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Un nuovo Volto dell’Amore di Dio

Posté par atempodiblog le 20 octobre 2012

Meditiamo questa pagina di Daniel-Ange sulla vita di Teresa di Gesù Bambino:

Un nuovo Volto dell'Amore di Dio dans Padre Stefano Igino Silvestrelli santateresadelbambinges

«Una sera d’autunno 1894, sola nella sua bianca cella, durante il gran silenzio notturno, Teresa apre “a caso” il quaderno di Celina con le preziose citazioni dell’Antico Testamento che conosce appena.
Una parola le diviene incandescente: “Se qualcuno è piccolo…”. Nel suo cuore si produce un tilt. Quel “piccolo” è per lei, certamente.
È il suo nome. Non sarà una chiamata personale? Come Mosè presso il roveto, anche lei si avvicina per intendere meglio.
E Dio le svela il suo segreto d’amore: “Come una madre accarezza il figlio…”. Quella sola frase equivale a un concerto! “Mai parole più tenere, melodiose sono venute a rallegrare la mia anima”.
Gesù, dunque, non è soltanto Fidanzato, Sposo, Amico – per quanto unico –, il Diletto. Egli è una Madre! E a che cosa il cuore di una madre è più vulnerabile se non precisamente alla vulnerabilità del proprio bambino? Più è sprovveduto, gracile e fragile, più ella si sentirà senza difesa davanti a lui.
L’amore di Dio per Teresa sarà allora una tenerezza che prende su di sé la debolezza di lei, che fa sua la miseria di lei. Sì, Teresa intuisce che Dio ama in questo modo, anzi che è l’unico a poter amare in questo modo. Certamente, lo sapeva anche prima; ma improvvisamente la conoscenza passa dalla testa al cuore, che subito si dilata immensamente. La Sapienza eterna si rivela come a Mosè desideroso di vedere la gloria di Dio e di conoscere il Nome che è al di sopra di ogni altro nome: “Ho compassione” (Es 33, 19).
Teresa riceve qui non la non la soluzione di un suo problema, ma una nuova luce su Dio: un nuovo Volto del suo Amore. Dio ama con un amore di misericordia, di compassione. Questo mistero la affascina. Non può più vedere le cose di Dio e degli uomini nella stessa maniera di prima: d’ora in poi tutto sarà visto in questa unica luce. Come attraverso un prisma. Perciò in lei tutto si pacificherà e si unificherà.
‘Amore’ sulle labbra di Teresa sarà sinonimo di misericordia. “La misericordia è accordata ai piccoli”. Accordata e armonizzata» (Frère Daniel-Ange, La “piccola via” per ritrovare il sorriso, p. 39-40).

Impariamo anche noi da Teresa, proclamata non a caso Dottore della Chiesa, la grande sapienza di localizzare la perfezione non sulla sommità di un altissimo monte, ma nella valle dell’umiltà, nell’infanzia dello spirito. Questo vale per tutti, indistintamente, a qualsiasi spiritualità apparteniamo.

p. Stefano Igino Silvestrelli

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Il combattimento spirituale

Posté par atempodiblog le 20 octobre 2012

L’inclinazione al male ci è stata lasciata per farci capire che solo in Cristo troviamo la salvezza. E sempre da Lui ci arriva la forza della Grazia attraverso la preghiera e i Sacramenti. A noi rimane il compito del combattimento.
di Padre Livio Fanzaga – Il Timone

