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121° anniversario della nascita del beato Giustino Maria Russolillo

Posté par atempodiblog le 18 janvier 2012

Se in noi c’è la Luce del Verbo certamente splenderà anche agli altri.
Se in noi c’è il fuoco dello Spirito certamente accenderà anche gli altri.
Quando in noi c’è Gesù allora egli si comunica senz’altro.
Anche un gesto, un sorriso, una parola e il bene vien fuori.
Ecco che diffondiamo questo bene senza accorgercene.

Beato Giustino Maria Russolillo

121° anniversario della nascita del beato Giustino Maria Russolillo dans Citazioni, frasi e pensieri Croce-e-luce

Gesù mio, aiutami a diffondere la tua fragranza ovunque io vada.
Infondi il tuo Spirito nella mia anima e riempila del tuo amore,
affinché penetri nel mio cuore in modo così completo,
che tutta la mia vita possa essere fragranza e amore,
trasmesso tramite me e visto in me,
e ogni anima con cui vengo in contatto
possa sentire la Tua Presenza nella mia anima
e poi guardare in sù e non vedere più me,
ma Te.
Resta con me e io comincerò a brillare della Tua Luce.
La Luce, Signore, sarà la Tua, non verrà da me.
Sarà la Tua Luce che brilla attraverso me.
Lasciami predicare senza predicare, non con le parole ma con l’esempio.
Con la forza che attrae e l’influsso di quello che faccio.
Con la pienezza dell’amore che ho per Te nel mio cuore.

Card. John Henry Newman

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A Napoli la veggente Mirijana di Medjugorje

Posté par atempodiblog le 17 janvier 2012

L’associazione “Cieli Nuovi” con il patrocinio del comune di Napoli, promuove un incontro di preghiera mariana con la partecipazione della veggente Mirijana Dragicevic Soldo
Giovedì 02 Febbraio 2012 – Palavesuvio in via Argine, 927 – Napoli

A Napoli la veggente Mirijana di Medjugorje dans Medjugorje mirijanaanapoli

Fonte: Cieli Nuovi

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Capitano, mio capitano

Posté par atempodiblog le 17 janvier 2012

Capitano, mio capitano
di Mario Palmaro – La Bussola Quotidiana

Capitano, mio capitano dans Articoli di Giornali e News navee

Il naufragio della Concordia all’Isola del Giglio è un boccone amaro difficile da digerire. Non tanto perché le navi non possano andare a picco: ogni tanto accade, per motivi che consideriamo rispettabili o addirittura ineluttabili, come una tempesta furiosa o un’avaria meccanica. Ma la vicenda del Concordia è qualche cosa di completamente diverso.
E’ buona regola che non siano i giornali a fare i processi, e anche in questo caso sarà bene aspettare gli esiti dell’inchiesta. Possiamo però commentare i fatti che emergono dalle cronache dei giornali, per affrontare il nodo più grosso di tutta questa storia: il comportamento del capitano. Che ha tutto il diritto di difendersi, e che non merita di essere linciato dai mass media. Tuttavia, alcuni aspetti della sua presunta condotta – in attesa di smentite e spiegazioni, sempre possibili – meritano un commento.
La prima  riflessione riguarda l’errore umano: una nave imponente e portentosa come il Concordia sembra fatta apposta per dimenticarsi il ruolo che l’uomo continua a giocare nella realtà. La tecnologia – e peggio ancora la tecno-scienza – tendono a farci sopravvalutare il fattore meccanico,  e a svilire l’importanza dell’atto umano. Il risultato è che le navi inaffondabili, gli aerei supersonici e le banche infallibili continuano rispettivamente ad affondare, a cadere e a fallire. In questa tragica e affascinante partita che è la vita, la libertà umana, la genialità, la leggerezza, il coraggio e la viltà del cuore dell’uomo continuano a essere decisivi. Strumenti sofisticati, sistemi informatici incredibilmente complessi, materiali fantascientifici non possono nulla di fronte al fattore umano. Da oggi sarà bene ripeterselo tutti i giorni, un po’ come il “memento mori” della saggia tradizione cattolica.
La seconda idea è legata a filo doppio alla prima, e riguarda l’esercizio delle virtù nelle situazioni di emergenza. Quando capita qualche cosa di terribile e di assolutamente nuovo e mai sperimentato – come l’inizio dell’affondamento della nave da crociera che comandi – ti trovi di fronte alla necessità di prendere decisioni rapide, dalle quali dipende la vita di molte persone, e innanzitutto la tua. Anche qui la tecnica della prevenzione del rischio può fare molto, stabilendo delle procedure, e obbligandoti ad allenarti a eseguirle. Ma fra una prova di evacuazione e una nave che sta affondando davvero passa una differenza enorme, praticamente la stessa che corre fra una teoria e la vita. Il capitano di una nave – è proverbiale – sa che deve lasciare per ultimo la sua creatura, pensando prima a tutti gli altri. Chi pensa che sia facile farlo è uno stupido. Però questo è ciò che ci si aspetta da colui che comanda una nave.
Come si può fare a prepararsi al momento terribile dell’emergenza assoluta? La nostra storia umana e religiosa ci dice che le virtù hanno bisogno di essere temprate dall’allenamento e dalla volontà, che bisogna inseguire tutti i giorni un habitus buono, una costante familiarità con il bene. E questo è un discorso che oggi è diventato impopolare non solo per i capitani delle navi, ma anche per gli economisti, gli operatori di borsa, i medici, e tutte le categorie che potete immaginare. Forse, un capitano che scappa prima degli altri ci fa paura perché ci fa capire quanto poco siamo ormai pronti a sacrificarci per gli altri, ovunque.
Terza riflessione: in questa tragedia del Concordia ci sono state moltissime persone che hanno agito in modo encomiabile, fino all’eroismo, attardandosi sulla nave e rischiando la morte o –chissà – addirittura trovandovela. E questo dimostra, ancora una volta, che il bene è possibile anche quando tutto intorno a te si rovescia, crolla, affonda, e magari ti senti afferrato dal timor panico e dalla massa urlante che spinge a mettere in salvo sé stessi, e buonanotte all’altruismo. Questo mistero che è l’uomo è davvero qualcosa di più profondo che un complesso di conoscenze tecniche sul salvataggio; è ben più di un fascio di muscoli, di vasi sanguinei e di umori interni attivati dall’energia corporea. L’uomo è la sua anima.
Quarta e ultima considerazione: anche nel ventunesimo secolo, nell’era del dibattito, del confronto, dell’assemblearismo e della democrazia come fatto sacro; anche in questo scenario abbiamo ancora bisogno di capitani. Quando c’è bisogno di decisioni rapide e sicure, di garantire il bene comune, di guidare una comunità verso la salvezza, ci vuole qualcuno che comandi, e che intenda il comando come servizio agli altri. Qualcuno che, facendosi ultimo, però si prenda la responsabilità di decidere. E’ una lezione per le istituzioni laiche. Ma lo è anche per la stessa comunità cattolica. La quale un capitano – il Papa – ce l’ha. Un tipo di capitano che sulla barca di Pietro – come ogni pontefice – rimane sempre fino alla fine, costi quello che costi. Se poi l’equipaggio volesse anche aiutarlo, tanto meglio.

