Simbolo dell’amore di Dio per l’uomo, il Cuore di Gesù è oggetto di una diffusa devozione popolare. Ma anche segno della vera fede in Dio misericordioso e buono.
Ciò che non ha capito il Giansenismo.
Tra le devozioni, vie facili eppure importanti di rapporto con il divino, spesso Suggerite dall’Alto tramite rivelazioni private, riconosciute dalla Chiesa, occupa un posto preminente la devozione al Sacro Cuore di Gesù che si intreccia strettamente a quella di Gesù misericordioso. Vediamo come sono nate e quale sia il loro significato.
Da sempre la fede nella incarnazione del Verbo di Dio in Gesù di Nazareth morto, risorto e infine asceso al Cielo, ha portato non solo a riconoscere la pienezza in Lui delle due nature, quella divina e quella umana, ma anche ad adorare questo corpo glorioso in Paradiso e, insieme, realmente presente nella Eucaristia.
Per aiutare e confermare questa nostra fede in Cristo Redentore e Mediatore, la pietà divina nel corso di duemila anni ha spesso inviato segni straordinari di cui rimangono importanti tracce. Basterà, per esempio, ricordare il miracolo eucaristico di Lanciano: il pane e il vino appena consacrati da un monaco delI’VIII secolo, che dubitava della presenza reale, si trasformarono in carne e sangue.
Conservatisi intatti per oltre dodici secoli, passarono nel 1970-71 e poi ancora nel 1981 al vaglio della scienza che non solo confermò che si trattava di vera carne e di vero sangue, ma che la carne era costituita da tessuto cardiaco (in sezione sono presenti miocardio, nervo vago, ventricolo sinistro) e il sangue da plasma umano dello stesso gruppo di quello presente sulla Sindone.
Una testimonianza sconvolgente, se appena ci lasciassimo coinvolgere. Ma, come dice Pascal, “vi è abbastanza luce per chi vuoi vedere e abbastanza tenebre per chi non vuoi vedere”.
Questo Cuore di Gesù che opera silente, eppure straordinariamente presente, da un’altra manifestazione straordinaria di sé nella Francia del ’600 che iniziava ad essere percorsa dal gelido brivido del Giansenismo. Si trattava di una sorta di riscoperta del divino in chiave di timore, un rispetto trepido che sfociava in una ricerca di purezza che si faceva lontananza, mancanza di confidenza, di abbandono, e che infatti la Chiesa condannerà.
Ebbene, proprio in quegli anni, in un convento di Visitandine di Paray-le-Monial, un’umile suora, Margherita Maria Alacoque, verrà ripetutamente visitata da Gesù che le affiderà la missione di richiamare la Francia e il mondo “alle meraviglie del suo amore, ai segreti inesplicabili del Sacro Cuore”. “Il mio divin cuore” le dirà “è così appassionato d’amore per gli uomini che, non potendo più racchiudere in sé le fiamme della sua ardente carità, bisogna che le espanda”. È il linguaggio del Cantico dei Cantici, dell’innamorato che insegue la sulammita fino a possederla; del Vangelo che porta memoria di quel discepolo, tanto amato da Gesù, che gli appoggia il capo sul petto, presago della passione che attende il Maestro. È certamente il ribaltamento dell’ottica giansenista. È la riaffermazione di un Dio vicino, che vuoi dare e ricevere amore in un rapporto libero e, proprio per questo, appassionato e coinvolgente. Una successiva visione a santa Alacoque, ci lascerà un segno anche visivo di quell’Amore che ha nel cuore il suo simbolo principale. Il Cuore divino apparirà su un trono di fiamme più raggiante del sole, trasparente come il cristallo, circondato da una corona di spine e sormontato da una croce. Elementi che indicano la gloria della risurrezione ma che ricordano al contempo il passaggio doloroso della passione e della morte. Pio X, nel 1920, proclamerà santa la veggente; Pio XI, nel 1928, estenderà alla Chiesa universale la festa del Sacro Cuore, che Gesù stesso aveva chiesto fosse celebrata il venerdì che segue l’ottava del Corpus Domini, con un significato riparatore delle offese ricevute sotto le specie eucaristiche.
