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Chiara “Luce” Badano: «a me interessa solo stare al gioco di Dio».

Posté par atempodiblog le 29 octobre 2012

Stare al gioco di Dio
di Irene Bertoglio – Libertà e Persona

Chiara “Luce” Badano: «a me interessa solo stare al gioco di Dio». dans Beata Chiara Luce Badano chiaralucebadano

Oggi, 29 ottobre, si celebra la festa di Chiara “Luce” Badano. Forse non tutti conoscono il motivo di questo secondo nome: perché “Luce”? La giovane Beata aveva chiesto personalmente a Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, di scegliere per lei un nuovo nome che la aiutasse a vivere meglio il Vangelo. Un incontro importante quello con la Lubich, da cui nasce in “Chiaretta” – come la chiamavano gli amici più cari – questa riflessione: «Mi piacerebbe essere una cristiana vera, autentica, di quelle che vanno fino in fondo; non voglio e non posso rimanere analfabeta di un così straordinario messaggio. Come per me è facile imparare l’alfabeto, così deve essere anche vivere il Vangelo». E questa frase d’infanzia suona come una profezia.
Chiara nasce nel paesino di Sassello (Savona), attesa dopo 11 lunghi anni: il padre, Ruggero, uomo dagli occhi profondissimi, racconta che, nel soffrire per la sua non ancora compiuta paternità, pregava sul camion mentre lavorava. Anche la madre, Maria Teresa, è un’autentica testimone dell’amore di Dio; nel narrare la sua esperienza afferma che, alla nascita della figlia, «da subito avevamo avvertito nell’anima che Chiara non era figlia nostra, ma figlia di Dio, e come tale dovevamo crescerla nella Sua libertà». L’ubbidienza alla volontà del Signore e la conseguente accettazione del Destino rappresentano per la famiglia Badano una costante che accompagna provvidenzialmente tutta la vita loro e di Chiara Luce. È indubbio che Ruggero e Maria Teresa ricalcano la famiglia di Nazareth: due persone umili, di intensa e concreta fede. Sarà la stessa figlia, più avanti, a rivolgersi al padre dicendogli: «Papà, quando abbiamo questa presenza di Gesù in mezzo così forte tra di noi, noi siamo la famiglia più felice del mondo!».

Un racconto che ci avvicina a comprendere meglio questa bambina così luminosa proviene dalla mamma, che un giorno le suggerisce di regalare alcuni dei suoi giochi ai bambini più poveri, ma Chiara risponde: «No, sono miei!». E qui, nessuna novità. Ma dopo poco, Chiara chiede a Maria Teresa una borsetta di plastica e sceglie di regalare ai bimbi proprio i giochi più nuovi, giustificando così questo gesto: «Ai bambini poveri non si possono dare giocattoli già rotti!». Non vi viene in mente una parabola di Gesù? «[…] Un padre chiede al secondo figlio di andare a lavorare nella vigna ed egli rispose: non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò»…

Chiara cresce e sceglie di frequentare il liceo classico di Savona. Nonostante gli insegnanti la instradino verso un altro percorso di studi lei è determinata e va avanti per la sua strada: vedremo come questa sua attitudine temperamentale la accompagnerà per tutta la vita. Alla fine dell’anno, però, viene bocciata, e qui avvengono le prime importanti riflessioni sul mistero della sofferenza, oggi la grande censurata del nostro secolo. Chiara assegna infatti un valore all’esperienza del dolore, interpretazione più che mai antitetica per la nostra società, in cui la sofferenza sembra dover essere a tutti i costi annullata: «Questo fallimento mi fa capire che non ci può essere gioia se non si affronta il dolore come ha fatto Gesù sulla Croce, che si sentiva abbandonato dal Padre». Di sofferenza Chiara farà molta esperienza. Nel 1988, infatti, all’età di 17 anni, accusa un dolore alla spalla. La diagnosi è sconvolgente: osteosarcoma. Alla notizia, la madre, confermandosi nuovamente donna di grande fede, abbraccia il marito dicendogli: «solo Lui può aiutarci a dire il nostro “sì”». Ma Chiara? È pronta per il suo “sì”? Il 14 marzo 1989 scrive: «è tutto chiaro, io non guarirò più, me l’hanno detto i medici. Perché Gesù? Perché proprio io?». Maria Teresa ricorda che in quella circostanza Chiara cammina molto lentamente e le chiede di non parlare: si butta sul letto. La mamma rispetta, con discrezione e tenerezza, la richiesta della figlia: «in quel momento vedevo dalla sua espressione tutta la lotta che stava facendo dentro di sé, perché sapeva che doveva dire il suo “sì” a Gesù, non solo nella gioia ma anche nel dolore, ma lei voleva vivere! Dopo 25 minuti, con un sorriso raggiante mi dice: “mamma, adesso puoi parlare”. Aveva preso atto del suo dramma e detto il suo “sì”». Come il fiat di Maria da quel momento la forza e la determinazione di Chiara non l’hanno più fatta tornare indietro: «Mi sento piccola, la strada da compiere è così ardua, spesso mi sento sopraffatta dal dolore e mi ripeto: se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch’io. A me interessa solo stare al gioco di Dio». E ancora, durante la chemioterapia: «ogni ciocca che cade è per te Gesù».

