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Halloween, il crisantemo opposto

Posté par atempodiblog le 23 octobre 2012

Halloween, il crisantemo opposto dans Fede, morale e teologia Halloween

Halloween (« All Hallows’Eve day »), la festa più importante dell’anno per tutti i seguaci di Satana. Che, intelligentissimo, danza nascondendosi. Entra nelle scuole con feste e filastrocche in inglese, zucche e teste vuote. Passeggia nelle strade con « dolcetto o scherzetto » (in origine « maledizione o sacrificio »)

Prospettive diverse, forse opposte. Sul davanzale di novembre crisantemi, cimiteri addobbati di luce, preghiere silenziose e composite: è la memoria che va cercando lo spazio del cuore per riannodare vecchi volti. Storie già partite. Frammenti di eternità nello scorrere del tempo. La solennità dei santi e la commemorazione dei defunti sono l’eco di un limite che all’uomo non è dato oltrepassare: il mistero tremendo e affascinante della morte.
Della conversazione tra cielo e terra. Tra tempo ed Eternità. Occasione di speranza per qualcuno: perché dopo la sorte toccata all’Uomo della Croce morire non è più assurdo e insignificante. Motivo d’angoscia per altri: perché quel limite richiama il senso della finitezza, dell’impotenza, del confine umanamente insormontabile. Del mistero.
E all’insormontabile qualcuno risponde con la magia, l’esoterismo, il fascino attraente dell’occulto. La bellezza dell’estremo. Il rischio della magia.
E’ il benvenuto di Halloween (« All Hallows’Eve day »), la festa più importante dell’anno per tutti i seguaci di Satana. Che, intelligentissimo, danza nascondendosi. La sua migliore pubblicità. Entra nelle scuole con feste e filastrocche in inglese, zucche e teste vuote. Passeggia nelle strade con « dolcetto o scherzetto » (in origine « maledizione o sacrificio »), con maschere carnevalesche e campanelli suonati fuggendo. Viaggia nei pensieri con l’antica leggenda di Jack, il fabbro malvagio. Con la magia dei racconti, il fascino catodico degli horror cult. E dietro le zucche un’illusione: diventare più furbi del Diavolo. Per evitare il mondo degli inferi. Pipistrelli e gatti neri. La luna piena, le streghe e i fantasmi: l’alfabeto dell’occulto che ad Halloween trova cittadinanza onoraria. Con tanto di consegna di chiavi della città dell’anima.
Si legge trafugando nella Scrittura Sacra: « il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza » (Osea 4,6). Anche l’Isaia profeta lanciava grida di battaglia contro chi mescola il bene col male confondendolo a proprio piacimento. E’ legge sotterranea quella di soffocare nelle osterie della vita l’angoscia dell’esistenza. Dando credito al primo gatto-volpe che passa. Soprattutto quando il cuore non conosce custodia alcuna.

Così, decidendo di non pensare alla morte, l’uomo scende a patti con l’Avversario, il demone per eccellenza. Fino ad organizzargli una festa senz’accorgersi che il credito procuratosi è l’angoscia. Ma se l’uomo s’accorgesse, la Menzogna tradirebbe la sua intelligenza.
Oltre a rovinare la notte di Halloween.

di Don Marco Pozza
a cura di Buggio e Nerella
Tratto da: Cultura Cattolica

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« Facciamo tesoro del Rosario. Vuotiamo il Purgatorio! »

Posté par atempodiblog le 23 octobre 2012

La storica esortazione di san Pio da Pietrelcina

Un episodio straordinario, fra i molti che capitavano con san Pio da Pietralcina. Muore il papà di una signora, che era fervente figlia spirituale di Padre Pio. La signora abitava nel nord Italia. Dopo la morte del papà, la signora si mette in viaggio e arriva a San Giovanni Rotondo. Incontra Padre Pio e lo prega, in lagrime, di dirle che cosa fare per suffragare l’anima del papà morto piamente alcuni giorni prima. Padre Pio le risponde con serenità: “Recita duecento Rosari perché l’anima di tuo papà lasci il Purgatorio ed entri nel Regno dei cieli”. La pia signora, confortata, si rimette in viaggio verso il nord Italia e inizia subito la recita di duecento Rosari. In questo episodio leggiamo la potenza del Rosario nel sollevare e liberare le anime purganti dalle loro terribili pene, perché entrino nella Patria dei cieli.

