente a trovarla…». «Oh! di certo! Io ho tanto bisogno di Dio e verrò a dirlo a questa Bambina, perché lo dica all’Eterno». Anna si è rinfrancata. Elisabetta, per sollevarla più ancora, chiede: «Non è il tuo velo di sposa questo? Oppure hai filato del nuovo bisso?». «E’ quello. Lo consacro con Essa al Signore. Non ho più occhi… E anche le ricchezze sono molto scemate per tasse e sventure… Non mi era lecito fare gravi spese. Ho provveduto solo ad un ricco corredo per il suo tempo nella Casa di Dio e per poi… perché penso che non sarò io quella che la vestirà per le nozze… e voglio sia sempre la mano di sua mamma, anche se fredda e immota, che la para alle nozze e le fila i lini e le vesti da sposa». Oh! perché pensare così?!». «Sono vecchia, cugina. Mai come sotto questo dolore me lo sento. L’ultime forze della mia vita le ho date a questo fiore, per portarlo e nutrirlo, ed ora… ed ora.. – sulle estreme soffia il dolore di perderlo e le disperde». Non dire così, per Gioacchino». «Hai ragione. Vedrò di vivere per il mio uomo». Gioacchino ha fatto mostra di non sentire, intento ad ascoltare Zaccaria, ma ha udito e sospira forte con gli occhi lucidi di pianto. «Siamo a mezzo fra terza e sesta. Credo sarebbe bene andare» dice Zaccaria. Si alzano tutti per rimettersi i mantelli e andare. Ma, prima di uscire, Maria si inginocchia sulla soglia a braccia aperte: un piccolo cherubino implorante. «Padre! Madre! La vostra benedizione!». Non piange, la piccola forte. Ma le labbruzze tremano e la voce, spezzata da un interno singulto, ha più che mai il trepido gemito della tortorina. Il visetto è più pallido e l’occhio ha quello sguardo di rassegnata angoscia che, più forte sino a divenire inguardabile senza soffrirne profondamente, le vedrò sul Calvario e nel Sepolcro. I genitori la benedicono e la baciano. Una, due, dieci volte. Non se ne sanno saziare… Elisabetta piange silenziosamente e Zaccaria, per quanto voglia non mostrarlo, è commosso. Escono. Maria fra il padre e la madre, come prima. Davanti, Zaccaria e la moglie. Eccoli dentro le mura del Tempio. «Vado dal Sommo Sacerdote. Voi salite sino alla grande terrazza. Valicano tre cortili e tre atri sovrapposti. Eccoli ai piedi del vasto cubo di marmo incoronato d’oro. Ogni cupola, convessa come una mezza arancia enorme, sfolgora al sole che ora, sul mezzodì, cade a perpendicolo sul vasto cortile che circonda il fabbricato solenne, ed empie il vasto piazzale e l’ampia scalinata che conduce al Tempio. Solo il portico che fronteggia la scalinata, lungo la facciata, è in ombra, e la porta altissima di bronzo e oro è ancor più scura e solenne in tanta luce. Maria pare ancor più di neve fra il gran sole. Eccola ai piedi della scalinata. Fra padre e madre. Come deve battere il cuore a quei tre! Elisabetta è a fianco di Anna, ma un poco indietro, di un mezzo passo. Uno squillo di trombe argentine e la porta gira sui cardini, che pare diano suono di cetra nel girare sulle sfere di bronzo. Appare l’interno con le sue lampade nel profondo, ed un corteo viene dall’interno verso l’esterno. Un pomposo corteo fra suoni di trombe argentee, nuvole d’incenso e luci. Eccolo sulla soglia. Davanti, colui che deve essere il Sommo Sacerdote. Un vecchio solenne, vestito di lino finissimo, e sul lino una più corta tunica pure di lino, e su questa una specie di pianeta, qualcosa fra la pianeta e la veste dei diaconi, multicolore: porpora e oro, violaceo e bianco vi si alternano e brillano come gemme al sole; due gemme vere brillano su esso ancor più vivamente al sommo delle spalle. Forse sono fibbie con il loro castone prezioso. Sul petto, una larga placca splendente di gemme, sostenuta da una catena d’oro. E pendagli e ornamenti splendono alla base della tunica corta, e oro splende sulla fronte al disopra del copricapo, che mi ricorda quello dei preti ortodossi, la loro mitra fatta a cupola anziché a punta come quella cattolica. Il solenne personaggio viene avanti, da solo, sino al principio della scalinata, nell’oro del sole che lo fa ancora più splendido. Gli altri attendono stesi a corona fuor dalla porta, sotto il portico ombroso. A sinistra è un gruppo candido di fanciulle con Anna profetessa e altre anziane, certo maestre. Il Sommo Sacerdote guarda la Piccola e sorride. Le deve parere ben piccina ai piedi di quella scalinata degna di un tempio egizio! Alza le braccia al cielo in una preghiera. Tutti curvano il capo, come annichiliti davanti alla maestà sacerdotale in comunione con la Maestà eterna. Poi, ecco. Un cenno a Maria. E Lei si stacca dalla madre e dal padre e sale, come affascinata sale. E sorride. Sorride all’ombra del Tempio, là dove scende il Velo prezioso… E’ in alto della scalinata, ai piedi del Sommo Sacerdote che le impone le mani sul capo. La vittima è accettata. Quale ostia più pura aveva mai avuto il Tempio? Poi si volge e, tenendole la mano sulla spalla come a condurla all’ara, l’Agnellina senza macchia, la conduce presso la porta del Tempio. Prima di farla entrare chiede: «Maria di David, sai il tuo voto?». Al «sì» argentino, che gli risponde, egli grida: «Entra, allora. Cammina in mia presenza e sii perfetta». E Maria entra e l’ombra l’inghiotte, e lo stuolo delle vergini e delle maestre, poi quello dei leviti, sempre più la nascondono, la separano… Non c’è più… Ora anche la porta gira sui suoi cardini armoniosi. Uno spiraglio sempre più stretto permette vedere il corteo che inoltra verso il Santo. Ora è proprio un filo. Ora non è più niente. Chiusa. All’ultimo accordo dei sonori cardini risponde un singhiozzo dei due vecchi e un grido unico: «Maria! Figlia!»; e poi due gemiti che si invocano: «Anna!», «Gioacchino! ; e terminano: «Diamo gloria al Signore, che la riceve nella sua Casa e la conduce sulla sua via». E tutto finisce così. Dice Gesù: «Il Sommo Sacerdote aveva detto: “Cammina in mia presenza e sii perfetta”. Il Sommo Sacerdote non sapeva che parlava alla Donna solo a Dio inferiore in perfezione. Ma parlava in nome di Dio e perciò sacro era il suo ordine. Sempre sacro, ma specie alla Ripiena di Sapienza. Maria aveva meritato che la “Sapienza la prevenisse e le si mostrasse per prima”, perché “dal principio del suo giorno Ella aveva vegliato alla sua porta e, desiderando d’istruirsi, per amore, volle esser pura per conseguire l’amore perfetto e meritare d’averla a maestra. Nella sua umiltà non sapeva di possederla da prima d’esser nata e che l’unione con la Sapienza non era che un continuare i divini palpiti del Paradiso. Non poteva immaginare questo. E quando nel silenzio del cuore Dio le diceva parole sublimi, Ella umilmente pensava fossero pensieri di orgoglio, e levando a Dio un cuore innocente supplicava: “Pietà della tua serva, Signore! Oh! veramente che la vera Sapiente, la eterna Vergine, ha avuto un sol pensiero sin dall’alba del suo giorno: “Rivolgere a Dio il suo cuore sin dal mattino della vita e vegliare per il Signore, pregando davanti all’Altissimo”, chiedendo perdono per la debolezza del suo cuore, come la sua umiltà le suggeriva di credere, e non sapeva di anticipare le richieste di perdono per i peccatori, che avrebbe fatto ai piedi della Croce insieme al Figlio morente. “Quando poi il gran Signore lo vorrà, Ella sarà riempita dello Spirito d’intelligenza” e comprenderà allora la sua sublime missione. Per ora non è che una pargola, che nella pace sacra del Tempio allaccia, “riallaccia” sempre più stretti i suoi conversari, i suoi affetti, i suoi ricordi con Dio. Questo è per tutti. Ma per te, piccola Maria, non ha nulla di particolare da dire il tuo Maestro?. “Cammina in mia presenza, sii perciò perfetta”. Modifico lievemente la sacra frase e te la dò per ordine. Perfetta nell’amore, perfetta nella generosità, perfetta nel soffrire. Guarda una volta di più la Mamma. E medita su quello che tanti ignorano, o vogliono ignorare, perché il dolore è materia troppo ostica al loro palato e al loro spirito. Il dolore. Maria lo ha avuto dalle prime ore della vita. Esser perfetta come Ella era, era possedere anche una perfetta sensibilità. Perciò più acuto doveva esserle il sacrificio. Ma per questo più meritorio. Chi possiede purezza possiede amore, chi possiede amore possiede sapienza, chi possiede sapienza possiede generosità ed eroismo, perché sa il perché per cui si sacrifica. In alto il tuo spirito anche se la croce ti curva, ti spezza, ti uccide. Dio è con te».

