La difficile regola del perdono

Posté par atempodiblog le 6 août 2012

La difficile regola del perdono dans Misericordia

Proviamo a pensare a quante volte, nel sacramento della Penitenza, ci accade lo stesso, come al figlio prodigo. A noi, che ritorniamo a Lui, pentiti, il sacerdote si fa “padre” e rimette ogni colpa. Questo è Dio. E se Dio è così nei nostri riguardi, chiede a noi di essere come Lui verso i nostri fratelli.
Non più dunque il sentimento di “me la pagherà” o il togliere il saluto, come se chi ci ha offeso non fosse più nostro fratello! Sono sentimenti e atteggiamenti inconcepibili per noi, che in Dio siamo fratelli e che dovremmo imitarLo, perché quello che Lui ci perdona è mille volte più grave, di quanto noi dobbiamo perdonare…
Non resta che meditare ed affidarsi alla Parola del profeta Ezechiele: Così dice il Signore: Figlio dell’uomo, io ti ho costituito sentinella per gli Israeliti: ascolterai una parola dalla mia bocca e tu li avvertirai da parte mia. Se io dico all’empio: Empio tu morirai e tu non parli per distogliere l’empio dalla sua condotta, egli, l’empio, morirà, per la sua iniquità, ma della sua morte chiederò conto a te. Ma se tu avrai ammonito l’empio della sua condotta, perché egli si converta ed egli non si converte, egli morirà per la sua iniquità, tu invece sarai salvo. (Ez. 33, 7-9)
Non ci resta che pregare per ottenere quella generosità di cuore, non solo per non recare offesa al prossimo, ma ancor più per donare amore a chi ci fa del male.
In altre parole, mettere in pratica la Parola del Padre nostro:
“…RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI, COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI”.

di Mons. Antonio Riboldi

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Compleanno della Mamma del Cielo

Posté par atempodiblog le 5 août 2012

Prepariamo il posto alla Santa Bambina dans Citazioni, frasi e pensieri Compleanno-Maria-Santissima

“Il 5 agosto prossimo si celebri il secondo millennio della mia nascita. Per quel giorno Dio mi permette di donarvi grazie particolari e di dare al mondo una speciale benedizione. Vi prego di prepararvi intensamente con tre giorni da dedicare esclusivamente a me… Nel corso di tutti questi secoli mi sono dedicata esclusivamente a voi: è troppo se adesso vi chiedo di dedicare ameno tre giorni a me?”. (1 agosto 1984)

“Cari figli, oggi sono felice, tanto felice, non ho mai pianto di dolore nella mia vita come questa sera piango di gioia! Grazie!”. (5 agosto 1984)

Cari amici, rallegriamo la Madonna, nostra Madre, con gli auguri e i buoni propositi. Buona festa!

di Padre Livio Fanzaga

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Un santo in canonica

Posté par atempodiblog le 4 août 2012

Un santo in canonica
Tra rivoluzione e restaurazione: il Curato d’Ars

Un santo in canonica dans Fede, morale e teologia Jean-Marie-Baptiste-Vianney-Curato-d-Ars