Quando Chiara perde l’uso delle gambe scrive: «La mamma mi ha detto: “Gesù ti ha tolto le gambe ma ti ha dato le ali”». Quanta dolcezza in questa mamma che ha sempre saputo creare un clima di sostegno sia con le parole che con i gesti! Chiara sa di dover lasciare molte cose: che cosa prova? Immedesimiamoci e chiediamoci come ci sentiremmo noi senza tutto ciò che abbiamo, in una condizione simile: senza più poter camminare, sapendo di avere i giorni contati. Come reagiremmo? Lei la prende così: «Mi sento avvolta in uno splendido disegno che poco a poco mi si svela». Ecco di nuovo la sofferenza come mistero accettato. Il padre testimonia che lui e Maria Teresa erano convinti Chiara sorridesse solo per far piacere a loro, allora la spia dalla serratura e commenta: «Ho capito che Gesù faceva scendere una grazia su di lei».
Durante il ricovero Chiara riceve anche dei soldi che manda subito in Africa, convinta che «là sarebbero serviti di più». Un’amica storica afferma che Chiara avrebbe desiderato diventare pediatra.

Negli ultimi tempi – cure sospese – Chiara rifiuta la morfina in quanto vuole restare completamente lucida, in totale controtendenza rispetto alle normali richieste dei pazienti in simili condizioni. Un altro episodio molto commovente è quando, il giorno di S. Valentino, Chiara sollecita la mamma ad andare dal parrucchiere e a uscire a cena col marito: «Stasera dimenticatevi di me, guardatevi negli occhi e ditevi che vi volete bene». Maria Teresa ricorda: «Lì ho pianto, perché ho compreso che Chiara ci stava abituando a camminare da soli!». Una mamma sempre attenta e disponibile, ma non di meno la figlia: Chiara, così sensibile nei confronti della salute psicologica dei genitori, pensa già “in avanti”, così, quando chiede di poter avere, per il suo funerale, come una sposa, un abito bianco con una cinturina rosa, dice alla mamma: «quando mi vestirai dovrai sempre ripetere: “Ora Chiara vede Gesù”, per tre volte». Nell’ultimo saluto alla madre le scompiglia i capelli con una mano e sorridendo le dice: «Mamma, ciao! Sii felice perché io lo sono».

Il 19 dicembre 2009 Benedetto XVI firma il decreto di approvazione del miracolo di guarigione di Andrea Bartole attribuito all’intercessione di Chiara Luce Badano. Il 25 settembre 2010 viene beatificata.
Mons. Livio Maritano, vescovo emerito di Aqui Terme, rimembrando le loro conversazioni, rileva come Chiara cogliesse sempre «l’essenziale del Cristianesimo, puntando tutto sulla certezza dell’amore di Dio a cui ricambiare col “sempre sì”». In una registrazione vocale di Chiara, voce peraltro a mio parere dolcissima, questa affermazione è confermata: «Ho capito che se noi fossimo sempre in questa disposizione d’animo, pronti a tutto, quanti segni Dio ci manderebbe! Ho compreso anche quante volte Dio ci passa tanto e noi non ci rendiamo conto. Adesso vi saluto, anche se avrei tantissime altre cose da dirvi, ma… (qui si fa silenzio) alla prossima puntata. Ciao a tutti!».

Chiara è stata descritta da tutti coloro che l’hanno conosciuta come una persona semplice, sempre sorridente, vivace, piena di vita, altruista, riconoscente. Negli anni ’80 incarna l’esatto opposto della moda del tempo e non cerca di mettersi in mostra. Sa ascoltare in silenzio senza interrompere: quale insegnamento per una società logorroica come la nostra! Oggi tutti parlano, ma quante relazioni si instaurano veramente? Chiara ci insegna che ascoltare implica un rapporto, un incontro personale, un’apertura accogliente.

