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Rallegriamoci per la nascita del nostro Salvatore

Posté par atempodiblog le 22 décembre 2011

Rallegriamoci per la nascita del nostro Salvatore dans Citazioni, frasi e pensieri santonatale

Il nostro Salvatore, carissimi, oggi è nato: rallegriamoci! Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e dona la gioia delle promesse eterne. Nessuno è escluso da questa felicità: la causa della gioia è comune a tutti perché il nostro Signore, vincitore del peccato e della morte, non avendo trovato nessuno libero dalla colpa, è venuto per la liberazione di tutti. Esulti il santo, perché si avvicina al premio; gioisca il peccatore, perché gli è offerto il perdono; riprenda coraggio il pagano, perché è chiamato alla vita.

Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricordati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio. Con il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio. Ricorda che il prezzo pagato per il tuo riscatto è il sangue di Cristo.

San Leone Magno

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Il segreto del Natale in quei canti popolari

Posté par atempodiblog le 22 décembre 2011

Il segreto del Natale in quei canti popolari
di Antonio Socci – Libero, 24 dicembre 2008

Catechesi sul Natale dans Fede, morale e teologia Presepio

Chi ha fatto l’unità d’Italia, o meglio l’unità culturale e spirituale del popolo italiano? Cavour? Vittorio Emanuele II? La televisione? No. E’ stata fatta ben prima di loro. Per esempio da sant’Alfonso Maria de’ Liguori, autore della prima canzone popolare italiana che è “Tu scendi dalle stelle”. E’ una delle succose “rivelazioni” che riserva quello straordinario, esplosivo geniaccio che risponde al nome di Ambrogio Sparagna fondatore e direttore dell’Orchestra popolare italiana dell’Auditorium di Roma e grande esperto di musica popolare italiana.
Creando dei canti in dialetto napoletano, sant’Alfonso nel Settecento andava fra i poveri del Regno di Napoli col suo cristianesimo felice e profondamente umano, “insegnava ai ‘lazzari’ i fondamenti del cristianesimo e li rendeva protagonisti dei cerimoniali liturgici”. Una di queste sue canzoni legate alla liturgia del Natale che divenne “famosissima” è “Quanne nascette ninno”, in italiano “Tu scendi dalle stelle” composta nel 1754. Ebbe un tale successo che nel 1769 fu pubblicata in tutto il territorio italiano e cominciò a essere cantata dal popolo, dovunque, dalle Alpi alla Sicilia. Diventò “il primo esempio di canzone italiana”. E anche un modello che dette vita a un genere nuovo di musica popolare.
Grazie ai missionari redentoristi, ispirati a sant’Alfonso, analoghe espressioni musicali nacquero anche al Nord, nei dialetti locali. E infatti quest’anno, nel concerto di canti popolari natalizi che l’Orchestra di Sparagna eseguirà all’Auditorium di Roma dal 3 al 6 gennaio, ci sono molte “canzoni popolari” del Nord, soprattutto del Friuli.
L’anno scorso fu un successo strepitoso. Ogni serata fece il tutto esaurito. E c’era la coda all’ingresso. Si tratta di un fenomeno culturale di enorme interesse perché Sparagna non solo ha cercato in tutti gli angoli del Bel Paese le canzoni con cui il popolo italiano esprimeva, nei diversi dialetti, il suo amore al Dio bambino, non solo li ha fatti rinascere, ma addirittura ha ricostruito certi strumenti popolari antichi, per riprodurre quei suoni e quei ritmi e far rivivere la stessa anima del popolo. Infatti i concerti dell’Orchestra popolare avvengono sempre in un clima molto coinvolgente, di vera allegria, di festa popolare, anche grazie ai ritmi caldissimi di queste canzoni che mettono voglia di ballare, battere le mani, cantare. Nulla da invidiare alla musica popolare sudamericana che poi, in fondo, nasce dalla stessa radice, dalla stessa fede, dalla stessa cattolicissima e solare allegria suscitata dal Dio fatto carne, volto, abbraccio, fiato, sguardo.
Accadono cose sorprendenti attorno alla “musica sacra” di Sparagna. Nel concerto dell’anno scorso – appena uscito in Cd col titolo “La chiara stella” – si poteva vedere e sentire Simone Cristicchi che, con la sua bella voce, ma abituata a ben altri concetti, annunciava la nascita del Salvatore del mondo: “Fu dal Padre a noi mandato per divino decreto eterno/ per salvarci dall’inferno ed aprirci il cielo serrato”.
Un’interpretazione bellissima, la sua, nient’affatto scontata. Fatta non solo con arte, ma con intensità. Cantare “E’ nato il Re divino disse ognuno al proprio cuore” con quella partecipazione fa pensare. S’intuisce che Sparagna, col suo carisma trascinante, ha aiutato gli artisti a riflettere su ciò che stanno cantando. A meditarlo. A capirlo. A sentirlo.
E infatti lo sentono nelle vene pure gli ascoltatori. Comprendendo bene la differenza che c’è fra i cori di musica natalizia della tradizione anglosassone e protestante (sempre freddini e distaccati) e la festa di popolo che invece è la musica sacra nella tradizione cattolica.
“Gran parte di questa produzione di musica sacra popolare è andata perduta. Fa eccezione” dice Sparagna “il repertorio di canti per zampogne, che rappresentano, nei casi in cui hanno conservato il tratto originario autentico, uno straordinario esempio di misticismo musicale popolare”.
Il lavoro di Sparagna sarebbe piaciuto enormemente a Pier Paolo Pasolini che sentiva come un autentico “genocidio” la sparizione della millenaria identità popolare, cristiana e contadina, delle nostre terre. Pochi sanno che una delle sue ultime poesie, pubblicata nel marzo 1975, poco prima della morte, si intitolava “Saluto e augurio”. Era scritta in dialetto friulano ed era rivolta a un immaginario giovane di destra al quale il poeta confidava: “voglio farti un discorso che sembra un testamento”. E pur dicendo “non mi faccio illusioni su di te”, gli affidava questo immenso compito: “difendi i paletti di gelso, di ontano, muori di amore per le vigne. Per i fichi negli orti. I ceppi, gli stecchi. Difendi i campi tra il paese e la campagna, con le loro pannocchie, le vasche del letame abbandonate. Difendi il prato tra l’ultima casa del paese e la roggia. I casali assomigliano a Chiese: godi di questa idea, tienila nel cuore. La confidenza col sole e con la pioggia, lo sai, è sapienza santa. Difendi, conserva, prega!”. E infine: “Dentro il nostro mondo, dì di non essere borghese, ma un santo o un soldato: un santo senza ignoranza, un soldato senza violenza. Porta con mani di santo o soldato l’intimità col Re, Destra divina che è dentro di noi, nel sonno”.
Non so cosa possano pensare di questo programma “conservatore”, oggi, destra, sinistra o centro. Forse ci sarebbe un certo consenso trasversale (immagino che pure i leghisti, nella loro versione migliore, esprimano questo stesso amore alla nostra terra e alle nostre tradizioni).
Di fatto il lavoro di Sparagna – che sta salvando un patrimonio secolare e lo rappresenta, ad ogni Natale, all’Auditorium – è stato valorizzato sia dall’amministrazione di Veltroni che oggi da quella di Alemanno. Ed è un bene. E’ una gran cosa. Del resto la sua musica sacra popolare ci fa riscoprire che esisteva un popolo italiano molto prima che fosse costruito lo Stato italiano (che – purtroppo – fu fatto nel modo peggiore, cioè contro il popolo stesso e la sua cultura). E questo popolo sa che la sua storia, la sua fede e la sua anima sono le grandi risorse che gli hanno dato grandezza e che gli hanno permesso di sempre di risollevarsi e rinascere dopo ogni sciagura. La sua fede innanzitutto. Dov’è la speranza che non delude.
Infatti ciò che le musiche dell’Orchestra popolare di Sparagna lasciano nel cuore, alla fine, è l’antica e sempre nuova commozione di un popolo per il suo Dio che diventa bambino, che si fa uno di loro, che è venuto a riempire tutte le solitudini e a caricarsi di tutti i dolori e le colpe del mondo. Perciò il popolo fa festa vera. Un ritmo vorticoso di festa ci prende quando si sente: “Voglio cantare la mamma di Dio/ Maria bellezza che in cielo ci sta/ stella, regina di grande splendore/ che porta agliu munnu la felicità”.
Lui è la felicità, la positività, il senso della vita. Lui è la Bellezza di Dio, la musica del cielo. Giorni fa Oliver Sacks ha spiegato l’enorme potere terapeutico della musica, soprattutto per le patologie che riguardano il sistema nervoso, il cervello, come l’Alzheimer o l’ictus. Particolare consolazione danno i canti di Natale. Tanto che Sacks confida che trascorrerà la festa ascoltando l’Oratorio di Natale di Bach e andando a sentire “Il Messia” di Haendel alla Carnegie Hall.
Ogni anno accade un fatto strano ed enorme. Ogni anno il mondo si ferma di fronte alla dolcezza di Dio bambino, che nasce e ci tende le braccia. E’ lui la sinfonia più bella che davvero cura l’anima e la guarisce definitivamente. Il popolo dei poveri e dei semplici – che non aveva la Carnegie Hall, ma aveva le sue fantastiche Cattedrali mediterranee – per secoli ha fatto festa al Figlio di Dio che è venuto a salvarli. E la loro musica felice – secondo gli angeli – può ben stare insieme a quella di Bach.

