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Aldo Marchetti, un giovane cristiano nel dolore innocente

Posté par atempodiblog le 22 avril 2012

Aldo Marchetti, un giovane cristiano nel dolore innocente
Una poco conosciuta figura di santità giovanile, esempio di pazienza e rassegnazione.
Luca Pignataro – Radici Cristiane

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“Non voglio essere compianto, sono felice; solo mi duole veder soffrire la mia mamma; vorrei esserle d’aiuto, ma sono certo che il mio buon Gesù la ricompenserà”.

“Gesù è il più grande amore, non mi cambierei con nessuna persona di questo mondo”.

Passando per una trafficatissima strada di Trieste, Via dei Piccardi, al numero 27 si legge una lapide in onore di Aldo Marchetti, «fiore di cristiana purezza» vissuto lì. In una chiesetta abbiamo trovato un vecchio opuscolo, scritto dal gesuita Gabriele Navone, che ci ha permesso di ricostruire la vita di questo giovanissimo testimone di Cristo sulla croce.
L’anno 1920 a Trieste nasceva Aldo Marchetti, figlio di un ex carabiniere nativo di Ferrara, divenuto guardia municipale, e di una donna di condizione modesta, originaria di Pirano in Istria, molto religiosa. Il papà era affettuosissimo col piccolo Aldo: lo portava a passeggio non appena smontava dal lavoro, non mancando mai di fare una visita in chiesa prima di rincasare.
Purtroppo, però, logorato dalle fatiche della Grande Guerra, morì a soli 32 anni nel 1924, lasciando la vedova e il figlioletto in povertà. La loro condizione era aggravata dal doversi prendere cura dell’anziana nonna, cieca per diabete; unico aiuto erano una zia e un modesto sussidio comunale. Il bambino, all’età di 8 anni, ottenne un posto gratuito al Convitto Nazionale di Cividale del Friuli, dove fecela Prima Comunione.

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Una terribile malattia
Nel 1929 una serie di sintomi preannunciarono un verdetto terribile: Aldo era afflitto da poliartrite deformante. Riuscì a terminare la quarta elementare, poi dovette tornare a Trieste, dove intraprese cure dolorose quanto inutili, senza però lasciar trasparire alcuna tristezza. Il suo unico conforto terreno era la vicinanza della mamma.

Nel 1931 ottenne di partecipare ad un pellegrinaggio a Lourdes, da dove ritornò con un vivissimo desiderio di ricevere la Comunione frequente: si vide così più volte la commovente scena della madre di Aldo che lo portava in braccio verso l’altare, finché, un anno dopo, la malattia lo costrinse a restare immobile nel suo letto.
Forse suonerà retorico, ma è la pura verità affermare che quel letto divenne l’altare su cui Aldo Marchetti offrì se stesso in sacrificio, unito con Gesù.
I dolori atroci cui Aldo era soggetto, sia per la malattia sia per le cure inutili, non gli strappavano mai una parola di insofferenza o di rammarico: tutti coloro che lo conobbero, rimasero meravigliati dal suo comportamento, davvero eccezionale se ricordiamo che era ancora un ragazzino.
Ma non si trattava solo di sopportazione. Un giorno una zia lontana dalla fede, non vedendo nel nipotino alcun miglioramento, gli disse: “Tu sei stato a Lourdes per chiedere alla Madonna la grazia della tua guarigione, ma io vedo che non hai ottenuto nulla, perché il tuo male non è diminuito affatto, anzi è peggiorato. Dunque, vedi che la Madonna non è stata buona con te!”.
Il volto di Aldo si offuscò, gli occhi brillarono di lacrime ed egli le intimò di uscire dalla stanza, soggiungendo: “Povera zia, quanto mi fai compassione! Tu non hai la vera fede, perciò non puoi comprendere la grazia più grande che mi ha fatto la Madonna! Non ho ricevuto la guarigione, ma un dono incomparabilmente migliore, ed è che sono felice di poter soffrire. Questo è il dono che Maria fa alle sue anime predilette”. E queste erano le parole di un ragazzino che aveva fatto solo la quarta elementare…
Un’altra volta la medesima zia insisteva: “Ma Aldo, non sei stanco di soffrire tanto per gli altri? Non è forse meglio godere in questo mondo? Qui almeno si sa come si sta, dell’altro mondo invece non si sa nulla”. Aldo dolcemente rispose: “Non sai quello che dici. Io preferisco mille volte soffrire in questo mondo che nell’altro, perché qui siamo di passaggio, là invece ci troveremo per l’eternità; qui le nostre sofferenze possono giovare non solo per noi stessi, ma anche per i poveri peccatori: e sono tanti i peccatori che hanno bisogno di essere convertiti…”. Questa zia di Aldo fu convertita dalla sua testimonianza.
A chi osservava: “Ogni persona deve portare la sua croce, ma la tua mi sembra davvero troppo pesante!”, Aldo replicò: “Non sono io che porto la mia croce, ma è Gesù che la porta per me”. Tante erano le persone che d’ora in poi verranno a trovarlo in casa, e tutte ne uscivano edificate. Anche Gesù eucaristico gli veniva ormai portato in casa e Aldo, tredicenne, volle che la sua famiglia fosse consacrata al Sacro Cuore con tutto il decoro che quella povera casa poteva permettersi: “Per Gesù è tutto poco quello che si fa”. Nel 1936 Aldo, stremato dagli spasimi della sofferenza (a fatica poteva aprire la bocca per prendere cibo), scrisse una lettera al Capo del Governo Benito Mussolini (oggi la si può leggere nell’Archivio Centrale dello Stato, a Roma), facendogli presente le misere condizioni di sé e della sua famiglia, ottenendo così una somma di denaro con la quale fu comprata una carrozzella per lui.
Invano, perché purtroppo a partire dall’anno seguente non poté più alzarsi dal letto; si mise sul fianco destro e in questa posizione restò per tre anni, senza poter più muoversi e neppure voltarsi sul fianco sinistro. Nel 1938 sopraggiunse una grande insufficienza cardiaca con dilatazione del cuore e spostamento della milza e del fegato, che gli causavano acutissimi dolori. Infine l’artrite gli tolse anche la vista.
Il suo commento fu: “Mi meraviglio io stesso di come mi sento il coraggio e la forza di rinunciare a questo bel dono che ci ha fatto il Signore e di farlo senza rimpianto. Si vede che non è la mia bravura, ma quella di Gesù che è in me”.