Tratto da: L’Evangelo come mi è stato rivelato
Opera di Maria Valtorta.

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Parlami al cuore tutto il giorno…

Posté par atempodiblog le 21 novembre 2012

Parlami al cuore tutto il giorno... dans Citazioni, frasi e pensieri Don-Giustino-Maria-della-SS-Trinit-Russolillo-Apostolo-delle-Vocazioni

“Parlami al cuore tutto il giorno, fammi sentire la Tua presenza tutto il giorno, si svolga in me la tua azione santificatrice, tutto il giorno”.

Beato Giustino Maria della Santissima Trinità Russolillo

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Gesù ti ripete: “ti sono rimessi molti peccati perché molto hai amato”

Posté par atempodiblog le 20 novembre 2012

Gesù ti ripete: “ti sono rimessi molti peccati perché molto hai amato” dans Citazioni, frasi e pensieri Padre-Pio-Confessione

«Non hai tu da tempo amato il Signore? Non Lo ami tutt’ora? Non brami di amarLo per sempre? Dunque nessun timore. Anche ammesso tu avessi commesso tutti i peccati di questo mondo, Gesù ti ripete: “ti sono rimessi molti peccati perché molto hai amato”».

San Pio da Pietrelcina

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Radio Maryja è uscita pulita dalle gravi accuse di razzismo

Posté par atempodiblog le 20 novembre 2012

«La verità è estremamente rara su questa terra. C’è anzi motivo di pensare che vi sia del tutto assente. I fenomeni di frenesia mimetica, in effetti, sono per definizione unanimi. Ogni volta che se ne verifica uno, esso persuade tutti i testimoni senza eccezione, trasformando i membri della comunità in accusatori che nulla può scuotere, perché incapaci di percepire la verità».

René Girard, Vedo Satana cadere come una folgore, p. 243

Radio Maryja è uscita pulita dalle gravi accuse di razzismo dans Articoli di Giornali e News radiomaryjapolonia

Per cercare di discriminare Radio Maryja Polska sono state fatte campagne per accusarla di razzismo, antisemistismo, ecc… Tutte queste accuse sono state categoricamente smentite.
Radio Maryja Polonia ha denunciato tutti coloro che hanno fatto accuse nei loro confronti e hanno vinto tutti i processi. Radio Maria polacca è uscita pulita da queste accuse molto gravi e infamanti.
E’ stata un’operazione di persecuzione, un tentativo di eliminare una voce importante nel campo della comunicazione in Polonia. Noi dobbiamo sapere queste cose.
Erano state messe in giro voci, da varie fonti, che Radio Maryja Polonia non godeva dell’appoggio della Chiesa, che aveva alcuni Vescovi contro, ecc… In verità, ci sono dichiarazioni a sostegno del Santo Padre e dichiarazioni esplicite del Card. Tarcisio Bertone, segretario del Santo Padre, e di tutto l’episcopato polacco che sostiene questa battaglia per la libertà di informazione che porta avanti Radio Maryja.
C’è di buono in tutto questo che in Polonia esiste una realtà molto buona e diffusa che favorisce le buone informazioni e che diffonde la Buona Novella tra grandi difficoltà. Non c’è dubbio che i poteri forti cercheranno di contrastarla e di fermarla, ma, alla lunga, a vincere sarà Radio Maria.

Tratto dalla rubrica “L’ottimista” di Radio Maria

Cliccare qui per leggere:  iconarrowti7 Saluto del Card. Tarciso Bertone, segretario del Santo Padre, al pellegrinaggio a Roma di Radio Maryja della Polonia

Cliccare qui per leggere:  iconarrowti7 Saluto del Papa, all’Udinenza Generale del 7 novembre, ai pellegrini della Polonia

Cliccare qui per leggere:  iconarrowti7 Intervista con padre Tadeusz Rydzyk CSsR, fondatore e direttore di Radio Maria polacca

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A bocca aperta davanti al Bambinello

Posté par atempodiblog le 19 novembre 2012

A bocca aperta davanti al Bambinello dans Citazioni, frasi e pensieri Presepe

“Il fiume scorreva placido e lento, lì a due passi, sotto l’argine, ed era anch’esso una poesia: una poesia cominciata quando era cominciato il mondo e che ancora continuava. E per arrotondare e levigare il più piccolo dei miliardi di sassi in fondo all’acqua, c’eran voluti mille anni. E soltanto tra venti generazioni l’acqua avrà levigato un nuovo sassetto. E fra mille anni la gente correrà a seimila chilometri l’ora su macchine a razzo superatomico e per far cosa? Per arrivare in fondo all’anno e rimanere a bocca aperta davanti allo stesso Bambinello di gesso che, una di queste sere, il compagno Peppone ha ripitturato col pennellino”.

Giovannino Guareschi

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Dare conto della speranza che è nei cuori

Posté par atempodiblog le 19 novembre 2012

Dare conto della speranza che è nei cuori dans Fede, morale e teologia 2wfpua1

[...] Oggi – lo sappiamo – non mancano le difficoltà e le prove per la fede, spesso poco compresa, contestata, rifiutata. San Pietro diceva ai suoi cristiani: «Siate sempre pronti a rispondere, ma con dolcezza e rispetto, a chiunque vi chiede conto della speranza che è nei vostri cuori» (1 Pt 3,15).

[...]

Quali risposte, allora è chiamata a dare la fede, con «dolcezza e rispetto», all’ateismo, allo scetticismo, all’indifferenza verso la dimensione verticale, affinché l’uomo del nostro tempo possa continuare ad interrogarsi sull’esistenza di Dio e a percorrere le vie che conducono a Lui? Vorrei accennare ad alcune vie, che derivano sia dalla riflessione naturale, sia dalla stessa forza della fede. Le vorrei molto sinteticamente riassumere in tre parole: il mondo, l’uomo, la fede.

La prima: il mondo. Sant’Agostino, che nella sua vita ha cercato lungamente la Verità ed è stato afferrato dalla Verità, ha una bellissima e celebre pagina, in cui afferma così: «Interroga la bellezza della terra, del mare, dell’aria rarefatta e dovunque espansa; interroga la bellezza del cielo…, interroga tutte queste realtà. Tutte ti risponderanno: guardaci pure e osserva come siamo belle. La loro bellezza è come un loro inno di lode. Ora queste creature così belle, ma pur mutevoli, chi le ha fatte se non uno che è la bellezza in modo immutabile?» (Sermo 241, 2: PL 38, 1134). Penso che dobbiamo recuperare e far recuperare all’uomo d’oggi la capacità di contemplare la creazione, la sua bellezza, la sua struttura. Il mondo non è un magma informe, ma più lo conosciamo e più ne scopriamo i meravigliosi meccanismi, più vediamo un disegno, vediamo che c’è un’intelligenza creatrice. Albert Einstein disse che nelle leggi della natura «si rivela una ragione così superiore che tutta la razionalità del pensiero e degli ordinamenti umani è al confronto un riflesso assolutamente insignificante» (Il Mondo come lo vedo io, Roma 2005). Una prima via, quindi, che conduce alla scoperta di Dio è il contemplare con occhi attenti la creazione.

La seconda parola: l’uomo. Sempre sant’Agostino, poi, ha una celebre frase in cui dice che Dio è più intimo a me di quanto lo sia io a me stesso (cfr Confessioni III, 6, 11). Da qui egli formula l’invito: «Non andare fuori di te, rientra in te stesso: nell’uomo interiore abita la verità» (De vera religione, 39, 72). Questo è un altro aspetto che noi rischiamo di smarrire nel mondo rumoroso e dispersivo in cui viviamo: la capacità di fermarci e di guardare in profondità in noi stessi e leggere quella sete di infinito che portiamo dentro, che ci spinge ad andare oltre e rinvia a Qualcuno che la possa colmare. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma così: «Con la sua apertura alla verità e alla bellezza, con il suo senso del bene morale, con la sua libertà e la voce della coscienza, con la sua aspirazione all’infinito e alla felicità, l’uomo si interroga sull’esistenza di Dio» (n. 33).

