• Accueil
  • > Archives pour le Samedi 21 avril 2012

Se alla Santa Messa si canta Ligabue: “quando questa merda intorno/ sempre merda resterà/ riconoscerai l’odore/ perché questa è la realtà”…

Posté par atempodiblog le 21 avril 2012

 dans Antonio Socci

Ma i vescovi e i preti credono ancora alla vita eterna? Spero di sì, ma dovrebbero farcelo capire. Specie nei funerali, in particolare quelli di personaggi famosi.
Ho letto, per esempio, le cronache sul rito funebre del giovane calciatore Piermario Morosini che pure “Avvenire” ha messo in prima pagina con una grande foto notizia e questo titolo: “L’ultimo gol di Morosini. Folla ed emozione ai funerali a Bergamo”. Un altro sommario del giornale dei vescovi diceva: “Lacrime, canzoni e applausi. Commovente il ricordo del suo parroco”.
E’ sicuro “Avvenire” che non ci sia nulla de eccepire proprio su quelle canzoni e sul resto?
Scrivono i giornali che durante la santa liturgia – invece degli inni sacri che accompagnano un nostro fratello davanti al giudizio di Dio – sono state cantate le canzoni di Ligabue.

Dunque in chiesa, mentre davanti all’altare c’era la bara di quel povero giovane, con il dolore dei suoi cari, e si distribuiva la comunione, venivano schitarrate cose  del genere:“quando questa merda intorno/ sempre merda resterà/ riconoscerai l’odore/ perché questa è la realtà”.
Parole di grande spiritualità? Di evidente connotazione cristiana? Altri “immortali capolavori” dello stornellatore emiliano eseguiti durante la liturgia, dicono le cronache, sono stati “Urlando contro il cielo” (che è tutto un programma) e “Non è tempo per noi” il cui messaggio è espresso da queste parole: “certi giorni ci chiediamo è tutti qui?/ E la risposta è sempre sì”.

Tutto questo è accaduto all’interno di un rito liturgico, ciò che la Chiesa ha di più sacro. E mentre l’attuale papa Benedetto XVI si erge (è un caposaldo del suo pontificato) in difesa della sacralità della liturgia, contro invenzioni e contro ogni tipo di abuso.
Ma i vescovi – che in buona parte hanno opposto un muro alla decisione del papa di ridare cittadinanza all’antico rito della Chiesa – non hanno poi nulla da eccepire di fronte a trovate simili nella liturgia.
Del resto non sconcerta solo la scelta canora, tanto più in presenza di un rito funebre. A suscitare interrogativi e perplessità sono anche le parole del parroco e quelle dello stesso vescovo di Bergamo.
Del parroco agenzie e giornali hanno riferito solo lo smisurato panegirico del defunto. Ieri un giornale online aveva addirittura questo sottotitolo: “Il parroco: ‘è stato l’immagine di Dio’ ”. Le testuali parole erano un po’ meno esagerate, ma non troppo: “In questi giorni Piermario è stata l’immagine più bella di Dio perché è stata creatura di pace”. 
A dire il vero la Chiesa prescrive che le messe funebri non siano spettacoli e le omelie non siano elogi biografici del morto, ma una meditazione sull’estrema fragilità della vita, sulla necessità di convertirsi e un’esortazione a pregare per la salvezza dell’anima di quel fratello, perché tutti siamo peccatori e, davanti al giudizio di Dio, come poveri e umili mendicanti, abbiamo bisogno solo delle preghiere dei fratelli e della misericordia del Signore.
Non so se il parroco abbia accennato a queste cose, ben più importanti dell’apologia. Di fatto agenzie e giornali non ne hanno fatto menzione e, soprattutto, neanche il vescovo ha sentito il bisogno di richiamare quei fondamentali.
Il suo messaggio – perché quando ci sono i media è difficile che i prelati facciano mancare la loro voce – è stato anch’esso un panegirico (è riportato nel sito del giornale della diocesi).
Solo alla fine del lungo discorso, composto di 290 parole, ha fatto capolino una volta – e molto formalmente – un fugace accenno alla resurrezione (“vivere nella speranza della resurrezione” per “rendere migliore questo povero mondo”).
Da nessuna parte il prelato spiega che la vita sulla terra è fuggevole, che è una lotta per guadagnarsi la vita eterna, l’unica che vale, che il senso dell’esistenza terrena è questo.
Da nessuna parte ha ammonito sulla serietà delle nostre scelte di fronte alla possibilità della dannazione eterna o della beatitudine.
Da nessuna parte il vescovo ha ricordato a parenti e amici del giovane quella verità, così bella e confortante, proclamata dalla Chiesa nella liturgia, che recita: “ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata”.
E’ questa verità che abbiamo bisogno di sentirci annunciare quando siamo sopraffatti dalla morte di una persona amata. Perché significa che abbiamo un’anima immortale e che rivedremo – dopo una breve pausa – coloro che amiamo e addirittura ci sarà restituito il nostro corpo, senza più limiti, lacrime e sofferenze.
Questa impareggiabile consolazione la Chiesa dovrebbe gridarla. Invece i pastori la tacciono.
Così come tacciono il fatto che i nostri cari, proprio perché continuano a esistere e sono davanti al giudizio di Dio e nella purificazione dei propri peccati, hanno bisogno delle nostre preghiere e sacrifici (per esempio hanno bisogno della pia pratica delle indulgenze).
E’ la bellezza della comunione dei santi. Infatti, dopo Cristo, la morte non è più un abisso di lontananza, ma la nostra unione rimane e possiamo continuare ad aiutarci. Dal cielo possono aiutare noi e noi possiamo aiutare loro.

