Discernere la propria vocazione

Posté par atempodiblog le 29 avril 2012

Trascrizione dall’originale audio di una telefonata, in diretta su Radio Maria, ad una Catechesi Giovanile di Padre Livio Fanzaga del 17 ottobre 2003

Discernere la propria vocazione dans Discernimento vocazionale Discernimento-Preghiera

Ascoltatore: Ciao a tutti e ciao Livio,
volevo farle una domanda perché per me è importante la sua opinione. Siccome in questo periodo sono in un momento di crisi, io ho 35 anni, faccio un lavoro del quale sono molto contento e del quale sono molto contenti grazie a Dio, però sento nel mio cuore che Gesù mi chiama a vivere la mia vita a una vita religiosa, possibilmente nell’ordine di San Giovanni di Dio, un ordine ospedaliero, e siccome sono molto, così, provato, tante difficoltà, tanti dubbi… a volte ho anche la paura che queste siano solamente le mie illusioni. Siccome lei ha scritto un libro sul discernimento spirituale che io, purtroppo, ancora non ho potuto acquistare, siccome in questo periodo sono così provato… ecco, desideravo chiederle come posso discernere con serenità la voce di Gesù…

Risposta di Padre Livio: […] il discernimento della propria vocazione è una cosa che approfondiremo a suo tempo, comunque è duplice ed è necessario in ambedue i livelli: il primo discernimento lo si fa uno nel proprio cuore, cioè, voglio dire attenzione che per quanto riguarda la propria vocazione – io tra l’altro su questo argomento parlo in base anche a quella che è la mia esperienza di vita, anche io ho avuto una vocazione – però prima di tutto uno deve sentire dentro di sé la chiamata di Dio, perché questo è fondamentale. E’ bensì vero che il Santo Padre a suo tempo ha detto “chiamate i giovani”, è bensì vero che alcuni movimenti, per es. i neocatecumenali, chiamano i giovani, però questa chiamata esteriore ha effetto sul soggetto perché il soggetto sente una chiamata interiore. Quindi il primo discernimento è sempre personale, perciò al nostro amico di Palermo dico tu nella preghiera – questo è quello che spiego in lungo e in largo nel mio libro tra l’altro dedico un capitolo a Sant’Ignazio proprio che è il maestro del discernimento spirituale nella preghiera – dove tu devi far tacere però le tue voglie o le tue paure perché per ascoltare la voce di Dio, dice Sant’Ignazio di Loyola, devi aver l’indifferenza cioè l’indifferenza vuol dire qualsiasi cosa Dio mi chiede la faccio; allora devi far tacere i tuoi desideri. I desideri umani, ma anche le tue paure e le tue angosce in modo tale che nel cuore risuoni la voce di Dio che senti che è la voce di Dio. Io sento, per esempio, che mi piace fare il sacerdote, che mi piace fare il missionario, mi piace dedicarmi ai giovani, ma la sentivo come qualcosa che è lì nel cuore e se manca questa verifica nella preghiera, a mio parere, si rischia che poi c’è tutta una sovrastruttura… ma manca la radice, quello è il punto chiave fondamentale: perché la chiamata di Dio è prima di tutto nel cuore e siccome tu, giustamente, dici è un illusione… allora bisogna verificare nel tempo la presenza di questa voce di Dio, di questa inclinazione di Dio, perché Dio parla al cuore con la voce dello Spirito Santo con le illuminazioni e con i suggerimenti, con i gemiti, insomma queste cose qui e se non si sperimentano non  si possono esprimere. Ecco per un po’ di tempo devi verificare se è stato un momento solo che hai avuto questa inclinazione o è una cosa che senti nel cuore, che parlando con Gesù senti che Gesù vuole questa cosa da te come ha detto il Santo Padre ieri. Ieri il Santo Padre ha fatto il discernimento spirituale nel migliore dei modi perché lui lo fa sempre in una lunga preghiera. Ieri il Santo Padre ha detto “Gesù mi chiede di continuare”, ma quello il Papa lo ha detto non soltanto nel magistero infallibile, ma lo ha detto con una certezza interiore di una persona che prega; una persona che prega non si sbaglia su queste cose. Il perché Gesù chieda al Papa di continuare lasciandolo in questa sofferenza lo sa Dio, ma noi siamo qua non a giudicare, siamo a qui a capire cosa Dio vuol dirci. Il nostro problema vero non è quello di sapere quanto dura il Papa, chi sarà il prossimo Papa, come sarà il Conclave… queste sono chiacchiere da imbecilli. Il problema è di sapere cosa sta dicendo Dio alla Chiesa attraverso la sofferenza del Santo Padre. Cosa sta dicendo Dio alla Chiesa in questo momento. Forse lo capiremo più avanti cosa sta dicendo Dio. Ieri il Papa ci ha insegnato cos’è il discernimento spirituale, una cosa meravigliosa. Per me che ho scritto questo libro il discernimento spirituale è stata una cosa che mi ha dato una gioia indescrivibile. Ho visto un discernimento su una cosa difficilissima davanti a tutti. “Gesù mi chiede di continuare” ha detto, per arrivare a questa certezza non è che uno arriva in cinque minuti, ma arriva attraverso un processo magari di tempo. Così tu attraverso un processo di tempo che può essere di una settimana, due settimane, un mese, un anno… questa voce ti cresce nel cuore e crescendoti nel cuore ti dà gioia. Ti lascia in pace. Ne sei convinto si radica in te. Dopodiché, figliolo caro, questo è il primo passo che nessuno può fare al tuo posto. Dopodiché parli con la Chiesa e cerchi un direttore spirituale, uno di quell’ordine. Parli e loro ti aiuteranno nel tuo discernimento. Valuteranno le tue capacità, le tue inclinazioni. E’ il momento del discernimento della Chiesa, ma prima ci deve essere il tuo. Se manca il tuo non c’è niente da fare.