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Affidarsi e stringersi a Maria

Posté par atempodiblog le 11 janvier 2012

Affidarsi e stringersi a Maria dans Citazioni, frasi e pensieri Beato-Giustino-Russolillo-della-santissima-Trinit-Visitazione

Perché ogni grazia ci viene dal Cuore di Maria e per le sue mani, conviene affidarci e tenerci lo più vicini possibili a quel Cuore e a quelle mani e il più dentro possibile in quel Cuore Immacolato di Maria, nostra Madre!
E come tutto dipende della nostra accettazione della grazia e della nostra corrispondenza ad essa, è importante sapere che Dio ci vuole dipendenti della Vergine Maria nella comunicazione della sua grazia, e, quindi, la nostra accettazione e corrispondenza alla grazia dipenderà in gran parte della nostra unione con Maria.

Beato Giustino Maria Russolillo

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L’umiltà è verità

Posté par atempodiblog le 9 janvier 2012

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Non striscio mai davanti a nessuno. Non sopporto le adulazioni, e l’umiltà è solo verità; nella vera umiltà non c’è servilismo. Benché mi consideri la più piccola di tutto il convento, d’altra parte sono lieta della dignità di sposa di Gesù… Poco importa se qualche volta sento dire che sono superba, poiché so bene che i giudizi degli uomini non riescono a scorgere i motivi delle azioni. Quando all’inizio della mia vita religiosa, subito dopo il noviziato, cominciai ad esercitarmi in modo particolare nell’umiltà, non mi bastavano le sole umiliazioni che Dio mi mandava, ma le cercavo io stessa e in un fervore esagerato mi mostravo talvolta ai superiori quale non ero in realtà e non avevo neppure un’idea di tali miserie. Dopo poco però Gesù mi fece conoscere che l’umiltà è soltanto verità. Da quel momento mutai il mio punto di vista seguendo fedelmente la luce di Gesù. Compresi che se un’anima sta con Gesù, Egli non le permette di sbagliare.

Santa Faustina Kowalska

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Della santificazione della domenica

Posté par atempodiblog le 8 janvier 2012

Della santificazione della domenica dans Riflessioni Curato-d-Ars

La domenica appartiene al buon Dio; è il giorno dedicato a lui, il giorno del Signore. Egli ha fatto tutti i giorni della settimana: poteva mantenerli tutti per sé; ve ne ha dati sei, si è riservato solo il settimo. Con quale diritto toccate ciò che non vi appartiene? Sapete che i beni rubati non fruttano. Nemmeno il giorno che prendete al Signore vi frutterà. Conosco due modi sicurissimi per diventare poveri: lavorare la domenica e prendere ciò che appartiene agli altri.

Tratto da: Curato d’Ars, Pensieri scelti e fioretti, ed. San Paolo

Divisore dans Santo Curato d'Ars

Riflessione sullo shopping domenicale Freccia dans Stile di vita Le domeniche d’oro… per chi?

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I vantaggi delle avversità

Posté par atempodiblog le 8 janvier 2012

I vantaggi delle avversità dans Imitazione di Cristo fiorinellanevec

1.     E’ bene per noi che incontriamo talvolta difficoltà e contrarietà; queste, infatti, richiamano l’uomo a se stesso, nel profondo, fino a che comprenda che quaggiù egli è in esilio e che la sua speranza non va riposta in alcuna cosa di questo mondo. E’ bene che talvolta soffriamo contraddizione e che la gente ci giudichi male e ingiustamente, anche se le nostre azioni e le nostre intenzioni sono buone. Tutto ciò suol favorire l’umiltà, e ci preserva dalla vanagloria. Invero, proprio quando la gente attorno a noi ci offende e ci scredita, noi aneliamo con maggior forza al testimone interiore, Iddio.

2.     Dovremmo piantare noi stessi così saldamente in Dio, da non avere necessità alcuna di andar cercando tanti conforti umani. Quando un uomo di buona volontà soffre tribolazioni e tentazioni, o è afflitto da pensieri malvagi, allora egli sente di aver maggior bisogno di Dio, e di non poter fare nulla di bene senza di lui. E si rattrista e piange e prega, per il male che soffre; gli viene a noia che la vita continui; e spera che sopraggiunga la morte (2 Cor 1,8), così da poter scomparire e dimorare in Cristo (Fil 1,23). Allora egli capisce che nel mondo non può esserci completa serenità e piena pace.