La terza parola: la fede. Soprattutto nella realtà del nostro tempo, non dobbiamo dimenticare che una via che conduce alla conoscenza e all’incontro con Dio è la vita della fede. Chi crede è unito a Dio, è aperto alla sua grazia, alla forza della carità. Così la sua esistenza diventa testimonianza non di se stesso, ma del Risorto, e la sua fede non ha timore di mostrarsi nella vita quotidiana, è aperta al dialogo che esprime profonda amicizia per il cammino di ogni uomo, e sa aprire luci di speranza al bisogno di riscatto, di felicità, di futuro. La fede, infatti, è incontro con Dio che parla e opera nella storia e che converte la nostra vita quotidiana, trasformando in noi mentalità, giudizi di valore, scelte e azioni concrete. Non è illusione, fuga dalla realtà, comodo rifugio, sentimentalismo, ma è coinvolgimento di tutta la vita ed è annuncio del Vangelo, Buona Notizia capace di liberare tutto l’uomo. Un cristiano, una comunità che siano operosi e fedeli al progetto di Dio che ci ha amati per primo, costituiscono una via privilegiata per quanti sono nell’indifferenza o nel dubbio circa la sua esistenza e la sua azione. Questo, però, chiede a ciascuno di rendere sempre più trasparente la propria testimonianza di fede, purificando la propria vita perché sia conforme a Cristo. Oggi molti hanno una concezione limitata della fede cristiana, perché la identificano con un mero sistema di credenze e di valori e non tanto con la verità di un Dio rivelatosi nella storia, desideroso di comunicare con l’uomo a tu per tu, in un rapporto d’amore con lui. In realtà, a fondamento di ogni dottrina o valore c’è l’evento dell’incontro tra l’uomo e Dio in Cristo Gesù. Il Cristianesimo, prima che una morale o un’etica, è avvenimento dell’amore, è l’accogliere la persona di Gesù. Per questo, il cristiano e le comunità cristiane devono anzitutto guardare e far guardare a Cristo, vera Via che conduce a Dio.

Benedetto XVI
Udienza Generale, 14/11/2012
Tratto da:Vatican.va

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Novena alla Madonna della Medaglia Miracolosa (da recitarsi dal 18 al 26 novembre)

Posté par atempodiblog le 18 novembre 2012

Novena alla Madonna della Medaglia Miracolosa
Può essere recitata, per le proprie necessità, in qualsiasi periodo dell’anno ed anche utilizzata in preparazione della festa, il 27 novembre, dal 18 al 26 novembre.

Novena alla Madonna della Medaglia Miracolosa (da recitarsi dal 18 al 26 novembre) dans Preghiere Medaglia-Miracolosa

O Vergine Immacolata, Madre di Dio e Madre nostra, con la più viva fiducia nella tua potente intercessione, tante volte manifestata per mezzo della tua Medaglia, umilmente ti supplichiamo di volerci ottenere le grazie che con questa Novena ti chiediamo.

(Breve pausa per formulare in silenzio le proprie richieste)

O Madonna della Medaglia Miracolosa, che sei apparsa a S. Caterina Labouré, nell’atteggiamento di Mediatrice del mondo intero e di ogni anima in particolare, noi mettiamo nelle tue mani e affidiamo al tuo cuore le nostre suppliche. Degnati di presentarle al tuo Divin Figlio ed esaudirle, se esse sono conformi alla Divina Volontà e utili alle anime nostre. E, dopo aver innalzato verso Dio le tue mani supplichevoli, abbassale su di noi e avvolgici coi raggi delle tue grazie, illuminando le nostre menti, purificando i nostri cuori, affinché da te guidati, raggiungiamo un giorno la beata eternità. Amen.

In conclusione, preghiera di San Bernardo da Chiaravalle

Ricordati, o piissima Vergine Maria, che non si è mai sentito dire che alcuno abbia fatto ricorso al tuo patrocinio, implorato il tuo aiuto, chiesto la tua protezione e sia stato abbandonato. Animato da questa fiducia, anch’io ricorro a te o Madre, Vergine delle Vergini, a te vengo e, pentito, mi prostro davanti a te. Non respingere, o Madre del Verbo, la mia supplica, ma ascolta benigna ed esaudiscimi. Amen.

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Papa: internet per evangelizzare lontani, ma attenti a insidie

Posté par atempodiblog le 16 novembre 2012

Papa: internet per evangelizzare lontani, ma attenti a insidie dans Citazioni, frasi e pensieri benedettoxvisuinternet

Internet può aiutare la Chiesa a raggiungere i giovani di oggi.
Lo scrive il Papa nel messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù che si celebrerà a Rio de Janeiro in luglio. Benedetto XVI invita i giovani cattolici ad essere essi stessi i primi missionari per i loro coetanei che incontrano “nel continente digitale”, e li esorta a prpararsi a questo compito leggendo il Catechismo, per conoscere la fede “con la stessa precisione con cui uno specialista di informatica conosce il sistema operativo di un computer”.
In particolare, raccomanda il Pontefice rivolgendosi ai giovani cattolici, “sentitevi impegnati ad introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia la vostra vita”. “A voi, giovani, che quasi spontaneamente vi trovate in sintonia con questi nuovi mezzi di comunicazione, spetta in particolare il compito della evangelizzazione di questo continente digitale”, ribadisce citando il messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2009.
“Sappiate dunque usare con saggezza questo mezzo, considerando anche le insidie che esso contiene, in particolare il rischio della dipendenza, di confondere il mondo reale con quello virtuale, di sostituire l’incontro e il dialogo diretto con le persone con i contatti in rete”.

di Salvatore Izzo – AGI
Tratto da: Il blog degli amici di Papa Ratzinger

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San Giuseppe Moscati

Posté par atempodiblog le 16 novembre 2012

San Giuseppe Moscati

San Giuseppe Moscati dans Francesco Agnoli San-Giuseppe-Moscati

Medico e professore di prim’ordine, dedicò la sua vita ai malati ed ai poveri, consapevole che sovente “la scienza gonfia”, mentre “la carità edifica”.
Riflettendo sul lavoro del medico, nobilissimo ma incapace, in ultima analisi, di sconfiggere la morte corporale, ricordava che il medico non deve solo essere uomo di scienza, ma anche uomo di carità e amore.
Scriveva: “Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo, in alcuni periodi; e solo pochissimi uomini sono passati alla storia per la scienza; ma tutti potranno rimanere imperituri, simbolo dell’eternità della vita, in cui la morte non è che una tappa, una metamorfosi per un più alto ascenso, se si dedicheranno al bene”.

di Francesco Agnoli

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I più importanti Santuari mariani della Regione Campania

Posté par atempodiblog le 16 novembre 2012

Italia terra di Maria
I più importanti Santuari mariani della Regione Campania

La religiosità mariana popolare della “Campania felix”
Tratto dal: mensile mariano Madre di Dio – Ed. San Paolo

 I più importanti Santuari mariani della Regione Campania dans Apparizioni mariane e santuari reginanapoliatempodiblo

Già i Romani avevano constatato la particolare fertilità di questa terra, battezzandola Campania felix, cioè ‘fortunata e ridente’.
La Campania è celebre nel mondo soprattutto per la sua bellezza naturale e per il fascino della sua storia: il Golfo di Napoli e la Costiera Amalfitana, la Penisola Sorrentina e le Isole partenopee [Ischia, Capri, Procida], il Golfo di Salerno, il Cilento della “Magna Grecia”, il Beneventano e l’Irpinia: sono luoghi unici al mondo, ricchi di bellezze naturali, di storia e di cultura, d’arte e di religiosità.
“Si dica o racconti o dipinga quel che si vuole, ma qui ogni attesa è
superata. Queste rive, golfi, insenature, il Vesuvio…” – scriveva Goethe nel 1787, esprimendo le sue impressioni sul Golfo di Napoli, ma pensando soprattutto all’incredibile concentrato di storia, arte, mitologia, tradizioni e sapori racchiusi nella sua area.
Fastosità barocche si ergono accanto a realtà più semplici, nello spirito di attaccamento a un passato che ha saputo creare capolavori che tutto il mondo ci invidia: dall’artigianato di tradizione antica [si pensi per tutti al “Presepio napoletano” o alle “ceramiche di Capodimonte”] alla creatività teatrale e musicale partenopea che ancora vive con grande passione e scrupolo perpetuato.
Ma la ricchezza più grande di Napoli [e dell’intera Regione campana sta soprattutto nella profondissima umanità di questa gente; né vale qualche “accidentale” retaggio storico di matrice camorristica a renderci meno simpatici i Napoletani.

santuariomadonnapompei dans Beato Bartolo Longo
L’armonioso Santuario della Madonna di Pompei.