Solo tre anni dopo quella decisione di Pio XI, a un’altra umile suora di un convento polacco, suor Maria Faustina Kowalska, veniva concesso un altro segno straordinario legato al Cuore di Gesù. Agli uomini del XX secolo, stretti tra i massacri di due guerre mondiali, che avrebbero conosciuto gli orrori del marxismo e del nazismo, Gesù voleva ricordare che si può sperare, che esiste un rifugio sicuro contro l’angoscia individuale e collettiva, che vi è la possibilità di ricevere e di dare perdono, che Dio è misericordia che si esprime tramite il Cuore di Gesù. A suor Faustina il Signore apparve vestito di una veste bianca, una mano alzata per benedire, mentre l’altra toccava sul petto la veste, che ivi, leggermente scostata, lasciava uscire due grandi raggi, rosso l’uno e l’altro pallido. “I due raggi – Gesù le spiegò – rappresentano il sangue e l’acqua. Il raggio pallido rappresenta l’acqua che giustifica le anime; il raggio rosso rappresenta il sangue che è la vita delle anime. Entrambi i raggi uscirono dall’intimo della mia misericordia, quando sulla croce il mio Cuore già in agonia venne squarciato con la lancia”. Gesù chiede alla veggente di dipingere un’immagine secondo il modello della visione con sotto scritto “Gesù, confido in te”.
E aggiunge il desiderio che venga solennemente benedetta nella prima domenica dopo Pasqua: questa domenica avrebbe dovuto essere proclamata la Festa della Misericordia. In quel giorno la Chiesa leggeva il Vangelo di Giovanni che descrive l’apparizione di Gesù risorto nel Cenacolo e l’istituzione del sacramento della penitenza. L’immagine rappresenta così il Salvatore risorto che porta agli uomini la pace e la speranza con la remissione dei peccati ottenuti mediante la sua morte in croce.
I tempi del riconoscimento ufficiale saranno, in questo caso, più brevi. Suor Faustina, morta nel 1938, verrà beatificata da Giovanni Paolo II nel 1993, canonizzata nel 2000 e nel 1994 la Congregazione per il Culto approverà la Messa votiva.
Quel Cuore pieno di amore così spesso incompreso, riproposto all’attenzione del mondo nel Seicento tramite Margherita Maria, si svela, dunque, come infinita misericordia nel Novecento tramite Faustina. In entrambi i casi un richiamo potente al fatto che al centro del Mistero cristiano non sta un Dio impassibile, lontano ordinatore del mondo, ma il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Dio di Gesù Cristo.
Quel Dio che, con il suo Cuore divino-umano, cerca ogni uomo per inserirlo nella stessa vita divina, per trasmettergli il suo Santo Spirito.
Per questo nel cristianesimo non sono necessarie tecniche di ascesi raffinate e particolari. Uno solo è il segreto che tutto muove: corrispondere umilmente a questo amore che viene rivelato, fidarsi e abbandonarsi ad esso. Basta avere un granello di fede: allora sarà possibile, per Grazia, giungere a spostare pure le montagne.
Questa è anche la logica sottesa alle promesse collegate alle visioni delle due suore. Alla prima. Gesù raccomandò di diffondere la pratica dei primi venerdì del mese e dell’ora santa di adorazione. Alla seconda, chiese di promuovere il culto dell’immagine di Gesù misericordioso. In entrambi i casi, promise ai devoti la salvezza eterna e molte grazie in vita.
Spesso le critiche si sono scagliate contro queste pratiche, giudicate una sorta di patto di scambio un po’ banale legato a forme di spiritualità infantile e superate. È proprio vero? O non si tratta piuttosto del modo di agire di un Dio che non vuole spegnere il lucignolo fumigante? Un Dio che propone vie semplici (come, appunto, la pratica dei primi venerdì del mese o il culto reso tramite un’immagine alla sua misericordia) a una fede incerta e traballante come appunto quella di una fiammella così piccola che rischia continuamente di spegnersi? La nostra umanità ha necessità di segni, di eventi tangibili che parlino allo spirito anche attraverso i sensi, di piccoli gesti dalle conseguenze profonde.
II Signore che ci ha fatto ben lo sa. Per questo sbriciola per noi in piccoli bocconi il pane della salvezza, affinché ci sia più facile cibarci e con essi nutrirci.
di Rosanna Brichetti Messori – Il Timone