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Quella sera di Natale del 1886

Posté par atempodiblog le 3 décembre 2011

Paul Claudel: colpito dal canto del Magnifiicat, «in un istante il mio cuore fu toccato e io credetti»…
di Maria Di Lorenzo – Mensile Madre di Dio

«C‘è una cosa, Dio supremo, che Tu non puoi fare. / Ed è di impedire che io Ti ami». L’amore radicale, oseremmo dire bruciante, che il poeta nutre nei confronti di Dio è espresso da due versi fulminanti in cui la supplica si fa assoluta. Paul Claudel nella primavera del 1900, all’età di 32 anni, si era presentato all’abbazia benedettina di Solesmes, e qualche mese più tardi a quella di Ligugé, per un ritiro. Ma aveva compreso di non essere fatto per la vita monastica. «Fu un momento molto crudele nella mia vita», scrive a Louis Massignon nove anni dopo. «Benché non sia piaciuto a Dio di farmi uno dei suoi preti, amo profondamente le anime», dirà ad André Gide con cui, insieme a Jacques Rivière, fonderà La Nouvelle Revue française (1909).

Da questo momento Claudel decide di praticare la letteratura come una sorta di sacerdozio. Sente che è questa la sua missione. E per guadagnare le anime a Dio mette in scena le questioni morali e spirituali proprie del cattolicesimo testimoniando i piani divini attraverso le realtà terrestri. A tutt’oggi è riconosciuto come uno dei massimi autori francesi del Novecento e le sue opere teatrali sono ancora rappresentate con successo in tutto il mondo.

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Parigi: la Cattedrale di Notre-Dame, una delle costruzioni gotiche (1163-1345) più celebri del mondo.

U
na vocazione unica.
Era nato a Villeneuve- sur-Fère il 6 agosto 1868 – giorno della Trasfigurazione, come lui stesso noterà anni più tardi – e alla nascita viene consacrato alla Vergine, come primo maschio. A Villeneuve resta solo due anni, poiché il padre, che era conservatore delle ipoteche, è costretto dal suo lavoro a continui trasferimenti, finché nel 1882, a 13 anni, si trasferisce a Parigi con la madre e le sorelle.
Al liceo Louis Le Grand è un allievo molto brillante: legge Baudelaire, scopre con passione Goethe, ma è verso il poeta Arthur Rimbaud che sente di avere una sorta di « filiazione spirituale », forse perché percepisce nel precoce genio letterario, sotto le apparenze di una vita da maudit, la sua stessa sete bruciante di assoluto. Anche Paul è un ribelle. Tutto gli dà noia. Tutto in quei primi anni giovanili, imbevuto com’è di idee positiviste, gli risulta intollerabile, la morte come la vita, la solitudine come la compagnia. Comincia a cercare delle risposte che sazino la sua fame esistenziale. Simpatizza con il movimento anarchico del suo tempo e inizia a frequentare i Martedì letterari di Mallarmé.
Dai quattordici ai vent’anni vive il tempo difficile della crisi adolescenziale. «Chi sono io?», si chiede il giovanissimo Paul, e non sa trovare risposta. In questo periodo, abbandonate le pratiche religiose dell’infanzia, non ha punti fermi nella sua vita. È introverso e solitario. Nessuno, in famiglia come nella cerchia di amici, sospetta la crisi profonda in cui è immerso. Legge molto, ma confusamente: i romanzi di Hugo, di Zola, La vie de Jésus di Renan. Al liceo Louis Le Grand imperversa la moda del positivismo materialista di Taine e di Renan che invece di placare acuisce la sua inquietudine interiore. Del mondo ha una visione tanto cupa e disperata che non ha il coraggio di comunicare ad anima viva. La prima luce gli viene dalla lettura dei versi di Rimbaud, poi accadrà quello che sarà l’evento decisivo della sua vita.