Almeno di fronte alla morte vescovi e preti potrebbero dire una parola cristiana?
Pregare per le anime del purgatorio è addirittura una delle opere di misericordia spirituale (insieme a un’altra: “consolare gli afflitti”).

Forse la vera teologia della liberazione è proprio questa perché la preghiera di suffragio può davvero liberare delle creature, può donare la felicità totale e definitiva a chi ancora soffre in purgatorio.
Questa almeno è la dottrina della Chiesa e si desidererebbe sentirla annunciare e insegnare da vescovi e parroci. Che però, invece di parlare di Dio e della vita eterna, preferiscono spesso strologare delle cose del mondo.
E non secondo l’ottica della dottrina sociale cristiana. In genere vanno dietro alle mode del politically correct.
Quella stessa diocesi di Bergamo di cui si è detto, ad esempio, ha fondato un “Centro di etica ambientale” che di recente ha realizzato un corso per i giovani in cui è stato chiamato a pontificare, sull’educazione ambientale, con il climatologo Luca Mercalli, il cantante Roberto Vecchioni.
E, a riprova che nella Curia di Bergamo si frequentano più le canzonette che la teologia dei Novissimi, il presidente di quel Centro diocesano, don Francesco Poli, come riporta un articolo di Avvenire, ha testualmente affermato: “Immagina un mondo nuovo, cantavano i Beatles. Sono passati 40 anni e me lo ripeto ancora”.
Purtroppo pure sulla cultura canzonettistica questi ecclesiastici lasciano a desiderare, perché quella canzone non era cantata dai Beatles, ma fu scritta (ed eseguita) dopo il loro scioglimento da John Lennon.
E quel brano diventò l’inno del fricchettonismo planetario e del Lennon-pensiero, perché era un colossale sberleffo contro la religione.
Infatti cominciava così: “Imagine there’s no heaven”, cioè “immagina che non ci sia il paradiso”, e continuava “and no religion too”, cioè “e nessuna religione”.

Questo era il sogno celebrato da Lennon in quella canzone. Di certo non avrebbe immaginato di vederlo celebrare pure da curie ed ecclesiastici.
Il povero Piermario Morosini era ed è un caro ragazzo, buono e forte, che merita ben altro e sono grato alla silenziosa suora francescana che nei giorni scorsi, alla Porziuncola, ha lucrato per la sua anima l’indulgenza. Così da regalargli la felicità.
Questa è la pietà cristiana che la Chiesa insegna.

Antonio Socci – Libero

Publié dans Antonio Socci, Articoli di Giornali e News, Riflessioni | Pas de Commentaire »

Tu sei un’anima

Posté par atempodiblog le 21 avril 2012

Tu sei un'anima dans Citazioni, frasi e pensieri

Tu non hai un’anima. Tu sei un’anima. Tu hai un corpo”.