Anche in altre occasioni san Pio da Pietralcina, donando la corona del Rosario a qualcuno, diceva: “Facciamo tesoro del Rosario. Vuotiamo il Purgatorio!” Sarebbe davvero salutare tener presente questa esortazione di san Pio da Pietralcina, soprattutto in occasione della morte dei nostri parenti, per i quali, di solito, siamo pronti a versare lagrime e a spendere soldi in corone di fiori, mentre potremmo donare a loro le corone ben più preziose e sante dei Rosari recitati senza stancarci. E’ antico nella Chiesa l’insegnamento sull’efficacia del Rosario nell’alleviare le anime purganti dalle loro sofferenze e liberarle, dal Purgatorio.

Anche la grande santa Teresa d’Avila ammaestrava e raccomandava alle sue monache di suffragare generosamente le anime purganti con la recita dei Rosari, perché ogni Ave Maria è un sollievo, è un ristoro per quelle penanti nel fuoco dell’espiazione e della separazione da Dio Amore. Per questo sant’Alfonso de’ Liguori, ammaestrato da santa Teresa d’Avila, raccomandava: “Se vogliamo aiutare le anime del Purgatorio, recitiamo per loro il Rosario che arreca grande sollievo”. E sant’Annibale di Francia affermava anch’egli che “quando noi recitiamo la corona di Maria Santissima per qualche anima, quell’anima sente quasi smorzare le ardenti fiamme che lo circondano e prova un refrigerio di Paradiso”. Un santo che fu straordinario nell’apostolato del Rosario per le anime purganti fu senza dubbio san Pompilio Pirrotti, sacerdote piissimo e grande apostolo, vissuto nel secolo XVIII.

Certamente la pratica di pietà mariana da lui preferita fu il Rosario, ed egli stesso si preoccupava di costruire molte corone del Rosario anche per distribuirle agli altri, incitando a recitare il Rosario per suffragare le anime purganti. La sua specialità in questa pratica mariana consisteva nel fatto che egli recitava il Rosario non soltanto dovunque e con chiunque, ma anche con le stesse anime purganti. Parrebbe incredibile, eppure le testimonianze a riguardo non ammettono dubbio o incertezza.

Nella Chiesa del Purgatorio, infatti, dove il Santo officiava, non raramente avveniva che recitando egli il Rosario si udivano con chiarezza le voci delle anime defunte che rispondevano la seconda parte dell’Ave Maria. Stupore e meraviglia colpivano tutti i presenti, ma anche una grande commozione spingeva ad un impegno generoso nella recita dei Rosari per suffragare quelle anime penanti in attesa del sollievo che arrecano a loro i nostri Rosari.

Un altro grande apostolo del Rosario per le anime purganti fu san Giovanni Massias, padre domenicano, il quale recitò tanti Rosari per le anime del Purgatorio e ricevette la rivelazione che con i Rosari aveva liberato dal Purgatorio un milione e quattrocentomila anime. Il papa Gregorio XVI volle che questo fatto così straordinario e così edificante venisse inserito nella stessa Bolla di Beatificazione, a insegnamento per tutti.

Un particolare interessante leggiamo nella vita di Maria Cicerchia: questa umile Serva del Signore si recava di frequente in visita al cimitero; lungo il tragitto recitava Rosari senza interruzione per le anime purganti, e al cimitero amava recitare in modo speciale i misteri gloriosi del Santo Rosario. Perché i misteri gloriosi? Perché sperava che per la mediazione materna di Maria Santissima, Regina del paradiso, quelle anime rinchiuse nel Purgatorio potessero lasciare al più presto quel luogo di sofferenza ed entrare nella gloria senza fine del santo Paradiso di Dio.