 La Madonna e i Santi, “parenti stretti” dei Napoletani
Titoliamo – un po’ provocatoriamente – questo capitoletto: La Madonna e i Santi, “parenti stretti” dei Napoletani. E, in effetti, la religiosità del
popolo della Campania in genere, e dei Napoletani in specie, può suscitare reazioni diverse; ma una cosa è certa: anche se non sempre essa è in linea con la liturgia ufficiale, non si può prescindere dalla sua anima popolare e familiare, se si vuole capire la fisionomia di questa Regione.
Il culto della Vergine qui è sempre stato in primissimo piano, e questo con assoluta continuità storica lungo i secoli.
Il Cristianesimo in Campania risale alle origini stesse della Chiesa, per cui i Santuari mariani sorti prima dell’anno Mille sono relativamente numerosi [almeno una decina]. Una menzione particolare meritano la chiesa paleocristiana dell’Annunziata di Prata [Caserta], del 500 d. Cr., e “Santa Maria della Lobra” [da delubrum, tempio] di Massalubrense [Napoli], sorta in epoca imprecisata su un preesistente luogo di culto pagano.
Intorno al Mille, la Regione campana ha beneficiato dell’opera dei Benedettini che, dalla vicina Montecassino e dall’Abbazia di Cava dei Tirreni, hanno costellato questi luoghi di Badie e di Eremitaggi, molti dei quali con titolo mariano: il più noto è “Materdomini” di Nocera Superiore [Salerno], il principale Santuario mariano della Regione nell’alto Medioevo.
Poi fu la volta del Santuario di Montevergine, sopra Avellino [fondato nel 1124], che divenne ben presto addirittura il principale Santuario mariano d’Italia.
Successivamente sorgono sempre più numerosi Santuari, per lo più per iniziativa di privati e per devozione popolare. Il caso più eclatante sarà proprio quello del Beato Bartolo Longo, fondatore del Santuario di Pompei [nell’ultimo quarto del sec. XIX]. La religiosità dei Napoletani – che nei Santuari trova il suo campo privilegiato di espressione – merita un cenno a parte. Il Napoletano privilegia da sempre i suoi rapporti personali con la gente, caricandoli di confidenza, di colore, di gesti. E questo egli esprime anche quando tratta con Dio; tanto più quando tratta con la Vergine e con i Santi [… dovrebbe saperne qualcosa San Gennaro!]. Davvero, è il caso di dire: li considera “parenti stretti”.
Importantissime e molto suggestive sono quindi, da queste parti, le feste patronali: basti ricordare il Lunedì di Pasqua alla “Madonna dell’Arco”, con il singolare fenomeno dei “fujenti » che, sostenuti dalle Associazioni delle “paranze”, compiono l’ultimo tratto del pellegrinaggio di corsa.
Tra i principali Santuari mariani della Campania, oltre al Santuario principale della “B. V. del Rosario di Pompei”, ricordiamo particolarmente i seguenti: “Maria SS. del Carmine Maggiore” e “Madonna dell’Arco” a Napoli, “Madre del Buon Consiglio” a Napoli-Capodimonte, “Santa Maria di Montevergine [AV], “Maria SS. Materdomini” di Nocera [SA], “Santa Maria Materdomini » di Caposele [AV], “Maria SS. delle Grazie” a Benevento, “Santa Maria dei Lattani” a Roccamonfina [CS].

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Espressiva immagine della B. V. del Rosario di Pompei, venerata da umili fedeli.

Il Santuario di Pompei dedicato alla B. V. del Rosario
Dire ‘Pompei’ è come nominare il cuore della religiosità mariana popolare della Campania, se non di tutto il Sud d’Italia.Lo splendido Santuario [con il complesso monumentale che lo circonda] è dedicato alla “Beata Vergine del Rosario”; e forse già in questo fatto sta il segreto della numerosa presenza di devoti che tutto l’anno lo frequentano. Si calcolano non meno di 4 milioni di Pellegrini provenienti da ogni parte, e particolarmente da tutto il Meridione.
Ma, ovviamente, giova alla fama di questo luogo di culto mariano più frequentato del Sud d’Italia anche il fatto che esso sorge non lontano dalla zona degli scavi archeologici che hanno riportato alla luce la città sepolta dalle ceneri del Vesuvio nell’Agosto del 79 d.Cr.
La devozione alla “Madonna del Rosario” ebbe qui gli umili inizi il 13 Novembre 1875, quando l’immagine della Vergine fece il suo ingresso su di un carro di letame in un Villaggio di 300 abitanti che, in un secolo, si trasformerà in una Città di 30.000 persone. Ne è stato protagonista Bartolo Longo, dalla cui santa vita la storia del Santuario di Pompei – tra i più famosi della Cristianità – trae le sue origini e il suo sviluppo.
Le cronache del tempo narrano come quest’uomo eccezionale divenne nel 1872 Amministratore delle terre della Contessa Marianna De Fusco [che sarebbe poi diventata sua moglie], e fu colpito e impietosito dalla miseria umana e religiosa dei contadini. Si prodigò in mezzo a loro, insegnando il Catechismo e diffondendo la pratica del Rosario. Nel 1876 iniziò la questua di “un soldo al mese” per dare impulso alla costruzione del Tempio che diverrà ben presto il  grandioso Santuario di Pompei.
I continui prodigi operati dalla Vergine del Rosario, alla cui intercessione ricorrevano fedeli in numero sempre maggiore, diedero progressivamente vita al Santuario; a tal punto che il dipinto seicentesco, attribuito alla scuola di Luca Giordano, raffigurante la Madonna con Bambino in atto di porgere corone di Rosario ai Santi Domenico e Caterina inginocchiati ai suoi piedi, divenne l’immagine per eccellenza della “Madonna del Rosario” diffusa in tutto il mondo.
Il “miracolo Pompei” – che oltre al Santuario annovera una “Cittadella della carità”, formata da un numero prodigioso di istituzione benefiche, in cui
continua a vivere una grande famiglia di oltre mille persone bisognose di tutto – è la testimonianza vivente del fervore religioso e dell’ardore di carità che animano da sempre questo Centro mariano, elevato a Basilica pontificia già da Leone XIII.
In modo particolarmente solenne vi si celebrano le feste dell’8 Maggio e della prima Domenica di Ottobre [mese del Rosario], quando si recita la
“Supplica”, la pia pratica che si ripete contemporaneamente in tutte le Chiese del mondo dove è esposta copia della venerata immagine della B. V. del Rosario di Pompei.

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Solenne celebrazione religiosa nella Chiesa-Santuario del “Carmine Maggiore”, Napoli.


Altri importanti Santuari della Campania
Tra gli altri Santuari mariani della Campania, ricordiamo con ‘note didascaliche’ essenziali alcuni dei più noti.

1 – “Maria SS. del Carmine Maggiore” – Napoli
Antica è la devozione dei Napoletani alla “Madonna del Carmine Maggiore” [detta anche “la Bruna”, dalla sua carnagione scura], raffigurata nella
bella icona bizantina del tipo dell’eleúsa o della tenerezza, che la tradizione vuole provenga dal Monte Carmelo della Terra Santa, dove l’Ordine Carmelitano ebbe origine.
La prima notizia storica della “Chiesa del Carmine” – tra le più note di Napoli – risale al 1268: in tale data i cronisti del tempo tramandarono, infatti, il ricordo della decapitazione di Corradino di Svevia sulla Piazza del Mercato, “di fronte alla Chiesa del Carmine”.
Fra le opere d’arte custodite in questa chiesa c’è un prezioso Crocifisso ligneo del ’300. Superfluo ricordare la solennità con la quale, il 16 Luglio, si
celebra la festa della “Madonna del Carmine”, nel tripudio del grandioso spettacolo pirotecnico che simula l’incendio della chiesa con fuochi d’artificio.

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Particolare di Presepio napoletano – Santuario “Madonna dell’Arco”.

