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Novena a San Giuseppe Moscati (da recitarsi dal 7 al 15 novembre).

Posté par atempodiblog le 7 novembre 2012

Preghiera a San Giuseppe Moscati utilizzabile sia come novena sia come triduo. Può essere recitata in preparazione della festa del santo, il 16 novembre, dal 7 al 15 novembre, o in qualsiasi momento per le proprie necessità:

Novena a San Giuseppe Moscati (da recitarsi dal 7 al 15 novembre). dans Preghiere san-Giuseppe-Moscati

O San Giuseppe Moscati, medico e scienziato insigne, che nell’esercizio della professione curavi il corpo e lo spirito dei tuoi pazienti, guarda anche noi che ora ricorriamo con fede alla tua intercessione.

Donaci sanità fisica e spirituale, intercedendo per noi presso il Signore.
Allevia le pene di chi soffre, dai conforto ai malati, consolazione agli afflitti, speranza agli sfiduciati.
I giovani trovino in te un modello, i lavoratori un esempio, gli anziani un conforto, i moribondi la speranza del premio eterno.

Sii per tutti noi guida sicura di laboriosità, onestà e carità, affinché adempiamo cristianamente i nostri doveri, e diamo gloria a Dio nostro Padre. Amen.

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Fede, nutrimento della vita

Posté par atempodiblog le 7 novembre 2012

Fede, nutrimento della vita dans Fede, morale e teologia madreelvirapetrozzi

La fede non è un qualcosa che si può maneggiare e farne quello che vogliamo noi; la fede è Qualcuno dentro di noi che opera e cambia la nostra vita: è dentro di noi lo Spirito Santo, il Signore che è la vita, che dà la vita! Dobbiamo vivere questa certezza perché noi non saremmo qui e nulla esisterebbe senza la fede. Impariamo poco alla volta, parlando, ascoltando, lavorando, studiando… in tutto ciò che viviamo ogni giorno, a concretizzare la nostra fede. In ogni situazione che accade ripetiamo nel cuore: io credo in Dio! Se impariamo ad appoggiarci a Lui, se ci affidiamo a Lui, saremo tanto più buoni, tanto più sorridenti, tanto più capaci di volerci bene. Dobbiamo saper vivere la forza della fede, la luce della fede, la gioia della fede. La fede è la bussola che ci guida in tutta la giornata, la fede ci trasforma, ci cambia. Spesso mi domando: come mai abbiamo ancora tante paure? A che punto è la nostra fede? Se crediamo, la Parola ci dice che l’Amore e la Luce di Dio scacciano la paura: «Nell’ Amore non c’è timore». Ma Gesù per me esiste? Gesù è risorto? Gesù è vivo? Lo vedete voi con i vostri occhi? No! Però con gli occhi del cuore, con la vita di dentro sappiamo che sì, è vivo, esiste, è risorto, lo vedo.
“Credo in un solo Dio”: questa verità deve entrarci dentro, ognuno deve sentirsela dentro perché è un fatto, una realtà. Noi abbiamo contemplato, conosciuto e visto tutto quello che si professa nel Credo: un Dio che scende, si incarna, si fa vicino, il Crocifisso Risorto, il Figlio, lo Spirito Santo, il Padre… sono Persone che ci danno la vita, quella vera. Dobbiamo far passare queste parole della fede dalla bocca al cuore ripetendo: “Credo, credo, credo”. La fede diventa così il nutrimento della vita: ci nutriamo di qualcosa di prezioso che vive dentro di noi e che ci sazia l’anima. E poi pian piano quando il “Credo” sarà sceso nel cuore, quando sarà il respiro del nostro cuore, sentiremo il desiderio di testimoniare a tutti che se “Credo in Dio” la vita è più bella, più vera, più luminosa, più serena! La fede è la vera ricchezza della vita!

di Suor Elvira Petrozzi – Comunità Cenacolo

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Pazienti in stato vegetativo sorridono, si muovono e sono coscienti

Posté par atempodiblog le 7 novembre 2012

«Che ne sanno le gemelle Kessler dello stato vegetativo? I miei pazienti sanno essere felici»
Dopo la rivelazione delle due famose soubrette del loro mortifero patto d’amore, il primario del Centro don Orione di Bergamo, Giovanbattista Guizzetti, ci racconta cosa significhi curare e stare accanto ogni giorno a delle persone in stato vegetativo. «Non sono soprammobili. Occorre reimparare a relazionarsi con loro».
di Elisabetta Longo – Tempi.it
Tratto da: La Bussola Quotidiana