Imitazione di Cristo

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Quando si è più certi dell’amore di Dio

Posté par atempodiblog le 8 janvier 2012

Quando si è più certi dell’amore di Dio dans Citazioni, frasi e pensieri kierkegaard

“L’amore (cioè il vero amore, non l’amor proprio che ama solamente ciò ch’è egregio, eccellente ecc., quindi in fondo non ama che se stesso) sta in rapporto inverso alla grandezza e all’eccellenza dell’oggetto. Se quindi io sono proprio una nullità: se nella mia miseria mi sento il più miserabile di tutti i miserabili: bene, è certo allora, eternamente certo, che Dio mi ama.
Cristo dice: “Neppure un passero cade in terra, senza la volontà del Padre” (Mt 10,29). Oh, io faccio un’offerta più umile ancora: davanti a Dio io sono meno di un passero: tanto è più certo allora che Dio mi ama, tanto più saldamente si chiude il sillogismo.
Sì, lo Zar delle Russie, di lui si potrebbe forse pensare che Dio lo potrebbe trascurare: Dio ha tante altre cose da ascoltare! E lo Zar delle Russie è una cosa tanto grande. Ma un passero … no, no perché Dio è amore, e l’amore si rapporta inversamente alla grandezza e all’eccellenza dell’oggetto.
Quando ti senti abbandonato nel mondo sofferente, quando nessuno si prende cura di te, tu concludi: « Ecco che Dio non si prende cura di me ». Vergognati, stolto e calunniatore che sei! tu che parli così di Dio. No, proprio chi è più abbandonato sulla terra, egli è più amato da Dio. E se non fosse assolutamente il più abbandonato, se avesse ancora una piccola consolazione, anzi anche se questa gli venisse tolta: nello stesso momento diventerebbe più certo ancora che Iddio lo ama”.

Sören Kierkegaard

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Adorazione dei Magi. E’ “vangelo della fede”.

Posté par atempodiblog le 6 janvier 2012

Adorazione dei Magi. E' “vangelo della fede”.  dans Epifania adorazionedeimagi

[26 agosto 1944]
[...]
Dice Gesù: «Ed ora? Che dirvi ora, o anime che sentite morire la fede? Quei Savi d’oriente non avevano nulla che li assicurasse della verità. Nulla di soprannaturale. Solo il calcolo astronomico e la loro riflessione che una vita integra faceva perfetta. Eppure hanno avuto fede. Fede in tutto: fede nella scienza, fede nella coscienza, fede nella bontà divina.