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La gioia cristiana del Natale non sia assorbita dagli aspetti esteriori della festa

Posté par atempodiblog le 21 décembre 2011

Il Papa all’udienza generale: la gioia cristiana del Natale non sia assorbita dagli aspetti esteriori della festa
di Alessandro De Carolis – Radio Vaticana

Il Natale è una festa sacra e cristiana il cui “profondo valore religioso” non deve essere assorbito “dagli aspetti esteriori”. È l’auspicio con il quale Benedetto XVI ha aperto la catechesi dell’udienza generale di stamattina in Aula Paolo VI. Al termine dell’udienza, il Papa ha salutato tre bambini coreani cattolici, tra i vincitori di un concorso indetto nel loro Paese in segno di omaggio per i 60 anni di sacerdozio del Papa.

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L’Eterno che entra “nei limiti del tempo e dello spazio”, Dio che per un atto d’amore “passa attraverso la mangiatoia di Betlemme” chinandosi fino a farsi uguale all’uomo. In una catechesi qua e là caratterizzata da squarci poetici, Benedetto XVI ha citato alcune delle più belle espressioni che la Chiesa ha dedicato nei secoli alla nascita di Gesù. Tuttavia, che il Natale sia oggi una festa a costante rischio di superficialità emotiva e commerciale è stato subito puntualizzato dal Papa, che riferendosi a quel “Buon Natale” che in questi giorni corre sulle labbra di tutti, ha auspicato:

“Facciamo in modo che, anche nella società attuale, lo scambio degli auguri non perda il suo profondo valore religioso, e la festa non venga assorbita dagli aspetti esteriori, che toccano le corde del cuore. Certamente, i segni esterni sono belli e importanti, purché non ci distolgano, ma piuttosto ci aiutino a vivere il Natale nel suo senso più vero, quello sacro e cristiano, in modo che anche la nostra gioia non sia superficiale, ma profonda”.

Ma come si fa a cogliere oggi questa profondità del Natale? Come può riuscirvi, si è domandato il Papa, l’uomo contemporaneo, definito “l’uomo del ‘sensibile”, dello sperimentabile empiricamente”? Certamente, ha detto, partendo dal fatto storico di Gesù di Nazareth, il Dio “che non solo ha parlato all’uomo”, ma “si è fatto uomo”. E poi, a un livello più spirituale, facendo bene attenzione alle parole e ai segni della liturgia del Natale:

“Indicando che Gesù nasce ‘oggi’, la Liturgia non usa una frase senza senso, ma sottolinea che questa Nascita investe e permea tutta la storia (…) A noi credenti la celebrazione del Natale rinnova la certezza che Dio è realmente presente con noi, ancora ‘carne’ e non solo lontano: pur essendo col Padre è vicino a noi, in quel Bambino nato a Betlemme, si è avvicinato all’uomo: noi Lo possiamo incontrare adesso, in un ‘oggi’ che non ha tramonto”.

Benedetto XVI ha poi richiamato l’attenzione sull’aspetto “pasquale” che pure è insito all’evento di Betlemme. “Natale e Pasqua – ha spiegato – sono entrambe feste della redenzione”:

“La Pasqua la celebra come vittoria sul peccato e sulla morte: segna il momento finale, quando la gloria dell’Uomo-Dio splende come la luce del giorno; il Natale la celebra come l’entrare di Dio nella storia facendosi uomo per riportare l’uomo a Dio: segna, per così dire, il momento iniziale, quando si intravede il chiarore dell’alba”.

Il Papa ha citato ampi stralci tratti dagli scritti più intensi sulla Natività conservati dalla tradizione ecclesiale. E sulla scorta delle parole di San Gregorio Magno e San Basilio, Benedetto XVI ha terminato la catechesi ricordando con altrettanto trasporto non solo l’importanza, ma anche la bellezza della festa ormai alle porte:

“Nel Natale noi incontriamo la tenerezza e l’amore di Dio che si china sui nostri limiti, sulle nostre debolezze, sui nostri peccati e si abbassa fino a noi (…) Il Figlio di Dio nasce ancora ‘oggi’, Dio è veramente vicino a ciascuno di noi e vuole incontrarci, vuole portarci a Lui. Egli è la vera luce, che dirada e dissolve le tenebre che avvolgono la nostra vita e l’umanità”.

L’atmosfera natalizia dell’udienza generale, come sempre in questo periodo, ha preso corpo in Aula Paolo VI grazie anche alle note degli zampognari molisani di Bojano, ringraziati dal Papa “per la bella musica”. Benedetto XVI ha anche esortato in lingua spagnola alla solidarietà verso i meno abbienti durante il periodo delle feste: “Per i poveri – ha affermato – non può esservi alcun ritardo”. Quindi, ha concluso con il consueto saluto ai giovani, ai malati e a i nuovi sposi intonato al Natale:

“Cari giovani, specialmente voi alunni del liceo Braucci di Caivano, possiate accostarvi al mistero di Betlemme con gli stessi sentimenti di fede della Vergine Maria; sia dato a voi, cari ammalati, di attingere dal presepe quella gioia e quell’intima pace che Gesù viene a portare nel mondo; e voi, cari sposi novelli, vogliate contemplare con assiduità l’esempio della santa Famiglia di Nazaret, per improntare alle virtù in essa praticate il cammino di vita familiare da poco iniziato”.

All’udienza generale di oggi hanno preso parte anche tre bambini coreani cattolici venuti dal loro Paese per donare al Papa un fascicolo contenente le lettere con i disegni eseguiti dai 33 coetanei – su 1220 partecipanti – vincitori di un concorso organizzato dall’Ambasciata della Repubblica di Corea presso la Santa Sede, in collaborazione con il giornale cattolico coreano Pyeonghwa Shinmun (Giornale della Pace) dell’arcidiocesi di Seul, in occasione del 60.mo anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Benedetto XVI.

Durante la Messa della Vigilia di Natale uno dei tre bambini leggerà la preghiera dei fedeli in coreano, mentre gli altri due riceveranno la Comunione dalle mani del Santo Padre. Inoltre, sempre durante la Messa, due bambini coreani parteciperanno all’offertorio e altri due porteranno i fiori al Presepe. “L’Ambasciata della Repubblica di Corea presso la Santa Sede – spiega un comunicato della stessa ambasciata – ha organizzato questo concorso per ringraziare il Santo Padre per l’instancabile servizio per l’umanità e per il grande affetto per il popolo della Corea. L’Ambasciata è sicura che questo evento servirà in maniera significativa la Chiesa e la società in Corea a promuovere la vocazione cattolica edificando ulteriormente il sensus fidei dei cattolici della Corea”.

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«Così Gesù si fa carne a Guayaquil»

Posté par atempodiblog le 20 décembre 2011

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Gli orfani Ever e David, che saranno battezzati il 25. Il piccolo Sebastian, malato di leucemia. E poi gli amici poveri, i drogati… Padre Alberto, missionario in Ecuador, racconta come sta attendendo il Natale
Tratto da: Tracce.it

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Carissimi amici, in questi giorni di dicembre mi vengono in mente le vostre facce in cui negli anni (ormai sono tanti) si è incarnato il volto di Cristo per me. Non importa se per molto tempo o poco: quello che importa è che Dio si è servito di voi per raggiungere me e, per mezzo mio, raggiungere tutti quelli che Dio mi ha dato modo di incontrare. Per questo ho voglia di ringraziarvi e desidero, per ognuno e per tutti, un buon Natale e un prospero anno nuovo.
Molte cose sono accadute in questi ultimi tempi. Sto pensando ai due fratelli di 10 e 12 anni, David Abimael e Ever David, che vivono in orfanotrofio abbandonati dai genitori, e riceveranno il Battesimo il giorno di Natale, come è tradizione in San Juan Bosco. Con loro, in questi tre anni, si raggiunge il numero di 50 bambini e ragazzi abbandonati che sono diventati amici, figli di Dio e nostri fratelli in Cristo.
Penso alle tante facce di persone povere che chiedono un sostegno, un aiuto per mangiare o per poter vivere la vita quotidiana, come i miei amici senza lavoro e i drogati che vivono qui vicino.
Ma penso anche al mio giovane amico Sebastian, di sei anni, che è andato in Italia con sua madre Lorena perché ammalato di leucemia e, dopo aver fatto il trapianto di midollo, ritornerà in questi giorni in Ecuador e ritroverà il padre che lo sta aspettando con la sorellina per riabbracciarlo.
Ma penso anche ad alcuni amici che erano con noi l’anno scorso per Natale e sono morti. In Pisulí, per esempio, un quartiere di Quito, alcuni sono morti in forma violenta oppure in un incidente stradale: che il Bambino Gesù abbia misericordia di loro. Penso anche a tutte quelle persone che, per motivi vari, anche sicuramente per colpa mia, hanno abbandonato la Chiesa: Dio possa averne misericordia e il Santo Bambino possa toccare il cuore di tutti loro.
Forse potrei continuare ricordando quanto è accaduto, le facce nelle quali Gesù si è incarnato o quelle alle quali chiediamo di incarnarsi. A tutti chiedo di venire con me alla grotta di Betlemme, a vedere il Bambino Gesù che nasce anche quest’anno in una maniera nuova e sorprendente.
Ma quest’anno sono ancora più contento, perché ho ricevuto in dono tanti amici nuovi coi quali condividere il desiderio di appartenere di più a lui. In particolare, in questi ultimi giorni Cico, un vecchio amico dell’inizio, prima ancora di diventare prete, è venuto a stare con me in Ecuador per un periodo di tempo: anche questa è una grazia che il Signore mi ha fatto.
Allora far gli auguri di buon Natale è pieno di tutti questi doni ricevuti e desideri di compimento e della domanda di essere fedele sempre a Cristo, a quel volto del Mistero che ci accompagna e non ci lascia mai tranquilli.
Padre Alberto Bertaccini, Guayaquil (Ecuador)