I 41 anni di ministero di Giovanni Maria Vianney – il Curato d’Ars nato nel 1786, morto nel 1859, canonizzato nel 1925 – rappresentano uno dei casi più esemplari, e insieme anomali, di testimonianza pastorale tra rivoluzione e restaurazione. Dal 1818 al 1859, più o meno consapevolmente, egli rappresenta la sfida di una Chiesa espropriata, disarmata e ferita, alle devastazioni morali e religiose della rivoluzione, e poi ai recuperi religiosi, in genere velleitari, tentati fra Napoleone I e Napoleone III.
Giovanni Maria Vianney, figlio di pastori, diventato parroco dell’umile borgata di Ars presso Bourg-en-Bresse, vive da solo – o quasi – un fenomeno profondamente rinnovatore, pur negli schemi più rigidi e tradizionali dell’ascetica e della pratica pastorale, rieducando a vivere la fede soprattutto per mezzo del catechismo e dei sacramenti. A un certo momento Ars non riesce più a contenere i pellegrini e i penitenti che vi giungono, attratti dalla fama di santità del Curato. Egli è più un confessore che un catechista e un predicatore. La forza della sua testimonianza personale e della sua azione di parroco si sviluppa tutta tra il confessionale e l’altare.
Di personalità complessa, di estrema e spesso imprevedibile sensibilità, tanto da apparire “strano” sopportando anche calunnie, Vianney si presenta con la “semplicità di un bambino”, come riferisce un testimone. Dice cose comuni, non va oltre l’abc della dottrina tradizionale; ripete cose scontate e risapute; eppure, “la banalità di certe frasi scompare sulla sua bocca”. Nei primi anni prende addirittura di peso le prediche da manuali stereotipi: pure, il miracolo si ripete e cresce. In quel criterio catechistico, schematico, elementare, Vianney è dotato, coi “peccatori”, di una immensa dolcezza, pari alla dedizione che lo fa stare in confessionale per giornate intere; tanto da doversi decidere a mangiare lì dentro qualche pezzo di cioccolato e a sorbire qualche tazza di latte, lui che dicono di nutra, per solito, solo di patate ammuffite.
Vianney non conosce le problematiche culturali: crede piuttosto alla preghiera, alla penitenza, alla pietà, e spesso riesce anche ad accenderle con un lampo di ironia su se stesso. Ama la solitudine totale e soffre perché non può viverla, ma ha terrore della morte: soprattutto, di morire ancora parroco. Il suo mondo si esaurisce nella sua Chiesa, che addobba con arredi di commovente pessimo gusto, secondo i canoni vigenti della devozione, suggeriti dalla congregazione parigina di San Sulpizio.
La forza del suo ministero sta soprattutto nel contatto a tu per tu con le “anime”, nella confessione. E’ un contatto individualistico, un misterioso scandaglio di migliaia di coscienze, messe in crisi prima dalla dissacrazione rivoluzionaria, poi dall’indifferenza dell’ateismo borghese. Egli ha un solo scopo: riportarle “in grazia di Dio”. Tutto il suo zelo gravita a conferma di verità elementari: grazia, peccato, vita, morte, inferno, paradiso, eternità.
Poche altre volte, nella pastorale moderna, i Novissimi sono stati riaffermati e vissuti come abc della fede con tanto vigore e candore, quali pilastri della “conversione” e della “santificazione”. La spiegazione di questo successo è lui medesimo, l’uomo e il prete Vianney, più che il suo metodo. Eppure, dietro la sua semplicità, anche i grandi atei e agnostici intuiscono un “mistero”. Vianney, sepolto nella sua “provincia addormentata”, è una spina nella coscienza della Francia indifferente.
La sua ovvietà, la sua semplicità quasi banale, nasconde un conflitto che attira, anche dopo la sua morte, gli scrittori credenti e intellettuali cinici. Vianney crede in Satana, lo “sente” e lo vede, lo interpella, lo combatte e lo esorcizza. Un secolo dopo, Gerges Bernanos, il grande romanziere cristiano, drammatizza e descrive proprio il Curato d’Ars nell’abbé Donissan di Sotto il sole di Satana. E per interlocutore e antagonista gli oppone uno scrittore scettico che è l’incarnazione “satanica” dell’orgoglio culturale: André Gide. E’ lui, nel romanzo, che trova Donissan morto “in trincea”, cioè in confessionale.

Padre Nazareno Fabbretti

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Come San Francesco d’Assisi chiese e ottenne l’indulgenza del perdono

Posté par atempodiblog le 2 août 2012

Come San Francesco d’Assisi chiese e ottenne l’indulgenza del perdono dans Sacramento della penitenza e della riconciliazione 346956w

Una notte dell’anno del Signore 1216, Francesco era immerso nella preghiera e nella contemplazione nella chiesetta della Porziuncola, quando improvvisamente dilagò nella chiesina una vivissima luce e Francesco vide sopra l’altare il Cristo rivestito di luce e alla sua destra la sua Madre Santissima, circondati da una moltitudine di Angeli. Francesco adorò in silenzio con la faccia a terra il suo Signore!

Gli chiesero allora che cosa desiderasse per la salvezza delle anime. La risposta di Francesco fu immediata: « Santissimo Padre, benché io sia misero e peccatore, ti prego che a tutti quanti, pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa, conceda ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe ».

« Quello che tu chiedi, o frate Francesco, è grande – gli disse il Signore -, ma di maggiori cose sei degno e di maggiori ne avrai. Accolgo quindi la tua preghiera, ma a patto che tu domandi al mio vicario in terra, da parte mia, questa indulgenza ».

