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Dopo Auschwitz è possibile credere in Dio?

Posté par atempodiblog le 9 novembre 2012

Dopo Auschwitz è possibile credere in Dio?
di Francesco Agnoli – Il Foglio (2010)
Tratto da: Libertà e Persona

Dopo Auschwitz è possibile credere in Dio? dans Articoli di Giornali e News conversazioniatavoladih

C’è un ritornello che si sente spesso: “E’ possibile credere a Dio, dopo Auschwitz?” Come tutti i luoghi comuni, questa domanda, pur mal posta, ha un suo significato. Già Agostino, infatti, si chiedeva: “Si Deus est, unde malum?” (se Dio esiste, da dove il male?).

Severino Boezio formulava un pensiero analogo, ma più completo: “Si quidam Deus est, unde mala? Bona vero unde, si non est?” (Da dove i mali, se Dio c’è? Ma se non c’è, da dove il Bene?). Come a dire che postulare come inesistente Dio, non solo non risolve il problema del bene e del male, ma lo aggrava.

Se Dio non esiste, infatti, è la distinzione stessa tra bene e male che cade, come il relativismo insegna. L’ateo assoluto, intransigente, può infatti giustificare, al più, l’esistenza del male fisico, come effetto di una imperfezione insita nella casualità della natura, ma non può neppure discutere, se è coerente, sul bene e sul male morali. Odi, omicidi, guerre ecc.: in base a quale principio questi eventi “naturali” sarebbero un male morale, se Dio non esiste? Lo sterminio degli ebrei e dei polacchi fu stabilito da un potere umano “legittimo”. Come ritenerlo iniquo, se quel potere non fosse giudicabile da un altro Potere, da una Giustizia ad esso superiore?

Ecco perché per condannare Auschwitz, in verità, bisogna non essere del tutto relativisti e credere ancora ad una natura umana non puramente materiale (altrimenti perché Auschwitz piuttosto che una tonnara?), alla Verità, alla Giustizia, cioè a qualcosa di metastorico, eterno, divino.

Ma non è tutto. La frase citata all’inizio, pur umanamente comprensibile, risulta anzitutto incompleta. Infatti, dal momento che i gulag vengono prima dei lager, e non hanno nulla da invidiare ad essi, bisognerebbe aggiungere: “E dopo Arcipelago Gulag, come credere in Dio?”. Perché questa aggiunta non viene mai fatta? Forse perché è chiara a tutti l’essenza profondamente atea del comunismo? Forse perché è noto che molti degli oppositori al sistema dei gulag, da Solgenicyn in Urss, a Valladares a Cuba, sino a Harry Wu e Liu Xiaobo, in Cina, sono o sono stati credenti?

Ecco che le vicende del Novecento, cioè del secolo più violento e sanguinoso della storia, se guardate con occhio sincero, svelano che in verità, dopo i gulag e i lager, non è più possibile credere, anzitutto, all’uomo, soprattutto all’uomo che si erge a Salvatore.

Ma per rispondere ancora meglio alla domanda iniziale, “E’ possibile credere a Dio, dopo Auschwitz?”, penso sia utile anche un libro, “Conversazioni a tavola di Adolf Hitler”, ristampato proprio quest’anno, dopo ben 50 anni, dall’ editrice Goriziana.

Quest’opera, per chi abbia affrontato testi fondamentali del nazismo, come il Mythus di Alfred Rosemberg, le memorie di Albert Speer, i diari di Goebbels, le conversazioni di H. Rauschning, i discorsi di Walter Darrè ecc., non dice nulla di sostanzialmente nuovo: Hitler era un fierissimo avversario della visione biblica, cioè dell’idea di un Dio Creatore del cosmo, come di ogni singolo uomo.

Sono idee, dicevo, ben conosciute dallo storico, ma non dalla vulgata, se è vero come è vero che non di rado si può sentire il personaggio di turno ripetere, come un disco rotto: “Ma Hitler era cattolico e battezzato!”.