2 – “Madonna dell’Arco” – Napoli
Il Santuario, che gode di straordinaria popolarità, sorge ai piedi del versante Nord del Vesuvio dove, presso un arco dell’acquedotto romano [da qui il nome], era stata edificata un’edicola sulla cui parete era l’immagine della Vergine con Bambino.
La tradizione narra che, il Lunedì di Pasqua del 1450, durante una festa popolare, un giovane che gareggiava nel lancio della palla di legno col maglio,
irato per aver perso la partita, bestemmiando scagliò la boccia contro l’edicola, colpendo la Madonna sulla guancia sinistra. Come fosse di carne, la Vergine cominciò prodigiosamente a sanguinare dove fu colpita. Il popolo si avventò sul sacrilego e stava per linciarlo, quando passò casualmente il Conte di Sarno, Gran Giustiziere del Regno di Napoli, che dissuase la folla e fece liberare il malcapitato. Dopo di che, constatato il miracolo, lo fece processare e impiccare all’albero di tiglio lì vicino che in 24 ore si seccò.
Il volto della Vergine tornò a sanguinare nel Marzo 1638, come fu redatto in un Atto notarile alla presenza del Vicerè di Napoli. Diversi altri prodigi si
ebbero in tempi successivi, puntualmente documentati in tavole votive esposte sulle pareti del Tempio e nella ‘Sala delle offerte’; a tal punto che il
Santuario è diventato famoso per la più grande collezione di ex-voto nel mondo: non meno di seimila, comprese le ‘siringhe’ di ex-drogati che hanno inteso così ringraziare la Madonna per la liberazione dalla loro terribile dipendenza.
Tra la molte festività che vi si celebrano, famosa – e molto originale – è quella dei ‘fujenti’ del Lunedì di Pasqua.

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L’Incoronata del “Buon Consiglio” di Capodimonte, riprodotta sul modello architettonico della Basilica Vaticana.

3 – “Madre del Buon Consiglio” a Capodimonte (Napoli)
La “Madre del Buon Consiglio”, la cui prodigiosa effigie fu incoronata nell’Epifania del 1912, è stata qui oggetto di grande venerazione prima ancora che la mistica Sr. Maria Landi le facesse costruire un tempio in tutto simile alla Basilica Vaticana di San Pietro.
Iniziata nel 1920, l’opera fu portata a compimento soltanto nel 1960, grazie alle contribuzioni e alla prestazione di manodopera gratuita dei Napoletani che, forse anche per questo, lo sentono giustamente come un Santuario tutto loro. Nel 1980 fu proclamato “Santuario mariano diocesano”.

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Suggestiva visione del Santuario e del complesso monastico di Montevergine (Avellino).

4 – “Santa Maria di Montevergine” – Avellino
Nei primi decenni del sec. XII San Guglielmo da Vercelli fece costruire sul massiccio del Monte Partenio, a 1270 mt di altezza, una chiesa “ad onore di
Maria, Madre di Dio e sempre Vergine”
e, accanto a questa, un Cenobio benedettino.

Il Santuario – che assunse via via importanza eccezionale per tutta la Penisola – fu assai frequentato da Pellegrini fin dalla sua fondazione.
Oltre all’intensa vita religiosa che vi si conduce, va ricordato che il complesso monumentale di questo Santuario [con il ricco Museo dell’Abbazia,
l’Archivio con settemila pergamene e la Biblioteca di 150mila volumi] è considerato di grande interesse anche sotto il profilo storico e artistico.

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L’elegante tempietto con l’icona della “Materdomini” nel Santuario di Nocera Superiore (Salerno).

5 – “Maria SS. Materdomini” a Nocera Superiore (Salerno)
Il Santuario è sorto sul luogo del rinvenimento, avvenuto nel 1041, di una icona di origine bizantina che reca le sigle iniziali del titolo “Mater
Domini”
.

La primitiva Chiesa e annessa Abbadia benedettina ebbero grande importanza per oltre due secoli. Ai Benedettini succedettero i Basiliani e, infine, i Padri Minori Francescani che officiano tuttora questo Santuario, che è forse il più antico fra i Santuari mariani della Campania.

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Interno dell’antico Santuario della “Materdomini” di Caposele (Avellino).

6 – “Santa Maria Materdomini” Caposele (Avellino)
Di curioso c’è il fatto che questo Santuario di Caposele, nell’Avellinese [originariamente dedicato alla “Madre del Signore”], è celebre più perché in esso sono custodite le reliquie di San Gerardo Maiella, Santo molto venerato da queste parti, che per la sua identità mariana. Dell’antico Santuario va ricordata soprattutto la bella statua d’Altare della Vergine inginocchiata in atto di preghiera, con le mani giunte e gli occhi rivolti al Cielo.

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Santuario “Nostra Signora delle Grazie” – Benevento.

7 – “Nostra Signora delle Grazie” – Benevento
In questo Santuario si è verificato il caso opposto al precedente: chiesa inizialmente dedicata a San Lorenzo, si è qui progressivamente affermato il
culto alla “Madonna delle Grazie”, fin da quando, nel XV secolo, vi fu portata l’immagine, venerata già dalla seconda metà del VI secolo nella Chiesa di San Luca.
Ma è nel secolo XIX che la vita del Santuario si consolida [Benevento apparteneva allora allo Stato Pontificio]: la nuova grande Basilica, iniziata nel 1839, venne consacrata solo nel 1901. Nell’Anno Mariano 1954, Papa Pio XII proclamò la “Madonna delle Grazie” Patrona e Regina di tutto il Sannio.

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Santuario “Santa Maria dei Lattani” e annesso Convento, a Roccamonfina.

8 – “Santa Maria dei Lattani” a Roccamonfina (Caserta)
Il Santuario e l’annessa Oasi « Regina Mundi » [titolo dato nel 1950 alla Vergine che qui si venera, quando fu incoronata], sorgono sul Monte Lattani, uno
dei tanti crateri del vasto comprensorio vulcanico di Roccamonfina, nel Casertano.
La storia del Santuario inizia verso la fine del sec. XIV, quando un pastore trovò, nascosta in una grotta, una statua della Vergine, detta poi “dei Lattani”.
Pellegrino illustre a questo Santuario fu San Bernardino da Siena che,  volendo qui fondare un Convento per ospitare religiosi addetti al culto della Vergine, al fine di conoscere se questa fosse la volontà di Dio, secondo la  tradizione, piantò in terra il suo bastone di castagno secco, e questo subito germogliò.

 

Cartina topo-geografica dei Santuari della Campania

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I nuovi martiri: viaggio nella “cristianofobia”

Posté par atempodiblog le 16 novembre 2012

I nuovi martiri
Chiese distrutte e scuole chiuse, esodi forzati, condanne a morte: il viaggio globale di un giornalista inglese nella “cristianofobia”. C’è il rischio altissimo che le chiese scompaiano dalle terre bibliche. I numeri sono impressionanti. I cristiani erano il 95% della popolazione mediorientale nel Settimo secolo, il 20% nel 1945, il 6% oggi. Si prevede che nel 2020 si dimezzeranno ancora.
di Giulio Meotti – Il Foglio
Tratto da: Ascolta tua Madre

I nuovi martiri: viaggio nella “cristianofobia” dans Articoli di Giornali e News cristianofobia

“Immaginate la furia indescrivibile che scoppierebbe nel mondo islamico se un governo cristiano a Khartoum fosse responsabile della morte di centinaia di migliaia di musulmani negli ultimi trent’anni. O se terroristi cristiani lanciassero delle bombe sulle moschee in Iraq. O se ragazze musulmane in Indonesia venissero rapite e decapitate sulla strada per andare a scuola, a causa della loro fede. Questi orrori sono impensabili, ovviamente. Ma sono capitati al contrario, con i cristiani vittime dell’aggressione islamista”. Una denuncia che non ti aspetteresti da chi ha ricevuto “il massimo onore al quale si possa aspirare nel campo della critica letteraria”, come Thomas Stearns Eliot aveva definito il fatto di figurare fra i collaboratori del Times Literary Supplement, la rivista inglese in cui sono apparsi via via autori del calibro di Henry James, Edmund White, Aldous Huxley e George Orwell. Eppure Rupert Shortt fa parte di questa piccola cupola di eccelsi, in quanto figura fra i managing editor della celebre rivista. Della “Christianophobia” parla il nuovo libro di Shortt uscito per Random House. Si tratta di un viaggio globale dentro alla persecuzione dei cristiani, “una fede sotto attacco”. Un saggio in dieci capitoli che ci porta fra i cristiani del Maghreb, dell’Africa subsahariana e del medio oriente, dove sono perseguitati, muoiono o scompaiono in una lenta emorragia. Vittime appunto della “cristianofobia”.
Shortt è andato a Jos, in Nigeria, gigantesco patchwork di religioni che ha preso fuoco da un anno; a Karachi, nel profondo Pakistan; fra le chiese protestanti della “moderata” Indonesia, ma anche nell’Orissa indiano e in Cina, dove la repressione contro il cristianesimo, da feroce che era, negli anni si è fatta più dissimulata (ogni tanto il regime decide che la legge ateistica è ancora in vigore e qualcuno ci rimette la vita, a cominciare dagli anziani sacerdoti, che a decine periscono e languono nelle prigioni di stato). E poi ancora in Egitto, dove i copti subiscono discriminazioni, minacce e aggressioni collettive e da quando è scoppiata la “primavera araba” sono scesi in trincea; in Siria, dove nella città di Rable, culla del cristianesimo paolino, terroristi hanno appena distrutto il santuario del profeta Elia; in Algeria, dove i cristiani sono costretti a subire discriminazioni continue. La situazione più drammatica è quella dell’Iraq, dove i cristiani sono vittime di estorsioni, rapimenti, torture e omicidi. Le chiese sono incendiate; molti sacerdoti, persino il vescovo caldeo di Mossul, monsignor Paulos Faraj Rahho, sono stati assassinati.