Pazienti in stato vegetativo sorridono, si muovono e sono coscienti dans Articoli di Giornali e News giovanbattistaguizzetti

Le gemelle Kessler, le famose ballerine della tv spensierata degli anni Sessanta, nel numero di Chi in edicola [nel febbraio 2012], raccontano di un patto tra loro, “un patto d’amore”, che consisterebbe nello “staccare le macchine” qualora una delle due si trovasse a cadere in stato vegetativo. «Se una di noi si ridurrà allo stato vegetativo, l’altra l’aiuterà a uscire di scena». Ma L’amore fraterno e familiare, quello di sangue che non si riesce mai a dimenticare, a detta del primario del centro Don Orione di Bergamo, Giovanbattista Guizzetti, è un altro.

Guizzetti lavora ogni giorno a stretto contatto con una trentina di persone in stato vegetativo: «Il più delle volte, quando si fa riferimento allo stato vegetativo, non si sa di cosa si stia parlando. Si pensa a persone trasformate in soprammobili inermi, e invece si tratta di imparare a capire il loro linguaggio, di avere un nuovo vocabolario per parlare con loro». Quando un nuovo malato arriva nella struttura bergamasca, non si tratta solo di dover accogliere lui, di prestare cure e assistenza sanitaria a lui, ma a tutta la famiglia. «Ci prendiamo carico di tutti e quindi ci sentiamo anche noi parte di quella famiglia che sta prendendo parte a un grande dolore. E con i parenti impariamo a riconoscere il loro nuovo modo di comunicare, che passa da un movimento impercettibile di una mano o di una palpebra. Una smorfia, che qualcuno taccerebbe come un tic, può essere invece una risposta a una domanda che si è fatta, a uno sguardo di affetto, un modo per manifestare uno stato d’animo, perché sì, mettiamocelo in testa, una persona in stato vegetativo prova sentimenti e emozioni esattamente come noi sani».

Qualsiasi fosse il tipo di relazione che si aveva con la persona caduta in stato vegetativo non vale più. Bisogna ricominciare da capo, bisogna costruire un nuovo tipo di relazione, e non c’è tempo per stare a pensare a un elenco di cose che non si potranno più fare, perché il malato è lì, nel letto, e ha bisogno di tutto. «C’è Antonio, uno dei nostri ricoverati, che in questi giorni non sta bene. L’ho visto un mattino con un’espressione del tutto diversa sul volto, l’abbiamo notato sia io che gli infermieri. Allora ho chiamato in ospedale, per prenotare una radiografia all’addome, perché presumevo avesse un’occlusione intestinale. Dall’altra parte del telefono mi è stato chiesto, come avessi fatto ad accorgermi del suo malessere, visto che Antonio non è in condizione di parlare. L’ho semplicemente guardato in faccia, ho risposto».

«Nessuno si augura che un familiare si possa trovare in quella condizione, ma bisogna reimparare ad amarlo, anche avendo coscienza del fatto che bisogna passare attraverso le cinque fasi di elaborazione del dolore». Ogni sabato all’istituto Don Orione vanno in visita un gruppo di donne di Brugherio, che per un paio d’ore fanno compagnia ai malati e alle loro famiglie. L’anno scorso, durante una riunione, una di loro ha detto che pensava che la condizioni di quei malati in stato vegetativo fosse di pienezza e di felicità. «Il giorno dopo la caposala mi ha fermata per chiedermi se fossi d’accordo con quella affermazione, che le sembrava priva di un appiglio con la realtà, ne era del tutto scandalizzata. Qualche giorno dopo un’infermiera portò una malata che aveva perso l’uso della parola in seguito a un trauma cranico, a fare degli esami, dei test per provare una cura nuova. Quello stesso giorno, la malata riprese l’uso della parola e la prima frase che disse all’infermiera fu “dite a mio marito che sono felice”. A dimostrazione che dentro quei corpi stesi nei letti e non più autosufficienti c’è vita, sentimenti e tutto quello che ci rende umani».

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