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La dignità della persona da rispettare comunque

Posté par atempodiblog le 18 décembre 2011

A Rebibbia il Papa e il ministro della Giustizia
Prima che Ratzinger entrasse nella cappella si è sentito gridare “Viva il Papa”. E poi un applauso calorosissimo dei detenuti che gremiscono la chiesa salutato il suo ingresso
Tratto da: Quotidiano.net

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Benedetto XVI è giunto in auto al carcere romano di Rebibbia, dove – nel piazzale davanti alla cappella – è stato accolto dal ministro della Giustizia Paola Severino. A salutare il Pontefice all’esterno dell’edificio anche il cardinale vicario Agostino Vallini, il cappellano del carcere don Piersandro Spriano e il direttore Carmelo Catone.

Prima che Ratzinger entrasse nella cappella si è sentito gridare “Viva il Papa”. E poi un applauso calorosissimo dei detenuti che gremiscono la chiesa salutato il suo ingresso.

LA LETTERA DEL DETENUTO – “Se aiuteremo la barca di nostro fratello ad attraversare il fiume, anche la nostra barca avrà raggiunto la riva”: con queste parole quasi evangelicheil ministro della Giustizia, Paola Severino, accoglie il Papa a Rebibbia. Ma non sono parole scritte da lei: si tratta della lettera di un detenuto.

“Riparazione e rieducazione”. Una “sanzione effettiva dopo la condanna deve coniugare entrambi i valori posti a fondamento di essa dalla Costituzione”, è un altro passaggio dell’intervento del ministro della Giustizia Paola Severino nel discorso a Rebibbia dopo aver letto la lettera del detenuto. Un testo – ha aggiunto –  che “dimostra come la custodia cautelare in carcere deve essere disciplinata in modo tale da rappresentare una misura veramente eccezionale”.

LE PAROLE DEL PAPA – “Dovunque c’è un affamato, uno straniero, un ammalato, un carcerato, lì c’è Cristo stesso che attende la nostra visita e il nostro aiuto”, ha detto il Papa nel discorso tenuto di fronte ai detenuti del carcere di Rebibbia. “E’ questa la ragione principale che mi rende felice – ha aggiunto il Papa – di essere qui, per pregare, dialogare ed ascoltare. La Chiesa ha sempre annoverato, tra le opere di misericordia corporale, la visita ai carcerati”.

“I detenuti non scontino mai una doppia pena”, ha chiesto Benedetto XVI nel discorso. “So – ha detto il Papa – che il sovraffollamento e il degrado delle carceri possono rendere ancora più amara la detenzione: mi sono giunte varie lettere di detenuti che lo sottolineano”.
Per il Pontefice, “è importante che le istituzioni promuovano un’attenta analisi della situazione carceraria oggi, verifichino le strutture, i mezzi, il personale”. E lo è anche “promuovere uno sviluppo del sistema carcerario, che, pur nel rispetto della giustizia, sia sempre più adeguato alle esigenze della persona umana, con il ricorso anche alle pene non detentive o a modalità diverse di detenzione”.

IL CAPPELLANO – “La supplico Santo Padre perchè convinca i cristiani che formano il popolo di Dio fuori da queste mura a pregare per chi è in prigione”. Con queste parole il cappellano del carcere di Rebibbia, don Sandro Spriano, si è rivolto al Papa. Per il sacerdote, quelli che si trovano in carcere (a Rebibbia ci sono 1700 detenuti) “hanno compiuto azioni orrende e provocato tragedie spesso insanabili, ma restano Figli di Dio, bisognosi di consolazione e di amore, e sperano di essere considerati e chiamati nostri fratelli e nostre sorelle”.
“A nome mio e di tutti i detenuti – ha continuato il sacerdote – chiedo perdono per le nostre colpe e per le sofferenze inflitte agli altri, vorremmo poter ricomporre le rotture, le separazioni che abbiamo provocato. Ma non vogliamo però essere sempre identificati con le nostre azioni sbagliate, chiediamo di poter tornare nella società senza il marchio di ‘mostri del male’”.

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Perù: la Vergine della Porta

Posté par atempodiblog le 16 décembre 2011

Perù: la Vergine della Porta dans Apparizioni mariane e santuari nostrasignoradellaporta

Vergine della Porta (nella foto), Patrona di Otuzco: la sua festa si celebra il 15 dicembre.
Ci sono molte versioni sull’origine del culto alla Vergine della Porta.

Una di esse afferma che nel secolo XVII si sparse la notizia dell’avvicinamento di alcui pirati inglesi al porto di Huanchaco. Non era la prima volta che una notizia come questa metteva in all’erta i colonizzatori di tutta la zona, però nelle vicinanze di Otuzco, a 75 chilometri da Trujillo, sentirono paura. E sapevano che gli inglesi non si sarebbero fermati finché non avessero ottenuto un ricco bottino.
Benché fosse poco probabile che i pirati decidessero di addentrarsi nel territorio, i colonizzatori presero alcune precauzioni. La prima cosa fu, chiaramente, ricorrere alla loro Patrona, la Vergine Maria. Portarono l’immagine dell’Immacolata Concezione fino alle porte del paese perché ostacolasse l’entrata degli inglesi.
La cosa certa è che i corsari decisero di non attaccare né Trujillo né Huanchaco e si allontanarono. Passato il pericolo, la Vergine fu portata fino alla porta della chiesa per ringraziarla di tale benedizione. Da allora, dicono, è chiamata Vergine della Porta o Vergine della Portineria.

Altri affermano che l’immagine dell’Immacolata Concezione arrivò da Otuzco con i padri agostiniani attorno al 1550, agli inizi dell’evangelizzazione di quella zona.

La scultura della Vergine misura 1.05 metri ed è posizionata su una pedana foderata in argento, di 25 centimetri di altezza. Ha le mani giunte sul petto, con le quali sostiene un rosario. Il profilo del suo viso è fine: bocca minuta, sopracciglia inarcate e rade, occhi piccoli e profondi. Di carnagione bianca con gote rosse. Ha i capelli di colore castano chiaro, sistemati in grandi boccoli che ricadono sulle spalle.
Porta un diadema, una corona che anticamente cingeva la testa dei re come segno della loro alta dignità, chiuso nella parte superiore e che termina con una croce di oro e pietre preziose.

Nell’anno 1943, in occasione del Terzo Congresso Eucaristico Nazionale a Trujillo, la Vergine della Porta fu incoronata da Monsignor Fernando Cesto, ed il 5 febbraio 1985 il Papa Giovanni Paolo II visitò la città di Trujillo ed incoronò la Vergine della Porta definendola “Regina della Pace Mondiale”.

Fonte: Radio Maria

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Tiny Tim e Re Erode

Posté par atempodiblog le 13 décembre 2011

Una riflessione dello scrittore canadese Michael D. O’Brien tratta dal suo ultimo libro: «L’attesa. Storie per l’Avvento» (San Paolo, pp. 102, euro 12).
Tratto da: La Bussola Quotidiana

Tiny Tim e Re Erode dans Articoli di Giornali e News Un-canto-di-Natale

L’Avvento è cominciato, il tempo di attesa in cui volgiamo lo sguardo verso l’imminente alba con rinnovata speranza. Ogni anno la liturgia ci invita a pregare insieme a tutta la Chiesa per la nuova nascita di Cristo dentro la stalla dei nostri cuori e per le grazie di cui avremo bisogno nell’attesa della sua venuta finale. Le letture riguardano la speranza che sorge in mezzo alle tenebre, parlano di nascita e di morte e della gioia eterna che verrà quando non ci sarà più la morte. Fino a quel ritorno definitivo nella casa del Padre, continuiamo a vivere in questo mondo che deve ancora essere curato da Cristo. Il bambino Gesù è tra noi, e lo è anche Re Erode.

