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San Silvestro

Posté par atempodiblog le 31 décembre 2011

San Silvestro
Non è stato padre della chiesa, né un martire, né un fondatore. È stato anche un papa ordinario. Ma sorprendentemente la tradizione romana lo ha esaltato. Per un semplice battesimo
di Antonio Socci - 30 Giorni

San Silvestro dans Antonio Socci 142a7wy

All’inizio del cristianesimo si trova una lunghissima serie di persecuzioni e di campagne diffamatorie. Da Crescente a Frontone, a Luciano, a Elio Aristide, a Marco Aurelio e Galeno, le accuse che ricorrono sono: ateismo, immoralità, odio del genere umano, disprezzo della religione tradizionale, atti turpi, affarismo e promiscuità, culti sanguinari e oscuri, infanticidio, antropofagia.In realtà i periodi di persecuzione di massa sono stati pochi. Nel III secolo, sotto la dinastia dei Severi, i cristiani sono tollerati (e si moltiplicano). Ma la Chiesa resta sempre fuorilegge e lo Stato può sempre procedere contro i singoli cristiani equiparandoli, solo per la loro fede, a criminali. È noto che ormai anche molte famiglie di patrizi e senatori sono state “contagiate”: in ciascuna ci sono dei cristiani, talora i figli, tal’altra le mogli, oppure i servi o qualche amico… Ma come e perché, attorno al 313, lo stesso imperatore abbracci il cristianesimo creando i presupposti per una delle più grandi rivoluzioni della storia, è ancora un affascinante enigma storico. Uno dei più straordinari.

Secondo lo Schulze, al tempo dell’Editto di Milano, promulgato da Costantino e Licinio, i cristiani ammontano a circa dieci milioni in un Impero popolato complessivamente da cento milioni di persone. Un decimo, quindi, della popolazione. Le comunità cristiane più fiorenti e più diffuse si trovano nelle province orientali (Asia, Siria, Egitto). Nell’Africa romana si contano circa centomila cristiani su nove milioni di abitanti e -più o meno- le stesse proporzioni valgono anche per l’Italia.

Nella città di Roma, per lo Schulze, vi sono circa diecimila cristiani su settecentomila abitanti. Sono cifre discutibili, ma comunque orientative. Al tempo dell’Editto di Milano il vescovo di Roma è Milziade. Ma muore in quello stesso anno. Nel gennaio del 314 si elegge il successore e viene scelto Silvestro, che vedrà identificato il suo pontificato con la grande rivoluzione di Costantino, perché, secondo la leggenda, fu lui che lo battezzò. Così, secondo la tradizione cattolica, il battesimo di un uomo, nella storia di Silvestro, si rivela più importante della sua stessa funzione ecclesiastica. È stato scritto: «Nel battesimo è l’unica sorgente di una personalità nuova, di protagonismo nuovo nella storia: tutto il resto sarà ruolo, mestiere, compito. Nel battesimo, l’“Uomo Nuovo” con cui incomincia l’eternità (l’eterno non è un lungo filo di tempo ma la verità delle cose), cioè Cristo, si comunica a chi sceglie. E chi è scelto è reso parte della creazione nuova, quella cui tutti sono destinati e che esploderà alla fine nell’evidenza universale. Chi è battezzato è chiamato da subito a far parte di un flusso, di una corrente contraria al grande movimento della palude mortale che urge le cose verso il nulla, l’insignificanza e la morte».

Silvestro era romano, figlio di un tal Rufino, che fu prete al tempo di papa Marcellino. Si può dire con una relativa certezza che al tempo dell’ultima persecuzione, quella di Diocleziano, si era dichiarato cristiano. Infatti, in tutte le regioni dove essa aveva imperversato, dopo non fu eletto vescovo se non chi aveva coraggiosamente affermato la sua fede in Cristo.

Il suo pontificato durerà più di venti anni (la morte lo coglierà infatti il 31 dicembre del 335), ma nulla di certo si conosce attorno alla sua persona e al suo ministero. Gli storici sono concordi nel ritenere il suo un pontificato di basso profilo, subissato dalla grandiosa azione di Costantino. Eppure è sotto di lui che si compie una delle svolte più importanti della storia della Chiesa. Forse per questo nei secoli successivi i cristiani riempiono di leggende quella storia che mancava. Secondo una di queste leggende, appena eletto, Silvestro dovette rifugiarsi sul monte Soratte per sfuggire a una persecuzione scatenata da Costantino dopo il suo editto. Costantino si sarebbe per questo ammalato di lebbra, perciò avrebbe fatto chiamare dal Soratte Silvestro che, battezzando l’imperatore, lo avrebbe miracolosamente guarito dal morbo.