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La gioia

Posté par atempodiblog le 28 avril 2012

La gioia dans Citazioni, frasi e pensieri

“Il mondo cerca la gioia ma non la trova perché lontano da Dio.
Noi, compreso che la gioia viene da Gesù, con  Gesù nel cuore portiamo gioia. Egli sarà la forza che ci aiuta”.

Santa Gianna Beretta Molla

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La maldicenza

Posté par atempodiblog le 28 avril 2012

La maldicenza dans Mormorazione San-Francesco-di-Sales

Il giudizio temerario causa preoccupazione, disprezzo del prossimo, orgoglio e compiacimento in se stessi e cento altri effetti negativi, tra i quali il primo posto spetta alla maldicenza, vera peste delle conversazioni. Vorrei avere un carbone ardente del santo altare per passarlo sulle labbra degli uomini, per togliere loro la perversità e mondarli dal loro peccato, proprio come il Serafino fece sulla bocca di Isaia.

Se si riuscisse a togliere la maldicenza dal mondo, sparirebbero gran parte dei peccati e la cattiveria. A chi strappa ingiustamente il buon nome al prossimo, oltre al peccato di cui si grava, rimane l’obbligo di riparare in modo adeguato secondo il genere della maldicenza commessa. Nessuno può entrare in Cielo portando i beni degli altri; ora, tra tutti i beni esteriori, il più prezioso è il buon nome. La maldicenza è un vero omicidio, perché tre sono le nostre vite: la vita spirituale, con sede nella grazia di Dio; la vita corporale, con sede nell’anima; la vita civile che consiste nel buon nome. Il peccato ci sottrae la prima, la morte ci toglie la seconda, la maldicenza ci priva della terza. Il maldicente, con un sol colpo vibrato dalla lingua, compie tre delitti: uccide spiritualmente la propria anima, quella di colui che ascolta e toglie la vita civile a colui del quale sparla.

San Francesco di Sales

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Aldo Marchetti, un giovane cristiano nel dolore innocente

Posté par atempodiblog le 22 avril 2012

Aldo Marchetti, un giovane cristiano nel dolore innocente
Una poco conosciuta figura di santità giovanile, esempio di pazienza e rassegnazione.
Luca Pignataro – Radici Cristiane

Aldo Marchetti, un giovane cristiano nel dolore innocente dans Articoli di Giornali e News 14421iu

“Non voglio essere compianto, sono felice; solo mi duole veder soffrire la mia mamma; vorrei esserle d’aiuto, ma sono certo che il mio buon Gesù la ricompenserà”.

“Gesù è il più grande amore, non mi cambierei con nessuna persona di questo mondo”.

Passando per una trafficatissima strada di Trieste, Via dei Piccardi, al numero 27 si legge una lapide in onore di Aldo Marchetti, «fiore di cristiana purezza» vissuto lì. In una chiesetta abbiamo trovato un vecchio opuscolo, scritto dal gesuita Gabriele Navone, che ci ha permesso di ricostruire la vita di questo giovanissimo testimone di Cristo sulla croce.
L’anno 1920 a Trieste nasceva Aldo Marchetti, figlio di un ex carabiniere nativo di Ferrara, divenuto guardia municipale, e di una donna di condizione modesta, originaria di Pirano in Istria, molto religiosa. Il papà era affettuosissimo col piccolo Aldo: lo portava a passeggio non appena smontava dal lavoro, non mancando mai di fare una visita in chiesa prima di rincasare.
Purtroppo, però, logorato dalle fatiche della Grande Guerra, morì a soli 32 anni nel 1924, lasciando la vedova e il figlioletto in povertà. La loro condizione era aggravata dal doversi prendere cura dell’anziana nonna, cieca per diabete; unico aiuto erano una zia e un modesto sussidio comunale. Il bambino, all’età di 8 anni, ottenne un posto gratuito al Convitto Nazionale di Cividale del Friuli, dove fecela Prima Comunione.

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Una terribile malattia
Nel 1929 una serie di sintomi preannunciarono un verdetto terribile: Aldo era afflitto da poliartrite deformante. Riuscì a terminare la quarta elementare, poi dovette tornare a Trieste, dove intraprese cure dolorose quanto inutili, senza però lasciar trasparire alcuna tristezza. Il suo unico conforto terreno era la vicinanza della mamma.