 Il combattimento spirituale dans Anticristo padreliviodalsantopadre

La presenza del male nel mondo e l’esperienza che se ne fa nella propria vita rendono, in un certo senso, accessibile alla luce naturale della ragione il dogma del peccato originale. La potenza delle tenebre è una realtà palpabile, anche se solo alla luce della Parola di Dio si manifesta in tutta la sua spaventosa realtà. L’uomo nasce malato e la presenza del peccato e della morte accompagnano l’umanità lungo tutto il suo cammino. È stato affermato, con qualche ragione, che le varie religioni e filosofie sono nate per rispondere all’interrogativo angoscioso della presenza della morte. Oggi, in modo particolare, quando l’umanità è a rischio di autodistruzione, viene spontaneo interrogarsi sulla potenza dell’impero delle tenebre. Il dilagare dell’iniquità, nonostante l’evento della Redenzione, pone l’interrogativo sul perché Dio permetta l’attività diabolica (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 395). La risposta non può che essere una riflessione di fede sul mistero della redenzione e sul modo con il quale la vittoria di Gesù Cristo si realizza nella vita dei credenti.
Innanzitutto va affermato che i mali dai quali l’umanità è afflitta sono inguaribili. Lo sono nel senso che nessun uomo potrà mai salvare se stesso e gli altri dal peccato e dalla morte. Le varie religioni al riguardo rappresentano dei tentativi di salvezza, destinati però a un sostanziale fallimento. Chi potrà guarire il cuore dell’uomo incline all’iniquità?
Per quanto siano notevoli le conquiste dell’umanità nel campo della scienza e della tecnica, non si vedono dei passi avanti nel rinnovamento spirituale e morale. Il peccato è un’erba maligna che è impossibile all’uomo di estirpare. La morte è una maledizione che nessun essere vivente riesce a cancellare. Ogni battaglia al riguardo non ha fatto che registrare sconfitte. Innumerevoli uomini si sono chinati al capezzale dell’umanità con l’intento di guarirla dai suoi mali. Ma la malattia è sempre stata più forte di tutte le medicine. La conclusione è che l’uomo non ha la capacità di salvare se stesso. I vari tentativi di auto-salvezza alla fine si manifestano come illusioni e come imposture.
Il cristianesimo afferma che Gesù Cristo è l’unico Salvatore del genere umano. Il fatto che questa verità sia stata solennemente affermata dalla Chiesa durante il grande Giubileo sta a indicare la sua importanza decisiva anche nell’attuale momento storico. Perché Gesù Cristo è l’unico Salvatore? Il motivo è la natura divina della sua Persona. Egli è il Figlio di Dio fatto uomo. La Persona divina del Verbo Incarnato, operando attraverso la sua natura umana, ha liberato l’umanità dal peccato e dalla morte. Questo è stato possibile perché Egli è vero Dio e vero uomo. Se Gesù Cristo fosse stato solo un uomo, per quanto al di sopra di tutti gli altri, non avrebbe potuto salvare né se stesso né gli altri. Egli è l’Agnello di Dio che ha portato su di sé i peccati del mondo, ottenendo il perdono per tutti gli uomini di tutti i tempi. Egli è il Risorto, l’unico che ha vinto la morte e che ha introdotto il genere umano nella vita immortale.
La salvezza che Gesù Cristo ha realizzato per l’intera umanità non è illusoria, ma reale e ogni uomo che l’accolga nella fede la può sperimentare nella propria vita già qui sulla terra. Veramente gli uomini che credono in Gesù vengono liberati dal peccato e dalla morte. Il veleno del serpente, che ha inquinato la natura umana, generando la morte spirituale e quella fisica, viene neutralizzato dalla medicina della grazia. Gesù Cristo stesso, nella sua umanità glorificata e divinizzata, è la medicina che sana e che eleva, fino alla partecipazione della natura divina (2 Pt 1,4). Se è vero che il cristiano vede l’impero del male con le sue devastazioni meglio di qualsiasi altro, è anche vero che egli sa vedere le mirabili vittorie della grazia e con S. Agostino canta nella notte pasquale: «O felice colpa, che ha meritato un tale e così grande Redentore» (Preconio pasquale: « Exultet »).
Nella visione cristiana la salvezza si è realizzata in Gesù Cristo. In Lui la natura umana non solo è « salvata », ma è anche glorificata e divinizzata. Gesù è la « Vita » e gli uomini sono sottratti alla morte, quella spirituale e quella corporale, unendosi a Lui nella fede e nell’amore. Gesù infonde negli uomini la sua Vita divina, attraverso la Chiesa e i Sacramenti. In particolare mediante il Battesimo viene cancellato il peccato originale e anche i peccati personali, se si tratta di un adulto. L’uomo viene rivestito della grazia santificante, diviene « figlio di Dio » e membro del Corpo mistico della santa Chiesa. Riceve in eredità la vita eterna con Gesù Cristo Risorto. La salvezza cristiana consiste nella partecipazione alla santa umanità di Gesù Cristo e, mediante essa, alla sua divinità. È un progetto di infinita misericordia, di fronte al quale le salvezze umane sono come lucignoli fumiganti al cospetto del sole.
Tuttavia, per quanto gratuita, la salvezza cristiana è nel medesimo tempo «a caro prezzo», come ha scritto Dietrich Bonhoeffer nel suo Sequela (trad. it., Queriniana, 2004). Presuppone una dura lotta e la perseveranza fino alla fine. Infatti, solo «chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvo» (Me 13,13). Il combattimento spirituale è rivolto contro tre nemici, fra loro alleati e pronti a colpire insieme. Sono la nostra carne, il mondo e il maligno. È una battaglia che ogni cristiano è chiamato a combattere e a vincere con la sua buona volontà e l’aiuto decisivo della grazia. La posta in palio è altissima. Si tratta della salvezza eterna della propria anima. Infatti, «Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la propria anima?» (Me 8,36).
La tradizione spirituale considera la carne il nemico più pericoloso. Si tratta della nostra natura umana « ferita » dal peccato originale. Anche dopo la grazia del Battesimo rimane nell’uomo «la concupiscenza», la quale in sé non è peccato, però inclina l’uomo a commetterlo. Per quale motivo Dio, nella sua infinita misericordia, insieme al peccato non ha tolto anche quella debolezza congenita della nostra natura, che ci causa così tanti problemi? Ad agonem, cioè per il combattimento spirituale, sentenzia il Concilio di Trento. La divina Sapienza ha disposto che in noi rimanessero delle tendenze al male perché, con l’aiuto della grazia, potessimo dominarle. In questo modo la vittoria di Gesù Cristo diviene anche la nostra vittoria e la salvezza, oltre ad essere grazia, è anche merito.
Mentre la carne è un nemico interno, gli altri due, il mondo e il demonio sono esterni, ma molto insidiosi, soprattutto a causa della loro forza di seduzione. Va però detto che la loro capacità di inganno dipende dalla complicità della nostra carne. Infatti il mondo e il demonio hanno presa sulla nostra fame di mondo e sulle sue espressioni. Si tratta di quelle passioni codificate come i sette vizi capitali. Il mondo offre il suo cibo alla « bestia » che è ben viva dentro di noi, la quale mai sazia la bramosa voglia, ma dopo il pasto ha più fame di prima. Il demonio, che ama restare nascosto, opera dietro le falsi luci e le false gioie del mondo. Egli ci attira e ci illude, ma poi ci distrugge con quello che ci offre. Tuttavia né il mondo né il demonio possono forzare la volontà. Nell’esercizio della rinuncia e con l’aiuto della grazia è possibile la vita nuova in Cristo Gesù.
Esempio sublime di combattimento spirituale è Gesù nel deserto. Egli si prepara con il digiuno e con la preghiera. Satana invano gli presenta il fascino delle cose che passano. La volontà di Gesù è una sola cosa con quella del Padre. Con l’aiuto della grazia ogni cristiano è chiamato a far rivivere nella sua vita la vittoria di Gesù Cristo. Allora comprenderà il piano di Dio, il quale ha permesso che nel mondo abbondasse il peccato perché sovrabbondasse la grazia (cfr Rm 5,20).

