Il Sangue di Cristo unica ragione della vita dell’uomo

Posté par atempodiblog le 1 juillet 2012

Come giugno è il mese del Sacro Cuore, luglio è il mese che la Chiesa consacra al culto del Preziosissimo Sangue del Redentore. Qualche breve parola di meditazione per aiutarci a compenetrare meglio il mistero più adorabile di tutta la religione cristiana: il ruolo salvifico di quel Sangue sparso per la nostra salvezza.
di Corrado Gnerre – Radici Cristiane

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Né efficientismo né intellettualismo
Oggi la vita cristiana corre due grossi pericoli: l’efficientismo e l’intellettualismo.

L’efficientismo è la riduzione del Cristianesimo a “fare”: fare apostolato, fare volontariato, beneficenze, convegni, incontri, ecc.
L’intellettualismo cristiano è invece aderire a Cristo solo intellettualmente. Per esempio: la convinzione di meritarsi la salvezza solo credendo in Dio; quasi come se Dio avesse bisogno che si creda in Lui. Lucifero, quando si ribellò, non dubitava affatto dell’esistenza di Dio e successivamente non ne ha mai dubitato, eppure è lì, nell’inferno.

Senza la vita di Grazia, il Cristianesimo non c’è
C’è un’immagine che Gesù utilizza per significare quello che deve essere la vita del cristiano. È quella della vite e dei tralci: «Io sono la vite e voi i tralci, se i tralci non sono innestati nella vite, si seccano, non portano frutto e devono essere buttati nel fuoco» (Gv.15,5).

In questa espressione non compare la parola “linfa”, ma, se si riflette bene, è proprio la linfa la vera protagonista. I tralci portano frutto se, innestati nella vite, scorre in loro la linfa vitale; altrimenti si seccano. Ebbene, secondo metafora, la linfa è la Grazia, cioè la vita divina donata al cristiano attraverso la redenzione operata da Cristo.
Senza la Grazia, si possono fare le cose più grandi e belle, non varranno mai per la vita eterna. Il cristiano “può portare frutto” solo quando in lui scorre la “linfa”. L’uomo, solo vivendo nella Grazia, può conquistare la felicità eterna.
Facciamo un esempio: siamo in un grande magazzino, c’è un prodotto che vogliamo acquistare, ma costa 200 euro. Contiamo i soldi che abbiamo nel portamonete e ci rendiamo conto che neppur lontanamente possiamo arrivare a quella cifra. Malgrado il desiderio, non potremmo mai arrivare con le nostre forze (in questo caso con i denari) ad acquistare quel prodotto tanto desiderato. A maggior ragione questo deve dirsi per la felicità eterna: l’uomo non può dare a se stesso ciò che non possiede in natura. Può l’uomo darsi l’assoluto, lui che assoluto non è? Può darsi l’Infinito, lui che infinito non è?
Oggi molti si chiedono: ma è proprio importante essere praticanti, convivere con Dio? L’uomo non può salvarsi solo facendo il bene? Se così fosse, diventerebbe salvatore di se stesso; e se così fosse, dovremmo piuttosto chiederci: perché Dio si è incarnato ed è morto per noi, perché ha effuso il suo Sangue? Tutto il mistero di Cristo si nullificherebbe.  
La salvezza dell’uomo si riconduce inevitabilmente al Sangue di Cristo… ed è il Sangue di Cristo che ci fa capire che il Cristianesimo non è né efficientismo (fare, fare, fare…) né una pura astrazione intellettuale (credere in Dio e basta).
Noi non saremo giudicati né sull’efficientismo né sul semplice credere in Dio, ma sull’amore a Dio. Amare Dio significa convivere con il Signore, sostituire il proprio criterio di giudizio con il criterio di giudizio di Gesù: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Galati, 2,20).

Le due ricerche possibili: il Graal magico e il Graal religioso.
Il Sangue di Cristo è così importante per la vita dell’uomo che ad esso si ricollegano anche i due fondamentali atteggiamenti che l’uomo può avere per la sua vita e per la sua possibile salvezza: l’atteggiamento magico (innaturale e illegittimo) e l’atteggiamento religioso (naturale e legittimo).

