Tu scendi dalle stelle e Quanno nascette Ninno
Posté par atempodiblog le 6 décembre 2011
Il segreto dell’apprezzamento che si è prolungato lungo l’arco di oltre due secoli per i canti natalizi alfonsiani trova probabilmente la sua ragione più profonda nella considerazione del primo biografo di sant’Alfonso, Antonio Maria Tannoia. Il quale scrisse di lui che «Alfonso predicava Cristo e non se stesso».
Ora, la sua predicazione si esprime – come è noto – non solo attraverso le missioni popolari e degli esercizi spirituali, ma anche nelle forme dei trattati di teologia morale e di spiritualità, negli scritti di polemica nei confronti delle tesi illuministiche, e non ultimi, nei canti spirituali, scritti e musicati (o comunque adattati) direttamente dal fondatore dei Redentoristi.
Un’altra forma di catechismo
Se delle opere antilluministiche lo stesso biografo (e confratello) ha commentato che valsero più di una missione popolare, ancor più si dovrà dire delle canzoni spirituali e di quelle sul mistero del Natale, in particolare. In effetti, Alfonso – che ebbe fin da giovanissimo una solida preparazione musicale – ben sapeva quanta influenza potevano avere i canti nell’alimentare lo spirito di fervore religioso, e nel comunicare, anche emotivamente, la sostanza delle verità di fede.
Durante le missioni spesso venivano intonati i motivi musicali che egli aveva composto, e che talvolta suonava egli stesso per la comunità durante i momenti di ricreazione. I testi e le musiche avevano un andamento popolare e venivano appresi con facilità, andando a sostituire – era tra le intenzioni di Alfonso – canti profani, non raramente licenziosi.
La musica, insomma, non era un esercizio di virtuosismo personale slegato dall’apostolato, ma ne costituiva una continuazione di notevole efficacia. A conferma di questa fondamentale coerenza può essere citato il fatto che da vescovo Alfonso proibì il canto “figurato” (che riecheggiava arie di opere liriche) nei monasteri, dichiarando ammesso l’uso del solo gregoriano.
Musica sacra napoletana e universale
I canti alfonsiani appartengono certamente al linguaggio della musica sacra napoletana, come si era venuta fissando nel corso del Settecento, ma l’intensità contemplativa che li caratterizza e la calda immediatezza espressiva delle immagini evocate li hanno resi veramente universali.
Il Santo non ha mai stampato la musica delle sue “canzoncine” spirituali (anche se ha scritto certamente della musica), ma in ogni caso essa era facilmente memorizzabile, e come tale veniva presto imparata dai suoi confratelli e dalle popolazioni.
Per le “canzoncine” proposte durante le missioni utilizzava ed adattava spesso melodie preesistenti. Nel caso, poi, di Tu scendi dalle stelle, la melodia è molto simile a quella suonata ancora attualmente dagli zampognari abruzzesi nelle novene dell’Immacolata e di Natale.
Uno studioso redentorista, il p. Paolo Saturno, ha scritto che tra le caratteristiche fondamentali dei canti alfonsiani vanno segnalate «l’uso costante (…) di determinate misure di tempo soprattutto il 6/8, la particolare aderenza testo-musica, la sempre emergente castigatezza di una melodia essenziale restia ad ogni soverchia fioritura melismatica e la cristallina semplicità che tutto predomina». Si tratta di elementi che traspaiono certamente in modo tutto particolare nei canti natalizi, e tra essi nei più famosi: la pastorale Quanno nascette Ninno e l’andantino Tu scendi dalle stelle.
Il semplice e profondo messaggio di Tu scendi dalle stelle
Quest’ultima, composta nel 1755, sembra evocare proprio le scene del presepe, e di quello napoletano in specie. La suggestione delle immagini – che pare richiamare l’intensità del teatro sacro – fa tutt’uno con l’essenzialità delle parole e con la vibrazione affettiva della melodia.
Il tutto è caratterizzato da una capacità evocativa che si fa sentire in modo inconfondibile nel famosissimo poemetto pastorale in dialetto napoletano (composto agli inizi dell’attività sacerdotale di Alfonso).
Questi canti natalizi propongono nella loro essenzialità la contemplazione del mistero dell’Incarnazione. Ma non in modo freddamente dottrinale né in forma di vuoto sentimentalismo. Il Natale è il mistero della potenza di Dio che assume tutta la debolezza della condizione umana, fino alla indigenza del Bambinello deposto sul fieno ed esposto al freddo. L’unico Dio creatore dell’universo vagisce nella mangiatoia: mentre non cessa per un istante di essere il Signore onnipotente viene incontro agli uomini e li chiama ad accoglierlo.
In queste melodie tradizionali nulla è banale, niente è casuale. La profondità della teologia si coniuga con la semplicità dei versi, e con l’orecchiabilità della musica. Ciascuno diviene partecipe dell’evento più importante della storia dell’umanità. Ciascuno è fatto compartecipe del rilievo cosmico ed escatologico del Natale. Ciascuno è chiamato a gioire con l’universo intero e con la storia intera, giacché attraverso l’Incarnazione, la grazia renderà possibile nel suo epilogo finale – secondo la profezia – l’amicizia della pecora e del leone, “e co lo lupo ‘n pace o pecoriello”.
Chi ascolta i canti natalizi alfonsiani è posto davanti alla grotta di Betlemme con l’intelligenza e con l’affetto, ove la mente e il cuore vibrano in umanissima sintonia. Soprattutto è sollecitato a pensare che il mistero del Dio-Bambino, “Ninno bello” – che non può non essere amato – si compie per lui. Non per una umanità indistinta né per un uomo astratto. Ma per ognuno, concretamente. Per il quale il Bambinello vagisce, e per il quale il Verbo incarnato sta compiendo la redenzione, attraverso ogni suo respiro ed ogni sua sofferenza.
Insomma, “Tu scendi dalle stelle” e “Quanno nascette Ninno” presentano l’amore di Dio che è alla radice del Natale, come un intensissimo richiamo ad amare l’unico vero Dio. Ove ciò che sollecita l’amore è proprio l’amore. Anzi, ove ciascuno è chiamato con l’efficacia della tenerezza ad interloquire familiarmente (Alfonso insisteva sulla necessità di predicare con linguaggio “alla familiare”) con il Salvatore.
di Giovanni Turco – Radici Cristiane
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