Il medio oriente convive con la distruzione di popoli a partire dall’VIII secolo, ha spiegato l’armeno Herman Vahramian, scomparso nel 2009. La rassegnazione allo sterminio di massa è palpabile nella regione con un immaginario collettivo segnato dalle fila di crani umani innalzate dal feroce Tamerlano sul suo impero: “Col soccorso della memoria storica il modus vivendi dei variegati popoli mediorientali di oggi è diventato l’attesa di essere in qualche modo vittima di genocidio”. Eppure il libro di Shortt, che non grida allo “scontro di civiltà” ma spezza la sindrome del silenzio su queste masse di assassinati ed esiliati, si apre su uno scenario ancora tutto da decifrare: un medio oriente senza cristiani.
“C’è il rischio altissimo che le chiese scompaiano dalle terre bibliche”, scrive Shortt. I numeri sono impressionanti, un verdetto. I cristiani erano il 95 per cento della popolazione mediorientale nel Settimo secolo, il venti per cento nel 1945, il sei per cento oggi e si prevede che nel 2020 si dimezzeranno ancora. “Ci saranno ancora dei cristiani in medio oriente nel Terzo millennio?”, si chiedeva il diplomatico francese Jean-Pierre Valognes nel libro “Vie et mort des chrétiens d’Orient”, pubblicato nel 1994. No, secondo Shortt.
Dalla Seconda guerra mondiale a oggi, dieci milioni di cristiani hanno preso la via dell’esilio dal mondo arabo-islamico. “La cristianità in Iraq può essere sradicata durante questa generazione”, ha detto di recente Leonard Leo, a capo della commissione statunitense sulla libertà religiosa. Novecentomila cristiani hanno già lasciato l’Iraq dal 2003, stando a uno studio del Minority Rights Group International. Benjamin Sleiman, arcivescovo di Baghdad, ha predetto “l’estinzione della cristianità dal medio oriente”. E pensare che la tradizione vuole che sia stato l’apostolo Tommaso a portare il cristianesimo in Iraq durante uno dei suoi viaggi verso la Persia nel I secolo.

La tanto decantata eterogeneità mediorientale si sta riducendo alla monotonia di una sola religione, l’islam, e a una manciata di idiomi e sparute comunità cristiane. Un rapporto del dipartimento di stato americano conferma l’analisi di Shortt. In Turchia da due milioni di cristiani si è passati agli attuali 85 mila, lo 0,2 per cento della popolazione. In Libano, il paese arabo dove i cristiani maroniti per decenni hanno avuto il comando della nazione, si è passati dal 55 per cento della popolazione al trenta. In Egitto la popolazione cristiana si è sempre attestata sul venti per cento del totale: oggi è scesa sotto il dieci. Erano il diciotto per cento in Giordania, ma oggi sono il due per cento. In Siria le comunità cristiane rappresentavano un quarto della popolazione ma oggi sono scese al cinque per cento, cifre che si stanno sempre più dimezzando a causa della guerra civile in corso (il patriarca russo Kirill I ha appena evocato niente meno che la Rivoluzione bolscevica del 1917, con le sue sterminate “carcasse di chiese”, per spiegare il futuro del patriarcato di Antiochia).
In Iran è in corso “la fase più oscurantista dei rapporti fra cristianesimo e Rivoluzione islamica”, da quando nel 1979 l’ayatollah Khomeini chiese la chiusura delle scuole cattoliche e concesse a tutti i sacerdoti un mese di tempo per lasciare il paese. Considerati “amici dello scià” e “classe sociale d’élite”, i cristiani sono stati arrestati a centinaia e gettati in carcere. Cristiani, cioè “impuri” perché non musulmani, a proposito dei quali Khomeini (il cui volto campeggia sul frontespizio del Ketob-e Ta’limate Dini, il manuale di religione usato dalle minoranze), metteva in guardia gli iraniani con suggerimenti del tipo “non toccate i loro oggetti” e “non mangiate con loro”.
Secondo l’organizzazione non profit americana Open Doors, che ogni anno stila una preziosa World Watch List, il secondo paese classificato come più pericoloso per i cristiani dopo la Corea del nord è proprio l’Iran. Tanti i pastori assassinati, di cui Shortt rende conto. Il primo fu nel 1979 Arastoo Sayyah, un anglicano a cui fu tagliata la gola. Nel 1980 fu la volta di Bahram Deghani-Tafti, a cui spararono. Hossein Soodman venne ucciso nel 1990, Mehdi Dibaj nel 1994, il pastore Haik Hovsepian venne ucciso e sepolto in una fossa comune con un musulmano convertito al cristianesimo e Mohammad Bagheri Yousefi fu trovato impiccato a un albero nel 1996. Da allora numerosi cristiani sono stati arrestati e condannati a morte per attività legate al proselitismo, ma mai giustiziati. Molte chiese oggi sono state chiuse, decine di giovani iraniani, gran parte convertiti dall’islam, sono stati imprigionati e torturati, così come molti pastori sono finiti sotto stretta sorveglianza.

Corea del nord e Laos sono tirannie comuniste e ateistiche in cui l’anticristianesimo è dogma di stato. A Pyongyang, da quando si è instaurato il regime nel 1953, sono scomparsi 300 mila cristiani e adesso si stima che vi siano 70 mila cristiani che soffrono nei terribili campi-prigione a causa della loro fede. L’Afghanistan è al secondo posto essendo un paese dove non esistono ufficialmente chiese (soltanto cappelle private dentro alle ambasciate). Segue l’Arabia Saudita, custode della Mecca e di Medina, che vieta ufficialmente ogni culto non islamico e di cristiani si parla ufficialmente soltanto nelle ambasciate.
“Si tratta di un genocidio in corso che meriterebbe un allarme globale”, aveva scritto di recente sulla copertina di Newsweek Ayaan Hirsi Ali. Negli ultimi dieci anni la guerra di religione ha fatto duemila morti soltanto nello stato nigeriano del Plateau, tredicimila in tutta la Nigeria. “Cifre ottimistiche”, dicono le organizzazioni umanitarie che parlano di eccidi ben peggiori. L’obiettivo delle stragi è cambiare la geografia religiosa del continente africano. Dal 2001 nello stato di Kano sono morte più di 10 mila persone, quasi tutte cristiane. Trecento chiese e proprietà sono andate distrutte. Gli sfollati non si contano. Dal 2009 a ora almeno cinquanta chiese sono state distrutte e dieci pastori sono stati uccisi dalla Boko Haram.
In Pakistan Asia Bibi, in carcere da due anni con una condanna a morte, è il simbolo più noto della guerra ai cristiani, strangolati nel grande paese asiatico di retaggio britannico sotto il tallone della legge sulla blasfemia. Molti cadono crivellati dai proiettili dei terroristi, come l’unico ministro cristiano, Shahbaz Bhatti (“questa è la fine del bestemmiatore”, recita il volantino rinvenuto sul suo corpo). Un assassinio, racconta Shortt, preceduto da quello del governatore del Punjab, il musulmano liberale Salmaan Taseer, ucciso da una delle sue guardie del corpo per essersi espresso anche lui contro la legge sulla blasfemia.
La cronaca nera di questa strage è lunghissima. Il 18 novembre 1998 nove cattolici vengono sgozzati a Noushera. Nel novembre 2001 quindici fedeli uccisi nella chiesa di San Domenico a Bahawalpur. L’immagine di quei corpi avvolti in sudari bianchi fece il giro del mondo. Il 9 agosto 2002, tre infermiere sono massacrate nella chiesa dell’ospedale cristiano di Islamabad. Il 25 settembre 2002, sette dipendenti di una organizzazione di carità di Karachi sono rapiti, legati, imbavagliati e uccisi con un colpo di pistola alla nuca. Nella notte di Natale del 2002, tre ragazze sono maciullate all’interno della chiesa protestante di Chuyyanwali e il 5 luglio 2003 un sacerdote cattolico viene assassinato nella parrocchia di Okara. Fra le molte persone uccise a causa di questa legge c’è un altro Bhatti, il giudice islamico Arif Iqbal Bhatti, che avendo prosciolto due cristiani falsamente accusati di blasfemia venne assassinato da fanatici islamici nel 1996. I due cristiani vennero bruciati vivi davanti all’Alta corte di Lahore dove affrontavano il processo per blasfemia. Naimat Ahmer, insegnante, poeta e scrittore, è stato ucciso sempre con l’accusa di blasfemia.