Nel 1931 ottenne di partecipare ad un pellegrinaggio a Lourdes, da dove ritornò con un vivissimo desiderio di ricevere la Comunione frequente: si vide così più volte la commovente scena della madre di Aldo che lo portava in braccio verso l’altare, finché, un anno dopo, la malattia lo costrinse a restare immobile nel suo letto.
Forse suonerà retorico, ma è la pura verità affermare che quel letto divenne l’altare su cui Aldo Marchetti offrì se stesso in sacrificio, unito con Gesù.
I dolori atroci cui Aldo era soggetto, sia per la malattia sia per le cure inutili, non gli strappavano mai una parola di insofferenza o di rammarico: tutti coloro che lo conobbero, rimasero meravigliati dal suo comportamento, davvero eccezionale se ricordiamo che era ancora un ragazzino.
Ma non si trattava solo di sopportazione. Un giorno una zia lontana dalla fede, non vedendo nel nipotino alcun miglioramento, gli disse: “Tu sei stato a Lourdes per chiedere alla Madonna la grazia della tua guarigione, ma io vedo che non hai ottenuto nulla, perché il tuo male non è diminuito affatto, anzi è peggiorato. Dunque, vedi che la Madonna non è stata buona con te!”.
Il volto di Aldo si offuscò, gli occhi brillarono di lacrime ed egli le intimò di uscire dalla stanza, soggiungendo: “Povera zia, quanto mi fai compassione! Tu non hai la vera fede, perciò non puoi comprendere la grazia più grande che mi ha fatto la Madonna! Non ho ricevuto la guarigione, ma un dono incomparabilmente migliore, ed è che sono felice di poter soffrire. Questo è il dono che Maria fa alle sue anime predilette”. E queste erano le parole di un ragazzino che aveva fatto solo la quarta elementare…
Un’altra volta la medesima zia insisteva: “Ma Aldo, non sei stanco di soffrire tanto per gli altri? Non è forse meglio godere in questo mondo? Qui almeno si sa come si sta, dell’altro mondo invece non si sa nulla”. Aldo dolcemente rispose: “Non sai quello che dici. Io preferisco mille volte soffrire in questo mondo che nell’altro, perché qui siamo di passaggio, là invece ci troveremo per l’eternità; qui le nostre sofferenze possono giovare non solo per noi stessi, ma anche per i poveri peccatori: e sono tanti i peccatori che hanno bisogno di essere convertiti…”. Questa zia di Aldo fu convertita dalla sua testimonianza.
A chi osservava: “Ogni persona deve portare la sua croce, ma la tua mi sembra davvero troppo pesante!”, Aldo replicò: “Non sono io che porto la mia croce, ma è Gesù che la porta per me”. Tante erano le persone che d’ora in poi verranno a trovarlo in casa, e tutte ne uscivano edificate. Anche Gesù eucaristico gli veniva ormai portato in casa e Aldo, tredicenne, volle che la sua famiglia fosse consacrata al Sacro Cuore con tutto il decoro che quella povera casa poteva permettersi: “Per Gesù è tutto poco quello che si fa”. Nel 1936 Aldo, stremato dagli spasimi della sofferenza (a fatica poteva aprire la bocca per prendere cibo), scrisse una lettera al Capo del Governo Benito Mussolini (oggi la si può leggere nell’Archivio Centrale dello Stato, a Roma), facendogli presente le misere condizioni di sé e della sua famiglia, ottenendo così una somma di denaro con la quale fu comprata una carrozzella per lui.
Invano, perché purtroppo a partire dall’anno seguente non poté più alzarsi dal letto; si mise sul fianco destro e in questa posizione restò per tre anni, senza poter più muoversi e neppure voltarsi sul fianco sinistro. Nel 1938 sopraggiunse una grande insufficienza cardiaca con dilatazione del cuore e spostamento della milza e del fegato, che gli causavano acutissimi dolori. Infine l’artrite gli tolse anche la vista.
Il suo commento fu: “Mi meraviglio io stesso di come mi sento il coraggio e la forza di rinunciare a questo bel dono che ci ha fatto il Signore e di farlo senza rimpianto. Si vede che non è la mia bravura, ma quella di Gesù che è in me”.

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Perfetto abbandono e piena accettazione
Aldo offriva sempre con serenità il proprio dolore per le persone che gli chiedevano di pregare per loro e che uscivano dalla sua cameretta liete. Ripeteva spesso: “Bisogna pregare molto per i sacerdoti. Il mondo è cattivo, e tutto noi abbiamo da loro. Anche in Cielo continuerò per loro le mie preghiere”. Una signora, trovandolo un giorno in una sofferenza che gli toglieva la forza di parlare, commentò: “Tu che parli sempre del tuo Gesù e dici che è tanto buono e misericordioso, dovresti sapermi dire in che consiste la sua misericordia, dal momento che ti dà tante sofferenze senza compassione. Che cosa hai fatto di male in questo mondo per essere così castigato? Se Gesù è un Dio giusto, come tu sei convinto, non dovrebbe martoriarti così. Queste tue sofferenze doveva darle a un delinquente! Per questo io non posso aver fede”.

Aldo ebbe la forza di rispondere: “Povera signora! Lei vorrebbe che un Dio così onnipotente e d’infinita bontà facesse soffrire un delinquente! E che bene ne potrebbe ottenere? Non conoscendo egli l’amore di Gesù, non saprebbe offrire i suoi dolori per la gloria del Signore: la sua vita diverrebbe una continua bestemmia ed offesa a Dio, e si dannerebbe per sempre. Dio non vuole questo. Sceglie invece un’anima pura che sappia offrire la propria vita per la salvezza dei fratelli. Quindi io sono il più felice di questo mondo! Felice di fare la volontà di Dio adesso e sempre, per la sua maggior gloria!”. Aldo mori a 19 anni, rammaricandosi solo di non poter soffrire di più e di lasciare nel dolore la mamma che lo aveva accudito giorno e notte fra tanti sacrifici, ma alla quale preannunciò che si sarebbero ritrovati in Paradiso. Poco prima di spirare, improvvisamente alzò il capo, che non poteva muovere da tre anni, e disse a voce alta: “Pregate! Abbiate fede! Pregate! Dio è certezza!”.
Raggiunse quel Paradiso tanto desiderato il 25 gennaio 1940. Ancora oggi, la mattina dell’ultima domenica di gennaio la cameretta dove Aldo Marchetti visse, rimasta intatta com’era allora, col suo letto e la sua bibliotechina, viene aperta alla visita di coloro che lo venerano e ringraziano Dio di averci dato in lui un così bello e forte ammaestramento, quanto mai attuale in un’epoca in cui ormai si ritiene di eliminare la sofferenza eliminando il malato.

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Se alla Santa Messa si canta Ligabue: “quando questa merda intorno/ sempre merda resterà/ riconoscerai l’odore/ perché questa è la realtà”…

Posté par atempodiblog le 21 avril 2012

 dans Antonio Socci

Ma i vescovi e i preti credono ancora alla vita eterna? Spero di sì, ma dovrebbero farcelo capire. Specie nei funerali, in particolare quelli di personaggi famosi.
Ho letto, per esempio, le cronache sul rito funebre del giovane calciatore Piermario Morosini che pure “Avvenire” ha messo in prima pagina con una grande foto notizia e questo titolo: “L’ultimo gol di Morosini. Folla ed emozione ai funerali a Bergamo”. Un altro sommario del giornale dei vescovi diceva: “Lacrime, canzoni e applausi. Commovente il ricordo del suo parroco”.
E’ sicuro “Avvenire” che non ci sia nulla de eccepire proprio su quelle canzoni e sul resto?
Scrivono i giornali che durante la santa liturgia – invece degli inni sacri che accompagnano un nostro fratello davanti al giudizio di Dio – sono state cantate le canzoni di Ligabue.