E Francesco si presentò subito al Pontefice Onorio III che in quei giorni si trovava a Perugia e con candore gli raccontò la visone avuta. Il Papa lo ascoltò con attenzione e dopo qualche difficoltà dette la sua approvazione. Poi disse: « Per quanti anni vuoi questa indulgenza? ». Francesco scattando rispose: « Padre Santo, non domando anni, ma anime ». E felice si avviò verso la porta, ma il Pontefice lo chiamò: « Come, non vuoi nessun documento? ». E Francesco: »Santo Padre, a me basta la vostra parola! Se questa indulgenza è opera di Dio, Egli penserà a manifestare l’opera sua; io non ho bisogno di alcun documento, questa carta deve essere la Santissima Vergine Maria, Cristo il notaio e gli Angeli i testimoni ». E qualche giorno più tardi insieme ai Vescovi dell’Umbria, al popolo convenuto alla Porziuncola, disse tra le lacrime: « Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso! ».

CONDIZIONI PER RICEVERE L’INDULGENZA PLENARIA DEL PERDONO DI ASSISI,
(per sé o per i defunti)
  • Confessione sacramentale per essere in grazia di Dio (negli otto giorni precedenti o seguenti);
  • Partecipazione alla Messa e Comunione eucaristica;
  • Visita alla chiesa della Porziuncola, dove si rinnova la professione di fede, mediante la recita del CREDO, per riaffermare la propria identità cristiana;
  • La recita del PADRE NOSTRO, per riaffermare la propria dignità di figli di Dio, ricevuta nel Battesimo;
  • Una preghiera secondo le intenzioni del Papa, per riaffermare la propria appartenenza alla Chiesa, il cui fondamento e centro visibile di unità è il Romano Pontefice.
  • Una preghiera per il Papa.
L’INDULGENZA
I peccati non solo distruggono o feriscono la comunione con Dio, ma compromettono anche l’equilibrio interiore della persona e il suo ordinato rapporto con le creature. Per un risanamento totale, non occorrono solo il pentimento e la remissione delle colpe, ma anche ma riparazione del disordine provocato, che di solito continua a sussistere. In questo impegno di purificazione il penitente non è isolato. Si trova inserito in un mistero di solidarietà, per cui la santità di Cristo e dei santi giova anche a lui. Dio gli comunica le grazie da altri meritate con l’immenso valore della loro esistenza, per rendere più rapida ed efficace la sua riparazione.
La Chiesa ha sempre esortato i fedeli a offrire preghiere, opere buone e sofferenze come intercessione per i peccatori e suffragio per i defunti. Nei primi secoli i vescovi riducevano ai penitenti la durata e il rigore della penitenza pubblica per intercessione dei testimoni della fede sopravvissuti ai supplizi. Progressivamente è cresciuta la consapevolezza che il potere di legare e sciogliere, ricevuto dal Signore, include la facoltà di liberare i penitenti anche dei residui lasciati dai peccati già perdonati, applicando loro i meriti di Cristo e dei santi, in modo da ottenere la grazia di una fervente carità. I pastori concedono tale beneficio a chi ha le dovute disposizioni interiori e compie alcuni atti prescritti. Questo loro intervento nel cammino penitenziale è la concessione dell’indulgenza.
C.E.l., Catechismo degli adulti, n. 710

Fonte: Luci sull’Est

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Cliccare qui per leggere 2e2mot5 dans Diego Manetti “Un invito ad accostarsi alla confessione” e “Quel giorno tutti poterono accarezzarla (l’abito macchiato)”

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Vocazione alla vita

Posté par atempodiblog le 2 août 2012

Vocazione alla vita dans Citazioni, frasi e pensieri

Il Signore ha voluto dall’eternità amare l’anima, quell’anima! Ogni anima nella sua individualità personale, nella sua personalità individuale, quell’anima. Così l’anima mia ancora. Questo è il mistero mio d’amore, questo è il mistero dell’amore divino che mi riguarda direttamente e personalmente. Questo è il mistero tutto dolcezza a cui mi riferisco e a cui mi abbandono. Questo è il mistero mia culla, mia casa nativa, mio porto e mia patria. Il Signore mi ha amato, e perciò mi ha scelto tra gli infiniti possibili alla vita.

Beato Giustino Maria Russolillo

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Il segreto di Santa Teresa di Lisieux

Posté par atempodiblog le 2 août 2012

Il segreto di Santa Teresa di Lisieux dans Libri

Famosa infatti è l’affermazione di Santa Teresa del bambin Gesù di non volersi conquistare il Paradiso, quasi fosse alla portata delle nostre povere opere, perché nessuna azione umana è esente da macchia e da egoismo per poterlo ottenere. Che fare dunque? Non resta, lei afferma, che rubare, come il buon ladrone, la gloria del Cielo. Accettando fino in fondo la nostra povertà e inadeguatezza e presentandoci a Dio a “mani vuote”, dovremo necessariamente sperare nella Sua infinita misericordia.