Quasi ogni anno leggo ad alta voce ai miei figli il grande classico di Charles Dickens, Canto di Natale. Quasi tutti e sei lo hanno riletto per conto loro e hanno visto le tre versioni cinematografiche più famose. Ci sono sempre spunti nuovi che saltano fuori in tutte le storie di Dickens e il Canto non è un’eccezione. Ti trovi a ridere per qualcosa che l’anno precedente non ti faceva ridere nemmeno un po’; quest’anno trattieni a stento il singhiozzo per un passo che l’anno precedente ti aveva lasciato indifferente. Un dettaglio, un modo di dire, una pennellata geniale dell’autore e il grande spettacolo della vita umana si rivelano come qualcosa di molto misterioso, qualcosa che contiene molta commedia, tragedia e una grande gloria nascosta, molto più grande di quella che supponevamo ci fosse.

La storia è solo apparentemente semplice. Riguarda le scelte, la paura, la famiglia, la ricchezza e la povertà, e la solitudine che viene vinta dalla misericordia. Misericordia divina e misericordia umana. Scrooge è senza dubbio l’archetipo della figura umana completamente chiusa in se stessa, che ha un profondo rancore verso le persone indigenti e difende il suo potere e le sue ricchezze con una lunga sfilza di “ragionevoli” giustificazioni. Nell’imminenza del Natale, Scrooge commisera il suo impiegato Bob Cratchit; pensa che abbia troppi bambini e che sia stata la sua (di Bob) sconsideratezza al riguardo ad averlo costretto a una vita da schiavo e in povertà assoluta.

Il figlio malato di Bob, Tiny Tim, è uno degli aspetti più disperati della vita dei Cratchit, pensa Scrooge senza un minimo di compassione. Nell’introduzione a una vecchia edizione del libro, G.K. Chesterton scrisse: «Per rispondere a chiunque parli di scarti della popolazione basta chiedere loro se si sentono degli scarti di popolazione e, se la risposta è negativa, come fanno a saperlo».

Molta gente moderna, ingannata dalla propaganda del “sovrappopolamento” e contagiata dalla paura e dalla solitudine, sarebbe d’accordo con Scrooge nel dire che Bob Cratchit e sua moglie hanno inquinato il pianeta con troppi piccoli Cratchit. Di certo, direbbe questa gente, Bob avrebbe dovuto fare affidamento su una forma più efficace di controllo delle nascite! Se non fosse stato così egoista, si sarebbe fatto una vasectomia molto tempo prima. O forse, sua moglie avrebbe dovuto farsi legare le tube. E un aborto o due prima dell’intervento avrebbero provveduto a una protezione a posteriori, così da assicurare una qualità di vita molto migliore alla loro famiglia. Vien da chiedersi, anche, cosa direbbe un genetista odierno riguardo a Tiny Tim. Sarebbe diventato il perfetto candidato per la selezione genetica, l’espulsione precoce, gli studi sugli organi o la sperimentazione fetale? E cosa ne sarebbe stato del povero vecchio Scrooge? È evidente che quest’uomo proviene da una famiglia problematica. Se la qualità della sua vita non è più tollerabile, non dovrebbe forse mettersi a pensare di programmare una “morte dignitosa”? E poi, se le sue condizioni non lo permettono e non ha parenti stretti che possano farlo al suo posto, lo stato sarà lì ad assicurarsi che la sua fine avvenga attraverso un processo legale, igienico e indolore.

Una strana società, la nostra. Leggi assolutamente bizzarre e leggi profondamente scellerate vengono attualmente discusse in molti circoli, come se fossero opinioni ragionevoli. Tutta questa retorica fa sì che l’uomo moderno cerchi dappertutto e affannosamente delle soluzioni per questioni umane basilari, cioè le cerca ovunque tranne che nell’unico posto dove la vera risposta può essere trovata. Si affida a facili rimedi per evitare il sacrosanto privilegio della vita, che al Signore sembrò perfetto rivestire della carne, e per evitare tutte le responsabilità che derivano da ciò. L’uomo è arrivato a credere, consciamente o meno, che la salute, la fertilità, la generosità siano problemi che occorre limitare, cambiare o controllare a ogni costo. Questa impostazione mentale, sia a livello personale sia come pensiero dominante del Paese, è la ricetta di un disastro. «Dove manca la Parola, il popolo sarà perduto», scrive l’autore dei Proverbi. «Chi cercherà di salvare la sua vita la perderà», ha detto Gesù.

Milioni di esseri muti e innocenti (giovani e vecchi) vengono oggigiorno massacrati con discrezione in molte cliniche e in molti ospedali. Le loro anime invocano Dio. Non importa quante idilliache teorie sulla “qualità di vita” o sul “miglioramento della condizione umana” sostengano l’omicidio di un bambino o di una persona anziana e malata. Questo rimane un omicidio e, in tutte le società civilizzate, ciò significa parlare di vita innocente. Una nazione che permette tutto ciò su larga scala (come il mio Paese), o in qualsiasi misura, invoca la spada della giustizia divina sulla propria testa. Ha assolutamente bisogno, come ne ha avuto bisogno Scrooge, di un intervento che la scuota fin dalle fondamenta.

L’idea di Erode è la negazione della generosità di Dio. Erode ebbe, senza dubbio, delle importanti argomentazioni per commettere la strage degli innocenti e immagino che il motivo principale fosse la necessità di tutelare il bene del suo popolo, l’economia, la sicurezza interna del Paese, tutte cose che non significavano altro che la tutela della sua corona. All’opposto, l’idea di Cristo è l’affermazione di qualcosa di completamente diverso, vale a dire: ognuno di noi è un’effigie vivente fatta a sua immagine e somiglianza, ed è un invitato al banchetto eterno dell’amore. Esiste una corona invisibile per ciascuno di noi, se scegliamo di accettarla; ciascuno di noi è chiamato a essere figlio o figlia di Re. E, inoltre, c’è abbondanza di stanze nella creazione del Re, se viene usata in modo saggio; e c’è anche un numero infinito di stanze nel suo regno eterno. Mentre, invece, la nostra società sta costruendo un mondo in cui non ci sono più stanze. Con ciò non mi riferisco alla mera diminuzione di spazio in ambito geopolitico ed economico. Voglio dire che ci sono sempre meno stanze nel cuore degli uomini moderni.

Se il mondo sta diventando qualcosa di inadatto per i bambini, allora cambiamo il mondo, non eliminiamo i bambini, perché eliminare i bambini rende il mondo un luogo in cui è assolutamente inadatto vivere. Un bambino che nasce con gravi problemi, in esilio, in assoluta povertà ha qualcosa da dire su tutto ciò. Ci dice che vivere è meraviglioso – cioè così pieno di meraviglie – e che, per quanto le nostre vite possano essere difficili siamo sempre chiamati alla gioia. È vero che per tutti c’è un tempo per soffrire, un tempo per perdere tutte le illusioni sulla nostra potenza e autosufficienza, e un tempo per morire. E, sì, ci sono momenti in cui siamo messi alla prova fino all’estremo. Ma la sofferenza non è l’unica parola e, a dire il vero, non è neanche una tra le parole più importanti, sebbene sia una parola necessaria.

Gesù, rivestendosi della carne, ha provato tutto. E anche sua Madre. Dal giorno dell’Annunciazione alla nascita a Betlemme, lei ha sofferto con suo figlio e per suo figlio. Fuggendo da Betlemme nel deserto, facendo ritorno dal deserto fino a Nazaret e, poi, da Nazaret fino al Calvario: per tutto questo tempo il suo dolore è cresciuto, finché il suo cuore è stato trafitto da molte spade e, morendo, lei ha di nuovo generato la vita. La Chiesa è nata sul Calvario, quando il sangue e l’acqua sono sgorgati dal cuore ferito di Cristo, quel cuore che la nostra Madre ha donato a tutte le generazioni del mondo per sempre.

Nell’imminenza del Natale preghiamo con le sue parole: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono». Rallegriamoci perché è nato a noi il Salvatore. E diciamo, usando le parole di Tim: «Dio ci benedica tutti quanti!».

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Il vero figlio di Maria è un cristiano che prega

Posté par atempodiblog le 13 décembre 2011

Il vero figlio di Maria è un cristiano che prega dans Apparizioni mariane e santuari aparecida

So che, qualche tempo fa, per un increscioso incidente si ruppe la piccola immagine di Nostra Signora Aparecida. Mi dissero che tra i tanti frammenti furono trovate intatte le due mani della Vergine unite in preghiera. Ciò è come un simbolo: le mani giunte di Maria in mezzo alle rovine sono un invito ai suoi figli a dare spazio nelle loro vite alla preghiera, all’assoluto di Dio, senza il quale tutto il resto perde senso, valore e efficacia. Il vero figlio di Maria è un cristiano che prega.