Dunque in chiesa, mentre davanti all’altare c’era la bara di quel povero giovane, con il dolore dei suoi cari, e si distribuiva la comunione, venivano schitarrate cose  del genere:“quando questa merda intorno/ sempre merda resterà/ riconoscerai l’odore/ perché questa è la realtà”.
Parole di grande spiritualità? Di evidente connotazione cristiana? Altri “immortali capolavori” dello stornellatore emiliano eseguiti durante la liturgia, dicono le cronache, sono stati “Urlando contro il cielo” (che è tutto un programma) e “Non è tempo per noi” il cui messaggio è espresso da queste parole: “certi giorni ci chiediamo è tutti qui?/ E la risposta è sempre sì”.

Tutto questo è accaduto all’interno di un rito liturgico, ciò che la Chiesa ha di più sacro. E mentre l’attuale papa Benedetto XVI si erge (è un caposaldo del suo pontificato) in difesa della sacralità della liturgia, contro invenzioni e contro ogni tipo di abuso.
Ma i vescovi – che in buona parte hanno opposto un muro alla decisione del papa di ridare cittadinanza all’antico rito della Chiesa – non hanno poi nulla da eccepire di fronte a trovate simili nella liturgia.
Del resto non sconcerta solo la scelta canora, tanto più in presenza di un rito funebre. A suscitare interrogativi e perplessità sono anche le parole del parroco e quelle dello stesso vescovo di Bergamo.
Del parroco agenzie e giornali hanno riferito solo lo smisurato panegirico del defunto. Ieri un giornale online aveva addirittura questo sottotitolo: “Il parroco: ‘è stato l’immagine di Dio’ ”. Le testuali parole erano un po’ meno esagerate, ma non troppo: “In questi giorni Piermario è stata l’immagine più bella di Dio perché è stata creatura di pace”. 
A dire il vero la Chiesa prescrive che le messe funebri non siano spettacoli e le omelie non siano elogi biografici del morto, ma una meditazione sull’estrema fragilità della vita, sulla necessità di convertirsi e un’esortazione a pregare per la salvezza dell’anima di quel fratello, perché tutti siamo peccatori e, davanti al giudizio di Dio, come poveri e umili mendicanti, abbiamo bisogno solo delle preghiere dei fratelli e della misericordia del Signore.
Non so se il parroco abbia accennato a queste cose, ben più importanti dell’apologia. Di fatto agenzie e giornali non ne hanno fatto menzione e, soprattutto, neanche il vescovo ha sentito il bisogno di richiamare quei fondamentali.
Il suo messaggio – perché quando ci sono i media è difficile che i prelati facciano mancare la loro voce – è stato anch’esso un panegirico (è riportato nel sito del giornale della diocesi).
Solo alla fine del lungo discorso, composto di 290 parole, ha fatto capolino una volta – e molto formalmente – un fugace accenno alla resurrezione (“vivere nella speranza della resurrezione” per “rendere migliore questo povero mondo”).
Da nessuna parte il prelato spiega che la vita sulla terra è fuggevole, che è una lotta per guadagnarsi la vita eterna, l’unica che vale, che il senso dell’esistenza terrena è questo.
Da nessuna parte ha ammonito sulla serietà delle nostre scelte di fronte alla possibilità della dannazione eterna o della beatitudine.
Da nessuna parte il vescovo ha ricordato a parenti e amici del giovane quella verità, così bella e confortante, proclamata dalla Chiesa nella liturgia, che recita: “ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata”.
E’ questa verità che abbiamo bisogno di sentirci annunciare quando siamo sopraffatti dalla morte di una persona amata. Perché significa che abbiamo un’anima immortale e che rivedremo – dopo una breve pausa – coloro che amiamo e addirittura ci sarà restituito il nostro corpo, senza più limiti, lacrime e sofferenze.
Questa impareggiabile consolazione la Chiesa dovrebbe gridarla. Invece i pastori la tacciono.
Così come tacciono il fatto che i nostri cari, proprio perché continuano a esistere e sono davanti al giudizio di Dio e nella purificazione dei propri peccati, hanno bisogno delle nostre preghiere e sacrifici (per esempio hanno bisogno della pia pratica delle indulgenze).
E’ la bellezza della comunione dei santi. Infatti, dopo Cristo, la morte non è più un abisso di lontananza, ma la nostra unione rimane e possiamo continuare ad aiutarci. Dal cielo possono aiutare noi e noi possiamo aiutare loro.

Almeno di fronte alla morte vescovi e preti potrebbero dire una parola cristiana?
Pregare per le anime del purgatorio è addirittura una delle opere di misericordia spirituale (insieme a un’altra: “consolare gli afflitti”).

Forse la vera teologia della liberazione è proprio questa perché la preghiera di suffragio può davvero liberare delle creature, può donare la felicità totale e definitiva a chi ancora soffre in purgatorio.
Questa almeno è la dottrina della Chiesa e si desidererebbe sentirla annunciare e insegnare da vescovi e parroci. Che però, invece di parlare di Dio e della vita eterna, preferiscono spesso strologare delle cose del mondo.
E non secondo l’ottica della dottrina sociale cristiana. In genere vanno dietro alle mode del politically correct.
Quella stessa diocesi di Bergamo di cui si è detto, ad esempio, ha fondato un “Centro di etica ambientale” che di recente ha realizzato un corso per i giovani in cui è stato chiamato a pontificare, sull’educazione ambientale, con il climatologo Luca Mercalli, il cantante Roberto Vecchioni.
E, a riprova che nella Curia di Bergamo si frequentano più le canzonette che la teologia dei Novissimi, il presidente di quel Centro diocesano, don Francesco Poli, come riporta un articolo di Avvenire, ha testualmente affermato: “Immagina un mondo nuovo, cantavano i Beatles. Sono passati 40 anni e me lo ripeto ancora”.
Purtroppo pure sulla cultura canzonettistica questi ecclesiastici lasciano a desiderare, perché quella canzone non era cantata dai Beatles, ma fu scritta (ed eseguita) dopo il loro scioglimento da John Lennon.
E quel brano diventò l’inno del fricchettonismo planetario e del Lennon-pensiero, perché era un colossale sberleffo contro la religione.
Infatti cominciava così: “Imagine there’s no heaven”, cioè “immagina che non ci sia il paradiso”, e continuava “and no religion too”, cioè “e nessuna religione”.