Inoltre Silvestro avrebbe convertito la madre di Costantino, che aveva aderito al giudaismo, sostenendo pubblicamente una disputa con dodici scribi. Ma la leggenda più nota è quella riguardante la «Donatio Constantini», un falso probabilmente dell’VIII secolo con il quale si fece risalire alla volontà dell’imperatore -che aveva trasferito a Costantinopoli la capitale- il governo del Papa sulla città di Roma, ovvero il potere temporale della Chiesa.

Questo straordinario falso. contro cui inveì Dante e molti dopo di lui, ebbe una enorme importanza storica: il potere temporale è stato una garanzia di libertà per la Chiesa, durante i secoli (peraltro il documento può essere falso, ma è assolutamente vero che il popolo di Roma, abbandonato dagli imperatori, fin dalla calata dei barbari si pose nelle mani -anche politiche- del suo vescovo). La verità storica però è che Silvestro e Costantino si videro al massimo una o due volte e probabilmente non ebbero mai occasione di parlarsi.

Costantino, inoltre, fu battezzato solo nell’imminenza della sua morte, nel 337, e non da Silvestro, che era già morto, bensì dal vescovo Eusebio di Nicomedia. Ciononostante la Chiesa greca lo onora come santo e la tradizione lo definisce “il primo imperatore cristiano”.

Sicuramente non si può dire che il 28 ottobre del 312, quando sconfigge Massenzio riconquistando Roma, dopo aver fatto imprimere sugli scudi dei soldati il monogramma cristiano sognato la notte precedente, Costantino fosse o si definisse cristiano.

Era un grande condottiero e un grande riformatore. Ma le cronache dicono che, almeno inizialmente, Costantino non abiurò, pur parlandone con fastidio, la religione imperiale. Alcuni storici sostengono che Costantino fosse mosso esclusivamente da scaltrezza politica, per accattivarsi il sostegno dei cristiani. Ma, in mancanza di documenti, tutte le ipotesi sono possibili.

Quel che è certo è che, appena entrato in Roma, Costantino scrive a Massimino Daia chiedendo la fine delle persecuzioni contro i cristiani. Poi, dopo l’Editto di Milano, intima la restituzione alla Chiesa di tutti i beni confiscati sotto le persecuzioni e la riparazione dei danni. Dona inoltre alla Chiesa la sua residenza del Laterano – la residenza dei pontefici fino al XIV secolo -, gettando lì a fianco le fondamenta della grande Basilica Lateranense, che sarà la “madre di tutte le chiese”. È sotto il pontificato di Silvestro che si realizza il programma edilizio di Costantino con l’edificazione delle grandi basiliche romane. A poco a poco tutte le leggi vengono cristianizzate (si introduce anche il giorno festivo domenicale).

Soprattutto è gravida di conseguenze positive la decisione di Costantino di concedere l’immunità ecclesiastica, cioè l’esonero dei chierici dai «munera».

Costantino riconosce ufficialmente per questo solo la Chiesa “cattolica”, cioè quella che conserva la comunione con le altre chiese cristiane, la “grande Chiesa”, sanzionando così per autorità statale un diverso trattamento verso haeretici e scismatici (ad esempio i donatisti).

Le dispute teologiche che imperversano in questi anni fra le comunità cristiane diventano così un affare di Stato e in qualche modo Costantino vi si trova coinvolto in prima persona. Eccolo dunque alle prese con il conflitto fra i donatisti africani e le altre Chiese cattoliche: egli decreta, in base al pronunciamento del Vescovo di Roma, la distruzione delle chiese dei donatisti. Ma il Vescovo di Roma sembra quasi restare ai margini delle grandi scosse che agitano la cristianità. È Costantino a convocare i due importanti Concili di Arles, nel 314, e di Nicea, nel 325. Silvestro, che pure era stato invitato dall’imperatore, non vi partecipò e si fece rappresentare da alcuni legati (secondo la consuetudine era il vescovo della Chiesa ospite che presiedeva l’assemblea).

Silvestro dunque non prese parte nemmeno alla disputa lacerante aperta nella Chiesa dalle teorie di Ario, il presbitero di Alessandria che metteva in dubbio che Gesù fosse «vero Dio e vero uomo» e che pur avendo assunto in tutto la natura umana egli fosse Dio «della stessa sostanza del Padre».