Animiamoci anche noi a questa carità verso le anime purganti recitando il Rosario per alleviare le loro sofferenze, per ottenere a loro la liberazione da quel luogo di pene, con l’entrata nel Regno dei cieli, dove gioire eternamente beate. Suffragare le anime purganti, del resto, è una carità che non resterà senza ricompensa sulla terra e nei cieli. Gli esempi e gli ammaestramenti dei Santi ci illumino e ci spronino alla generosità nella recita di molti Rosari per le anime purganti.

di don Marcello Stanzione – ZENIT -

Tratto da: Ascolta tua Madre

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Wojtyla e la bellezza come Vangelo

Posté par atempodiblog le 23 octobre 2012

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Il titolo del ritiro, «Il Vangelo e l’arte», annuncia bene il tema. Evidentemente, un tale ritiro non può interessare che quanti hanno qualcosa in comune sia con il Vangelo che con l’arte. È a loro che desidero rivolgermi in modo particolare, attraverso il vangelo, attraverso l’argomento di questa predicazione. A un primo colpo d’occhio, pare che non vi sia nulla sull’arte nel vangelo, ma si tratta di un’impressione dovuta a una lettura molto superficiale. Se noi leggiamo più profondamente, nella misura in cui vediamo il Vangelo come un insieme vivente, i legami tra il Vangelo e l’arte si disegnano sempre più nitidamente. Questi legami esistono innanzitutto perché il Dio del Vangelo è la Bellezza.

Dio è la bellezza: da Platone a Gesù
Il Vangelo dice esplicitamente da qualche parte che Dio è la bellezza? No. Non lo dice chiaramente. Non vi troviamo un’affermazione simile. Pertanto, vorrei menzionare qui il colloquio di Cristo con il giovane ricco, uno dei dialoghi più belli del Vangelo. Quando il giovane si rivolge a Cristo dicendogli: «Maestro buono….», il Cristo sembra respingere questo aggettivo. Pone dunque al giovane la domanda: «Perché tu mi chiami buono? Nessuno infatti è buono, se non Dio solo» (Mc 10,18 e Lc 18,19). Questa parola è molto significativa. Cristo, dicendo questo, ha voluto sottolineare che ciascun essere, ciascuna creatura è buona in una certa misura? Che ciascuna creatura è un certo bene? No. Cristo ha voluto sottolineare, accentuare, che Dio solo è il Bene nel senso assoluto del termine. Solamente in Dio si realizza tutto ciò che è contenuto nella nozione di «bene». È per questo che, di Lui solo, noi possiamo dire che è buono. Per analogia, di Lui solo, noi possiamo dire che è bello, cioè che è la Bellezza. Tutto quanto è contenuto nella nozione di bellezza è pure contenuto in Dio. Le creature – le opere della natura, dell’uomo, dell’arte – contengono solamente un riverbero, un riflesso, un frammento – se così si può dire- della bellezza. La bellezza è dentro di loro. Questa bellezza è dispersa nel mondo visibile in abbondanza, in sovrabbondanza. Ma giustamente, in questa dispersione, la bellezza -nessuna [bellezza] – non è la bellezza assoluta. Dio solo è la bellezza assoluta.
Cos’è la bellezza? È difficile rispondere a questo interrogativo; noi consideriamo la bellezza piuttosto sulla base delle sue funzioni. Tutto ciò che è bello ci attira, ci provoca meraviglia. La bellezza attrae la nostra conoscenza. Ma si tratta di una conoscenza particolare. Non di una conoscenza astratta, puramente intellettuale, ma di una conoscenza eccezionale. Una sensibilità particolare alla bellezza esiste nell’anima. Come una corda che vibra, quando l’uomo tocca la bellezza. La bellezza ci stupisce e ci attira. Tale attrazione ci indica che la bellezza nasconde dietro di sé qualcosa di più.
I filosofi – soprattutto Platone – hanno rimarcato già da parecchio tempo che esiste un rapporto stretto fra la bellezza e il bene. Quando l’uomo tocca la bellezza, questa indica un certo bene e questo bene l’attira. Ecco l’interpretazione esatta del dialogo di Cristo con il giovane, o, più precisamente, della risposta che questi ha ricevuto. Alla luce di quanto sappiamo sulla bellezza e sul bene, possiamo dire che Cristo, quando ha rivolto al giovane queste parole sorprendenti «Perché tu mi chiami buono? Nessuno infatti è buono, se non Dio solo», gli ha fatto comprendere effettivamente questo: «Perché tu mi chiami bello? Nessuno infatti è bello, se non Dio solo». Sarebbe questo il quadro più ampio nel quale noi scopriamo il rapporto fra il Vangelo e l’arte – perché vi scopriamo il legame tra il Vangelo e la bellezza.