Questo era il sogno celebrato da Lennon in quella canzone. Di certo non avrebbe immaginato di vederlo celebrare pure da curie ed ecclesiastici.
Il povero Piermario Morosini era ed è un caro ragazzo, buono e forte, che merita ben altro e sono grato alla silenziosa suora francescana che nei giorni scorsi, alla Porziuncola, ha lucrato per la sua anima l’indulgenza. Così da regalargli la felicità.
Questa è la pietà cristiana che la Chiesa insegna.

Antonio Socci – Libero

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Tu sei un’anima

Posté par atempodiblog le 21 avril 2012

Tu sei un'anima dans Citazioni, frasi e pensieri Tu-sei-un-anima

Tu non hai un’anima. Tu sei un’anima. Tu hai un corpo”.

Clive Staples Lewis

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Il predicatore deve badare agli uditori

Posté par atempodiblog le 21 avril 2012

Il predicatore deve badare agli uditori i quali possono essere classificati: riguardo all’età, riguardo alla condizione sociale, riguardo alla coltura.
San Giovanni Bosco
Tratto da: Don Bosco Land

Il predicatore deve badare agli uditori dans Riflessioni

“Se gli uditori sono giovanetti, bisogna che l’oratore si abbassi al livello della loro intelligenza e non dia pane a chi non ha denti per masticarlo, ma latte, come dice S. Paolo a que’ di Corinto. Con questa sorte di uditori cerchi il predicatore di far entrare nelle loro menti la verità per mezzo di esempi, di fatti, di parabole e farà profitto. E per qualunque argomento ne troverà sempre. Il suo libro di testo sia il catechismo, il quale dovrebbe pur servire come tale per ogni sorta di persone”.

“Riguardo alla condizione degli uditori deve saper regolare il suo dire secondo il posto che quelli occupano nella società. Certamente che non si deve dire ai poveri ciò che è necessario inculcare ai ricchi, né ai servi o ai dipendenti ciò che si è obbligati ad esporre ai signori; oltre i precetti comuni, sono imposti da Dio varii e diversi doveri alle varie classi sociali. Ma il miele della carità temperi l’amarezza del rimprovero. Non si offendano le persone con ironie o invettive; specialmente nelle piccole borgate non si dica parola che possa essere giudicata allusiva alla condotta di qualche individuo. Si ometta pure ogni accenno a cose politiche. Si cerchino testimonianze di ciò che si espone, dalla Santa Scrittura e specialmente dai fatti e dalle parole di N. S. Gesù Cristo; e così nessuno potrà aversela a male, se certe verità sembreranno un po’ dure. Parlando per es.: ai ricchi dell’obbligo che hanno di fare elemosina, senza inveire sulla durezza dei cuori, basterà senz’altro narrar la parabola del ricco Epulone”.

“Riguardo alla cultura l’oratore sacro deve adoperare quelle maniere di esporre che possano essere senza alcuna difficoltà intese, se l’uditorio è composto di persone rozze.

Con queste bisogna adattarsi al loro linguaggio, pensare com’esse pensano, trasportarsi nell’ambiente dove vivono: il campo, l’officina, il laboratorio e le varie professioni manuali. Così faceva il Divin Salvatore predicando alle turbe della Galilea, composte da agricoltori, pastori e pescatori. Se gli uditori sono colti, senza dubbio va più ornato il discorso, ma nei limiti che sono prefissi alla parola evangelica. Il maggior ornamento si è una grande chiarezza, nelle parole, nei pensieri, negli argomenti. L’oratore sacro attinga la sua eloquenza non dalla sapienza del mondo, ma parli secondo lo spirito di Dio. E non divaghi in polemiche. Fare in pulpito le obbiezioni dottrinali e poi scioglierle, non è un metodo da tenersi, imperocchè un certo numero di uditori, seguendo l’impulso di un certo spirito di contraddizione, si mettono, anche senza avvedersene, dalla parte dell’obbiezione e ascoltano come giudici. Ciò impedisce talora, che si riesca a produrre tutto l’effetto desiderato. E bisogna anche notare che talvolta le risposte alle obbiezioni non sono sempre capite, ma spesse volte fraintese; e in certe menti restano impressi più gli errori che le verità opposte. Queste controversie si debbono lasciare ai dottori, forniti di ingegno non comune e di scienza acquisita con lunghi e pazienti studi. Questi le tratteranno, in modo, tempo e luogo conveniente, nelle grandi città ove se ne scorga il bisogno, e ad uditorio preparato a seguire lunghi e sottili ragionamenti”.

“Se in un paese vi fossero eretici, il predicatore badi a non inasprire menomamente gli erranti. Le sue parole spirino sempre carità e benignità. Si confutino i loro errori e sofismi provando semplicemente con solidi argomenti le verità contestate. Prevenendo le obiezioni, si tolgono le armi dalle mani dei nemici. I testi scritturali che sogliono addurre falsati per combattere, esponiamoli nel loro vero senso, e procediamo con questi a svolgere la nostra tesi. Le invettive non ottengono le conversioni: l’amor proprio si ribella. Era questo il metodo che teneva S. Francesco di Sales e che era da lui consigliato. Egli narrava che i protestanti correvano in folla ad udirlo e dicevano che loro piaceva, perchè non lo vedevano infuriarsi come i loro Ministri”.

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Creato per un altro mondo

Posté par atempodiblog le 19 avril 2012

Creato per un altro mondo dans Citazioni, frasi e pensieri Creato-per-un-altro-mondo

“Se trovo in me un desiderio che niente in questo mondo è in grado di soddisfare, la sola spiegazione logica è che io sono stato creato per un altro mondo”.