Per la scienza hanno creduto al segno della stella nuova, che non poteva che esser « quella », attesa da secoli dall’umanità: il Messia. Per la coscienza hanno avuto fede nella voce della stessa che, ricevendo « voci » celesti, diceva loro: « È quella stella che segna l’avvento del Messia ». Per la bontà hanno avuto fede che Dio non li avrebbe ingannati e, poiché la loro intenzione era retta, li avrebbe aiutati in ogni modo per giungere allo scopo. E sono riusciti.
Essi soli, fra tanti studiosi dei segni, hanno compreso quel segno, perché essi soli avevano nell’anima l’ansia di conoscere le parole di Dio con un fine retto, che aveva a principale pensiero quello di dare subito a Dio lode ed onore.
Non cercavano un utile proprio. Anzi vanno incontro a fatiche e spese, e nulla chiedono di compenso che sia umano. Chiedono soltanto che Dio di loro si ricordi e li salvi per l’eternità. Come non hanno nessun pensiero di futuro compenso umano, così non hanno, quando decidono il viaggio, nessuna umana preoccupazione.
Voi vi sareste messi mille cavilli: « Come farò a fare tanto viaggio in paesi e fra popoli di lingua diver­sa? Mi crederanno o mi imprigioneranno come spia? Che aiuto mi daranno nel passare deserti e fiumi e monti? E il caldo? E il vento degli altipiani? E le febbri stagnanti lungo le zone paludose? E le fiumane gonfiate dalle piogge? E il cibo diverso? E il diverso linguaggio? E… e… e ». Così ragionate voi.
Essi non ragionano così. Dicono con sincera e santa audacia: « Tu, o Dio, ci leggi nel cuore e vedi che fine perseguiamo. Nelle tue mani ci affidiamo. Concedici la gioia sovrumana di adorare la tua Seconda Persona fatta Carne per la salute del mondo ». Basta.
E si mettono in cammino dalle Indie lontane. (Gesù mi dice poi che per Indie vuol dire l’Asia meridionale, dove ora è Turchestan, Afganistan e Persia). Dalle catene mongoliche sulle quali spaziano unicamente le aquile e gli avvoltoi e Dio parla col rombo dei venti e dei torrenti e scrive parole di mistero sulle pagine sterminate dei nevai.
Dalle terre in cui nasce il Nilo e procede, vena verde azzurra, incontro all’azzurro cuore del Mediterraneo, né picchi, né selve, né arene, oceani asciutti e più pericolosi di quelli marini, fermano il loro andare. E la stella brilla sulle loro notti, negando loro di dormire.
Quando si cerca Dio, le abitudini animali devono cedere alle impazienze e alle necessità sopraumane. La stella li prende da settentrione, da oriente e da meridione, e per un miracolo di Dio procede per tutti e tre verso un punto, come, per un altro miracolo, li riunisce dopo tante miglia in quel punto, e per un altro dà loro, anticipando la sapienza pentecostale, il dono di intendersi e di farsi intendere così come è nel Paradiso, dove si parla un’unica lingua, quella di Dio. Un unico momento di sgomento li assale quando la stella scompare e, umili perché sono realmente grandi, non pensano che sia per la malvagità altrui che ciò avviene, non meritando i corrotti di Gerusalemme di vedere la stella di Dio. Ma pensano di avere demeritato di Dio loro stessi, e si esaminano con tremore e contrizione già pronta a chiedere perdono. Ma la loro coscienza li rassicura. Anime use alla meditazione, hanno una coscienza sensibilissima, affinata da una attenzione costante, da una introspezione acuta, che ha fatto del loro interno uno specchio su cui si riflettono le più piccole larve degli avvenimenti giornalieri. Ne hanno fatto una maestra, una voce che avverte e grida al più piccolo, non dico errore, ma sguardo all’errore, a ciò che è umano, al compiacimento di ciò che è io. Perciò, quando essi si pongono di fronte a questa maestra, a questo specchio severo e nitido, sanno che esso non mentirà. Ora li rassicura ed essi riprendono lena. Oh! dolce cosa sentire che nulla è in noi di contrario a Dio! Sentire che Egli guarda con compiacenza l’animo del figlio fedele e lo benedice. Da questo sentire viene aumento di fede e fiducia, e speranza, e fortezza, e pazienza. Ora è tempesta. Ma passerà, poiché Dio mi ama e sa che lo amo, e non mancherà di aiutarmi ancora ». Così parlano coloro che hanno la pace che viene da una coscienza retta, che è regina di ogni loro azione.
Ho detto che erano « umili perché erano realmente grandi ». Nella vostra vita, invece, che avviene? Che uno, non perché è grande, ma perché è più prepotente, e si fa potente per la sua prepotenza e per la vostra idolatria sciocca, non è mai umile.
Ci sono dei disgraziati che, solo per essere maggiordomi di un prepotente, uscieri di un ufficio, funzionari in una frazione, servi insomma di chi li ha fatti tali, si dànno delle pose da semidei. E fanno pietà!…
Essi, i tre Savi, erano realmente grandi. Per virtù soprannaturali per prima cosa, per scienza per seconda cosa, per ricchezza per ultima cosa. Ma si sentono un nulla, polvere sulla polvere della terra, rispetto al Dio altissimo, che crea i mondi con un suo sorriso e li sparge come chicchi di grano per sazia­re gli occhi degli angeli coi monili delle stelle.
Ma si sentono nulla rispetto al Dio altissimo, che ha creato il pianeta su cui vivono e lo ha fatto variato mettendo, Scultore infinito d’opere sconfinate, qua, con una ditata del suo pollice, una corona di dolci colline, e là un’ossatura di gioghi e di picchi, simili a vertebre della terra, di questo corpo smisurato a cui sono vene i fiumi, bacini i laghi, cuori gli oceani, veste le foreste, veli le nubi, decorazioni i ghiacciai di cristallo, gemme le turchesi e gli smeraldi, gli opali e i berilli di tutte le acque che cantano, con le selve e i venti, il grande coro di laude al loro Signore.
Ma si sentono nulla nella loro sapienza rispetto al Dio altissimo, da cui la loro sapienza viene e che ha dato loro occhi più potenti di quelle due pupille per cui vedono le cose: occhi dell’anima, che sanno leggere nelle cose la parola non scritta da mano umana, ma incisa dal pensiero di Dio.
Ma si sentono nulla nella loro ricchezza: atomo rispetto alla ricchezza del Possessore dell’universo, che sparge metalli e gemme negli astri e pianeti e soprannaturali dovizie, inesauste dovizie, nel cuore di chi l’ama.
