Un santo in canonica

Posté par atempodiblog le 4 août 2012

Un santo in canonica
Tra rivoluzione e restaurazione: il Curato d’Ars

Un santo in canonica dans Fede, morale e teologia Jean-Marie-Baptiste-Vianney-Curato-d-Ars

I 41 anni di ministero di Giovanni Maria Vianney – il Curato d’Ars nato nel 1786, morto nel 1859, canonizzato nel 1925 – rappresentano uno dei casi più esemplari, e insieme anomali, di testimonianza pastorale tra rivoluzione e restaurazione. Dal 1818 al 1859, più o meno consapevolmente, egli rappresenta la sfida di una Chiesa espropriata, disarmata e ferita, alle devastazioni morali e religiose della rivoluzione, e poi ai recuperi religiosi, in genere velleitari, tentati fra Napoleone I e Napoleone III.
Giovanni Maria Vianney, figlio di pastori, diventato parroco dell’umile borgata di Ars presso Bourg-en-Bresse, vive da solo – o quasi – un fenomeno profondamente rinnovatore, pur negli schemi più rigidi e tradizionali dell’ascetica e della pratica pastorale, rieducando a vivere la fede soprattutto per mezzo del catechismo e dei sacramenti. A un certo momento Ars non riesce più a contenere i pellegrini e i penitenti che vi giungono, attratti dalla fama di santità del Curato. Egli è più un confessore che un catechista e un predicatore. La forza della sua testimonianza personale e della sua azione di parroco si sviluppa tutta tra il confessionale e l’altare.
Di personalità complessa, di estrema e spesso imprevedibile sensibilità, tanto da apparire “strano” sopportando anche calunnie, Vianney si presenta con la “semplicità di un bambino”, come riferisce un testimone. Dice cose comuni, non va oltre l’abc della dottrina tradizionale; ripete cose scontate e risapute; eppure, “la banalità di certe frasi scompare sulla sua bocca”. Nei primi anni prende addirittura di peso le prediche da manuali stereotipi: pure, il miracolo si ripete e cresce. In quel criterio catechistico, schematico, elementare, Vianney è dotato, coi “peccatori”, di una immensa dolcezza, pari alla dedizione che lo fa stare in confessionale per giornate intere; tanto da doversi decidere a mangiare lì dentro qualche pezzo di cioccolato e a sorbire qualche tazza di latte, lui che dicono di nutra, per solito, solo di patate ammuffite.
Vianney non conosce le problematiche culturali: crede piuttosto alla preghiera, alla penitenza, alla pietà, e spesso riesce anche ad accenderle con un lampo di ironia su se stesso. Ama la solitudine totale e soffre perché non può viverla, ma ha terrore della morte: soprattutto, di morire ancora parroco. Il suo mondo si esaurisce nella sua Chiesa, che addobba con arredi di commovente pessimo gusto, secondo i canoni vigenti della devozione, suggeriti dalla congregazione parigina di San Sulpizio.
La forza del suo ministero sta soprattutto nel contatto a tu per tu con le “anime”, nella confessione. E’ un contatto individualistico, un misterioso scandaglio di migliaia di coscienze, messe in crisi prima dalla dissacrazione rivoluzionaria, poi dall’indifferenza dell’ateismo borghese. Egli ha un solo scopo: riportarle “in grazia di Dio”. Tutto il suo zelo gravita a conferma di verità elementari: grazia, peccato, vita, morte, inferno, paradiso, eternità.
Poche altre volte, nella pastorale moderna, i Novissimi sono stati riaffermati e vissuti come abc della fede con tanto vigore e candore, quali pilastri della “conversione” e della “santificazione”. La spiegazione di questo successo è lui medesimo, l’uomo e il prete Vianney, più che il suo metodo. Eppure, dietro la sua semplicità, anche i grandi atei e agnostici intuiscono un “mistero”. Vianney, sepolto nella sua “provincia addormentata”, è una spina nella coscienza della Francia indifferente.
La sua ovvietà, la sua semplicità quasi banale, nasconde un conflitto che attira, anche dopo la sua morte, gli scrittori credenti e intellettuali cinici. Vianney crede in Satana, lo “sente” e lo vede, lo interpella, lo combatte e lo esorcizza. Un secolo dopo, Gerges Bernanos, il grande romanziere cristiano, drammatizza e descrive proprio il Curato d’Ars nell’abbé Donissan di Sotto il sole di Satana. E per interlocutore e antagonista gli oppone uno scrittore scettico che è l’incarnazione “satanica” dell’orgoglio culturale: André Gide. E’ lui, nel romanzo, che trova Donissan morto “in trincea”, cioè in confessionale.

Padre Nazareno Fabbretti

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