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Quelle frecce lanciate verso il cielo

Posté par atempodiblog le 12 octobre 2012

Dal cuore umano a quello divino, una via per imparare a vivere in intimità con Dio. Ecco lo scopo delle giaculatorie.
di Rosanna Brichetti Messori – Il Timone

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Vi è una devozione semplice, alla portata di tutti, assai breve per il tempo che richiede, eppure molto efficace nei suoi risultati. Avrete già capito che intendiamo riferirci alla giaculatoria. Da dove proviene questo strano nome? Da jaculum che in latino significa « freccia ». Sì, questa forma di preghiera è sempre stata intesa come un dardo che il cuore umano lancia verso il Cielo. È evidente che non ci si riferisce al cielo fisico, ma a tutto ciò che rappresenta, con una sola parola, il Mistero divino.
La Rivelazione biblica prima, gli eventi riguardanti la vita di Gesù poi, hanno insegnato ai cristiani che il rapporto con Dio passa in modo privilegiato attraverso la persona del figlio che si è incarnato, è morto per noi ed infine è risorto. Anche per questo noi possiamo raffigurare le nostre preghiere come frecce che salgono dal nostro cuore fino a colpire quello di Gesù. E, dunque, il cuore stesso della Santa Trinità. Ci sono alcune giaculatorie che possiamo considerare classiche. Si tratta in genere di quelle tratte direttamente dalla Scrittura. Tanto per citarne alcune, le parole suggerite da Elia a Samuele: « Parla, Signore, il tuo servo ti ascolta »; quelle usate da Maria per rispondere a Gabriele: « Ecco, sono la serva del Signore »; oppure quel grido, che è insieme di stupore e di gioia, sgorgato spontaneo ed improvviso dalle labbra dell’apostolo Tommaso: « Mio Signore e mio Dio », quando Gesù risorto ha la pazienza non solo di mostrare, a lui dubbioso, le sue piaghe, ma anche di fargliele toccare.
Non è forse vero che già fare nostre queste tre semplici espressioni e ripeterle spesso dal profondo del cuore equivarrebbe a vivere con apertura e pienezza la nostra fede?
Esse, infatti, rappresentano da sole un compendio del modo giusto di porre il nostro rapporto con Dio: « docilità fiduciosa » e insieme un riconoscimento del mistero di salvezza operato in Gesù.
Ma le giaculatorie offrono delle possibilità praticamente inesauribili, perché accanto a quelle « codificate » ci sono le infinite altre che sgorgano spontaneamente dal cuore di ognuno di noi ogni volta che entriamo in contatto cosciente con il Mistero che al contempo ci supera e ci penetra.
Alla fine, diventando una santa abitudine, entrano fin nelle pieghe più profonde del nostro essere ottenendo il risultato che il nostro cuore sia sempre unito a Cristo anche quando stiamo svolgendo i compiti quotidiani della vita. Compiti che solo apparentemente sembrano distrarci, distoglierci da questa intimità profonda con Dio alla quale siamo chiamati e che costituisce lo scopo e la gioia della nostra vita. Perché, come ha sottolineato forse meglio di altri Escrivà de Balaguer, il fondatore dell’Opus Dei, rivalutando con pienezza la vocazione laicale, è proprio assumendo la realtà nelle sue espressioni quotidiane, dalle più semplici e oscure alle più complesse e importanti, che noi ci santifichiamo e insieme trasformiamo il mondo, contribuendo così alla nostra salvezza e allo sviluppo del Regno.
Così, mentre la preghiera liturgica, i sacramenti, la lettura e l’assimilazione della Parola di Dio sono la trama di base che ci prepara a vivere questo impegno nella realtà alla quale siamo chiamati, a realizzare la volontà di Dio così come essa per noi concretamente si manifesta nel quotidiano, le giaculatorie, questi slanci del cuore verso l’oggetto più caro, rendono attuale la fede, accompagnandola e sostenendola lungo il succedersi delle ore. Esse potranno sollevarci dal peso del dolore e dall’angoscia  quando incontriamo la croce: « Gesù aiutami », « Gesù mi unisco a te », « Gesù, ti offro tutto me stesso », « Gesù abbi pietà di me »… Potranno dare espressione alla nostra gioia quando essa si fa piena fino a traboccare: « Mio Dio, ti amo », « Grazie, Signore, grazie di tutto », « Mio Dio, mio Dio », come ripeteva sempre san Francesco… Potranno in ogni caso richiamarci con semplicità alla coscienza di far parte di un grande mistero che sappiamo essere un mistero d’amore.
Così, ognuno di noi potrà raccogliere ed esprimere al momento opportuno quell’espressione che gli sgorga dal cuore, quella preghiera veloce, quella freccia lanciata per se stessi o per gli altri fino al cuore di Dio. Per coltivare così la presenza della grazia, la convinzione che, uniti a Gesù, e attraverso di Lui al Padre, viviamo davvero immersi nello Spirito che opera in continuazione in ogni persona, in ogni angolo del mondo, in ogni istante della storia.

RICORDA
« Gli autori ascetici, i santi, la Chiesa s’accordano nel raccomandare l’uso delle giaculatorie come una delle pratiche più facili, poiché non richiede tempo e può essere intercalata fra tutte le nostre occupazioni anche le più intense, mentre è particolarmente efficace nel mantenere e rafforzare l’unione con Dio, nell’implorare l’aiuto della Grazia nelle difficoltà e nel ritemprare l’anima nei momenti di sconforto e di abbattimento. Nei momenti di aridità, quando altre forme di preghiera divengono difficili, le giaculatorie aiutano l’anima nel mantenere il contatto con Dio e la preservano dalla tiepidezza ».

(Luigi Morstabilini, v. Giaculatorie, in Enciclopedia Cattolica, vol. VI, coll. 336-337).

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Benedetta Bianchi Porro: una storia vertiginosa, una storia cristiana

Posté par atempodiblog le 12 octobre 2012

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[...] Piacevolmente spiazzante è anche la storia di Benedetta Bianchi Porro, una ragazza molto talentuosa nata nel 1936 a Forlì. A diciassette anni si iscrisse alla Facoltà di medicina ma, arrivata ormai all’ultimo esame nel 1957, si diagnosticò da sola la propria malattia: neurofibromatosi diffusa, una patologia che provoca la perdita di tutti e cinque i sensi. All’età di ventiquattro anni le uniche sensibilità che le restano sono una piccola sensibilità su una mano e su una guancia e un filo di voce. Per il resto è immobilizzata nel letto, cieca e sorda. Ma non per questo non è viva, anzi. Venuta a conoscenza della situazione molto dolorosa di un giovane gravemente malato, gli scrive queste parole: “Ho trovato che Dio esiste ed è amore, fedeltà, gioia, certezza fino alla consumazione dei secoli. Fra poco io non sarò più che un nome, ma il mio spirito vivrà, qui fra i miei, fra chi soffre, e non avrò neppure io sofferto invano. […] Le mie giornate non sono facili; sono dure, ma dolci, perché Gesù è con me, col mio patire, e mi dà soavità nella solitudine e luce nel buio. Lui mi sorride e accetta la mia collaborazione con Lui. […] Tutto è una brevissima passerella, pericolosa per chi vuole sfrenatamente godere, ma sicura per chi coopera con Lui per giungere alla Patria” (A. Socci, Caterina: Diario di un padre nella tempesta, p. 125). Benedetta morì a ventotto anni. Oggi è in corso il processo per la sua beatificazione. [...]

di Giulia Tanel – Libertà e Persona.org

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