E in questa scalata verso Dio, verso la cima, come capo cordata ci esorta: «I giovani sono il futuro, io non posso più correre ma vorrei passare loro la fiaccola come alle olimpiadi. I giovani hanno una vita sola, e vale la pena spenderla bene!». Il cuore è capace di amare nonostante tutte le condizioni esteriori; si può vivere con coraggio: la Santità è possibile anche ai giorni nostri.

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HALLOWEEN: il nulla tende ad essere riempito da Satana

Posté par atempodiblog le 29 octobre 2012

“Satana oggi opera per distruggere le famiglie e attira a sé i giovani utilizzando il loro tempo libero”. (Padre Livio Fanzaga)

HALLOWEEN: il nulla tende ad essere riempito da Satana dans Anticristo halloween-e-zucche-vuote

“Figli cari! Anche oggi vostra madre vi avverte che Satana sta provando a soffocare tutto ciò che c’è di buono in voi. Ma la vostra preghiera non gli consente di riuscirci. Pregando voi riempite tutti i vuoti e così impedite a Satana di entrare nella vostra anima. Pregate, figli cari, e vostra madre pregherà con voi per vincere Satana”. (Messaggio straordinario di Medjugorje del 21/03/1988)

“Voglio dirvi anche che Satana in questo tempo sta operando in modo particolare per sviarvi dalla via del bene. Vi raccomando pertanto di riempire con la preghiera tutti gli spazi vuoti così che Satana non possa nuocervi. In particolare vi raccomando di pregare nelle vostre famiglie. Vostra madre pregherà insieme con voi”.  (Messaggio straordinario di Medjugorje del 21/05(1989)

“Cari figli, io sono con voi anche se non ne siete coscienti, desidero proteggervi da tutto ciò che satana vi offre e attraverso cui vi vuole distruggere”. (Messaggio di Medjugorje del 25/03/1990)

Divisore dans San Francesco di Sales

HALLOWEEN: il nulla tende ad essere riempito da Satana
di Don Marino Bruno
Fonte: Il cittadino, settimanale cattolico da Genova – il cittadino.ge.it
Tratto da: Luci sull’est