Ario trovava filosoficamente inconcepibile ammettere questo paradosso. Com’è noto la sua terribile eresia devastò la Chiesa, la quale, però, proprio al Concilio di Nicea, lo condannò, definendo il Simbolo che professa e proclama ancora oggi nella liturgia.

«Il Concilio deliberò altresì sulla definitiva organizzazione episcopale della Chiesa, affidando ai supremi seggi metropoliti di Roma, Alessandria e Antiochia la giurisdizione sugli ecclesiastici rispettivamente di Occidente, di Egitto, della diocesi orientale escluso l’Egitto» (Mazzarino). Deliberò sui seggi episcopali, sul celibato dei chierici e proibì definitivamente le celebrazioni giudaizzanti della Pasqua (“protopaschite”). Solo quattro o cinque furono i vescovi occidentali che parteciparono a quel Concilio, che tuttavia assunse un’importanza straordinaria. Lo scarso rilievo che vi ebbe papa Silvestro non mette in dubbio la posizione di preminenza riconosciuta al Vescovo di Roma (emersa già con chiarezza sotto i pontificati di Vittore I e di Stefano I). Così non deve sorprendere la convocazione fatta da Costantino (il Concilio del 680, il sesto Concilio ecumenico, è il primo ad essere convocato insieme dal Papa e dall’imperatore).

Il primato del Vescovo di Roma, che siede sulla cattedra di Pietro, è sempre oggettivamente riconosciuto a prescindere dal fatto che sia un uomo straordinario come Callisto oppure uno ordinario come Silvestro.
La grandezza di Silvestro, in fondo, fu quella riconosciuta dalla tradizione cristiana, il battesimo di Costantino, l’accettare che un imperatore romano facesse per la Chiesa le cose grandi che fece Costantino, anche se -almeno nel 313, il momento della grande svolta- non si può certo dire che egli sapesse cosa era il cristianesimo, che professasse i suoi dogmi e che si fosse lasciato dietro le spalle il “mondo”.

Quel che è certo è che a Costantino «qualcosa di nuovo e di eccezionale era avvenuto in quell’anno» (Sordi). E su questo la testimonianza del biografo, Eusebio, concorda con quella di un pagano autore di un Panegirico su quegli eventi. Costantino, alla vigilia dello scontro con Massenzio, era molto preoccupato perché costui usava certe arti magiche in battaglia. Aveva anche capito che le divinità tradizionali, Giove o Ercole, invocate in precedenza da Severo e Galerio, contro Massenzio stesso nulla avevano potuto.

Egli decideva così di confidare nel summus deus che suo padre, Costanzo Cloro, aveva adorato per tutta la vita. Era il Sole, ma, dicono le cronache, Costantino si rivolse a questo unico signore «chiedendogli di rivelargli chi fosse e di stendergli la sua destra». E qui accade un fatto eccezionale. Eusebio dice: «Se non fosse stato lo stesso Costantino a riferirmi come andarono le cose, non ci avrei creduto». Al declinare del giorno nel cielo, davanti agli occhi esterrefatti di Costantino e di tutto il suo esercito, apparve un trofeo di luce, una croce, e una scritta: «Con questo segno vincerai». Arrivata la notte gli appare in sogno il Cristo di Dio con il segno visto nel cielo e lo esorta ad accettarlo come unica difesa contro i suoi nemici.
Costantino, svegliatosi, corse subito a discuterne con gli amici e decise «di non onorare nessun altro dio se non quello che aveva visto». Fu poi Osio, vescovo di Cordova, mandato subito a chiamare, che gli rivelò il nome di colui che aveva visto. Così, dopo la vittoria, per la prima volta un imperatore romano si rifiutava di salire il Campidoglio per ringraziare Giove.

Costantino non rinunciò al potere, anzi lo usò come nessun altro prima di lui. Si concepì come servo della Chiesa e ricevette il battesimo in punto di morte. Ma già Silvestro lo aveva accolto come cristiano (certo, un cristiano molto esuberante e… potente).