Clive Staples Lewis

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Case di Dio e ospedali degli uomini

Posté par atempodiblog le 18 avril 2012

Case di Dio e ospedali degli uomini
Francesco Agnoli – Fede&Cultura
Tratto da: Radici Cristiane

Case di Dio e ospedali degli uomini dans Articoli di Giornali e News

«Agli ospedali siamo tutti abituati. Diamo per scontato che ogni città ne abbia più d’uno, e che funzioni! Ma difficilmente ci si chiede: come sono nati, gli ospedali?». Si apre con questo interrogativo, l’appassionante indagine storica che Francesco Agnoli, professore nonché scrittore affermato e collaboratore di numerose testate tra cui Il Foglio, Il Timone e la nostra Radici Cristiane, propone ai lettori con la sua ultima fatica.

La cura nell’antichità era roba per ricchi
Un’indagine che parte da lontano, dall’antichità. E che ci mostra subito come nella polis dell’antica Grecia già esistessero strutture paragonabili – sia pure con parecchi distinguo – agli ospedali.  Peccato che, a quel tempo, si ritenessero degni di cura solo i «cittadini liberi e soprattutto quelli che potevano guarire sicuramente».
Platone in persona si  fece promotore di questa concezione esclusivista e discriminatrice della cura medica: «Allora, insieme con tale arte giudiziaria, codificherai tu nel nostro stato anche la medicina nella forma da noi detta? Così, tra i tuoi cittadini, esse cureranno quelli che siano naturalmente sani di corpo e d’anima. Quanto a quelli che non lo siano, i medici lasceranno morire chi è fisicamente malato» (Repubblica, 409e-410a).
Difficile, dunque, stupirsi del fatto che nell’antichità le cure mediche fossero in sostanza “roba da ricchi” e che il tempio di Esculapio, a Pergamo, rinomato per la capacità taumaturgiche dei suoi sacerdoti e meta di pellegrinaggi provenienti da tutta la Grecia, accettasse gli infermi solo dietro pagamento.
Le cose cambiarono, anzi furono letteralmente rivoluzionate dall’avvento del Cristianesimo e del concetto di persona, una nozione così estranea al razionalismo classico – ha osservato il marxista Roger Garaudy – che i Padri greci incontrarono forti difficoltà nel trovare nella filosofia ellenica categorie e parole per esprimerla.
Con stile accessibile e una narrazione costellata di interessanti esempi, Agnoli ci accompagna quindi alla scoperta di uno sguardo del tutto sconosciuto, prima dell’avvento cristiano, nei confronti della malattia e del malato, spiegandoci come esso è gradualmente maturato nel corso dei secoli.

Il cristianesimo cambia le cose…
In principio furono due facoltose donne romane, Fabiola e Marcella, a farsi promotrici, nel quarto secolo d.C., dell’istituzione dei primi ospedali dove trovarono accoglienza «tutti gli ammalati raccolti per le strade», mentre l’Oriente deve a san Basilio (329-379) la fondazione del primo e grandissimo ospedale.
Seguì poi la tradizione monastica coi grandiosi contributi di Cassiodoro (ca. 485-580) e san Benedetto da Norcia (480-547), e la gloriosa storia medievale, nella quale, da Siena a Varese, da Udine a Pisa, fiorirono ospedali magnifici per la loro bellezza artistica e l’umanità con la quale i bisognosi erano accolti e curati.
Ed è proprio su questo, sulla cura e sull’attenzione praticata negli ospedali medievali, che Agnoli intende in definitiva porre l’attenzione, mettendo in luce l’immensa importanza che in tutto ciò ebbe l’antropologia cristiana.
Un modo di intendere l’uomo nel suo valore intrinseco e di vedere nel corpo non – come credeva Platone – un «involucro, immagine di una prigione» (Cratilo, 400 C), bensì la componente fisica della persona umana, per la prima volta concepita e apprezzata in modo unitario.
Ora, se si pensa che per lo stesso Aristotele l’unione delle anime coi corpi era paragonabile a quella dei «vivi con i morti» (Protrettico, fr. 10 Ross), si può capire quanto ebbe di rivoluzionario l’affermazione cristiana dell’individuo.
E da questo punto di vista, oltre che come utile manuale della storia degli ospedali, l’ultima fatica di Agnoli si configura come uno stimolante invito a leggere la diffusione storica dei questi come una benefica conseguenza della filosofia e soprattutto della carità cristiana

… e contribuisce a incrementare la ricerca medica
Questo tuttavia non impedisce all’Autore di sviluppare anche un’altra, interessante riflessione a proposito dello sviluppo delle scienze mediche. Le quali, è vero, nacquero ben prima del Cristianesimo ma che da questo trassero una spinta conoscitiva tutta particolare come dimostrano, ad esempio, la nascita e lo sviluppo dell’anatomia. Che non si registrarono nel mondo antico, ma che, appunto, ebbero nell’ambiente culturale cristiano e, in particolare, nella città di Bologna, i loro albori.
Il che ci aiuta a smascherare una volta di più la colossale menzogna secondo la quale la Chiesa, e più in generale il Cristianesimo, sarebbero portatori di una visione “oscurantista” della scienza. Tutt’altro. E in “Case di Dio e ospedali degli uomini”, anche questo, è dimostrato benissimo.
Per concludere non possiamo allora che ritenere di grande spessore scientifico e filosofico la storia degli ospedali che ci propone Francesco Agnoli. Una storia che, come abbiamo visto, a sua volta contiene molte altre storie. Molte di queste differenti fra loro e verificatesi a distanza di secoli l’una dall’altra. Ma tutte accomunate dalla luce inconfondibile dell’amore cristiano.

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Dio è buono con i peccatori

Posté par atempodiblog le 16 avril 2012

Dio è buono con i peccatori dans Beato Michele Sopocko Padre-M-Sopocko

“Il Vangelo non consiste nel predicare che i peccatori dovrebbero diventare buoni,  ma che Dio è buono con i peccatori”.