Halloween dans Fede, morale e teologia

[...] questa ricorrenza è paragonabile ad un fiume in piena riempito da tanti affluenti. Infatti si fanno tante congetture, alcune attendibili, altre no. [...] s’invitavano genitori ed educatori a non dare l’approvazione ad una vicenda che si fonda sul vuoto [...] E’ una vicenda che si fonda sul vuoto, perché non ha contenuti, di nessun genere. E quando non ci sono contenuti, dev’esserci sempre allarme rosso. Perché, secondo quanto ha compreso la Chiesa cattolica, il nulla tende ad essere riempito da Satana.
La religione celtica non sembra dare adito a situazioni spettrali, nella notte di Samhain, il 31 ottobre. Il rinnovato rapporto con i morti, tipico di quella circostanza, sembra che fosse sereno. L’elemento spettrale parte sicuramente dall’uso che il mondo esoterico ha voluto fare di alcune leggende dei Celti [...]
Ne riprendiamo una, quella più importante e famosa, la leggenda di Jack [...] Il protagonista è un fabbro dalla pessima condotta morale, che un 31 ottobre venne colto da un attacco mortale di cirrosi epatica. Il diavolo arrivò per prenderselo, ma Jack gli chiese il favore di poter bere il suo ultimo bicchierino.
Ottenuto il permesso, iniziò a far presente che non aveva neppure una moneta per pagare la consumazione nell’osteria, pertanto chiese al diavolo di trasformarsi in una moneta da sei pence. Questi, stupidamente, acconsentì; Jack afferrò la moneta, la mise nel borsellino, che aveva – all’esterno – una croce ricamata. Il diavolo era imprigionato e con una croce a due centimetri di distanza che lo faceva soffrire. Jack gli propose di posticipare di un anno la sua morte, al prigioniero non restò che accettare, per poter riavere la libertà e terminare di soffrire a causa del simbolo cristiano che l’opprimeva.
Un anno dopo il diavolo si presentò all’appuntamento con Jack. L’instancabile truffatore gli prospettò una sfida: non sarebbe più riuscito a scendere da un albero. Il diavolo, divertito per l’ingenua sfida, accettò. Salì su un albero che si trovava nei pressi, mentre Jack incise sulla corteccia una croce, la cui presenza rendeva problematico – all’avversario – passarvi accanto. Pertanto lo spirito del male era imprigionato sui rami. L’infaticabile fabbro gli promise che avrebbe cancellato la croce, ridandogli la libertà, se lui avesse rinunciato a portarlo con sé all’inferno.
Così fu. Jack bussò alla porta del Paradiso, ma gli fu risposto che non lo potevano accettare; non potendo andare neppure all’inferno, ricevette dal diavolo un dono quale squisito atto di cortesia, consistente in un tizzone ardente, che gli potesse illuminare il cammino in quell’eterno limbo buio che avrebbe dovuto percorrere per l’eternità.
Jack, da uomo che non si scoraggiava mai, fece in modo che quel tizzone gli potesse davvero durare nel tempo, per cui lo ripose in una rapa intagliata, ricavandone in tal modo una lanterna. Infatti oggigiorno si parla di Jack o’ lantern. Quando la leggenda, nella metà del 1800, passò in America in conseguenza d’una massiccia emigrazione del popolo irlandese nel nuovo continente, gli emigrati scoprirono che le zucche erano più grosse e più facili da scavare rispetto alle rape, anche perché le rape americane erano più piccole di quelle europee. Ecco perché oggi si usano le zucche, vere o di plastica.
La leggenda di Jack esprime un aspetto che emerge dalla tradizione celtica, che emerge in un modo non pienamente chiaro, vista la pluralità di torrenti di leggende e di si dice che arricchiscono la notte d’inizio di quel nuovo anno. Si tratterebbe di quella setta che ogni sera del 31 ottobre bussava alle porte delle case…
In epoca vittoriana gli strati borghesi, di fatto, s’impadronirono della festa, copiando la moda americana, che era solita organizzare feste – talvolta anche a scopo benefico – proprio nella notte del 31 ottobre. Il 31 ottobre è anche uno dei sabba delle streghe. Perché tutte queste coincidenze proprio in tale data? Già nel 1910 le fabbriche statunitensi producevano tutta una serie di manufatti finalizzati unicamente ad Halloween, che prese il nome di notte degli scherzi, o di notte del diavolo.
Diventò rapidamente la notte in cui ci si abbandonava ad un comportamento anarchico, amorale, vandalico, fino al punto che il governo la proibì. Durante la seconda guerra mondiale la festa servì per tenere alto il morale delle truppe, e dal 1945 ebbe luogo una regia per dirottarla sui bambini, quale festa per loro. Dall’America la moda è passata in questi ultimi anni anche da noi. Il messaggio che vagamente, confusamente passa è che in quella notte bisogna travestirsi in modo tale da far paura, con la zucca che fa luce, perché si fa la parte dei morti che devono spaventare le persone; in quella notte si deve dire a tutti dolcetto o scherzetto, che esprime un inno alla mentalità del ricatto, alla mentalità del pizzo di chiaro stampo mafioso. Il bambino è invitato ad esigere, altrimenti delle forze negative che agiranno dietro suo comando porteranno disgrazie.
E’ una festa dove le componenti religiose celtica e cristiana sono state eliminate. Se ad un bambino venisse raccontata la leggenda di Jack, il messaggio che passerebbe sarebbe veramente antipedagogico, indipendentemente da ogni riferimento alla dottrina cristiana. Un uomo bugiardo che è più perfido del male, e che comunque viene aiutato proprio dal diavolo a lenire il suo cammino, col dono di un tizzone acceso, mentre il Paradiso tace e non fa nulla, stravolge ogni concetto di bene e di male che gli educatori, genitori in testa, vogliono trasmettere ai piccoli. E’ un’opinione condivisa? Il male diventa dispensatore d’un gesto di carità che a Dio non viene neppure in mente di attuare. I bambini hanno bisogno di fiabe.