Nel Sudan la cristianofobia assume forme molto diverse. Da decenni il governo autoritario dei musulmani sunniti nel nord tormenta le minoranze cristiane e animiste che vivono nel sud. Quella che è spesso stata definita una “guerra civile” altro non era in realtà che il tentativo del governo sudanese di annientare le minoranze religiose. La persecuzione è culminata nel genocidio del Darfur, che ha avuto inizio nel 2003. Nel Kordofan meridionale, i cristiani subiscono tuttora bombardamenti aerei, omicidi mirati, il rapimento dei loro bambini e altre atrocità.
Da essere il venti per cento nei Territori palestinesi, con epicentri Betlemme e Qalkilya, oggi i cristiani sono appena lo 0,8 per cento del totale. Con l’avvento dell’Autorità nazionale palestinese nel 1994 si è registrata la fuga di tre quarti dei cristiani. “Le sempre più piccole comunità cristiane che vivono nei territori di Cisgiordania e Gaza sono probabilmente destinate a dileguarsi del tutto nei prossimi quindici anni a causa di crescenti angherie e sopraffazioni da parte musulmana”, ha scritto Justus Reid Weiner, avvocato specializzato in diritti umani al Jerusalem Center for Public Affairs.
I cristiani stanno scomparendo vittime di matrimoni forzati, conversioni, percosse, furti di terreni, bombe incendiarie, boicottaggio commerciale, torture, rapimenti, molestie ed estorsioni. L’ultima vittima è stata la chiesa Battista di Betlemme, che l’Autorità palestinese ha appena dichiarato “illegittima”, dal momento che il suo messaggio di riconciliazione che viene dagli Stati Uniti sfida la propaganda d’odio.
In Turchia la persecuzione anticristiana, che c’è sempre stata, ha assunto oggi il volto di una sistematica intolleranza, con la mancanza di seminari, il divieto per gli stranieri di diventare sacerdoti e la discriminazione spicciola che rende difficile trovare un lavoro, una casa, ottenere un documento. Come ha spiegato Joseph Alichoran, uno dei maggiori specialisti di storia dei cristiani d’oriente, “la maggior parte dei cristiani di Turchia ha subito un genocidio tra il 1896 e il 1923, e tra quelli che non sono morti la maggioranza ha scelto l’esilio piuttosto che restare in un paese negazionista”. I cristiani turchi sono dei “sopravvissuti”. Ne è un simbolo la borgata di Idil, un tempo completamente cristiana, oggi ridotta a una città fantasma.

L’esilio, l’alienazione e l’estraneità di questi cristiani d’oriente, pegno della più antica memoria cristiana del mondo, è rappresentato dal funerale dei tre cristiani assassinati a Malatya, in Turchia, un tedesco e due turchi, legati, incaprettati e sgozzati dagli islamisti nel 2007 soltanto perché stampavano delle Bibbie. Il funerale si è svolto nella chiesa Battista di Buca, nell’indifferenza totale della popolazione. I musulmani presenti erano solo i giornalisti e i delegati del sindaco. Dopo due ore di rito, i feretri sono stati trasportati al cimitero di Karalabas, inumati fra canti e sermoni all’ombra di due cipressi. Al posto della lapide un grande cuore rosso di metallo con sopra dipinte le parole “Yamasak Mesihtir Ölmekse Kazanç”, tratte da san Paolo: “Per me vivere è Cristo, e morire un guadagno”. Triste epitaffio alle ultime comunità che parlano la lingua di Gesù.

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Il segno della tiepidezza

Posté par atempodiblog le 15 novembre 2012

Il segno della tiepidezza dans Cardinale Henri-Marie de Lubac henridelubac

Se nel mondo vi fossero più santi, la lotta spirituale sarebbe più intensa. Il regno di Dio, manifestandosi con più forza, susciterebbe adesioni più ferventi, e parallelamente anche opposizioni più violente. La sua urgenza accresciuta provocherebbe una tensione, sorgente di clamorosi conflitti.
Se noi viviamo relativamente in pace in mezzo agli uomini, ciò è un segno indubbio che siamo tiepidi.

Henri De Lubac

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Il tempo che ci è dato

Posté par atempodiblog le 14 novembre 2012

Benedetto tra i suoi coetanei
Il tempo che ci è dato
di Marina Corradi – Avvenire
Tratto da: Parrocchia di Colombella (Pg)

Il tempo che ci è dato dans Articoli di Giornali e News benedettoxvianziani

Sono venuto a trovare i miei coetanei, ha esordito. E poi tutte le parole lasciate da Benedetto XVI ieri in una casa per anziani di Roma hanno avuto il colore di un ritrovarsi fra vecchi compagni, discutendo fra loro di ciò che i giovani, ancora, non sanno.

Uomo fra gli uomini nei passi lenti degli ottant’anni, il Papa ha detto una cosa audace: che essere vecchi è bello, per chi si sente amato da Dio. Bello, in un’accezione che non è contemplata dai manuali per sane, atletiche e spensierate vecchiaie, come cominciano a circolarne in Occidente – mirati a vecchi possibilmente benestanti, e promettenti consumatori. Invece Benedetto ha parlato del fatto che a quell’età si fa l’esperienza del bisogno dell’aiuto degli altri; bisogno, ha detto, che lui pure sperimenta. Quella necessità di aiuto è una naturale condizione di chi invecchia; ma, ha aggiunto, «è anche un dono, nella grazia di essere sostenuti e accompagnati».

Ora, che la vecchiaia con la sua zavorra di acciacchi e la graduale erosione della autonomia possa essere « dono » proprio per quel dover domandare all’altro, è una prospettiva alquanto insolita, che, scommettiamo, non troverebbe alcun consenso in un talk show dei nostri di ogni sera. Un dono l’aver bisogno di altri per camminare, poi per mangiare, magari anche infine per lavarsi? Che cosa assurda. Anzi non è forse proprio la nostra più grande paura, insieme alla solitudine, l’immaginare di non poter più badare a noi stessi? Di dover aspettare una badante semplicemente per due passi sotto casa – su quella stessa strada che da ragazzi facevamo di corsa e ora, cos’è stato?, si è fatta lunga, e faticosa come fosse diventata una erta salita.
Che cose strane, davvero, dice il Papa: e sembra quasi parli di mondo capovolto, in cui la realtà è altra dall’apparenza su cui tutti concordiamo. Ma allora questo dono, cosa sarebbe? È l’imparare, almeno a ottant’anni, «che nessuno può vivere solo e senza aiuto», spiega Benedetto. (C’è chi lo impara molto prima, e chi mai, finché non ci è costretto). E’ l’imparare, come dice un verso di Holderlin, che «noi siamo un colloquio». Cioè non monadi tese a realizzare solo se stesse, come ci viene comandato di questi tempi, ma inesorabilmente tesi al rapporto con l’altro.

E forse più radicalmente ancora, quel bisogno della vecchiaia ci riporta alla nostra origine: creature, e dunque figli di un Creatore. Intollerabile insegnamento, se ci si è creduti per tutta la vita i padroni di sé (è questa in fondo la vertigine di paura che spinge per la prima volta l’Occidente verso l’eutanasia, come estrema prova di autodeterminazione).

Eppure, insiste il Papa dai suoi ottantacinque anni, quel bisogno di aiuto portato dalla crescente debolezza, è davvero un dono. Perché ci riporta alla verità di ciò che profondamente siamo, a un’impronta che abbiamo addosso.

Figli. Da giovani, è quasi naturale che ce ne dimentichiamo, nell’età forte dell’innamoramento, dei sogni, del mondo immenso davanti; e del fascino del denaro, e del potere. Ma viene un tempo di impotenza e povertà, che, testimonia Benedetto, è in realtà tempo di misericordia. Tempo per ritornare ciò che siamo.
Come quella vecchia signora incontrata in un grande ospizio di Milano, un giorno, sola, in un corridoio. Una donna esile, fragile, gli occhi chiari, limpidissimi; e smarrita nella demenza senile. «Scusi – ha chiesto a me che, sconosciuta, passavo – sa a che ora viene a prendermi la mamma?» E io non sapendo proprio cosa dire mi sono seduta lì accanto. Lei continuava a ripetere, fiduciosa, che la mamma certo sarebbe arrivata, prima di sera, a prenderla. Che abbia ragione lei, mi sono chiesta, con quei suoi occhi, misteriosamente di nuovo infantili? Che abbia ragione, il Papa? Forse davvero novant’anni sono il tempo che ci è dato, per poter tornare infine come bambini.