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Una foto di Paul Claudel

A
diciotto anni, la sera di Natale del 1886, Paul va ad ascoltare i Vespri
a Notre- Dame e lì avviene il « giro di boa », una conversione così potente che imprimerà un segno fortissimo non solo alla sua anima, ma finirà per avvolgere e racchiudere tutta la sua esperienza letteraria. Colpito dal canto del Magnificat durante la funzione dei Vespri, avverte il sentimento vivo della presenza di Dio. «In un istante – scrive – il mio cuore fu toccato e io credetti».
Claudel in quell’istante si è sentito chiamato inequivocabilmente alla scrittura. Si può dire che solo ora comincia la sua attività letteraria, che non sarà mai disgiunta dal suo percorso di fede, ma costituirà un tutt’uno con esso, divenendone per questo strumento di conoscenza e di espressione artistica.
Tre anni dopo pubblica l’opera teatrale Testa d’oro. «Certamente – gli dirà Mallarmé – il teatro è in lei». Ma Paul in quegli anni decide di impegnarsi soprattutto nel diritto e nelle scienze politiche; superato un concorso, comincia a lavorare presso il Ministero degli affari esteri. Viene nominato viceconsole e mandato a New York, successivamente a Boston (1893). Lì stabilisce quella che sarà la sua regola di vita: sveglia ogni mattina alle 6 per pregare o recarsi a Messa; lavori personali fino alle 10, il resto del tempo dedicato alla diplomazia.
Scrive due nuove pièces, La città e Lo scambio, in cui esprime la sua scoperta della città e della società del profitto. Sente di aver trovato nel poema e soprattutto nel teatro la sua personale forma espressiva. Il suo stile è impetuoso, passionale, quasi violento, a tratti impenetrabile. Pensiamo per esempio al primo abbozzo del dramma La giovane Violaine che nasce da una antitesi potente, e irrisolta, tra cielo e terra, tra l’attaccamento profondo alle cose del mondo e il desiderio ineludibile di Dio, che nessuna brama terrena, appagata o no, può mai riuscire a saziare.

U
n’opera magistrale per il sì di Maria.
A 27 anni s’imbarca per la Cina. Su consiglio del suo confessore, porta con sé le due « summe » di Tommaso d’Aquino, che leggerà per cinque anni. Qui scrive la prima parte di Conoscenza dell’Est, la sua prima opera in prosa, che i contemporanei definiscono come il massimo traguardo raggiunto dalla lingua francese. Nel 1909 lascia la Cina per andare a Praga: qui termina L’Annonce faite à Marie, una delle più belle pièces teatrali di tutti i tempi, che sarà rappresentata per la prima volta al Théâtre de l’Oeuvre di Parigi nel 1912, ricevendo un’accoglienza trionfale da un pubblico costituito soprattutto di giovani.
La pièce s’incentra su un tema particolarmente caro a Claudel: ogni essere umano vive nel mondo per volontà di Dio che ha affidato a ciascuno una missione specifica sulla terra. È un compito unico che ciascuno ha per sé, diverso da tutti gli altri, ma che concorre alla fine all’armonia di tutto il creato. Lo stesso titolo dell’opera ne spiega la portata: l’annuncio dell’Angelo a Maria fu il segno concreto della volontà divina che chiamava la giovane a una missione nel mondo che avrebbe non solo sconvolto la sua vita, ma cambiato radicalmente le sorti dell’intera umanità. È stato il manifestarsi, limpido e concreto, di una vocazione. L’Annuncio parte da questo dato per porre in luce l’errore che può compiere l’essere umano di fronte a questo, ritenendo che la propria vocazione dipenda in ultima analisi esclusivamente da se stessi.
Dopo la cessazione dall’attività diplomatica avvenuta nel 1935, Claudel si ritira nel suo castello di Brangues per dedicarsi intensamente all’esplorazione dei segreti e dei misteri di quella che per lui è la fonte di ogni poesia e di ogni grazia, la Bibbia, scrivendo numerosi commenti alla Sacra Scrittura: Introduction au Livre de Ruth (1937), Un poète regarde la croix (1938), Le Cantique des cantiques (1948-1954), L’Apocalypse (1952), solo per citare i più noti. Per il teatro realizza altre pièces, come La crisi meridiana, La scarpina di raso e l’oratorio drammatico Il libro di Cristoforo Colombo. Ma rimane L’Annuncio a Maria l’opera che Claudel amava di più. Quando, nel 1955, venne rappresentata alla Comédie française, si organizzò la replica nel suo appartamento. La prima ebbe luogo il 17 febbraio, di fronte al Presidente della Repubblica. Ma solo cinque giorni più tardi il cuore di Paul Claudel cedette. Morì infatti il 23 febbraio 1955, poco dopo aver ricevuto la Comunione. Le ultime parole che il figlio maggiore intese dalla sua bocca furono: «Non ho paura».

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