Per questo la tradizione cristiana ci ha consegnato la leggenda del battesimo di Silvestro. Il grande obelisco innalzato davanti la basilica di san Giovanni in Laterano ce lo ricorda. Il monolite fu scolpito in Egitto 3.500 anni fa. È un esemplare unico al mondo. Costantino decise di portare a Costantinopoli questo immenso monolite. Dopo la sua morte il figlio Costanzo cambiò la sua destinazione portandolo a Roma. Ma fu papa Sisto V, nel 1587, a recuperarlo ed erigerlo dove adesso si trova. Il 10 agosto del 1588, festa di San Lorenzo, fu benedetta la croce posta sulla sommità della stele. In una delle facciate della base Sisto fece scrivere: «Flavio Costantino Massimo Augusto / vindice ed assertore della fede cristiana / quest’obelisco, da un re egizio dedicato al Sole / con impuro voto, toltolo dalla sua sede, fece condurre attraverso il Nilo…». E nella quarta facciata: «Costantino, vincitore per intercessione della Croce / battezzato da san Silvestro in questo luogo / propagò la gloria della Croce».

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Santa Catherine Labouré

Posté par atempodiblog le 31 décembre 2011

Santa Catherine Labouré dans Apparizioni mariane e santuari Caterina-Labour

Catherine Labouré è nata il 2 maggio 1806 in un villaggio della Borgogna, Fain les Moutiers. Era l’ottava di dieci figli di Pierre e Madeleine Labouré, proprietari di una fattoria. La morte di Madeleine, a 46 anni, immerse la famiglia nel lutto. Catherine, in lacrime, salì su una sedia per baciare la statua della Madonna e dirle: «Adesso, sarai tu mia madre».
A ventiquattro anni, Catherine, dopo avere superato molti ostacoli, entrò come novizia alla Casa madre delle Figlie della Carità, rue du Bac a Parigi. È qui, nella cappella, che la Madonna le apparve alcuni mesi più tardi, la prima volta fu per il 19 luglio 1830, per annunciarle una missione; la seconda volta, il 27 novembre seguente, per affidarle la medaglia che Catherine sarà incaricata di fare coniare.
L’anno seguente, compiuto il seminario, suor Catherine è destinata a Reuilly, allora sobborgo povero a sud est di Parigi. Fino alla fine della vita servirà i poveri anziani, nel più totale nascondimento, mentre la medaglia si diffondeva miracolosamente in tutto il mondo.
Catherine Labouré morì in pace il 31 dicembre 1876: «Parto per il cielo… vado a vedere Nostro Signore, sua Madre e san Vincenzo».
Nel 1933, in occasione della sua beatificazione, si aprì il loculo nella cappella di Reuilly. Il corpo di Catherine fu ritrovato intatto e trasferito nella cappella della rue du Bac; qui venne installato sotto l’altare della Vergine al Globo.

Tratto da: Chapelle Notre Dame de la Médaille Miraculeuse

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La piccola Casa di Nazareth risuonava di lodi

Posté par atempodiblog le 30 décembre 2011

La piccola Casa di Nazareth risuonava di lodi dans Don Dolindo Ruotolo Sacra-Famiglia

“Cresceva Gesù pieno di sapienza
e la grazia di Dio era in Lui…
La sua anima umana possedeva in sommo grado
i doni dello Spirito Santo e tutte le virtù…
Era perfettissimo anche nella piccola età…
Ogni atto suo era divino…
Visse di lavoro e di obbedienza…
Egli faceva tutto riparando,
ringraziando e pregando il Padre
per gli uomini che era venuto a redimere…
La piccola Casa di Nazareth risuonava di lodi,
ed a quelle lodi rispondevano i Cuori di Maria e di Giuseppe,
che palpitavano all’unisono col Verbo incarnato”.

Don Dolindo Ruotolo

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Alla Santa Famiglia

Posté par atempodiblog le 30 décembre 2011

Alla Santa Famiglia dans Don Giustino Maria Russolillo Santa-Famiglia

O s. Famiglia di Gesù, Maria, Giuseppe,
per il fine della glorificazione di Dio
nella nostra santificazione,
concedeteci
di applicarci, costantemente e generosamente,
all’imitazione delle vostre virtù,
affinché fiorisca tra noi,
nella perfetta generosità,
l’umiltà e la pazienza,
la laboriosità e la temperanza.
Concedeteci
di essere sempre e in tutto
animati dallo spirito
di fede, di penitenza, di orazione,
di vivere, sempre e in tutto,
la vita di preghiera, azione e sacrificio
della s. Chiesa,
di trascorrere la nostra vita,
in ogni atto e stato,
nell’ordine soprannaturale,
col perpetuo esercizio delle virtù teologali
fede, speranza e carità.
Concedeteci
la perfetta osservanza della virtù cardinali,
prudenza e giustizia, fortezza e temperanza
dei divini Comandamenti,
delle leggi e precetti della Chiesa. Amen.