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Il «compagno don Camillo» torna in Russia

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2012

Il «compagno don Camillo» torna in Russia
Storia della prima edizione assoluta in russo di “Mondo Piccolo” di Guareschi.  La traduttrice Ol’ga Gurevicˇ racconta le peripezie che hanno accompagnato il  lungo lavoro e il suo amore per un autore «fortemente sconsigliato»
della Redazione di Tempi.it

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“Mondo Piccolo” uscirà per la prima volta tradotto in Russia. La raccolta  di racconti di Giovannino Guareschi sarà presto disponibile a Mosca, per le  edizioni Rudomino, dopo un lungo lavoro portato avanti da Ol’ga  Gurevicˇ, docente di lingua italiana all’università statale di Scienze e  Studi Umanistici di Mosca. Pubblichiamo stralci di un articolo scritto dalla  traduttrice per “La Nuova Europa”, la rivista ufficiale di Russia cristiana, in  cui racconta delle traversie attraversate per pubblicare questo testo:

(…) Una sera [durante un soggiorno per studi in Italia; ndr] c’è stata la proiezione di un film, ed era Don Camillo.  Il film mi è piaciuto molto. Si era nel 1994 e mi affascinava l’idea di un prete  che trionfava (così mi è sembrato sul momento) sui comunisti. Dopo il crollo del  comunismo in Urss trovavo strana e imbarazzante la forte presenza dei comunisti  in Italia, ed ero curiosa di sapere come questo fosse possibile e che cosa  volesse dire il comunismo per gli italiani. Pochi giorni dopo ho visto, su una  bancarella di Salò, il primo volume del Mondo Piccolo di Guareschi.  L’ho comprato e l’ho letto tutto d’un fiato, in una notte. Molte cose del libro  mi hanno colpita. Prima di tutto, il libro trattava temi ben più importanti e  profondi rispetto al film e anche con maggior lirismo. E poi mi faceva conoscere  quell’Italia che, come credo adesso, stava per sparire nel vortice della storia,  quasi sotto i miei occhi. È da allora che ho cominciato a interessarmi alla  politica italiana.

(…)

Pochi anni dopo la laurea ho cominciato a insegnare nella mia stessa  Università e una casa editrice si è rivolta a me perché preparassi un libro di  lettura per gli studenti d’italiano. Si trattava di scegliere un testo e di  accompagnarlo con prefazione, commento storico-culturale e note grammaticali.  Na­turalmente il primo testo che mi è venuto in mente era Don  Camillo. E ho cominciato a cercare materiali biografici e critici su  Gua­reschi. Ma per quanto consultassi una quantità di antologie e volumi di  storia della letteratura italiana, non ho trovato quasi niente. Le poche righe  che gli dedicavano alcune enciclopedie mi lasciavano perplessa, ma sopratutto mi  stupiva il tono adoperato, che era condiscendente per non dire sprezzante.  Infine ho trovato del materiale biografico su Internet e anche qualche articolo,  ma erano tutti troppo di parte, scritti o dai fan di Guareschi o dai suoi  avversari politici, niente analisi serie, niente critica letteraria.

Tuttavia ho scritto la prefazione, il commento e le  note. Arrivate le bozze, le ho corrette e consegnate, e a questo punto la casa  editrice ha rotto il contratto, senza darmi spiegazione alcuna. Solo piú tardi  ho saputo da una collega che un recensore avrebbe «fortemente sconsigliato la  pubblicazione di questo autore». Ero senza parole. Ma come, correva l’anno 1999,  la censura era da tempo abolita. E allora perché? Cosa aveva Guareschi da poter  suscitare quella reazione? Dovevo proprio scoprirne il mistero ma soprattutto mi  premeva ristabilire la giustizia. Ho deciso di non mollare.

Più andavo avanti nelle ricerche, più diventava chiaro che questi  atteggiamenti si spiegavano con le scelte politiche di Guareschi. La sua  avversione ai luoghi comuni dei partiti, la sua fede, la coerenza, l’integrità  morale non andavano a genio agli intellettuali dell’epoca, fu odiato dai  comunisti e criticato dai democristiani. Neanche i colleghi scrittori vollero  capire il suo messaggio, lo trattarono come vignettista, come giornalista, mai  come vero scrittore, gli rimproveravano una povertà lessicale, le famose 200  parole di cui lui stesso parlava nella prefazione a Don Camillo. Invece  io ero sempre piú affascinata dalla figura dell’autore, dalla sua personalità  forte, dalla sua fedeltà ai valori veri, inoltre io, come i milioni di lettori  al mondo, non potevo non vedere che Guareschi era un abilissimo narratore, che  le migliaia di parole che usava, le metteva insieme con grande maestria e che  aveva un eccezionale talento di umorista.

(…)

Ho studiato o sfogliato altre traduzioni di Guareschi, decine e decine uscite  in vari paesi anche in quelli dove magari non si sapeva chi fossero i comunisti  o i cattolici. Però una lacuna c’era: in russo non ho trovato che pochi racconti  tradotti da Elena Molocˇ­kovskaja e pubblicati su una rivista letteraria nel  2002. Da allora più niente. E cosí mi sono messa a tradurre Guareschi. Nel 2004  doveva uscire un numero speciale della rivista «Inostrannaya literatura» dedicato alla letteratura italiana. Mi hanno invitata a partecipare con i  racconti di Guareschi ma ne sono usciti appena tre o quattro. Io continuavo  a tradurre, lavorando con grande passione, finché nel 2011 la casa editrice  Rudomino, su iniziativa dell’Istituto Italiano di Cultura e soprattutto del suo  direttore professor Adriano Dell’Asta, mi hanno proposto di pubblicare l’intero Mondo piccolo: Don Camillo con la mia prefazione.

Non era facile rendere l’umorismo di Gua­reschi, far parlare in russo i  suoi personaggi, sopratutto far parlare Cristo senza cadere in pathos o  irriverenza, mantenendo il tono giusto. Sentivo che man mano che la traduzione  andava avanti, mi immedesimavo con «quella fettaccia di terra che sta tra il Po  e l’Ap­pennino», dove d’estate il «sole martella sul cervello» e d’inverno  tutto è coperto da una nebbia fitta «da tagliare col coltello». Anche  quest’inverno, viaggiando di notte da quelle parti, non mi sentivo estranea a  quella nebbia. E neanche ai fantasmi e le paure del passato che erano tutt’uno  con la nebbia e che stavano lí ad aspettare, insieme ai campanili, segni di  stabilità e salvezza, di esser raccontati.

Guareschi fa sparire i fantasmi e le paure con la più potente arma che è il  riso, l’umorismo. Forse è quello che ci serve anche adesso nel nostro mondo che  è diventato «spaventosamente serio» e perciò pieno di paure, di delusione e di  sospetto.

Traducendo il libro in russo ho pensato anche a quanto ci mancano i «don  Camillo», quegli stravaganti preti «fuori dalle righe» dei quali nella sua  ultima intervista ha parlato il cardinal Martini. I preti che parlano con Gesù e  ragionano con il cuore. Perché il libro racconta non solo l’Italia, racconta  l’uomo com’è, eternamente tentato di «versare il cervello all’ammasso» e  ubbidire a un partito invece che alla propria coscienza, con l’innata sete di  Dio ma anche con tanta abilità a sottrarsi ai Suoi comandamenti.

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Una dottrina propria

Posté par atempodiblog le 13 novembre 2012

Una dottrina propria dans Alessandro Gnocchi Catechismo-Chisa-Cattolica

La maggior parte dei cattolici ormai oggi, in totale buona fede, pensando di continuare ad essere cattolici, dicono “mah, si la Chiesa… sono d’accordo su quasi tutto, però su questa cosa per esempio no”, sulla questione dei divorziarti-risposati no, oppure sulla questione dell’aborto no, oppure sulla questione del divorzio no, oppure sulla questione dell’eutanasia no, oppure su tutte queste cose insieme no. Quindi su tutta una serie di questioni i cattolici si fanno una morale, una teologia, una dottrina propria. E’ ovvio che chiunque dissenta in qualche cosa che riguarda la struttura fondamentale della fede, della dottrina… non è più cattolico, però questo sembra  difficile da far capire oggi.
Spesso le persone più disorientate dalla ferma dottrina che sta ribadendo Benedetto XVI sono tanti cattolici, i quali non si rendono conto di come un Papa possa dire delle cose che non vanno discusse, vanno imparate. Questo verbo “imparare” piace molto poco.

Alessandro Gnocchi – Radio Maria

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