E, giunti davanti ad una povera casa, nella più meschina delle città di Giuda, essi non crollano il capo dicendo: « Impossibile », ma curvano la schiena, le ginocchia, e specie il cuore, e adorano. Là, dietro quel povero muro, è Dio. Quel Dio che essi hanno sempre invocato, non osando mai, neppur lontanamente, sperare di averlo a vedere. Ma invocato per il bene di tutta l’umanità, per il “loro” bene eterno. Oh! questo solo si auguravano. Di poterlo vedere, conoscere, possedere nella vita che non conosce più albe e tramonti!
Egli è là, dietro quel povero muro. Chissà se il suo cuore di Bambino, che è pur sempre il cuore di un Dio, non sente questi tre cuori che, proni nella polvere della via, squillano: « Santo, Santo, Santo. Benedetto il Signore Iddio nostro. Gloria a Lui nei Cieli altissimi e pace ai suoi servi. Gloria, gloria, gloria e benedizione »?
Essi se lo chiedono con tremore di amore. E per tutta la notte e la seguente mattina preparano con la preghiera più viva lo spirito alla comunione con il Dio-Bambino. Non vanno a questo altare, che è un grembo verginale portante l’Ostia divina, come voi vi andate con l’anima piena di sollecitudini umane. Essi dimenticano sonno e cibo e, se prendono le vesti più belle, non è per sfoggio umano ma per fare onore al Re dei re. Nelle regge dei sovrani i dignitari entrano con le vesti più belle. E non dovrebbero essi andare da questo Re con le loro vesti di festa? E quale festa più grande di questa per loro?
Oh! nelle loro terre lontane, più e più volte si sono dovuti ornare per degli uomini pari a loro. Per far loro festa e onore. Giusto dunque umiliare ai piedi del Re supremo porpore e gioielli, sete e preziose piume. Mettergli ai piedi, ai dolci piccoli piedi, le fibre della terra, le gemme della terra, le piume della terra, i metalli della terra – sono ancora opera sua – perché esse pure, queste cose della terra, adorino il loro Crea­tore. E sarebbero felici sela Creaturinaordinasse loro di stendersi al suolo e fare un vivo tappeto ai suoi passetti di Bambino, e li calpestasse, Egli che ha lasciato le stelle per loro, polvere, polvere, polvere.
Umili e generosi. E ubbidienti alle « voci » dell’Alto. Esse comandano di portare doni al Re neonato. Ed essi portano doni. Non dicono: « Egli è ricco e non ne ha bisogno. E’ Dio e non conoscerà la morte ». Ubbidiscono. E sono coloro che per primi sovvengono la povertà del Salvatore. Come provvido quell’oro per chi domani sarà fuggiasco! Come significativa quella resina a chi presto sarà ucciso! Come pio quell’incenso a chi dovrà sentire il lezzo delle lussurie umane ribollenti intorno alla sua purezza infinita!
Umili, generosi, ubbidienti e rispettosi l’uno dell’altro. Le virtù generano sempre altre virtù. Dalle virtù volte a Dio, ecco le virtù volte al prossimo. Rispetto, che è poi carità. Al più vecchio è deferito di parlare per tutti, di ricevere per primo il bacio del Salvatore, di sorreggerlo per la manina. Gli altri potranno vederlo ancora. Ma egli no. E’ vecchio, e prossimo è il suo giorno di ritorno a Dio. Lo vedrà, questo Cristo, dopo la sua straziante morte e lo seguirà, nella scia dei salvati, nel ritorno al Cielo. Ma non lo vedrà più su questa terra. E allora per suo viatico gli rimanga il tepore della piccola mano, che si affida alla sua già rugosa.
Nessuna invidia negli altri. Ma anzi un aumento di venerazione per il vecchio sapiente. Ha meritato certo più di loro e per più lungo tempo. Il Dio-Infante lo sa. Ancora non parla,la Paroladel Padre, ma il suo atto è parola. E sia benedetta la sua innocente parola, che designa costui come il suo prediletto.
Ma, o figli, vi sono altri due insegnamenti da questa visione. Il contegno di Giuseppe che sa stare al « suo » posto. Presente come custode e tutore della Purezza e della Santità. Ma non usurpatore dei diritti di queste. E’ Maria col suo Gesù che riceve omaggi e parole. Giuseppe ne giubila per Lei e non si accora d’esser figura secondaria. Giuseppe è un giusto, è il Giusto. Ed è giusto sempre. Anche in quest’ora. I fumi della festa non gli salgono al capo. Resta umile e giusto. E’ felice di quei doni. Non per sé. Ma perché pensa che con essi potrà fare più comoda la vita alla Sposa e al dolce Bambino. Non vi è avidità in Giuseppe. Egli è un lavoratore e continuerà a lavorare. Ma che « Loro » i suoi due amori, abbiano agio e conforto.
Né lui né i Magi sanno che quei doni serviranno ad una fuga e ad una vita d’esilio, nelle quali le sostanze dileguano come nube percossa dai venti, e ad un ritorno in patria dopo aver tutto perduto, clienti e suppellettili, e salvate solo le mura della casa, protetta da Dio perché là Egli si è congiunto alla Vergine e si è fatto Carne.
Giuseppe è umile, egli, custode di Dio e della Madre di Dio e Sposa dell’Altissimo, sino a reggere la staffa a questi vassalli di Dio. E’ un povero legnaiuolo, perché la prepotenza umana ha spogliato gli eredi di Davide dei loro averi regali. Ma è sempre stirpe di re ed ha tratti di re.
Anche per lui va detto: Era umile perché era realmente grande. Ultimo, soave, indicatore insegnamento. È Maria che prende la mano di Gesù, che non sa ancora benedire, e la guida nel gesto santo. È sempre Maria che prende la mano di Gesù e la guida. Anche ora. Ora Gesù sa benedire. Ma delle volte la sua mano trafitta cade stanca e sfiduciata, perché sa che è inutile benedire. Voi distruggete la mia benedizione. Cade anche sdegnata, perché voi mi maledite. E allora è Maria che leva lo sdegno a questa mano col baciarla. Oh! il bacio di mia Madre! Chi resiste a quel bacio? E poi prende con le sue dita sottili, ma così amorosamente imperiose, il mio polso e mi forza a benedire. Non posso respingere mia Madre. Ma bisogna andare da Lei per farla Avvocata vostra. Essa è la mia Regina prima d’esser la vostra, ed il suo amore per voi ha indulgenze che neppure il mio conosce. Ed Essa, anche senza parole ma con le perle del suo pianto e col ricordo della mia Croce, il cui segno mi fa tracciare nell’aria, perora la vostra causa e mi ammonisce: Sei il Salvatore. “Salva”. Ecco, figli, il « vangelo della fede » nell’apparizione della scena dei Magi. Meditate e imitate. Per il vostro bene».