Beato Giustino Maria Russolillo

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Natività di Gesù. Il censimento contestato

Posté par atempodiblog le 30 décembre 2011

Secondo alcuni studiosi, l’evangelista Luca sarebbe caduto in errore a proposito del censimento di Quirinio. Ma un’analisi più attenta conferma la storicità del racconto: i censimenti furono due, e il primo è proprio quello che portò la Sacra Famiglia a Betlemme
di Marta Sordi - Il Timone

Contemplazione: la Natività dans Fede, morale e teologia Nativit

Uno dei problemi che ha fatto più discutere gli studiosi a proposito del racconto evangelico della nascita di Gesù è il censimento di Quirinio, per il quale Giuseppe e Maria dovettero recarsi a Betlemme (Lc 2,1). Publio Sulpicio Quirinio, originario di Lanuvio (uno dei castelli romani) era ben noto a Tacito (“Annales” III, 48) per il consolato nel 12 a.C. e per la campagna contro gli Omonadensi di Cilicia, per la quale ottenne il trionfo. Quirinio condusse nel 6 d.C. un censimento in Siria e in Giudea (Giuseppe Flavio, “Antichità Giudaiche”, XVII, 355; XVIII, 1). Di una legazione di Quirinio in Siria e di un censimento condotto sotto di lui parla un’iscrizione (“Corpus inscriptionum Latinarum” III, 6687) di un certo Q. Emilio. E a Quirinio si riferisce, con molta probabilità, un’iscrizione di Tivoli, acefala (“Corp. Inscr. Lat.” XIV, 3613), a proposito di un personaggio che, come ‘legatus’ di Augusto ottenne ‘iterum’ la Siria e la Fenicia; ottenne cioè una duplice legazione imperiale in quelle province.

Secondo alcuni studiosi, il censimento di cui parla Luca sarebbe quello del 6 d.C.; ma Luca (1,5) e Matteo (2,1) sono anche concordi nell’affermare che Gesù nacque prima della morte di Erode, che secondo Giuseppe Flavio morì nel 4 a.C. Luca sarebbe dunque caduto in una grave contraddizione, riferendosi al censimento del 6 d.C.

Si è tentato di spostare, anche di recente, la morte di Erode, ipotizzando un presunto errore di Giuseppe Flavio, così da far nascere Gesù nell’anno zero, secondo l’affermazione fatta nel VI secolo d.C. da Dionigi il Piccolo. Ma questa ipotesi non è stata accolta in generale dagli studiosi, e in ogni caso non risolve il problema del censimento. Bisogna piuttosto tener conto che Luca, aderente al metodo scientifico della storiografia classica, dà molto peso alla precisione cronologica e parla di un « primo censimento » (2,2 “apographé prote”) nell’epoca in cui Quirinio era governatore (legato della Siria: “eghemoneuontos”). Un censimento rivolto non alla sola Siria, ma a tutta l’ecumene, cioè all’impero e ai regni vassalli. E Luca sembra ben consapevole di una distinzione di questo censimento da quello del 6 d.C., del quale per altro appare informato (At 5,37). Tertulliano (“Adv. Marcionem” 4,19) parla di un censimento fatto in Giudea da Senzio Saturnino. Quest’ultimo fu governatore di Siria fin verso al 7 a.C. e fu poi impegnato, probabilmente, nella guerra per la successione del trono di Armenia.