IL PECCATO ORIGINALE
«Chi afferma che la prevaricazione di Adamo nocque a lui solo, e non anche alla sua discendenza: che perdette per sé soltanto, e non anche per noi, la santità e la giustizia che aveva ricevuto da Dio; o che egli, inquinato dal peccato di disobbedienza, ha trasmesso a tutto il genere umano solo la morte e le pene del corpo, e non invece anche il peccato, che è la morte dell’anima, sia anatema». (Concilio di Trento, Decreto Ut fides, 2).

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Il vero Che Guevara

Posté par atempodiblog le 20 octobre 2012

Il vero Che Guevara
di Francesco Agnoli – Radici Cristiane 2008
Tratto da: Corrispondenza Romana

Il vero Che Guevara dans Articoli di Giornali e News proffrancescoagnoli

Il mito del Che è costante, non passa mai di moda presso i ragazzi, gonfiato  ad arte da chi vuole “educare” le giovani generazioni ad una prospettiva alternativa e antisistema. Nella cinematografia, invece, questo mito ritorna ogni tanto…ma ritorna.
Dopo El Che Guevara (scritto da Adriano Bolzoni, diretto da Paolo Heusch e interpretato da Francisco Rabal), dopo Che! (diretto da Richard Fleischer e interpretato da Omar Sharif), dopo Diari della motocicletta (di Walter Salles, con Gael Garcia Barnal), adesso esce Che (di Steven Soderbergh e interpretato da  Benicio Del Toro). Film, quest’ultimo, presentato al recente Festival di Cannes.
Alla domanda di un giornalista su quale fosse la sua opinione sul Che, il regista Soderbergh ha risposto: «Le sue idee hanno superato frontiere politiche e barriere culturali. Guevara non aveva bisogno di un film per elogiarlo o demolirlo. Ero io ad avere bisogno di una grande storia da raccontare» (Il Giornale, 23/5/2008) Francesco Gallo, inviato ANSA a Cannes, così recensisce il film: «Va bene che si toccava un’icona come Che Guevara e che bisognava far bene, Ma Steven Soderbergh con il suo “Che” si è inoltrato troppo sulla strada del santino, dell’agiografia. E alla fine di quattro ore e mezzo della proiezione qualcuno, che era stato così coraggioso da rischiare fame e disidratazione, avrebbe voluto, anche solo per proiettare il suo disagio, conoscere almeno un difetto del rivoluzionario argentino. Ma niente. (…). A pensarci bene un momento di rabbia il protagonista l’ha avuto, ma a farne le spese è stato solo un povero cavallo che ad un certo punto colpisce con una pietra».
Un film come questo tende solo a confermare una falsa mitologia su un  personaggio che non merita alcuna rappresentazione oleografica, ma anche
semplicemente descrittiva senza giudizi di sorta. 