Tratto da: L’Evangelo come mi è stato rivelato
Opera di Maria Valtorta.

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Il privilegio dei Santi Innocenti

Posté par atempodiblog le 4 janvier 2012

Il privilegio dei Santi Innocenti dans Charles Péguy Santi-Innocenti

[...] Questa festa è collegata col Natale, ma colpisce per il suo contenuto cruento: la liturgia non lasci adagiare la nostra attenzione sul cuscino di un buonismo dolciastro, di un infantilismo retorico (quanti richiami al ritornare un po’ bambini, a rivestirci di purezza infantile sono comparsi sui media in questi giorni!).
La vicenda celebrata è crudele. Il re Erode, allarmato per quanto ha sentito dai Magi, si informa su dove sarebbe dovuto nascere questo nuovo pretendente al trono che egli intendeva difendere ad ogni costo, come del resto aveva già fatto uccidendo alcuni figli troppo intraprendenti. Ingannato dal Magi che se la svignano senza dirgli più nulla, decide di sradicare la minaccia alla radice: fa uccidere tutti i bambini al di sotto dei due anni nati nei dintorni di Betlemme. Sono loro i Santi Innocenti.
La ricerca storica parla oggi di alcune decine di vittime, ma l’antichissima tradizione liturgica ne evoca un numero molto più alto, fino a farli coincidere con centoquarantaquattromila di cui parla il quattordicesimo capitolo dell’Apocalisse di san Giovanni.
Proprio da questa identificazione prende spunto Charles Péguy nella parte finale del suo mistero dedicato proprio ai Santi Innocenti. Sono loro gli unici, in tutto il paradiso celeste, che «seguono l’Agnello ovunque egli vada» e che possono «cantare un canto nuovo» che nessun altro, fosse pure stato un grandissimo santo, può comprendere.
Da dove viene questo inaudito privilegio? Il fatto è, spiega Péguy, che quei bambini sono stati bambini e basta, cioè sono rimasti come la mano creatrice plasma originariamente ogni uomo. E se la moralità, la santità, consiste proprio nella tensione a questa originalità, essi sono i più grandi tra i santi.
Dice Péguy: «Ognuno di noi è strappato alla terra troppo tardi, quando già la terra ha fatto presa. / Ognuno di noi è strappato alla terra quando è già terroso. / Quando la sua memoria è terrosa e la sua anima è terrosa. / Quando la terra s’è incollata a lui ed ha lasciato su di lui un marchio incancellabile». Quei bambini no, non hanno «questa piega e questo sapore d’ingratitudine. / Di un’amarezza. / Terrosa».
Ma questo a noi sembra un’ingiustizia. E infatti il poeta francese mette sulla bocca di Dio stesso le sette ragioni che giustificano un simile privilegio, un comportamento così scandaloso. Le prime tre sprofondano nell’insondabile mistero della libertà divina: «Perché li amo. Perché mi piacciono. Perché così mi piace». E questo, aggiunge Péguy, «può bastare».
Ma, venendo in soccorso al nostro desiderio di capire, aggiunge le altre. Perché non conoscono l’amarezza. Perché «per una specie di equivalenza / questi innocenti hanno pagato per mio figlio […] / Essi furono presi per lui. Furono massacrati per lui. Invece di lui. Al suo posto». La sesta ragione è che «erano coetanei di mio figlio» ed è «una grande fortuna o una grande sfortuna per ogni uomo. / Nascere o non nascere a un dato momento del tempo». Da ultimo essi «erano simili a mio figlio. / E lui era simile a loro». Cioè anche lui era bambino. Quello di Natale.
Ma lui sarebbe cresciuto e avrebbe conosciuto, come tutti noi, «l’ingratitudine umana» e avrebbe avuto «agli angoli delle labbra la piaga dell’amarezza e dell’ingratitudine […] la piega del pianto e dell’averne vedute troppe».
Quest’ultima considerazione ci riappacifica: la salvezza non è solo per chi non ha assaggiato le tristezze della vita, ma anche per noi con tutte le nostre amarezze e pieghe di pianto. Anche per noi è preparato il cielo insieme a quei bambini privilegiati, che giocano con le loro palme di martiri e corone di fiori. «E la palma sempre verde serve loro, a quanto pare, di bacchetta».

di Pigi Colognesi – Il Sussidiario

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La preghiera dei bambini

Posté par atempodiblog le 4 janvier 2012

La preghiera dei bambini
di Charles Péguy – Il mistero dei santi innocenti

La preghiera dei bambini dans Angeli Preghiera-bimbi

[...]
Nulla è bello come un bambino che s’addormenti nel dire la preghiera, dice Dio.
Vi dico, nulla è così bello al mondo.
E dire che ne ho viste di bellezze, nel mondo.
E me ne intendo. La mia creazione trabocca di bellezze.
La mia creazione trabocca di meraviglie.
Ce n’è tante da non sapere dove metterle.
Ho visto milioni e milioni d’astri ruotare sotto i miei piedi come le sabbie del mare.
Ho visto giornate ardenti come fiamme.
Giorni d’estate, di giugno, luglio, agosto.
Ho visto sere d’inverno distese come un mantello.
Ho visto sere d’estate calme e dolci come una pioggia di Paradiso,
Tutte disseminate di stelle.
Ho visto queste colline della Mosa e queste chiese che sono le mie case.
E Parigi e Reims e Rouen e cattedrali che sono i miei palazzi, i miei castelli.
Così belli che li conserverò nel cielo.
Ho visto la capitale del regno a Roma, capitale della cristianità.
Ho sentito cantare la messa e i vespri trionfali.
Ho visto queste pianure e queste valli di Francia che sono la cosa più bella.
Ho visto il mare profondo, e la profonda foresta, e il cuore profondo dell’uomo.
Ho visto cuori divorati d’amore
Durante l’intera vita
Estatici di carità.
Che bruciavano come fiamme:
Ho visto martiri così animati di fede
Saldi come roccia sul cavalletto
Sotto i denti di ferro.
Come un soldato che resista da solo per tutta la vita
Per fede
Per il suo generale - apparentemente - assente.
Ho visto martiri in fiamme come torce
Prepararsi così le palme sempre verdi.
Ho visto stillare sotto gli uncini di ferro
Gocce di sangue splendenti come diamanti.
Ho visto stillare lacrime d’amore
Che dureranno più a lungo delle stelle del cielo.
E ho visto sguardi di preghiera, di tenerezza,
Estatici di carità
Che brilleranno in eterno per notti e notti.
Ho visto vite intere dalla nascita alla morte,
Dal battesimo al viatico,
Svolgersi come una bella matassa di lana.
Ora vi dico - dice Dio – non conosco nulla di così bello in tutto il mondo
Come un piccolo bimbo che s’addormenti nel dir la preghiera
Sotto l’ala dell’angelo custode
E che sorride da solo scivolando nel sonno.
E già mescola tutto insieme e non ci si capisce più nulla
E arruffa le parole del Padre Nostro e le infila alla rinfusa tra le parole dell’Ave Maria
Mentre già un velo gli cala sulle palpebre,
Il velo della notte sul suo sguardo, sulla sua voce.
Ho visto i santi più grandi. - dice Dio - Ebbene, io vi dico:
Non ho mai visto nulla di più buffo e quindi di più bello al mondo
Di questo bimbo che s’addormenta nel dir la preghiera
(Di quest’esserino che s’addormenta fiducioso)
E che mescola Padre Nostro e Ave Maria.
Nulla è più bello, e in questo perfino
La Santa Vergine è d’accordo con me.
Su quest’argomento.
E posso ben dire che sia il solo punto su cui andiamo d’accordo. Perché generalmente siamo di parere contrario.
Perché lei è per la misericordia.
E io, bisogna pure che io sia per la giustizia.