E’ molto consolante questo insegnamento della giovane religiosa, perché non v’è dubbio che il Maligno, con la sua sottilissima astuzia, riesca anche a trasformare il desiderio di santità in una particolare tentazione, “la tentazione della perfezione”, sotto la quale non di rado si nasconde il nostro io egoistico, duro a morire e abilissimo a insinuarsi anche nei propositi più elevati. Tuttavia questo non significa che debba mancare l’impegno per la santità. Essa però è la perfezione dell’amore. Dio, afferma la santa, “vuole essere amato”. Egli è il “piccolo Mendicante” che cerca persone che siano disposte ad accogliere tutto il suo amore. La santità dunque non consiste in queste o quelle pratiche e opere, ma “nella docilità del cuore che ci fa diventare piccoli e umili nelle braccia di Dio, consapevoli delle nostre debolezze e fiduciosi, fino alla temerarietà, nella Sua bontà paterna”. Una radicale decisione di affidamento: questo -mi dico- è il vero segreto della santità di quest’anima straordinaria.

Tratto da: Pellegrino a quattro ruote — Padre Livio Fanzaga

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Chiedere l’aiuto di Dio con umiltà

Posté par atempodiblog le 1 août 2012

Chiedere l’aiuto di Dio con umiltà dans Fede, morale e teologia Ges

Il discepolo del Signore sa di essere sempre esposto alla tentazione e non manca di chiedere aiuto a Dio nella preghiera, per vincerla.

Sant’Alfonso riporta l’esempio di san Filippo Neri – molto interessante –, il quale «dal primo momento in cui si svegliava la mattina, diceva a Dio: “Signore, tenete oggi le mani sopra Filippo, perché se no, Filippo vi tradisce”» (III, 3) Grande realista! Egli chiede a Dio di tenere la sua mano su di lui. Anche noi, consapevoli della nostra debolezza, dobbiamo chiedere l’aiuto di Dio con umiltà, confidando sulla ricchezza della sua misericordia. In un altro passo, dice sant’Alfonso che: «Noi siamo poveri di tutto, ma se domandiamo non siamo più poveri. Se noi siamo poveri, Dio è ricco» (II, 4). E, sulla scia di sant’Agostino, invita ogni cristiano a non aver timore di procurarsi da Dio, con le preghiere, quella forza che non ha, e che gli è necessaria per fare il bene, nella certezza che il Signore non nega il suo aiuto a chi lo prega con umiltà (cfr III, 3). Cari amici, sant’Alfonso ci ricorda che il rapporto con Dio è essenziale nella nostra vita. Senza il rapporto con Dio manca la relazione fondamentale e la relazione con Dio si realizza nel parlare con Dio, nella preghiera personale quotidiana e con la partecipazione ai Sacramenti, e così questa relazione può crescere in noi, può crescere in noi la presenza divina che indirizza il nostro cammino, lo illumina e lo rende sicuro e sereno, anche in mezzo a difficoltà e pericoli. Grazie.

Benedetto XVI

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“Signore, abbi pietà di tutti coloro che oggi sono comparsi dinanzi a te”.

Posté par atempodiblog le 1 août 2012

“Signore, abbi pietà di tutti coloro che oggi sono comparsi dinanzi a te”. dans Citazioni, frasi e pensieri

Rammenta [...] di ripetere dentro di te, ogni giorno, anzi ogni volta che puoi: “Signore, abbi pietà di tutti coloro che oggi sono comparsi dinanzi a te”. Poiché a ogni ora, a ogni istante migliaia di uomini abbandonano la loro vita in questa terra e le loro anime si presentano cospetto del Signore e quanti di loro lasciano la terra in solitudine, senza che lo si venga a sapere, perché nessuno li piange né sa neppure se abbiano mai vissuto. Ma ecco che forse, dall’estremo opposto della terra, si leva allora la tua preghiera al Signore per l’anima di questo morente benché tu non lo conosca affatto né lui abbia conosciuto te. Come si commuoverà la sua anima, quando comparirà timorosa dinanzi al Signore, nel sentire che in quell’istante che vi è qualcuno che prega anche per lei, che sulla terra è rimasto un essere umano che ama pure lei.
E lo sguardo di Dio sarà più benevolo verso entrambi, poiché se tu hai avuto tanta pietà di quell’uomo, quanta più ne avrà Lui, che ha infinitamente più  misericordia e più amore di te. …E gli perdonerà grazie a te.