Diciamo la verità

Chi fu davvero Ernesto Che Guevara? Viene presentato come una sorta di cavaliere senza macchia e senza paura, come un liberatore amante della giustizia e dell’uomo, una sorta di santo laico. Tutto falso.
Quando a qualche studente mi capita di raccontare che Che Guevara disse una volta al comunista italiano Pietro Ingrao: «Se un venezuelano mi chiedesse oggi un consiglio, gli risponderei così: “quello che dovete fare è cominciare a sparare alla testa e ammazzare tutti i borghesi dai quindici anni in su”», ebbene, quel giovane mi guarda quasi sempre stupito come se gli raccontassi la più grande delle assurdità. Eppure è così.
Procediamo con ordine. Che Guevara si distinse più volte per la durezza dei metodi. Anzi, polemizzava con chi decideva di essere per lui troppo “morbido”. Arrivò a definire lo stesso Fidel Castro come “leader radicale della borghesia di sinistra”, perché a suo dire era troppo “sensibile” a inutili calcoli politici.
Che Guevara si distinse sempre per il suo favore a processi che non dovevano andare per le lunghe, meglio se sommari. Sempre ai ribelli venezuelani
una volta disse di non aspettare verdetti e indagini ma di “prendere un fucile e sparare su ogni imperialista”.
Nella Rivoluzione cubana, durante l’avanzata del 1957, si distinse per l’efferatezza con la quale interpretò il suo modo di essere rivoluzionario e di liquidare nemici e presunti traditori.
Famoso è il caso di Eutimio Guerra, un guerrigliero che venne accusato di collusione con il nemico, cioè con l’esercito di Fulgencio Batista, l’allora
dittatore di Cuba. Guerra venne immediatamente deferito ad un’improvvisata corte marziale. Che Guevara, malgrado i tempi già rapidi, ne anticipò il verdetto.
Raccontò successivamente un suo commilitone: “Io avevo un fucile e in quel momento il Che tira fuori una pistola calibro 22 e pac, gli pianta una pallottola qui. Che hai fatto? Lo hai ucciso. Eutimio cadde a pancia in su, boccheggiando”.

Aguzzino e sanguinario

Nell’anno della “liberazione” di Cuba, il 1959, Che Guevara venne convocato da Castro e il 7 settembre ricevette l’incarico provvisorio di procuratore militare. Fu il convulso periodo che segue ogni cambiamento di regime, fu la caccia agli sconfitti, l’epurazione degli avversari.
Anche in questo periodo Che Guevara si distinse per la durezza. Si aprì a Cuba il primo “Campo di lavoro correzionale” (cioè di lavoro forzato), e fu
proprio Che Guevara a disporlo preventivamente e a organizzarlo nella penisola di Guanaha. Poi lui stesso ne istituì altri: ad Arco Iris, a Nueva Vida e a Palos. Gli ultimi due destinati addirittura ai bambini sotto i dieci anni, figli degli oppositori politici, che, in quel Campo, sarebbero dovuti essere educati ai principi della “pace”, della “libertà” e della “tolleranza”.
381 prigionieri, che si erano arresi alle truppe di Castro sull’Escambray, furono incarcerati a Loma de los Coches e tutti fucilati. Che Guevara rifiutò categoricamente la grazia a Humberto Sorì Marin per il quale aveva chiesto misericordia la madre in persona.
Fu proprio Che Guevara a volere la famosa DSE (il Dipartimento della Sicurezza dello Stato) e fu lui a decidere le punizioni corporali a cui dovevano essere sottoposti i dissidenti pericolosi: salire le scale delle prigioni con scarpe zavorrate di piombo, tagliare l’erba con i denti, essere impiegati nudi nei lavori agricoli, essere immersi nei pozzi neri.

Un vero marxista

E naturalmente, da buon marxista, Che Guevara se la prese anche con la Chiesa. Pascal Fontaine, nel suo libro America Latina alla prova, calcola che a
Cuba 121 sacerdoti persero la vita fino al 1961, cioè nel periodo in cui proprio Che Guevara era il massimo artefice del sistema segregazionista del regime.
Per concludere, proprio di Che Guevara furono queste parole: “Amo l’odio, bisogna creare l’odio e l’intolleranza tra gli uomini perché questo rende l’uomo una efficace, violenta, selettiva e fredda macchina per uccidere”.
Non c’è da stupirsene, se è vero (come è vero) che già Lenin (che spesso viene presentato come il volto ancora pacifico del comunismo) aveva affermato: «La dittatura del proletariato è un dominio non limitato dalla legge, si regge sulla violenza».

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