Don Michele Sopocko

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La Divina Misericordia

Posté par atempodiblog le 14 avril 2012

La Divina Misericordia dans Misericordia

La Divina Misericordia è il volto di Dio che si è manifestato in Gesù Cristo. Non conosce Dio chi non conosce la sua divina misericordia.
La nostra generazione, immersa nelle tenebre dell’incredulità e del peccato, ha più bisogno che mai della divina misericordia. Anche ognuno di noi ne ha bisogno per rinnovare la sua vita.
Dio ci dona la sua infinita misericordia ogni volta che desideriamo rialzarci. Al termine della vita la totale fiducia nella divina misericordia è la chiave che apre la porta del Paradiso.
“Siate misericordiosi come è misericordiosi il vostro Padre celeste”. I cuori misericodiosi guariranno il mondo dalle sue ferite e faranno germogliare la civiltà dell’amore.

Padre Livio Fanzaga

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Le lotte ci faranno meritare il Paradiso

Posté par atempodiblog le 14 avril 2012

Le lotte ci faranno meritare il Paradiso dans Citazioni, frasi e pensieri Jean-Marie-Baptiste-Vianney-Curato-d-Ars

Tutti coloro che possederanno il Paradiso un giorno saranno santi. Il demonio ci distrae fino all’ultimo momento, così come si distrae un povero condannato aspettando che i gendarmi vengano a prenderlo. Quando i gendarmi arrivano, costui grida e si tormenta, ma non per questo viene lasciato libero… La nostra vita terrena è come un vascello in mezzo al mare. Che cosa produce le onde? La burrasca. Nella vita, il vento soffia sempre; le passioni sollevano nella nostra anima una vera e propria tempesta: ma queste lotte ci faranno meritare il Paradiso.

S. Giovanni M. Vianney – Curato d’Ars

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L’incredulità di Tommaso

Posté par atempodiblog le 14 avril 2012

L’incredulo Tommaso che ha bisogno di vedere e toccare per poter credere, mette la sua mano nel fianco aperto del Signore e, nel toccare, conosce l’intoccabile e lo tocca realmente, guarda all’invisibile e lo vede veramente: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28) [...] Noi siamo tutti come Tommaso, l’incredulo, ma noi tutti, come lui, possiamo toccare lo scoperto cuore di Gesù; ed in esso toccare, guardare il Logos stesso, così, mano e cuore rivolti a questo cuore, giungere alla confessione: “Mio Signore e mio Dio”.

Joseph Ratzinger – Guardare al crocifisso

L'incredulità di Tommaso dans Commenti al Vangelo L-incredulit-di-Tommaso

“Tu hai creduto perché hai visto” – dice Gesù a Tommaso – “beati coloro che senza aver visto [ossia che senza aver visto me, direttamente] hanno creduto”. E l’allusione non è ai fedeli che vengono dopo, che dovrebbero “credere senza vedere”, ma agli apostoli e ai discepoli che per primi hanno riconosciuto che Gesù era risorto, pur nell’esiguità dei segni visibili che lo testimoniavano. In particolare il riferimento indica proprio Giovanni, che con Pietro era corso al sepolcro per primo dopo che le donne avevano raccontato l’incontro con gli angeli e il loro annuncio che Gesù Cristo era risorto. Giovanni, entrato dopo Pietro, aveva visto degli indizi, aveva visto la tomba vuota, e le bende rimaste vuote del corpo di Gesù senza essere sciolte, e pur nell’esiguità di tali indizi aveva cominciato a credere. La frase di Gesù “beati quelli che pur senza aver visto [me] hanno creduto” rinvia proprio al “vidit et credidit” riferito a Giovanni al momento del suo ingresso nel sepolcro vuoto. Riproponendo l’esempio di Giovanni a Tommaso, Gesù vuole indicare che è ragionevole credere alla testimonianza di coloro che hanno visto dei segni, degli indizi della sua presenza viva. Non è la richiesta di una fede cieca, è la beatitudine promessa a coloro che in umiltà riconoscono la sua presenza a partire da segni anche esigui e danno credito alla parola di testimoni credibili. L’imprecisione introdotta dai traduttori riguardo al tempo dei verbi usati da Gesù è servita a cambiare il senso delle sue parole e a riferirle non più a Giovanni e agli altri discepoli, ma ai credenti futuri. E’ passata così inconsapevolmente l’interpretazione del teologo esegeta protestante Rudolf Bultmann,che traduceva i due verbi del passo al presente (“Beati coloro che non vedono e credono”) per presentarla “come una critica radicale dei segni e delle apparizioni pasquali e come un’apologia della fede privata di ogni appoggio esteriore” (Donatien Mollat). Mentre è esattamente il contrario. “Ciò che viene rimproverato a Tommaso non è di aver visto Gesù. Il rimprovero cade sul fatto che all’inizio Tommaso si è chiuso e non ha dato credito alla testimonianza di coloro che gli dicevano di aver visto il Signore vivo. Sarebbe stato meglio per lui dare un credito iniziale ai suoi amici, nell’attesa di rifare di persona l’esperienza che loro avevano fatto. Invece Tommaso ha quasi preteso di dettare lui le condizioni della fede”.
Per approfondire Freccia dans Viaggi & Vacanze Non è la richiesta di una fede cieca


“I discepoli sono pieni di gioia «alla vista del Signore». Diranno a Tommaso: «Abbiamo visto il Signore». Lo avevano riconosciuto prima che aprisse bocca, perché avevano accettato la testimonianza della Maddalena. E’ molto importante saper accettare una cosa su testimonianza. Ciò che Tommaso non fa. Lui diffida della testimonianza dei suoi amici. Gesù voleva educare il loro sguardo così: la prima tappa è il vedere fisico, i segni, quindi il vedere su testimonianza, infine vedere e contemplare con lo sguardo trasformato dallo Spirito che permette di cogliere il senso delle cose, tutta la profondità della realtà”.
Per approfondire Freccia dans Viaggi & Vacanze Guardare per credere