Vediamo allora cosa spiegava il dittatore impegnato ad istruire i suoi ospiti, in tutta libertà, cioè non vincolato da considerazione di opportunità politica o di strategia mediatica. Nelle sue conversazioni a tavola egli ricordava il suo professore di religione, l’abate Schwarz: “Lo provocavo”, raccontava, ponendo “domande imbarazzanti sulla Bibbia”, poiché “non potevo sopportare tutte quelle ipocrisie. Ho ancora dinnanzi quello Schwarz col suo naso lungo. Guardandolo vedevo rosso. E ricominciavo peggio di prima. Appena mia madre venne a scuola, egli si precipitò su di lei per spiegarle che ero un’anima perduta”.

Il colpo più duro che l’umanità abbia ricevuto, dichiarava Hitler la notte tra l’11 e il 2 luglio 1941, è l’avvento del cristianesimo. Il bolscevismo è un figlio illegittimo del cristianesimo. L’uno e l’altro sono un’invenzione degli Ebrei”.

Il cristianesimo, proseguiva, dopo aver esaltato “Giuliano il Grande” e deplorato “Costantino l’Apostata”, è “un’ invenzione di cervelli malati”, un insieme di “mistificazioni ebraiche manipolate dai preti”, “la prima religione a sterminare i suoi avversari in nome dell’amore”; è intollerante, inganna il popolo, contraddice la ragione e “lo sviluppo scientifico”; proclama un egualitarismo iniquo, diffonde l’idea pericolosa e nociva dell’aldilà e di un Dio trascendente (in contrasto, a suo dire, con “la teoria dell’Evoluzione”); venera “il volto contorto di un crocifisso”; separa l’uomo dalla materia, mentre “non esiste alcuna frontiera tra l’organico e l’inorganico“…

Quanto ai preti, sono “aborti in sottana“, “brulichio di cimici nere”, “rettili”: è la Chiesa cattolica stessa che “non ha che un desiderio: la nostra rovina”. Così parlava il creatore dei lager, mentre tesseva l’elogio del vegetarianesimo e descriveva l’uomo come “il microbo più pericoloso che si possa immaginare”.

La domanda iniziale mi sembra dunque che vada riformulata: “Dopo lager e gulag, comunismo e nazionalsocialismo, è ancora possibile fare a meno di Dio?”.

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Barack Obama e i “valori irrinunciabili” della Chiesa

Posté par atempodiblog le 9 novembre 2012

Barack Obama e i “valori irrinunciabili” della Chiesa
Una riflessione sull’esito delle elezioni presidenziali negli USA
di padre Piero Gheddo, del Pime
Tratto da: Una casa sulla roccia

Barack Obama e i “valori irrinunciabili” della Chiesa dans Articoli di Giornali e News pierogheddo

ROMA, giovedì, 8 novembre 2012 (ZENIT.org)  –  Si accusano come “di destra” i valori del matrimonio, della nascita, della morte naturale. Per la Chiesa questi sono “valori irrinunciabili” per lo sviluppo dei popoli. Aborto, sterilizzazione, controllo delle nascite, eutanasia, matrimoni gay hanno conseguenze nefaste per la soluzione dei problemi sociali.

Nelle elezioni americane del 6 novembre 2012, com’è noto, ha vinto Barack Obama e tutti auguriamo al Presidente USA di poter adempire il suo secondo mandato facendo scelte ispirate alla pace e allo sviluppo solidale del suo paese e dell’intera umanità.

AsiaNews riporta la notizia con il titolo: “La vittoria di Obama preoccupa i mercati, ma potenzia il matrimonio gay”. E spiega che Obama è il primo Presidente a sostenere il matrimonio fra le coppie gay (cambiando la posizione che aveva nel 2008): “Nel Maine e nel Maryland si è andati alle elezioni per approvare (nel referendum) il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Finora i matrimoni gay erano riconosciuti in Massachusetts, Iowa, New York, Connecticut, New Hampshire, Vermont e District of Columbia, ma come decisione della Corte suprema. La vittoria alle urne mostra un profondo cambiamento nella mentalità della popolazione Usa. Secondo alcuni exit poll, i tre quarti di coloro che volevano il voto sul matrimonio gay sono sostenitori di Barack Obama”.

Mi chiedo: perché, in genere, nei paesi dell’Occidente cristiano, i partiti e le coalizioni di sinistra sono favorevoli a molte soluzioni in campo sessuale e familiare, che la Chiesa cattolica condanna? Di per sé, quando la Chiesa, il Papa e i vescovi, parlano dei problemi che riguardano la visione cristiana della vita e del matrimonio, sono totalmente al di fuori delle dispute politiche fra destra e sinistra. Ma perché i partiti e le coalizioni di sinistra approvano quello che la Chiesa condanna in questo campo?