Se Halloween è elevata a dignità di fiaba, scusate, ma io non ho ancora compreso nulla di pedagogia. Le fiabe sono vere – scriveva Italo Calvino – sono nella loro sempre ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane una spiegazione generale della vita. E’ importante nutrirsi ed essere nutriti di fiabe. Quale spiegazione generale della vita emerge dalla vicenda di Jack? I bambini hanno bisogno d’essere aiutati ad elaborare un rapporto non macabro con il concetto di morte e di morti. Questo l’affermo indipendentemente da ogni riferimento religioso, ateo, agnostico, filosofico.
Non è il momento in cui parlare di vita ultraterrena sì o no, reincarnazione sì o no. Adesso siamo in campo pedagogico, dove dei minimi comuni multipli socialmente condivisibili non possono non imporsi. Un concetto di al di là che faccia paura, che possa ricattare anziché esprimere solidarietà, sicurezza, serenità, tranquillità, non aiuta la crescita del bambino.
Se Halloween è solo una festa innocente io devo ancora comprendere da che parte guardare per iniziare a vivere. C’è un abisso tra Halloween e il carnevale: i mandanti di questo carnevale d’ottobre sono gli stessi che stanno cercando di bombardare – con stile politically correct – la religione in sé e quella cattolica in modo particolare.
Quando esoterismo, lobby politiche e filosofiche lavorano per svitare il senso del sacro ed il rispetto che gli si deve, ponendovi sopra la profumata patina della new-age, non meravigliamoci se le loro prede preferite sono i bambini. Forse un bambino può venir lasciato libero di scegliere da grande se farsi battezzare oppure no, ma Halloween no, Halloween va vissuta, perché è innocua. Signori, Halloween, impostata così, è pedofilia esercitata in campo morale, psicologico, spirituale, mentale, senza violentare il corpo.
Il concetto sereno e dignitoso della vita si distrugge anche sconquassando la solennità della morte e la situazione di chi è morto. Rendere la morte un carnevale significa che il capolinea del vivere terreno, quel capolinea che esprime la sintesi dell’intero vivere terreno, di ciò che s’intende del concetto di vita e del concetto di morte, è solo edonismo. Un popolo infettato di edonismo può essere manipolato con maggiore facilità dal burattinaio più furbo, o da più burattinai. Dare un senso del macabro ai bambini in merito al concetto della morte e dei morti significa iniziare a demolire la dignità della vita terrena sino dalla più tenera età, col consenso acritico di non pochi genitori ed educatori che non se ne stanno accorgendo.
Ormai conviviamo col velenoso spacciato per innocuo: dai cibi che ci vengono propinati, forse dalle onde emesse dai cellulari, allo spinello fumato perché intanto è solo uno spinello, l’assunzione di veleni per il corpo e per la mente è all’ordine del giorno. Crediamo d’essere liberi, ma corriamo il rischio d’essere prigionieri di modelli di vita esprimenti un tu devi kantiano che fa rabbrividire. La libertà si conquista ponendoci in modo critico dinnanzi a tutto. Va alzato lo spirito critico. Di tutti, su tutto. Giocare a fare il fantasma o altro ancora, giocando a vivere il ruolo di spirito inquieto, non è educativo. Ma è solo un gioco, viene detto da troppi. Ci rendiamo conto di quale messaggio si ricolma la mente del bambino in conseguenza di questo gioco? Ci vogliamo pensare a cosa resta nella mente, e cosa nella mente continua a lavorare? Il bambino ci ritornerà sopra tante volte per associazione di idee, ogniqualvolta gli verrà spontaneo.
Ai genitori ed agli educatori cristiani chiedo di evitare ogni manifestazione legata ad Halloween.
Noi siamo cristiani, non festeggiamo Halloween, potrebbe essere la risposta. Noi siamo cristiani penso che dovrebbe essere la frase da obiettore di coscienza di pasticceri, giornalai, cartolibrari, dinnanzi alla domanda del cliente che chiede ma non avete nulla per Halloween?
Gli insegnanti non possono non avere le idee chiare in merito alla non pedagogicità di questa farsa autunnale. Si parla tanto di presepe si o presepe no nelle scuole, di recita di Natale si o no – sempre nelle scuole – per non offendere sensibilità religiose non cristiane o atee, e qui c’è ben più rispetto ai vari credo religiosi o filosofici: è in gioco l’equilibrio psicologico del bambino su vita e morte, viventi e defunti. Praticamente, le riflessioni-impalcatura su cui fondare il proprio modo di vivere, il significato ed il senso stesso da dare alla vita. Ed alla morte. E ai morti. Non posso credere che questo, almeno questo, non sia condivisibile da ogni collega.
Oggi abbiamo elaborato alcune riflessioni essenziali sull’aspetto pedagogico. Prossimamente ne presenteremo altre, inerenti l’invasione del mondo dell’occulto in tutti i settori della vita.
E’ già pronta anche l’intervista fatta a Don Gilles Jeanguenin, un Sacerdote che quotidianamente esercita il ministero di esorcista, approvato dal nostro Arcivescovo.
E’ anche disposto a venire a parlare nelle scuole, laddove un docente ne faccia richiesta.

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