Clive Staples Lewis

Publié dans Citazioni, frasi e pensieri, Clive Staples Lewis | Pas de Commentaire »

Il predicatore deve badare agli uditori

Posté par atempodiblog le 21 avril 2012

Il predicatore deve badare agli uditori i quali possono essere classificati: riguardo all’età, riguardo alla condizione sociale, riguardo alla coltura.
San Giovanni Bosco
Tratto da: Don Bosco Land

Il predicatore deve badare agli uditori dans Riflessioni

“Se gli uditori sono giovanetti, bisogna che l’oratore si abbassi al livello della loro intelligenza e non dia pane a chi non ha denti per masticarlo, ma latte, come dice S. Paolo a que’ di Corinto. Con questa sorte di uditori cerchi il predicatore di far entrare nelle loro menti la verità per mezzo di esempi, di fatti, di parabole e farà profitto. E per qualunque argomento ne troverà sempre. Il suo libro di testo sia il catechismo, il quale dovrebbe pur servire come tale per ogni sorta di persone”.

“Riguardo alla condizione degli uditori deve saper regolare il suo dire secondo il posto che quelli occupano nella società. Certamente che non si deve dire ai poveri ciò che è necessario inculcare ai ricchi, né ai servi o ai dipendenti ciò che si è obbligati ad esporre ai signori; oltre i precetti comuni, sono imposti da Dio varii e diversi doveri alle varie classi sociali. Ma il miele della carità temperi l’amarezza del rimprovero. Non si offendano le persone con ironie o invettive; specialmente nelle piccole borgate non si dica parola che possa essere giudicata allusiva alla condotta di qualche individuo. Si ometta pure ogni accenno a cose politiche. Si cerchino testimonianze di ciò che si espone, dalla Santa Scrittura e specialmente dai fatti e dalle parole di N. S. Gesù Cristo; e così nessuno potrà aversela a male, se certe verità sembreranno un po’ dure. Parlando per es.: ai ricchi dell’obbligo che hanno di fare elemosina, senza inveire sulla durezza dei cuori, basterà senz’altro narrar la parabola del ricco Epulone”.

“Riguardo alla cultura l’oratore sacro deve adoperare quelle maniere di esporre che possano essere senza alcuna difficoltà intese, se l’uditorio è composto di persone rozze.

Con queste bisogna adattarsi al loro linguaggio, pensare com’esse pensano, trasportarsi nell’ambiente dove vivono: il campo, l’officina, il laboratorio e le varie professioni manuali. Così faceva il Divin Salvatore predicando alle turbe della Galilea, composte da agricoltori, pastori e pescatori. Se gli uditori sono colti, senza dubbio va più ornato il discorso, ma nei limiti che sono prefissi alla parola evangelica. Il maggior ornamento si è una grande chiarezza, nelle parole, nei pensieri, negli argomenti. L’oratore sacro attinga la sua eloquenza non dalla sapienza del mondo, ma parli secondo lo spirito di Dio. E non divaghi in polemiche. Fare in pulpito le obbiezioni dottrinali e poi scioglierle, non è un metodo da tenersi, imperocchè un certo numero di uditori, seguendo l’impulso di un certo spirito di contraddizione, si mettono, anche senza avvedersene, dalla parte dell’obbiezione e ascoltano come giudici. Ciò impedisce talora, che si riesca a produrre tutto l’effetto desiderato. E bisogna anche notare che talvolta le risposte alle obbiezioni non sono sempre capite, ma spesse volte fraintese; e in certe menti restano impressi più gli errori che le verità opposte. Queste controversie si debbono lasciare ai dottori, forniti di ingegno non comune e di scienza acquisita con lunghi e pazienti studi. Questi le tratteranno, in modo, tempo e luogo conveniente, nelle grandi città ove se ne scorga il bisogno, e ad uditorio preparato a seguire lunghi e sottili ragionamenti”.

“Se in un paese vi fossero eretici, il predicatore badi a non inasprire menomamente gli erranti. Le sue parole spirino sempre carità e benignità. Si confutino i loro errori e sofismi provando semplicemente con solidi argomenti le verità contestate. Prevenendo le obiezioni, si tolgono le armi dalle mani dei nemici. I testi scritturali che sogliono addurre falsati per combattere, esponiamoli nel loro vero senso, e procediamo con questi a svolgere la nostra tesi. Le invettive non ottengono le conversioni: l’amor proprio si ribella. Era questo il metodo che teneva S. Francesco di Sales e che era da lui consigliato. Egli narrava che i protestanti correvano in folla ad udirlo e dicevano che loro piaceva, perchè non lo vedevano infuriarsi come i loro Ministri”.

Publié dans Riflessioni, Sacramento dell’Ordine, San Giovanni Bosco | Pas de Commentaire »