L’enciclica Caritas in Veritate (CV) di Benedetto XVI (2009) congiunge il diritto alla vita allo sviluppo di ogni popolo e dell’umanità (n. 28). La “questione antropologica”, su cui tanto insistono la Santa Sede e la Conferenza episcopale italiana, diventa a pieno titolo “questione sociale” (nn. 28, 44, 75). Nella CV i temi di bioetica sono letti in relazione allo sviluppo dei popoli. Il controllo delle nascite, l’aborto, le sterilizzazioni, l’eutanasia, le manipolazioni dell’identità umana e la selezione eugenetica sono severamente condannati (sono “valori irrinunciabili” n.d.r.) non solo per la loro intrinseca immoralità, ma soprattutto per la loro capacità di lacerare e degradare il tessuto sociale, corrodere la famiglia e rendere difficile l’accoglienza dei più deboli e innocenti: “Nei paesi economicamente sviluppati – scrive Benedetto XVI (CV 28) – le legislazioni contrarie alla vita sono molto diffuse e hanno ormai condizionato il costume e la prassi… L’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo…”. L’enciclica spiega che per lo sviluppo dell’economia e della società occorre impostare programmi di sviluppo non di tipo utilitaristico, ma che tengano “sistematicamente conto della dignità della donna, della procreazione, della famiglia e dei diritti del concepito”.

Spesso l’insistenza del Papa e dei vescovi, dalla Humanae Vitae di Paolo VI (1968) ad oggi, non è compresa nemmeno dai cattolici, una parte dei quali pensano che la difesa della vita e della famiglia passa in secondo piano di fronte alle drammatiche urgenze della fame, della miseria disumana, delle ingiustizie a livello mondiale e nazionale. Non capiscono il valore profetico di quanto dicono il Papa e i vescovi, che vedono nella cultura che rifiuta la vita la rottura sostanziale fra l’uomo e la Legge di Dio, con conseguenze nefaste anche per la soluzione dei problemi sociali.

Quando nelle legislazioni nazionali, come anche negli organismi dell’Onu e della Comunità Europea, prevale l’egoismo dell’uomo, com’è possibile pensare che poi, nell’accoglienza del più povero e del diverso, quest’uomo diventi altruista e animato dalla carità cristiana? Tra opere sociali e difesa della vita non esiste alcuna contraddizione, ma anzi c’è un’integrazione vicendevole, si  richiamano a vicenda, l’una non sta senza l’altra. La protesta per la fame nel mondo e per l’aborto hanno eguale significato e valore. Ma in Italia i No Global (la maggioranza dei quali cattolici) hanno fatto molte proteste contro la fame, nessuna contro gli aborti, nessuna contro le coppie di fatto, i divorzi, le separazioni, i matrimoni tra gay! Accettiamo tranquillamente che in queste situazioni vinca l’egoismo umano e poi chiediamo che nella lotta contro la fame nel mondo prevalga l’altruismo. Dov’è la logica?

Se nei nostri Paesi occidentali e cristiani si sfascia la famiglia, si dissolve anche la società, come purtroppo stiamo sperimentando. Non si capisce come mai una verità così evidente è snobbata da chi appoggia altri tipi di famiglia (tra i gay ad esempio) e toglie ai coniugi lo stimolo di un patto d’amore da consacrare di fronte alla società col matrimonio, favorendo le coppie che si uniscono e si separano liberamente, il divorzio, le separazioni, come  il “divorzio rapido” approvato dalla Spagna di Zapatero, che si realizza in 15 giorni.

Gli indici dell’Istat di qualche anno fa (2007) dicevano che le coppie sposate (religiosamente o civilmente) producono in media più figli di quelle conviventi, perché è provato che il matrimonio dà stabilità alla coppia e maggior sicurezza alla donna per fare un figlio. Ora, sappiamo che il popolo italiano è sotto lo zero demografico, cioè diminuisce di numero. Però come cittadini italiani aumentiamo perché i “terzomondiali” fanno molti figli. Come facciamo ad aiutare i popoli poveri, se non aiutiamo nemmeno noi stessi?

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