La devozione a Maria è fonte di vita cristiana profonda, è fonte di impegno nei confronti di Dio e dei fratelli. Rimanete alla scuola di Maria, ascoltate la sua voce, seguite i suoi esempi. Come abbiamo ascoltato nel Vangelo, essa ci guida verso Gesù: “Fate quello che vi dirà” (Gv 2,5). Come una volta a Cana di Galilea, fa presenti al Figlio le difficoltà degli uomini, ottenendo da lui le grazie desiderate. Preghiamo con Maria e per mezzo di Maria: ella è sempre la “Madre di Dio e nostra”.

Giovanni Paolo II

Divisore dans San Francesco di Sales

Per approfondire: Freccia dans Viaggi & Vacanze 
La Madonna Aparecida regina e patrona del Brasile

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L’aborto imposto a Trento e l’ »educazione all’affettività »

Posté par atempodiblog le 13 décembre 2011

L'aborto imposto a Trento e l'

I frutti avvelenati della riduzione dell’autentica dimensione degli affetti a una miscela di tecnica sanitaria e di sociologismo. I danni prodotti dal connubio di ideologie pedagogiche diffuse non solo in ambito laico ma anche, e largamente, nel mondo cattolico e, più in generale, religioso

Per leggere l’articolo di Giorgio Israel per Il Foglio cliccare sul link sottostante:

iconarrowti7 dans Articoli di Giornali e News L’aborto imposto a Trento e l’ »educazione all’affettività »

Fonte: Tracce.it

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Gesù è il « canone della Bellezza »

Posté par atempodiblog le 12 décembre 2011

Gesù è il

«Cristo, nella sua Incarnazione, ha portato con sé tutta la Bellezza. È lui la misura della Bellezza, è lui che porta, con la sua venuta, un nuovo sguardo sulla bellezza. Egli è, per così dire, il “canone della Bellezza”».

Card. Christoph Schönborn

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Vergine dei poveri, morta la veggente

Posté par atempodiblog le 12 décembre 2011

Vergine dei poveri, morta la veggente
di Giorgio Bernardelli – Avvenire

Vergine dei poveri, morta la veggente dans Apparizioni mariane e santuari Banneux

È morta a novant’anni nella casa di riposo intitolata alla Vergine dei poveri, il titolo che la Madonna proprio a lei aveva rivelato. Mariette Beco, la veggente delle apparizioni mariane di Banneux in Belgio, si è spenta l’altro giorno nel piccolo villaggio delle Ardenne dove nell’inverno del 1933 avvenne questo evento prodigioso. Era una bambina di 11 anni, allora, Mariette.

La figlia di un minatore e la primogenita di una famiglia umile, ma nemmeno troppo devota. Eppure il 15 gennaio di quell’anno – secondo quanto la Chiesa ha ufficialmente riconosciuto nel 1949 – la Madonna scelse proprio questa ragazzina di un villaggio a 25 chilometri da Liegi per portare un messaggio di conforto a tutti i poveri e i sofferenti. Indicando alla giovane veggente anche un segno: una sorgente divenuta presto meta di pellegrinaggi da parte di migliaia di ammalati «da tutte le nazioni», come la Vergine dei poveri le aveva detto. Apparve per otto volte nell’arco di poche settimane la Madonna a Mariette Beco. Fino a quando il 2 marzo 1933 si congedò dalla piccola veggente con le parole: «Io sono la Madre del Salvatore, la Madre di Dio. Prega molto». E proprio per raccogliere questo invito già nel 1934 a Banneux nacque l’Unione internazionale di preghiere, un sodalizio spirituale che vede persone di tanti Paesi del mondo unirsi ogni sera nella recita del Rosario ala Vergine dei poveri.
A differenza di altri bambini protagonisti delle apparizioni mariane, Mariette Beco dopo quella esperienza straordinaria non scelse la vita religiosa. Si sposò, ebbe tre figli, conobbe anche parecchie difficoltà tra cui qualcuna persino nella vita spirituale. In anni recenti ha vissuto lei stessa il dolore per la morte di due sue figlie. Sofferenze che anche lei – confusa tra tutti gli altri pellegrini – andava a mettere nelle mani della Vergine dei poveri recandosi a pregare alla sorgente o alla cappella delle apparizioni nel santuario, meta ogni anno per migliaia di pellegrini tra cui anche tanti italiani. Non si sentiva affatto protagonista di questa storia, Mariette Beco: «Sono stata solo un postino incaricato di portare un messaggio – diceva di sé -. Una volta che il messaggio è arrivato il postino non ha più alcuna importanza». «Mariette ha percorso lo stesso cammino di tante persone anziane, con le loro gioie ma anche le loro difficoltà», ha commentato la sua morte l’attuale rettore del Santuario di Banneux, Léo Palm.
Del resto era stato Giovanni Paolo II – che venne pellegrino a Banneux nel 1985 e incontrò Mariette Beco – a ricordare che oggi esistono anche povertà dal volto decisamente diverso rispetto a quello dei minatori della prima metà del Novecento. Sofferenze del corpo e dello spirito che trovano sempre in Maria un’acqua che ristora. «Sono più di cinquant’anni che non solo gli ammalati, ma l’immenso popolo dei poveri si sente a casa propria a Banneux – disse Wojtyla il 21 maggio 1985 –. Vengono a cercare qui conforto, coraggio, speranza, l’unione con Dio nella loro prova. Vengono a lodare e a invocare qui la Vergine Maria, sotto l’appellativo particolare e bellissimo di nostra Signora dei poveri. Sono a ragione convinti che una tale devozione corrisponda al Vangelo e alla fede della Chiesa: se Cristo ha definito la sua missione come l’annuncio della buona novella ai poveri, come potrebbe sua Madre non essere accogliente verso i poveri?». È il messaggio di speranza che la « postina » Mariette, al termine della sua lunga vita, ci lascia ancora in eredità.

Divisore dans Banneux

Per approfondire: Freccia  Banneux: la Madonna dei poveri

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Santo Stefano ovvero dell’amicizia di Cristo

Posté par atempodiblog le 11 décembre 2011

Santo Stefano ovvero dell’amicizia di Cristo
Omelia di Luigi Giussani per la festa di Santo Stefano
Desio, 26 dicembre 1944

Fonte: Tracce.it

Santo Stefano ovvero dell'amicizia di Cristo dans Don Luigi Giussani Santo-Stefano

Veni Sancte Spiritus.
Veni per Mariam.

Le sacre vesti che i ministri rivestono all’altare non han più il candore di ieri. Rosse sono: simbolo di sangue. Accanto alla dolcissima contemplazione di un Dio bambino riscaldato dall’amore della Madre, quale contrasto la visione di Stefano che muore fra il grandinare delle pietre, coperto di sangue! Con che raccapriccio il nostro pensiero passa dal canto degli angeli e dai volti affettuosi dei pastori alle figure urlanti e frementi d’odio dei lapidatori di Stefano!

Ma l’accostamento è denso di significato. Nel fulgore di luce che circonda la capanna di Betlem si delinea maestosa la figura della Croce.

S. Stefano fu il primo che per seguire il Maestro Divino sacrificò la propria vita. La festa del suo martirio unitamente a quella del S. Natale di cui completa il pensiero, ci danno una lezione di sacrificio. Il suo martirio ci indica un mezzo per aiutarci a vivere questa lezione di sacrificio; il suo martirio ce ne fa vedere i frutti preziosi.

Noi non comprenderemo nulla del vero significato del Natale, se non sentiamo vivamente che Dio si fece uomo per salvare noi: e per salvarci doveva sacrificarsi. Il Bambino, che contempliamo in questi giorni con tutto l’affetto e la riconoscenza di uomini credenti, porta impresso sulla sua fronte a programma di tutta la sua vita e monito alla nostra anima pensosa: «Io son nato a morire per te». Quando la nostra mamma da piccoli ci insegnava a compiere ogni giorno della novena del S. Natale un piccolo fioretto perché il Bambino Gesù ci stesse più comodamente sul fieno rigido e la paglia non lo facesse soffrire – Lui che sarebbe morto in Croce per nostro amore -, la nostra mamma senza saperlo coglieva in modo ingenuo, ma reale, il vero senso della nascita di Dio nel mondo, quello cioè di un profondo sacrificio.

Pensiamo: l’Infinito di Dio si è racchiuso in un minuscolo corpo di bambino. Egli, che ha creato tutto ciò che esiste, si è umiliato a nascere come un meschino figlio di uomo. Egli, l’Eterno, Bellissimo, Incorruttibile ha rivestito questa nostra carne, che ci pesa con tutte le sue esigenze, le sue infermità, la sua condanna a morire e a dissolversi. Egli, ai cui cenni tutte quante le creature si muovono come un canto immenso in Suo onore, ha vissuto in mezzo ai piccoli uomini, trattato colla stessa indifferenza con cui guardiamo le persone ignote che ci passano accanto. Egli, che costruì con meravigliosa sapienza tutte le leggi dell’universo e che conosce anche il più piccolo pensiero che s’alza dal nostro cuore nell’oscurità silenziosa della notte, fu trattato da pazzo. Egli, la giustizia vera, fu condannato ingiustamente. Egli, la vita stessa, in cui ogni vita affonda le radici di sua esistenza, morto sul patibolo degli schiavi. Egli, l’Amore, il cui sguardo trasformava una vita intera, la cui parola consolava una vita intera e di cui il tocco solo delle vesti risanava, giustiziato come un assassino.