Al Sangue di Cristo è legato l’oggetto del Graal, ovvero il calice che Gesù utilizzò nell’ultima cena, cioè quando istituì l’Eucaristia e trasformò il vino nel suo Sangue.
Due tipi di atteggiamento dunque… e infatti due sono i motivi per cui il Graal è stato oggetto di numerose leggende. Primo: perché è stato visto come l’oggetto “magico” per eccellenza. Secondo: per il contrario, perché è stato visto anche come l’oggetto “religioso” per eccellenza. 
La magia è un atteggiamento di “potere” con il quale l’uomo pretende mettersi al di sopra del divino; anzi, pretende di divinizzare se stesso. La religione è invece il contrario; è un atteggiamento non di potere ma di “servizio” con cui l’uomo, riconoscendosi creatura, si sottomette al divino.
Nella tradizione tanto esoterica (la verità sarebbe nascosta e solo per pochi) quanto occultistica (la verità sarebbe il frutto del potere della mente che può mutare a proprio piacimento la realtà) il Graal è stato visto come l’oggetto per eccellenza affinché l’uomo potesse impadronirsi dell’onniscienza e dell’immortalità; insomma, lo strumento per realizzare il desiderio dei desideri: la propria divinizzazione.
In queste tradizioni (esoterica ed occultistica) la figura di Gesù è stata spesso vista in chiave gnostica. Gesù sarebbe il modello da imitare, sì, ma non nel senso del Dio-fatto-uomo quanto dell’uomo-che-diventa-Dio. Il Verbo sarebbe il divino buono che è presente a mò di scintilla in ogni uomo.
Incarnandosi, questo Verbo avrebbe insegnato all’uomo come liberarsi dalla prigionia del corpo e quindi come spogliarsi del peso dell’individualità (l’apparente creaturalità) per riunirsi al divino originario. In tale prospettiva il Graal è una sorta di materializzazione di questa convinzione e di questa aspirazione.
Ma abbiamo detto che il Graal può essere considerato anche in maniera totalmente diversa, come il segno che riconduce al vero senso della vita, cioè all’appartenenza al divino.
Nel Graal il vino fu trasformato nel Sangue di Cristo, cioè in quel Sangue che è segno dell’Amore per eccellenza, dell’offerta di Dio all’uomo per la salvezza dell’uomo. Il Graal, quindi, è il segno del bisogno di Dio, di quanto l’uomo abbia avuto e abbia ancora necessità di Dio.
In questa prospettiva il Graal è la vita; e, la sua ricerca, il vero senso della vita. Secondo le celebri saghe bretoni per poter occupare l’ambito “seggio del pericolo” occorreva una condizione indispensabile: essere puri di cuore. Cioè per realizzare pienamente la vocazione fondamentale (la ricerca del Graal, cioè la ricerca non semplicemente di Dio, ma della salvezza operata da Dio) non era necessario possedere tanto le capacità intellettuali quanto aprire il proprio cuore e praticare l’esercizio della virtù.
La vocazione fondamentale è il compito su cui l’uomo si gioca veramente tutto, non a caso nelle saghe bretoni si parla di seggio del pericolo, ovvero di seggio dove l’uomo mette in gioco tutta la sua vita.
La teologia cattolica afferma che nel Sacrificio eucaristico il sacerdote agisce in persona Christi, il che vuol dire che ogni qualvolta il sacerdote consacra, le sue mani non sono più le sue mani ma le mani stesse di Cristo. Ciò vale anche per gli oggetti che sono utilizzati in questo Sacrificio: il calice non è più quel calice che fu acquistato in un determinato negozio, ma diventa, in quel preciso momento, veramente il Graal.

Il modello di Parsifal: il Sangue di Cristo come vera risposta.
Ogni uomo dovrebbe porsi dinanzi alla propria esistenza secondo il modello della figura di Parsifal. Interessa poco sapere della sua esistenza storica; interessa piuttosto tener presente che la sua vita è vera, in quanto vita offerta alla ricerca di ciò che rappresenta veramente il Tutto dell’esistenza umana: il Sangue di Cristo.

Parsifal è senz’altro un eroe antimoderno. Lo è perché sa che la vita va spesa non solo nella dimensione orizzontale (aiutare gli altri), che è pure importante, ma soprattutto in quella verticale. Parsifal sa bene che l’uomo, più che del cibo materiale, ha bisogno di ciò che davvero può riempire la sua esistenza, la risposta totale per tutte le proprie ansie: il Sangue di Cristo. 
Nell’ottimo film di Mel Gibson, The Passion, c’è una scena piena di significato. Dopo la flagellazione e l’allontanamento di Gesù dalla Colonna, la Vergine e Maria Maddalena si calano e, quasi strisciando, asciugano il sangue di Gesù con dei panni dati loro dalla moglie di Pilato.
Il regista giustamente indugia su questo gesto: asciugare e raccogliere il Preziosissimo Sangue di Gesù affinché non vada perso. Gli sguardi delle donne esprimono chiaramente l’importanza di quel Sangue divino. Si può senz’altro dire che una tale scena ha il pregio di sintetizzare tutto il Cristianesimo: è proprio in quell’attenzione e in quell’adorazione l’unica ragione della vita dell’uomo.

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