Così - dice Dio - come capisco mio figlio. Mio figlio l’ha detto e ridetto. (Perché bisogna intendere alla lettera ogni parola di mio figlio). Ha detto: Sinite parvulos. Lasciate che vengano.
Sinite parvulos venire ad me. Lasciate che i piccoli vengano a me.
I piccoli bimbi.

Allora gli furono offerti dei piccini perché imponesse loro le mani e pregasse. Ora i discepoli li rimproveravano.
Ma Gesù disse loro: Lasciate i piccoli, e non impedite che vengano a me: talium est enim regnum coelorum. Infatti di costoro è il regno dei cieli. A loro, a quelli come loro appartiene il regno dei cieli.
E dopo avere imposto loro le mani, se ne andò.
[...]

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Rifuggi dall’ipocrisia

Posté par atempodiblog le 4 janvier 2012

Rifuggi dall’ipocrisia dans Libri baciodigiuda

Ti avrà certamente colpito quanto Gesù insista sulla sincerità, lo cogli soprattutto nel giudizio molto severo che lui  pronuncia nei confronti di coloro che appaiono all’esterno diversamente da ciò che sono nel loro intimo.
Ti sei chiesto perché dopo il suo orribile tradimento  Giuda sia andato a impiccarsi, mentre Pietro si è pentito piangendo amaramente?
Giuda era un ipocrita, seguiva il maestro insieme agli altri apostoli ma senza credere e senza accogliere il messaggio. La sua condotta era così abilmente studiata che nessuno dei dodici sospettava che fosse lui a tradire, il culmine dell’ipocrisia è stato il momento in cui si è avvicinato al maestro e con il bacio dell’amicizia lo ha indicato ai nemici. Il suo cuore era corrotto e la sua anima devastata. Aveva venduto Gesù, ma all’esterno appariva come uno dei suoi amici intimi, ha avuto in dono il miracolo del risveglio della coscienza, ma non gli è bastato per sottrarsi al demone della disperazione.
Pietro era una persona sincera, anche nella sua debolezza appare una persona schietta che manifesta all’esterno ciò che ha nel cuore. La sua conversione è genuina e le sue lacrime sono autentiche. Le persone che non ingannano sé stesse non si perdono, anche quando a causa della debolezza umana sono in balìa di gravi sbandamenti.
Gesù era circondato da persone doppie. Molti dei suoi interlocutori lo ascoltavano per coglierlo in fallo. Persino gli inviti a tavola erano predisposti per trovare pretesti per accusarlo. Eppure erano persone esternamente irreprensibili nella loro osservanza della legge.
Gesù pronuncia nei confronti di queste persone doppie le espressione più tremende bollandoli  come sepolcri imbiancati, essi dice Gesù “sono belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti  e ogni putridume, così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni di ipocrisia di iniquità”.
Non credere che l’ipocrisia sia una caratteristica tipica degli scribi e dei farisei, questa orribile deformazione della persona umana, bella all’esterno e marcia all’interno, è un marchio satanico di cui gli uomini fanno fatica a liberarsi; l’essere doppio è una caratteristica del demonio, il quale ha bisogno di presentasi come benefattore per attiraci nella sua rete e portarci alla perdizione eterna. L’astuta serpe è insuperabile nell’arte del dissimulare, ma chi potrebbe contare l’esercito sterminato dei discepoli che ogni giorno frequentano la sua scuola.
L’ipocrisia, caro amico, deturpa in primo luogo il tuo rapporto con Dio. Dici le preghiere, vai alla Messa, partecipi alle varie attività della Chiesa, ma ti manca l’intima convinzione perché la tua fede è ridotta un lucignolo fumigante e il tuo cuore è inquinato dalle passioni. Tuttavia ti preoccupi di tenere ben nascosta questa triste realtà, non solo agli occhi degli altri, ma anche ai tuoi. Così inganni te stesso e ti precludi la possibilità  della conversione perché ti illudi di essere giusto e non come tutti gli altri che sono ladri, ingiusti, adulteri, come diceva il fariseo (vedi Lc 18,11).
Sulla scia dei profeti Gesù denuncia la tentazione della falsa devozione che incombe su tutti coloro che fanno un cammino spirituale, in particolare ne sono vittime coloro che per stato di vita hanno scelto la santità e trovando il cammino troppo arduo preferiscono una verniciata esteriore alla fatica quotidiana di cambiare il cuore.
Tuttavia se si possono ingannare gli uomini non è possibile ingannare Dio. “Questo popolo”, dice Gesù, “mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”. “Non gridano a Me con il loro cuore” dice il profeta Osea. La sincerità nei confronti di Dio ti preserverà dal pericolo mortale di ingannare te stesso. L’Onnipotente conosce ogni movimento del tuo cuore, a che vale nascondersi come fecero i progenitori dopo il peccato?
Essere sincero di fronte a Dio è l’unica via di salvezza, il nostro rapporto con Lui si riflette inevitabilmente, poi, nei rapporti col prossimo. Le persone che hanno Dio nel cuore non sono esenti da difetti, da ombre e da debolezze, il loro sforzo però consiste nell’emendarsi, non nel nascondere il male che li affligge e dal quale non sono dispensati neppure i santi. Tu ti trovi davanti a delle persone in cui non vi è discordanza fra la bocca e il cuore, fra quello che dicono e quello che fanno. Sono persone che non ti ingannano e delle quali ti puoi fidare. Forse queste persone sono una piccola parte nella società, però tu cerca di essere una di loro.
Infatti, viviamo in un mondo dove non sono pochi coloro che si presentano come miti agnelli, ma dentro sono lupi rapaci.