La storia del Bambino di Nazareth è una storia di dolore ed è come una grande strada su cui tutti gli uomini, senza distinzione, devono camminare: ma vi è chi la percorre bestemmiando; vi è chi la percorre scuotendo la testa incredulo e senza persuasione; vi è chi la percorre come un lungo lamento, intontito, senza comprendere la meta divina; vi è infine chi la percorre con religiosa rassegnazione: vero martire, cioè testimone di Gesù Cristo – come Stefano -, è colui che si sforza almeno di percorrerla con amore. La vita dell’uomo è colma di fatiche, di rinunce, di dolore: ma l’uomo è attaccato alla sua vita terrena con un istinto formidabile; l’uomo su di essa fabbrica tutti i suoi sogni; in essa colloca tutte le sue speranze; per essa spende tutte le sue fatiche; per tenere la sua vita terrena l’uomo rinuncerebbe volentieri alla certezza di una vita felice nell’aldilà; il dolore e le pene che trova, si sforza bene di diminuirle: con un istinto profondo di egoismo, che cerca di scaricare su chi lo circonda la maggior quantità possibile di pesi, che cerca di asservirsi gli altri, che del bisogno e delle pene del prossimo si disinteressa con sollecitudine. In questa mentalità ogni malato è tenuto come un tollerato; ogni povero è un disgraziato; chi piange, un infelice; ogni essere debole e impotente, una cosa disprezzabile; ogni anima mite, un obbrobrio; ogni individuo poco quotato in società, un fallito. Così sorge l’abborrimento a ciò che costa, la nausea del dovere che impone fatica, l’odio al sacrificio.

A questo punto, per contrasto, mi pare quasi che S. Stefano sorga tra il cumulo dei sassi scagliati, a ricordarci una pagina di Vangelo. Un giorno Gesù si azzardò a dire chiaramente ai discepoli che Egli di lì a poco sarebbe dovuto essere crocifisso. Pietro, presolo per un braccio, si mise a rimproverarlo che così parlasse. Gesù, alzato lo sguardo severo ai discepoli, e con una voce che deve aver fatto rimanere assai male il povero Pietro: «Indietro, Satana – gli intimò -, tu ragioni non collo Spirito di Dio, ma collo spirito di questo mondo» (cfr. Mc 8,33). Indietro, Satana! La distinzione tra Cristo e l’anticristo, fra il cristiano e il non cristiano sta proprio in questa valutazione del sacrificio e della vita. Il sacrificio ha una funzione redentrice, perché è la strada che Cristo ha battuto per salvarci e che ognuno di noi deve seguire per giungere alla sua vera casa. Il sacrificio ha una funzione educatrice, perché ci impedisce di cullare l’illusione che la vita terrena debba durare indefinitamente; ci impedisce di scambiare la misera via del pellegrino colla luminosa eterna felicità della patria. Indietro, Satana! aveva risposto Cristo a Pietro; e levando poi la voce perché l’avesse a sentire anche la folla che gli s’andava accalcando intorno: «Chi mi vuol seguire, su, prenda la sua croce. Perché chi non vuole soffrire ora, soffrirà per sempre; ma chi si sacrificherà ora, godrà per sempre. Che importa a un uomo il divenir padrone dell’universo, se poi perde l’anima sua? Che cosa in cambio darà l’uomo per la sua anima?» (cfr. Mc 8,34-37). Come dovette sentire questo pensiero S. Stefano quando veniva spinto a viva forza fuori dalla Sinagoga e trascinato per le viuzze ingombre dalle baracche dei rigattieri fino al Palazzo del Sommo Sacerdote, per essere condannato alla morte.

Lezione di sacrificio quella di Natale e S. Stefano, ma quale il mezzo per poterla vivere? Ce lo indica S. Stefano colla sua appassionata dedizione al Signore Gesù. Si potrebbe esprimere così: «Non bisogna sentirsi da soli». Quando due sposi fedeli si sentono l’uno vicino all’altro; quando i genitori si sentono vicini ai loro figlioli e i figli accanto ai genitori, la loro forza davanti al sacrificio non è forse centuplicata? Quando degli amici veri si sentono solidali e compatti nel loro Ideale, la loro forza davanti ad ogni ostacolo non si ingigantisce a dismisura? Oh fratelli, e sposo e genitore e figlio e amici altro non sono che una espressione sensibile di Cristo benedetto, l’invisibile ma vero sposo e padre e madre e figlio ed amico, sempre desto accanto a noi con affetto infinitamente premuroso per sostenerci colla sua forza divina. Ma bisogna “credergli”. E credere non è appena prestar fede alle sue parole, ma aderire alla Sua Persona, sentire la Sua Persona sempre presente, dominatrice di ogni attività della vita, di ogni relazione sociale, perfino di ogni forma di pensiero e di sentimento interiore. Dobbiamo poter affermare che nella vita giudicheremmo o agiremmo in modo completamente diverso, se Nostro Signore Gesù Cristo non esistesse: perché Egli è ogni giorno il nostro Maestro personale. «Mi chiamate Maestro, e fate bene: perché lo sono» (cfr. Gv 13,13). È questa fede profonda nella presenza vivente di Nostro Signore Gesù Cristo che fece di Stefano il primo martire: eccolo, ritto, colle braccia elevate mentre la gragniuola di sassi gli cade addosso furibonda: e «lo lapidarono, mentre egli pregava dicendo: “Signore Gesù, accogli l’anima mia”» (cfr. At 7,59).

Un ultimo riflesso ci suggerisce la festa di oggi. «Noi abbiamo abbandonato tutto, Signore, per seguirti» (cfr. Mt 19,27), esclamò una volta Pietro a Gesù. E voleva quasi soggiungere: «Che ci darai?». Gesù rispose alla domanda sottintesa: «Il centuplo in questa vita e la vita eterna» (cfr. Mt 19,29). Il centuplo in questa vita. È una gloria anche terrena: dopo tanti secoli ancora oggi milioni di uomini in tutto il mondo rendono il loro canto di omaggio a S. Stefano e la sua apoteosi s’innalza come una magnifica cattedrale, fatta di ammirazione, di gloria, di amore, di entusiasmo, di venerazione. Ma soprattutto il frutto del sacrificio accolto sulla terra è la pace. Il bene dell’esilio è la pace, come il bene della patria è la felicità. Io parlo, fratelli, della pace interiore, senza di cui non si può godere completamente di nulla; della pace interiore, perché quella esterna in tanto è necessaria in quanto che senza di essa diviene molto più difficile il mantenere quella interiore dello spirito: noi oggi ne abbiamo l’esperienza. La pace vera, quella che importa e che è la sicurezza grande della coscienza che cerca di fare la volontà di Dio; la pace vera, quella che importa e che è la tranquillità profonda che ognuno di noi può sentire, ma che è quasi impossibile far capire a uno che non la prova; che ci lascia lo strazio e il dolore e l’ansia della fatica, ma che in fondo all’anima, appena ci ritorniamo, ci fa trovare una fedele rassegnazione, una silenziosa e certa speranza; la pace vera, quella che importa e che è una pazienza piena di bontà e di comprensione per gli altri, che son tutti nostri fratelli e miseri come noi. Ecco Stefano, colpito a morte, cade in ginocchio con un ultimo grido pieno di pace: «Signore, perdona loro questo peccato» (cfr. At 7,60).

Ci dia Gesù Bambino, per intercessione della Madonna, come la diede al Suo primo martire, la forza sovrumana di saperLo seguire sulla strada della Croce, che è la legge di ogni vita, che è la legge di ogni vero amore, che è – ora – soprattutto la legge della vera amicizia con Cristo. Questa forza Egli la darà ai suoi poveri fratelli uomini, i cui giorni disgraziati fanno toccare con mano come non siamo fatti per la terra.

A noi che dobbiamo soffrire e non vogliamo soffrire, noi che dobbiamo piangere e versiamo con amarezza impotente le nostre lacrime; noi che siamo spogliati e martoriati, e ci ribelliamo con istinto di belve ferite agli strappi rudi; noi che dobbiamo morire e vorremmo fuggire dalla morte con raccapriccio e con orrore. Ci dia di soffrire in pace; di piangere in pace; di sentirci martoriati in pace; di morire in pace.

Nella sua visione dell’Apocalisse S. Giovanni vide davanti al trono dell’Agnello, cioè di Cristo, una immensa moltitudine di persone biancovestita, con una palma tra le mani. Domandò chi fossero: «Essi sono coloro che vennero dalla tribolazione e hanno reso bianche le loro vesti nel sangue dell’Agnello [cioè nella croce e nel dolore]. Perciò ora sono davanti al trono di Dio. Essi non avranno più né fame né sete, né il sole mai tramonterà per essi. E l’Agnello li condurrà per sempre alla sorgente della vita, della felicità, e Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi» (cfr. Ap 7,14-17). Et absterget Deus omnem lacrimam ex oculis eorum. Che meravigliosa cosa! Ricordiamo, fratelli, nel nostro dolore, la visione di S. Giovanni, e confortiamoci al dolcissimo pensiero che «Dio asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi».