Il Vangelo e l’inquietudine creatrice
Ma al di là di questo quadro più ampio, nel quale scopriamo il rapporto fra Dio e l’arte, cioè fra il vangelo e l’arte, esiste ancora un altro quadro. Direi quello degli avvenimenti. Non è vero che la religione, il cristianesimo, è diventato una fonte abbondantissima d’ispirazione per l’uomo, per l’umanità? D’ispirazione artistica. La storia della cultura, la storia dell’arte, soprattutto europea, non sono una prova che il cristianesimo, la religione, il Vangelo sono una fonte d’ispirazione artistica per l’uomo – di ispirazione che porta alla creazione della bellezza? Bisognerebbe porre la domanda: perché ciò era vero nel passato e perché ciò è vero oggi? Non è una questione solo inerente il “passato”: è del tutto attuale. Il cristianesimo è una sorgente inesauribile di ispirazione. Verso la fine del XIX secolo tale fonte sembrava prosciugata. Ora, noi siamo testimoni che sgorga e scorre nuovamente. Per l’uomo di oggi, per l’artista di oggi, il Vangelo torna ad essere una fonte di inquietudine creatrice, una sorgente d’ispirazione – d’ispirazione letteraria, nella pittura, nella musica e nell’arte del teatro. In un modo nuovo, sotto nuove forme.
Dalle conseguenze dobbiamo risalire alla causa. Perché il Vangelo continua ad essere una fonte così abbondante di ispirazione e di creazione? Noi afferriamo qui – in flagranza di delitto (che è forse un’espressione maldestra) – che il Dio del Vangelo è la Bellezza. Tale noi lo vediamo nel Vangelo, tale Egli si è manifestato nel Vangelo (non dico che Egli si è “rivelato”, ma che Egli si è “manifestato”, perché a dire il vero Egli si è manifestato nel Vangelo). Tutti gli elementi – tutte le tappe di questa manifestazione di Dio nel Vangelo – sono diventati un’espressione singolare della Bellezza. E per gli artisti, una fonte di ricerca, di inquietudine creatrice.
Quanti artisti hanno tentato di rappresentare il neonato, il Bambino Gesù In seguito, tutto ciò che il Gesù del Vangelo ha detto, tutto ciò che ha fatto , continua -direi- a ispirare gli artisti. Il dialogo con la Samaritana, il colloquio con Nicodemo, il miracolo a Cana e soprattutto ciò che costituisce l’esito del Vangelo, ovvero la sua passione, la sua morte, la croce e la resurrezione. Perché? Perché gli artisti comprendono perfettamente che un elemento del mistero è presente negli avvenimenti del Vangelo.

Il mistero della bellezza incarnata
Dio si è manifestato, Dio si è rivelato, e il Dio del Vangelo in ogni modo resta un mistero. Si è manifestato, si è rivelato nella misura del possibile. Affinché l’uomo possa contemplarlo. L’artista può sempre avvicinarsi, con la sua immaginazione e attraverso le sue opere, a questo Dio che si è manifestato e si è rivelato nel Vangelo. Al tempo stesso questo Dio del Vangelo resta un mistero. Pienamente mistero. Resta inesprimibile, l’unico. Mi ricordo di un giorno in cui ho passato lunghe ore a visitare le Terme di Diocleziano a Roma. Avevo davanti a me capolavori della scultura classica, greca. Era una giornata assai laboriosa. Ero molto stanco. Ho visto con quale immenso sforzo tutti questi grandi artisti -questi grandi scultori- ricercavano l’Incarnazione. Mostrare la bellezza perfetta, l’assoluto nel corpo umano. Dopo questa passeggiata di qualche ora, che per me costituiva un tentativo di approccio all’arte antica, all’arte pagana, ho capito il Vangelo di nuovo. Ho compreso che questa ricerca dell’assoluto nelle opere di arte antica – la ricerca delle bellezza perfetta del corpo umano – si è realizzata nell’Incarnazione: in questo Dio che si è rivelato, perché si è manifestato, e che, attraverso questa manifestazione, ci ha donato in se stesso tutta la perfezione della Bellezza. Tutta la perfezione della Bellezza che a Lui solo tocca, che -sola – s’identifica in Lui, come Lui solo s’identifica nella Bellezza.[…]. (traduzione di Marco Roncalli)

Karol Wojtyla

[Avvenire, 22 ottobre 2012]

Tratto da: Una casa sulla roccia

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