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Perfetto abbandono e piena accettazione
Aldo offriva sempre con serenità il proprio dolore per le persone che gli chiedevano di pregare per loro e che uscivano dalla sua cameretta liete. Ripeteva spesso: “Bisogna pregare molto per i sacerdoti. Il mondo è cattivo, e tutto noi abbiamo da loro. Anche in Cielo continuerò per loro le mie preghiere”. Una signora, trovandolo un giorno in una sofferenza che gli toglieva la forza di parlare, commentò: “Tu che parli sempre del tuo Gesù e dici che è tanto buono e misericordioso, dovresti sapermi dire in che consiste la sua misericordia, dal momento che ti dà tante sofferenze senza compassione. Che cosa hai fatto di male in questo mondo per essere così castigato? Se Gesù è un Dio giusto, come tu sei convinto, non dovrebbe martoriarti così. Queste tue sofferenze doveva darle a un delinquente! Per questo io non posso aver fede”.

Aldo ebbe la forza di rispondere: “Povera signora! Lei vorrebbe che un Dio così onnipotente e d’infinita bontà facesse soffrire un delinquente! E che bene ne potrebbe ottenere? Non conoscendo egli l’amore di Gesù, non saprebbe offrire i suoi dolori per la gloria del Signore: la sua vita diverrebbe una continua bestemmia ed offesa a Dio, e si dannerebbe per sempre. Dio non vuole questo. Sceglie invece un’anima pura che sappia offrire la propria vita per la salvezza dei fratelli. Quindi io sono il più felice di questo mondo! Felice di fare la volontà di Dio adesso e sempre, per la sua maggior gloria!”. Aldo mori a 19 anni, rammaricandosi solo di non poter soffrire di più e di lasciare nel dolore la mamma che lo aveva accudito giorno e notte fra tanti sacrifici, ma alla quale preannunciò che si sarebbero ritrovati in Paradiso. Poco prima di spirare, improvvisamente alzò il capo, che non poteva muovere da tre anni, e disse a voce alta: “Pregate! Abbiate fede! Pregate! Dio è certezza!”.
Raggiunse quel Paradiso tanto desiderato il 25 gennaio 1940. Ancora oggi, la mattina dell’ultima domenica di gennaio la cameretta dove Aldo Marchetti visse, rimasta intatta com’era allora, col suo letto e la sua bibliotechina, viene aperta alla visita di coloro che lo venerano e ringraziano Dio di averci dato in lui un così bello e forte ammaestramento, quanto mai attuale in un’epoca in cui ormai si ritiene di eliminare la sofferenza eliminando il malato.

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