L’apostolo Paolo fra i molteplici pericoli che ha dovuto affrontare nella sua vita travagliata ha enumerato anche quello dei falsi fratelli (vedi seconda lettera ai Corinti, cap. 11 vers. 26).
La schiettezza e la trasparenza del tuo rapporto con Dio ti aiuterà a scoprirli questi falsi fratelli per quanto siano abili nell’ingannare. Chi è abituato a contemplare la luce del sole non la confonde con quella artificiale. Tuttavia, l’obbiettivo primario è che tu sia una persona sincera e affidabile, sappi che questo è lo sforzo di tutta una vita.
Il potere di Satana su questo mondo è visibile, è palpabile nel dominio universale della menzogna che è una vera e propria pandemia spirituale.
La tua appartenenza a Gesù si deve esprimere nell’amore per la verità, per la franchezza nei rapporti umani, nella lealtà alla parola data. La verità ha un suo pudore e Gesù ci raccomanda di non dare le cose sante ai cani e non gettare le perle ai porci. Tuttavia, la prudenza è una virtù che nulla ha che spartire con la dissimulazione. Perciò, caro amico, vigila perché lo spirito dell’ingannatore non inquini il tuo cuore, non c’è nulla di più vile che ordire trame contro il fratello che ti dà fiducia e si fida di te.
Anche tu come Giuda saresti capace di dare un bacio a chi stai per tradire? Non farti prendere dalla tentazione di trarre in inganno, di tendere insidie e di ordire congiure.

Sappi che in ogni menzogna c’è l’alito di Satana.
Il menzognero e l’omicida vuole imprimere su di te la sua immagine, spingendoti a ingannare e a tradire chi ti sta vicino.

di Padre Livio Fanzaga
Tratto da:  Fa’ posto a Dio. Lettere di direzione spirituale

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Si è cristiani quando si appartiene alla Chiesa

Posté par atempodiblog le 2 janvier 2012

Si è cristiani quando si appartiene alla Chiesa dans Charles Péguy Si-cristiani-quando-si-appartiene-alla-Chiesa

Chi non è affatto cristiano, chi non capisce niente di cristianesimo, chi gli è veramente estraneo è colui che non è peccatore, letteralmente è colui che non commette alcun peccato. Invece il peccatore, insieme con il santo, entra nel sistema, è del sistema del cristianesimo. Chi non entra in questo sistema, chi non dà la mano è quello che non è affatto cristiano, che non capisce niente di cristianesimo. Il peccatore tende la mano al santo, dà la mano al santo, poiché il santo dà la mano al peccatore. E tutti insieme, l’uno attraverso l’altro, l’uno tirando l’altro, risalgono fino a Gesù, fanno una catena che risale fino a Gesù. Una catena inestricabile di dita. Chi non è cristiano, chi non capisce niente di cristianesimo, in cristianità, in materia di cristianità, è chi non dà la mano. Poco importa cosa ci faccia poi dopo con quella mano. Quand’anche un uomo potesse compiere anche l’azione più alta del mondo senza essere stato immerso nella grazia, quest’uomo sarebbe uno stoico, non un cristiano. E quando un uomo può commettere la più bassa azione del mondo precisamente senza commettere un peccato, quest’uomo non è un cristiano. Il cristiano non si definisce affatto per il livello che raggiunge, ma per la comunione. Non si è affatto cristiani perché si è ad un certo livello, morale, intellettuale, anche spirituale. Si è cristiani perché si appartiene ad una certa razza ascendente, ad una certa razza mistica, ad una certa razza spirituale e carnale, temporale ed eterna, ad un certo sangue”.

Charles Péguy

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Un anno con… un amico speciale

Posté par atempodiblog le 1 janvier 2012

Un anno con… un amico speciale dans Amicizia Un-anno-speciale-con

Un’antica usanza della Chiesa consisteva nell’assegnare, all’inizio di ogni anno, ad ogni fedele un Santo come Avvocato e Protettore.

“Chiedete attraverso i vostri santi protettori, affinchè vi aiutino a crescere nell’amore verso Dio.” (Medjugorje 25/7/02)

Sul sito Innamorati di Maria  si può “sorteggiare” il “proprio” Santo protettore dell’anno.

Avete la possibilità di scoprire il vostro su:

http://infodamedjugorje.altervista.org:80/ilsantodellanno.html

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