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Difendessero la fede in Gesù Cristo (e i dogmi) con la stessa tenacia con cui si battono per Ici e 8 x 1000…

Posté par atempodiblog le 11 décembre 2011

DIFENDESSERO LA FEDE IN GESU’ CRISTO (E I DOGMI) CON LA STESSA TENACIA CON CUI SI BATTONO PER ICI E OTTO PER MILLE…
di Antonio Socci

Difendessero la fede in Gesù Cristo (e i dogmi) con la stessa tenacia con cui si battono per Ici e 8 x 1000... dans Antonio Socci antoniosocci

La campagna sull’ “Ici della Chiesa” è stata lanciata dai radicali per anticlericalismo, ma gli ecclesiastici hanno dato una risposta così disastrosa che alla fine la Chiesa – oltre a doversi piegare sull’Ici – ne ha ricavato pure un grande danno di immagine e di credibilità.
Parlavo di faziosità radicale. Scrive Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, che la scorsa estate i radicali presentarono un emendamento alla manovra-bis che voleva colpire esclusivamente “gli enti religiosi cattolici”.
In modo da negare “soltanto ad essi i benefici stabiliti dalla legge” per le opere “senza fini di lucro. Neanche citati tutti gli altri soggetti (altre religioni, associazioni laiche, patronati, realtà politiche e sindacali)”.
Questo, dice Tarquinio, dimostra che i radicali sono mossi da ostilità discriminatoria contro la Chiesa.

ERRORI
Ma perché una campagna radicale che per mesi l’opinione pubblica ha snobbato, d’improvviso è stata abbracciata da tanti diventando una polemica di massa contro la Chiesa?
Perché il governo Monti ha usato l’Ici per realizzare gran parte della sua stangata sulle famiglie e sui pensionati e perché la Chiesa – basti vedere l’Avvenire – è stata una sfegatata sostenitrice di tale stangata.
D’improvviso dal giornale dei vescovi sono spariti gli appelli accorati per il “quoziente familiare” che erano stati ripetuti nei mesi precedenti.
Che “a pagare siano ancora le famiglie”, come ha denunciato il Forum delle associazioni familiari, è diventato irrilevante: gli italiani – per il giornale dei vescovi – devono pagare e zitti.
“Il governo sta facendo gli interventi giusti, quelli che devono essere fatti” recitava l’editoriale di mercoledì scorso. Sono provvedimenti “sostanzialmente equi” e tale manovra ora deve essere “sostenuta dai cittadini”.
Sulla stessa prima pagina di Avvenire, sempre mercoledì, c’era un altro editoriale, firmato dal direttore, il quale però si opponeva a qualunque sacrificio da parte della Chiesa sostenendo che i trattamenti di favore sull’Ici non esistono.

CONFUSIONE
Sennonché, proprio nelle stesse ore, il Segretario di Stato vaticano, cardinal Bertone, diceva cose sull’Ici e la Chiesa che suonavano come una smentita di Avvenire: “E’ un problema particolare: da studiare e da approfondire”.
Non solo. Giovedì c’è stata un’altra dichiarazione, stavolta di Andrea Riccardi, presidente della Comunità di S. Egidio, appena nominato ministro nel governo tecnico, che ha detto: “La Chiesa dovrebbe pagare l’Imu in caso di attività commerciali”.
Come “dovrebbe”? Non lo sta facendo già? Se il ministro – che si presenta come “supercattolico” – dice che “dovrebbe pagare” si evince che qualche problema c’è.
Il ministro ha poi aggiunto che bisogna vedere “caso per caso, se c’è stata mala fede si intervenga”.
Tutto questo ha alimentato la confusione e i sospetti della gente. Allora proviamo a fare chiarezza.

IL PROBLEMA
Nessuno discute l’esenzione dall’Ici per gli edifici usati per il culto, l’educazione o la carità. E nessuno discute che sugli edifici ad uso commerciale la Chiesa già paghi la tassa sugli immobili.
Il problema nasce dalle situazioni ibride. O meglio da come è stata scritta dallo Stato italiano la norma che esenta dal pagamento dell’Ici le attività della Chiesa che abbiano un carattere “non esclusivamente commerciale”.
La vaghezza ha legittimato diverse interpretazioni. Non si trattava di andare a caccia di eventuali abusi, quanto di correggere una norma confusa (che riguarda pure circoli ricreativi, sportivi, partiti, sindacati e enti no profit laici).
Il caos è alimentato pure dal fatto che la legge si rimette alla discrezionalità dei comuni. Cosicché ognuno fa come crede.
Come si vede non c’è niente di scandaloso e la Chiesa avrebbe evitato polemiche e avrebbe fatto un figurone se, subito (per quanto la riguarda) avesse dichiarato: lo Stato riscriva quella norma se – nella sua vaghezza – ha appurato che permette esenzioni immotivate dall’Ici o addirittura abusi.  
Purtroppo però questo messaggio dalla Chiesa non è arrivato. La Cei ha negato fino a ieri che esistesse il problema.
Inoltre Avvenire e il Segretario di Stato vaticano hanno dato pieno sostegno alla stangata del governo dicendo agli italiani vessati da tasse e Ici che “i sacrifici fanno parte della vita” e bisogna farli.
A questo punto è stato naturale per tanti aderire alla campagna radicale rispondendo: bene, allora fateli anche voi.

AUTOGOL
Solo ieri, dopo che Monti ha fatto capire che era in attesa dell’esito della procedura d’infrazione aperta dalla Ue (su quella norma) e poi il governo sarebbe intervenuto, anche il cardinal Bagnasco si è arreso e ha dichiarato la disponibilità della Cei “se ci sono punti della legge da rivedere o da discutere”.
Confermando così che il problema (prima negato) esisteva e dando l’impressione di cedere a pressioni ormai insostenibili.
O magari per timore che si apra un altro fronte. Infatti la manovra del governo che rivaluta le rendite catastali “grazia” gli edifici della Chiesa. Già ieri “Il Sole 24 ore” faceva su questo un titolo un po’ scandalistico.
In realtà la cosa ha un suo senso e la vera assurdità riguarda le banche, graziate da una rivalutazione di soli 20 punti, mentre per le abitazioni delle famiglie il moltiplicatore delle rivalutazioni va da 100 a 160.
Ma “Il Sole” preferisce puntare il dito contro la Chiesa anziché contro le banche.
Del resto se la Chiesa, invece di prendere la difesa delle famiglie tartassate, applaude alla stangata, alimenta un risentimento che la porta al centro delle polemiche e accende un anticlericalismo pericoloso e ingiusto che ne fa un capro espiatorio su cui tutti possono picchiare.
E’ un vero peccato che la Cei non abbia giocato d’anticipo come avrebbe potuto e dovuto.
Questo infatti è lo stile di una realtà come la Chiesa, che è al servizio dell’uomo e corre sempre in soccorso di tutti: degli alluvionati, dei disoccupati, delle famiglie indigenti, stanziando grandi fondi e costruendo opere di carità.
Perché dunque non ha difeso le famiglie dalla stangata, anche rifiutando alcune agevolazioni per dare il suo contributo ai sacrifici degli italiani?

IL TESORO
Il problema è che quando si parla di Ici e di otto per mille, si scatena una reazione furibonda nel mondo ecclesiastico.
Perché? Non si capisce.
Si può dire però che
se la stessa vivacissima reazione scattasse anche in difesa della fede in Gesù Cristo e dei dogmi (messi in discussione pure da tanti teologi), il cristianesimo sarebbe fiorentissimo.
In questi giorni perfino “Famiglia cristiana” – che di solito è pappa e ciccia con la sinistra – si è messa a scagliare anatemi contro la “provocazione laicista” sull’Ici allestita dai “soliti radicali, qualche politico socialista e qualche agit-prop di Rifondazione comunista, ampiamente seguiti dalla stampa laica e di sinistra”.
Com’è che “Famiglia cristiana” si scaglia contro i “laicisti”, la “stampa di sinistra” e perfino “i comunisti” solo quando si occupano dei soldi degli enti ecclesiastici?
Siamo sicuri che il “tesoro” della Chiesa sia nell’Ici e nell’otto per mille? Ovviamente no. L’unico vero “tesoro” della Chiesa è Gesù Cristo.
Tanti uomini e donne di Dio – in nome di Gesù – danno la vita per alleviare la sofferenza delle persone, nei corpi e nelle anime, nelle nostre città come nella giungla amazzonica.
E la loro santità è così affascinante che attira gli aiuti di tanta gente senza bisogno di leggi dello Stato.
Come Madre Teresa o come padre Pio, costoro, per costruire le loro opere di carità, confidano in Dio, non nella sicurezza data da una legge. E testimoniano che Dio non li delude. Cosa c’insegnano? Semplice. Che la Chiesa non deve preoccuparsi tanto dell’Ici quanto della sua santità, “il resto vi sarà dato in sovrappiù”.
Giovedì il Papa ha detto: “L’unica insidia di cui la Chiesa può e deve aver timore è il peccato dei suoi membri”. Per questo anche nelle persecuzioni vince se si rivolge “alla sua Madre celeste e chiede aiuto”.