Fëdor Dostoevskij

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Gli 800 martiri cristiani uccisi a Otranto

Posté par atempodiblog le 1 août 2012

E’ più facile staccare la mia testa dal mio corpo, che il cuore dal mio Signore”. (Duca di Gordon)

Gli 800 martiri cristiani uccisi a Otranto dans Andrea Tornielli

[...] Qual è dunque la storia di questi martiri, le cui ossa sono esposte in alcune teche conservate in una delle cappelle laterali della cattedrale della città salentina? È una vicenda terribile. Dopo aver raggiunto il suo massimo splendore nei secoli X-XV, Otranto rimase vittima della conquista di Gedik Ahmed Pascià, inviato da Maometto II. I cittadini resistono all’assedio dopo aver visto arrivare via mare l’armata turca composta da 90 galee e 18mila soldati.

Per giorni le bombarde degli assedianti rovesciano sulla città centinaia di palle di pietra, e all’alba del 12 agosto 1480 riescono a sfondare aprendo una breccia sulle mura: «I cittadini resistendo ritiravansi strada per strada combattendo, talché le strade erano tutte piene d’homini morti così de’ turchi come de’ cristiani er il sangue scorreva per le strade come fusse fiume, di modo che correndo i turchi per la città perseguitando quelli che resistevano e quelli che si ritiravano e fuggivano la furia non trovavano da camminare se non sopra li corpi d’homini morti». Uomini, donne e bambini cercano rifugio nella cattedrale, ma anche qui i turchi sfondano il portale e si ritrovano davanti il vescovo Stefano Pendinelli, che brandisce la croce: «Sono il rettore di questo popolo e indegnamente preposto alle pecore del gregge di Cristo», dice.

Gli invasori, dopo avergli invano intimato di non nominare più Gesù, lo decapitano con un solo colpo di scimitarra. Il giorno successivo, il pascià chiede la lista di tutti gli abitanti fatti schiavi, ad esclusione delle donne e dei bambini sotto i 15 anni. Sono circa ottocento. Un prete apostata, per volere del comandante turco, invita a tutti ad abbandonare la fede cristiana per abbracciare quella islamica. Se non lo faranno, verranno trucidati.

Uno dei prigionieri, Antonio Primaldo, un vecchio sarto, risponde: «Crediamo tutti in Gesù, figlio di Dio, siamo pronti a morire mille volte per lui». E aggiunge: «Fin qui ci siamo battuti per la patria e per salvare i nostri beni e la vita: ora bisogna battersi per Gesù Cristo e per salvare le nostre anime». Il pascià chiede anche agli altri che cosa intendono fare, e questi, dandosi l’un l’altro coraggio, gridano di essere pronti a subire qualsiasi morte pur di non rinnegare Cristo. Vengono tutti condannati a morte, a cominciare proprio dal sarto che per primo aveva parlato.

Il 14 agosto ha inizio la tremenda carneficina delle decapitazioni: il colle della Minerva rimane rosso di sangue, coperto quasi del tutto dagli ottecento corpi. Tra i vari eventi prodigiosi che raccontano le cronache, c’è il fatto che nonostante la decapitazione, il tronco di Primaldo sarebbe rimasto fermo in piedi, al suo posto. Un fenomeno che provocherà la conversione di uno degli esecutori della strage, a sua volta impalato dai commilitoni. L’effetto psicologico dell’eccidio è devastante: il Papa Sisto IV, appresa la notizia, inizia i preparativi per fuggire ad Avignone. Ma il destino dell’Europa non è segnato.

Otranto viene infatti riconquistata dagli Aragonesi un anno dopo, i corpi dei martiri sono ritrovati, sempre stando alle cronache antiche, incorrotti, con il volti sorridenti e gli occhi rivolti al cielo, e il 13 ottobre 1481 vengono trasportati all’interno della cattedrale cittadina e della chiesa di Santa Caterina a Formiello, a Napoli. I fedeli cominciano quasi subito a invocare gli ottocento come santi martiri. Che secondo la tradizione si sarebbero impegnati per evitare alla città nuovi sbarchi di turchi.

di Andrea Tornielli – Il Giornale

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