“E’ più facile staccare la mia testa dal mio corpo, che il cuore dal mio Signore”. (Duca di Gordon)
[...] Qual è dunque la storia di questi martiri, le cui ossa sono esposte in alcune teche conservate in una delle cappelle laterali della cattedrale della città salentina? È una vicenda terribile. Dopo aver raggiunto il suo massimo splendore nei secoli X-XV, Otranto rimase vittima della conquista di Gedik Ahmed Pascià, inviato da Maometto II. I cittadini resistono all’assedio dopo aver visto arrivare via mare l’armata turca composta da 90 galee e 18mila soldati.
Per giorni le bombarde degli assedianti rovesciano sulla città centinaia di palle di pietra, e all’alba del 12 agosto 1480 riescono a sfondare aprendo una breccia sulle mura: «I cittadini resistendo ritiravansi strada per strada combattendo, talché le strade erano tutte piene d’homini morti così de’ turchi come de’ cristiani er il sangue scorreva per le strade come fusse fiume, di modo che correndo i turchi per la città perseguitando quelli che resistevano e quelli che si ritiravano e fuggivano la furia non trovavano da camminare se non sopra li corpi d’homini morti». Uomini, donne e bambini cercano rifugio nella cattedrale, ma anche qui i turchi sfondano il portale e si ritrovano davanti il vescovo Stefano Pendinelli, che brandisce la croce: «Sono il rettore di questo popolo e indegnamente preposto alle pecore del gregge di Cristo», dice.
Gli invasori, dopo avergli invano intimato di non nominare più Gesù, lo decapitano con un solo colpo di scimitarra. Il giorno successivo, il pascià chiede la lista di tutti gli abitanti fatti schiavi, ad esclusione delle donne e dei bambini sotto i 15 anni. Sono circa ottocento. Un prete apostata, per volere del comandante turco, invita a tutti ad abbandonare la fede cristiana per abbracciare quella islamica. Se non lo faranno, verranno trucidati.
Uno dei prigionieri, Antonio Primaldo, un vecchio sarto, risponde: «Crediamo tutti in Gesù, figlio di Dio, siamo pronti a morire mille volte per lui». E aggiunge: «Fin qui ci siamo battuti per la patria e per salvare i nostri beni e la vita: ora bisogna battersi per Gesù Cristo e per salvare le nostre anime». Il pascià chiede anche agli altri che cosa intendono fare, e questi, dandosi l’un l’altro coraggio, gridano di essere pronti a subire qualsiasi morte pur di non rinnegare Cristo. Vengono tutti condannati a morte, a cominciare proprio dal sarto che per primo aveva parlato.
Il 14 agosto ha inizio la tremenda carneficina delle decapitazioni: il colle della Minerva rimane rosso di sangue, coperto quasi del tutto dagli ottecento corpi. Tra i vari eventi prodigiosi che raccontano le cronache, c’è il fatto che nonostante la decapitazione, il tronco di Primaldo sarebbe rimasto fermo in piedi, al suo posto. Un fenomeno che provocherà la conversione di uno degli esecutori della strage, a sua volta impalato dai commilitoni. L’effetto psicologico dell’eccidio è devastante: il Papa Sisto IV, appresa la notizia, inizia i preparativi per fuggire ad Avignone. Ma il destino dell’Europa non è segnato.
Otranto viene infatti riconquistata dagli Aragonesi un anno dopo, i corpi dei martiri sono ritrovati, sempre stando alle cronache antiche, incorrotti, con il volti sorridenti e gli occhi rivolti al cielo, e il 13 ottobre 1481 vengono trasportati all’interno della cattedrale cittadina e della chiesa di Santa Caterina a Formiello, a Napoli. I fedeli cominciano quasi subito a invocare gli ottocento come santi martiri. Che secondo la tradizione si sarebbero impegnati per evitare alla città nuovi sbarchi di turchi.
di Andrea Tornielli – Il Giornale