Ma occorre la fede.

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Toh, il prete non è pedofilo e incastra i media irlandesi (e la pavida chiesa)

Posté par atempodiblog le 10 décembre 2011

Toh, il prete non è pedofilo e incastra i media irlandesi (e la pavida chiesa) dans Articoli di Giornali e News santopadre

Manca un mese a gennaio 2012. Una data a suo modo storica per la chiesa cattolica. Esattamente dieci anni fa, infatti, nel gennaio del 2002, un quotidiano dava notizia per la prima volta di uno scandalo lagato alla pedofilia nel clero. Fu il Boston Globe a riportare la vicenda di padre John Geoghan, il prete che costringerà successivamente il cardinale Bernard Law, allora arcivescovo di Boston, alle dimisssioni. Il prete che, accusato di aver abusato di oltre 130 bambini nell’arco di trent’anni di carriera, venne ucciso in carcere nell’agosto del 2003. A distanza di dieci anni, ancora il caso Geoghan rappresenta per molti un simbolo spaventoso del fallimento della chiesa: spostato di parrocchia in parrocchia nonostante i suoi crimini, ha mietuto vittime senza che nessuno abbia fatto nulla per opporsi. Dopo Geoghan è arrivato padre Kevin Reynolds. Prete nella contea di Galway, nell’ovest dell’Irlanda, è divenuto anche lui il simbolo dei fallimenti della chiesa nel suo paese, l’esempio a cui guardare quando si vuole parlare della piaga della pedofilia nel clero, una piaga sulla carta enorme se si pensa che è soltanto ai fedeli irlandesi, e non a quelli di altre chiese, che Benedetto XVI ha dovuto scrivere una lettera sostanzialmente di scuse e penitenza.
Ma la domanda che oggi molti si fanno è una: Papa Ratzinger avrebbe scritto ugualmente la sua lettera se avesse saputo la verità su Reynolds? Probabilmente sì. Seppure le ultime notizie relative al prete di Galway insegnano quanta superficialità (o peggio) vi possa essere nei media quando decidono di impiccare sulla pubblica piazza un prete per il supposto crimine di pedofilia. La notizia di queste ore, infatti, è clamorosa: Reynolds, il “Geoghan europeo” come lo chiama John Allen in un suo lungo reportage, è innocente. Non ha mai abusato di bambini. Non è un pedofilo. Sessantacinque anni, parroco irlandese che aveva trascorso parte della vita come missionario in Kenya, Reynolds da diversi mesi è diventato suo malgrado una “star” della televisione nazionale irlandese Rte. Una trasmissione provocatoriamente intitolata “In missione per predare” l’ha messo nel mirino: Reynolds, come altri preti irlandesi, è partito per la missione per “predare” minorenni e non per “pregare” con loro. Una giornalista di Rte è addirittura partita per il Kenya. Qui ha intervistato una donna di nome Veneranda che ha dichiarato che Reynolds l’aveva violentata nel 1982. A seguito di quella violenza la donna era rimasta incinta. Sheila, la figlia quattordicenne di Veneranda, è cresciuta senza suo padre, appunto Reynolds. Veneranda ha anche dichiarato che, prima dell’arrivo di Rte in Kenya, Reynolds l’ha contattata offrendo soldi in cambio del suo silenzio.
Forte di queste accuse, Rte è andata fuori dalla parrocchia di Galway di Reynolds il giorno in cui questi stava somministrando la prima Comunione a dei bambini: “Ecco” ha dichiarato una voce fuori campo “il prete pedofilo e stupratore libero di dare la prima Comunione a dei bambini”.
Reynolds ha però reagito. Ha dichiarato alla stampa di essere innocente, di non aver mai abusato di minori e che, per dimostrare la sua non colpevolezza, si sarebbe sottoposto al test di paternità. Rte non gli ha creduto e, in attesa dei risultati, ha continuato a infangarlo. Intanto anche la chiesa si adeguava alle accuse. E in linea coi nuovi protocolli rimuoveva immediatamente Reynolds dai suoi incarichi. Dopo qualche giorno due test del Dna effettuati da due società diverse scagionavano del tutto il prete irlandese stabilendo che non è Reynolds il padre del bambino. E’ stato il direttore di Rte Noel Curran, prima di dimettersi, a dettare un comunicato di scuse che recita così: “Rte comunica senza riserve che le affermazioni fatte contro padre Kevin Reynolds sono senza qualsivoglia fondamento e false, e che padre Reynolds è un sacerdote della massima integrità, il cui servizio senza macchia reso alla chiesa per quarant’anni ha dato un valido contributo alla società in Kenya e in Irlanda sia nel campo dell’istruzione sia nel campo della pastorale”. Ha detto ancora Curran: “Questo è stato uno degli errori editoriali più gravi che io abbia mai fatto”.
La vicenda ha creato qualche imbarazzo anche nelle gerarchie irlandesi. L’arcivescovo Diarmuid Martin di Dublino, che più di altri ha accusato i vescovi locali e anche la curia romana di non aver fatto abbastanza per arginare il problema della pedofilia, ha detto che nonostante tutto a suo avviso i media irlandesi non hanno pregiudizi nei confronti della chiesa.

di Paolo Rodari – Il Foglio

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Ici-Chiesa, confusione anche ministeriale

Posté par atempodiblog le 10 décembre 2011

Ici-Chiesa, confusione anche ministeriale dans Articoli di Giornali e News abbaziasanmercuriale

Ci mancava anche il ministro Riccardi ad aggiungere un po’ di confusione sul tema Ici e Chiesa. E’ vero, le sue parole pronunciate durante un’intervista in un programma tv della Rai sono state volutamente forzate: non ha detto “la Chiesa paghi l’Ici”, come hanno titolato alcuni giornali online; ha detto che gli edifici ecclesiastici adibiti ad attività commerciali già pagano l’Ici, e che se ci sono abusi tocca ai Comuni vigilare. Ma non c’è dubbio che le parole di Riccardi restano ambigue e fonte di ulteriore confusione, in un momento in cui è stato rilanciato il tormentone dell’Ici per attaccare la Chiesa.

Per la esatta e puntuale spiegazione dell’argomento Chiesa-Ici
rimandiamo ad
un articolo già da noi pubblicato mesi fa e preparato dall’avvocato Marco Ciamei, che spiega sinteticamente l’attuale situazione legislativa e risponde ai più diffusi luoghi comuni. Qui però vogliamo riprendere almeno un paio di questioni fondamentali che sarebbe bene che un ministro della Repubblica spiegasse ogni volta che deve intervenire sul tema, e non per difendere la Chiesa ma per ristabilire la verità e fare chiarezza.

Primo: non esiste alcuna legge che privilegia la Chiesa
. L’esenzione dall’Ici prevista dalla legge riguarda tutti gli immobili utilizzati da un “ente non commerciale” e destinati “esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”. In pratica c’è un’esenzione che riguarda tutto il mondo no profit ed è circoscritta a otto attività ben definite dalla legge. Al di fuori di queste attività, anche gli enti non commerciali pagano l’Ici. Sarebbe davvero curioso – ma sarebbe giusto dire discriminatorio – se con una legge ad hoc si escludessero soltanto gli immobili ecclesiastici dall’esenzione.

Secondo: “commerciale” non vuol dire “a fine di lucro”.
Ed è su questo termine che si gioca il grande equivoco. Da un punto di vista tecnico, infatti, “commerciale” è tutto ciò che chiede un corrispettivo a fronte di un servizio, quale è ad esempio una retta per la frequenza della scuola materna. Ma questo tipo di attività commerciale rientra giustamente nell’esenzione perché è tra le otto categorie previste dalla legge. Quindi per questo genere di attività commerciali la Chiesa – come tutti gli altri enti no profit – non deve pagare l’Ici. La tassa sugli immobili viene pagata invece per altri tipi di attività commerciali, come ad esempio quella alberghiera. Ma anche qui bisogna essere chiari: un pensionato per studenti fuori sede o per l’ospitalità di parenti di malati ricoverati in ospedali lontani dalla residenza, non è assimilabile a un albergo. E’ invece una struttura ricettiva complementare, di carattere sociale, che rientra nelle otto attività suddette. E del resto soltanto un pazzo accecato dall’ideologia può sostenere che un pensionato per studenti fuori sede sia “concorrente” di un albergo.

Detto questo, i cattolici che oggi si stracciano le vesti
per questo nuovo attacco pretestuoso e vergognoso alla Chiesa, guardino bene gli effetti in Parlamento di questa nuova campagna promossa dai Radicali. E ci pensino la prossima volta che sponsorizzano il finanziamento “illecito” di Radio Radicale a spese dei contribuenti.

di Riccardo Cascioli – La Bussola Quotidiana

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