Come Gianni Di Marzio scoprì Maradona

Posté par atempodiblog le 3 novembre 2012

«Era arrabbiato, ma fece tre gol in 10 minuti. Così Maradona mi convinse»
di Emmanuele Michela -Tempi

L’ex-tecnico del Napoli Gianni Di Marzio racconta di quanto nel 1978 scoprì il Pibe de Oro in Argentina: «Lo vidi, andai negli spogliatoi e lo feci firmare subito»

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«Lo vidi giocare 10 minuti. E mi bastarono a convincermi che sarebbe diventato un campione». La voce di Gianni Di Marzio è ancora carica di entusiasmo nel raccontare di quanto accadde nell’estate del ’78. Poco tempo gli bastò per capire che chi aveva davanti era un ragazzo di soli 18 anni destinato a diventare il più forte di sempre, Diego Armando Maradona. Di campioni poi Di Marzio ne ha visti tanti, ma quelle giornate argentine sono ancora nette nella sua testa: all’epoca era tecnico del Napoli, e fece di tutto per portare il ragazzo in Italia già nel 1978. Ma la storia andrà diversamente, e Maradona riuscirà ad arrivare in Campania solo 6 anni dopo. Ora Di Marzio fa consulente di mercato per il Qpr, e a Tempi.it racconta che cosa lo stupì di quel ragazzo «coi capelli lunghi e bassino», di cui [il 30 ottobre] ricorreva il 52esimo compleanno.

Lei è passato alla storia come il tecnico che scoprì Maradona. Ci vuole raccontare di quell’incontro col Pibe de Oro?
Era il 1978, e andai in Argentina a seguire i Mondiali insieme a Trapattoni e Radice. Ero all’albergo Don Carlos di Buenos Aires, dove continuava a tempestarmi di telefonate in albergo un certo Settimio Aloisio: era un signore calabrese, di Aiello Jonico, diventato presidente della sezione calcio della polisportiva Argentinos Junior. Era tifosissimo del Catanzaro, squadra che due anni prima avevo portato in Serie A da tecnico. Cercava di rintracciarmi per sottoporre alla mia attenzione questo giovane giocatore che, secondo lui, era un fenomeno. Io all’inizio ero un po’ restio, poi però cedetti e andai a vedere questo ragazzo. Mi feci accompagnare da Angelo Pesciaroli, giornalista del Corriere dello Sport, e andammo a questo campo. Maradona però non si presentò: era ancora arrabbiato con Menotti, ct della nazionale argentina, che lo aveva inserito nella lista dei 40 per il Mondiale ma non dei definitivi 22. Già allora mi colpì perché aveva grande personalità. Con Aloisio lasciammo quindi Pesciaroli al campo, e andammo direttamente a Villa Fiorito, la casa del ragazzo, per convincerlo a venire: non mi fece una buona impressione con quei capelli lunghi, un po’ bassino, vestito così. Però alla fine Maradona arrivò al campo, e iniziò la partita. Mi colpì subito, così già dopo dieci minuti di gioco mi alzai e andai negli spogliatoi, d’accordo con Aloisio. Dovevo stare attento a Pesciaroli, il giornalista: all’epoca collaborava con la Lazio, quindi avevo paura me lo potessero rubare. A lui dissi che dovevo andare alla toilette. Maradona uscì dal campo, e Aloisio si impegnò a dare al Napoli questo giocatore per una cifra di 300mila dollari, 270 milioni di lire. Fu l’inizio: alla sera andammo a cena insieme, e nei giorni successivi che rimasi in Argentina Maradona era in giro con me. Però non voglio prendermi alcuna paternità di aver scoperto questo giocatore: mi sono sempre ritenuto un tecnico più di uno scout. Non avevo da acquisire alcun merito su questa vicenda.

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Cosa la colpì di quel ragazzino? Maradona aveva solo 18 anni.
In 10 minuti aveva fatto tre gol. Uno palla al centro, dribbling su 3-4 giocatori e staffilata perfetta nel sette. Il secondo una sforbiciata perfetta di sinistro su corner, il terzo una punizione precisa dal limite. Che cosa c’era da vedere di più?

Perché Maradona arrivò solo 6 anni più tardi al Napoli?
Quando tornai in Italia tentai di convincere il presidente Ferlaino a prenderlo. Ma lui non volle, non si fidava. Anche qualche giornalista era diffidente: Domenico Carratelli scrisse che avevo avuto la “presunzione” di aver scoperto un “Mariconda”. Quell’articolo lo tenni per anni, e quando poi Maradona divenne un grande giocatore inviai a Carratelli quella pagina di giornale. Lui continuava a rifiutarmi la raccomandata, e solo dopo che gliela feci avere a mano dichiarò pubblicamente di aver sbagliato e di vergognarsi per aver detto quelle cose su Maradona. Qualche mese dopo ci fu poi la rivincita della finale Mondiale tra Argentina e Olanda, a Berna. Anche il giocatore fu convocato, e io andai a trovarlo: gli portai la maglia del Napoli in regalo, ma non c’era nulla da fare. Ferlaino non si convinceva. Alla fine Maradona arrivò sei anni dopo, grazie anche ad Antonio Juliano, che era mio giocatore al Napoli del ’78. Si ricordava di quanto gli avevo detto su Diego, e di me si fidava ciecamente. Così andò a Barcellona ad acquistare il giocatore, che nel frattempo era arrivato in Europa. Ricordo ancora l’intervista che Maradona fece alla Rai sull’aereo per Napoli: diceva di aver scelto gli Azzurri perché glieli aveva consigliati Di Marzio, e che lui voleva già arrivare nel ’78.

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Che rapporto avevate voi due? Vi sentite ancora?
Più di una volta ci siamo incontrati durante gli anni successivi. A gennaio vado in Argentina a vedere il Sudamericano Under 20, quindi spero di incontrarlo lì. Non siamo in contatto, però lo rintraccio di sicuro. Non mi è mai piaciuto durante questi anni rompergli le scatole: Maradona ha sempre avuto intorno la “corte dei miracoli”, gente che gli procurava donne, droga, lo vendevano ai ristoranti… Io non volevo che lui pensasse che io fossi parte di questa compagnia, così non l’ho mai disturbato.

Maradona è stato un campione unico, quasi di sicuro il più grande di sempre. Qualcuno vede in Messi il suo erede. È d’accordo?
Messi è un fuoriclasse, Maradona è un dio. Non c’è sfida. Se Maradona avesse avuto intorno dei buoni consiglieri e non la “corte dei miracoli” probabilmente sarebbe stato in grado di giocare ancora oggi. Glielo dico con molto dispiacere e rabbia.

Ultima domanda. Ieri circolava la voce che il Blackburn volesse offrire la panchina a Maradona. Lei conosce bene il mercato inglese. C’è da credere a queste voci o meno?
Onestamente credo proprio di no. Maradona ormai ha un prezzo, e mi lascia un po’ perplesso una trattativa simile. Certo, mi farebbe grande piacere se tornasse in Europa. Ma non credo vada ad allenare il Blackburn.

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