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Il vescovo di Ferrara: nessun rifiuto della Comunione a bimbo disabile

Posté par atempodiblog le 14 avril 2012

Il vescovo di Ferrara: nessun rifiuto della Comunione a bimbo disabile dans Articoli di Giornali e News

“Non c’è stata alcuna discriminazione”. Così il vescovo di Ferrara-Comacchio, mons. Paolo Rabitti, risponde alle accuse levate da alcuni genitori contro la decisione del parroco di Porto Garibaldi di rinviare la Prima Comunione di un bambino con gravi disabilità psichiche. “Nessun rifiuto dell’Eucaristia – spiega la Curia – il cammino di preparazione del ragazzo continuerà in modo che possa accedere al Sacramento in tempi opportuni”. Molti giornali hanno gridato allo scandalo ed è nato un vero e proprio caso mediatico senza alcun fondamento. Paolo Ondarza ha intervistato mons. Paolo Rabitti:

R. – Il parroco di Porto Garibaldi ha organizzato la preparazione alla Prima Comunione dei bambini dallo scorso anno: servono due anni di preparazione. Il cammino di preparazione è diventato intensivo da ottobre. La Prima Comunione avviene nel giorno – molto indicativo – del Giovedì Santo ed una coppia di genitori, non parrocchiani, si è rivolta al parroco solo il 29 febbraio scorso per far avere al figlio disabile cerebroleso la Prima Comunione. Il parroco, pur non essendo il parroco della famiglia, ha accolto di buon grado la richiesta.

D. – Non c’è stata quindi in alcun modo, da parte del parroco, una preclusione?

R. – No, assolutamente. Anzi: mi diceva di aver acquistato alcuni sussidi per potersi attrezzare maggiormente, perché era la prima volta che gli capitava un caso del genere. Aveva chiesto ai genitori di partecipare con il bambino alla celebrazione della Messa, ma sono venuti solo poche volte: il bambino avrà partecipato un paio di volte alla Messa e altrettante agli incontri di catechesi. La Comunione sarebbe stata impartita, quindi, con soli due o tre incontri e con due Messe praticate. Il parroco, quindi, ha comunicato ai genitori che secondo lui i tempi non erano ancora maturi.

D. – Diciamo, quindi, che il Sacramento della Prima Comunione, per questo bambino, è solamente rimandato ad un altro momento più opportuno, in cui la preparazione venga effettuata in maniera compiuta…

R. – Sì. I genitori, però hanno avvertito questa decisione come ’ discriminante: ‘come mai gli altri sì e lui no’? Devono anche aver espresso un certo sarcasmo, del tipo ‘chi è quel bambino che capisce fino in fondo la Comunione’? Sono quindi venuti in Curia, e qui è stato detto lorodi fare una cosa: mandare il figlio in Chiesa, il giorno della Prima Comunione, insieme agli amici, seduto sugli stessi banchi. Il parroco si sarebbe avvicinato al bambino, avrebbe fatto per lui la stessa gestualità, gli avrebbe dato una carezza e, in questo senso, quell’eventuale percezione che il bambino avrebbe potuto avere nel dire ‘i miei amici sì ed io no’, sarebbe stata scongiurata. Cosa che, tra l’altro, è avvenuta.

D. – Occorre ribadirlo: non c’è alcun legame tra la disabilità di un bambino e il mancato accesso al Sacramento della Comunione…

R. – No. Abbiamo la parola di Papa Benedetto XVI, il quale dice che quando una famiglia è in piena fede e la loro creatura è disabile in senso totale, i Sacramenti vanno dati perché la fede della famiglia reggerà per tutta la vita questa creatura. C’è poi una seconda nota, che riguarda il documento della Conferenza episcopale, che dice di dover evitare due cose: uno, far fare alla creatura disabile un esame di sesto grado prima di accedere ai Sacramenti: due, portarlo ai Sacramenti con in un’impreparazione totale. Forte di quest’ultimo aspetto, dal quale risultava appunto l’impreparazione, almeno gestuale – il ragazzo aveva precedentemente sputato una particola non consacrata – si è quindi ritenuto di dover assuefarlo di più, attraverso un maggior impegno, all’idea del Sacramento per poter fare poi la Comunione con maggiore serenità.

D. – Va anche detto, poi, che per qualsiasi bambino vale la regola che se la preparazione alla Comunione non viene eseguita secondo determinate regole – ad esempio la regolare frequentazione del catechismo – il Sacramento può essere rinviato, vero?

R. – Sì, è così. Anche se – e ne sono testimone – qualora un bambino non frequenti mai il catechismo ed il parroco si permetta di dire, alla vigilia, che non lo ammette perché non lo ha mai visto se non due o tre volte, succede la rivoluzione …

D. – Diventa un diritto in base ad un egualitarismo che, però, non fa parte dei criteri di accesso alla Prima Comunione …

R. – Sì, come quando accade che se un prete si “permette” di negare l’assoluzione, in confessionale, mi arriva immediatamente una lettera in cui si dice: “mi è stata negata l’assoluzione: chiedo giustizia”. Quasi che il vescovo sia il Tribunale dell’Aia. (vv)

Tratto da: Radio Vaticana

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Dio non abbandona nessuno

Posté par atempodiblog le 12 avril 2012

Dio non abbandona nessuno dans Citazioni, frasi e pensieri san-Giuseppe-Moscati

“Quali che siano gli eventi, ricordatevi di due cose: Dio non abbandona nessuno.
Quanto più vi sentite solo, trascurato, vilipeso, incompreso, e quanto più vi sentirete presso a soccombere sotto il peso di una grave ingiustizia, avrete la sensazione di un’infinita forza arcana, che vi sorregge, che vi rende capace di propositi buoni e virili, della cui possanza vi meraviglierete, quando tornerete sereno. E questa forza è Dio!”.

San Giuseppe Moscati

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