Allora, ecco quale sembra l’ipotesi più probabile: che il censimento, iniziato da Senzio Saturnino, sia poi stato continuato da Quirinio quando questo – certamente prima del 6 a.C. – aveva finito la guerra contro gli Omonadensi e reggeva temporaneamente la legazione di Siria (l’iscrizione di Tivoli dice infatti ‘iterum’). La nascita di Gesù sembra pertanto spettare al 6/7 a.C., l’epoca a cui ci porta anche la triplice congiunzione fra Saturno e Giove, evento previsto dagli astrologi orientali e tale da spiegare la venuta dei Magi. A questa venuta, e all’attesa di un re messianico – presente in questi anni in tutto l’Oriente – è collegata in Matteo la strage degli Innocenti, compiuta da Erode nei confronti dei bambini di Betlemme, «nati dai due anni in giù» (Mt 2,16), in base al calcolo dei Magi. Anche di questo fatto – di cui non parlano altre fonti – si è dubitato in nome del solito concetto della inverosimiglianza. Ma noi siamo a conoscenza di stragi terribili compiute e progettate da Erode negli ultimi anni della sua vita, delitti che facevano dire ad Augusto che era meglio essere un porco di Erode piuttosto che un figlio, con palese allusione all’uccisione dei figli Alessandro e Aristobulo, e alla somiglianza, in greco, dei termini indicanti figlio e porco. Di più: c’è un’interessante notizia di Iulius Marathus, liberto di Augusto e autore di una sua biografia, che è citato due volte da Svetonio: circa la statura dell’imperatore (“Divi Aug.” 79,2); e (94,3) a proposito di un prodigio che sarebbe avvenuto pochi mesi prima della nascita di Augusto, prodigio che annunciava la nascita di un re. Marathus racconta che il Senato, spaventato di fronte a questa notizia, aveva stabilito che nessun maschio nato in quell’anno fosse allevato, ma aggiunge che i senatori che avevano le mogli incinte avevano impedito la pubblicazione del senatoconsulto. La notizia di Marathus è certamente falsa per ciò che concerne il senatoconsulto: a Roma certe cose non avvenivano. Ma è interessante osservare la singolare coincidenza dei due racconti. Per chi ritiene che i Vangeli siano elaborazioni tarde, il racconto di Marathus potrebbe essere il modello di Matteo, come in passato qualcuno aveva ritenuto assurdamente che la cena di Betania di Marco fosse stata imitata dalla cena di Trimalcione di Petronio. In questo caso, però, è stato dimostrato il contrario: e cioè, che era Petronio a conoscere il Vangelo di Marco, e non viceversa. Nel caso di Marathus, un orientale, probabilmente originario della Siria o della Palestina, il modello non è certo Matteo, ma potrebbe essere – a mio avviso – un fatto reale che egli sapeva avvenuto all’epoca di Augusto, dalle sue parti, sotto Erode.

L’attendibilità storica dei Vangeli di Luca e di Matteo sul problema del censimento e sulla strage degli innocenti induce a riproporre la storicità dei Vangeli dell’infanzia, messa spesso in discussione anche da coloro che credono alla sostanziale storicità dei Vangeli, ma preferiscono spiegare col ricorso a simboli o richiami all’Antico Testamento, o, addirittura, in chiave teologica i racconti che Luca e Matteo ci danno sulla nascita di Gesù, fondandosi soprattutto sul carattere miracoloso di questi racconti (nascita verginale, annunzio ai pastori e la stella che guida i Magi), che il razionalismo imperante vuole evitare. Ma per lo storico, l’attendibilità del racconto non si basa sul verosimile, che può essere falso, ma sul probabile, cioè su ciò di cui si possono presentare testimonianze valide. E i Vangeli dell’infanzia, così diversi nei particolari riportati, ma così concordi nell’impostazione di fondo, e tali da presupporre testimoni diversi ed esperienze diverse, ma non contrastanti (i parenti di Giuseppe, per Matteo; i ricordi personali di Maria, per Luca), costituiscono la verifica più convincente di ciò che sosteneva Tucidide (1,22) quando osservava che testimoni oculari diversi raccontavano in modo diverso le stesse cose. Il rifiuto del miracolo, del ‘paradoxon’, nasce da una precomprensione filosofica e ideologica, non dalla corretta applicazione del metodo storico.

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San Giovanni, discepolo prediletto del Divin Cuore

Posté par atempodiblog le 27 décembre 2011

San Giovanni, discepolo prediletto del Divin Cuore dans Citazioni, frasi e pensieri santabernadette

“E voi, San Giovanni, discepolo prediletto del Divin Cuore, insegnatemi la grande scienza dell’amore! Che esso mi attiri potentemente!… Che io prenda finalmente il mio slancio, che io mi alzi in volo per andare a perdermi, a stringermi, a unirmi, a immergermi con voi nel Cuore adorabile di Gesù e di Gesù Crocifisso, divino centro di carità, di purezza, di umiltà e di obbedienza perfetta”.

Santa Bernadette Soubirous

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I testimoni della Nigeria

Posté par atempodiblog le 27 décembre 2011

I testimoni della Nigeria dans Articoli di Giornali e News nigeriaq

Le notizie arrivate a Natale dalla Nigeria, con la serie di attentati contro le chiese cristiane che hanno provocato decine di morti, sono come un pugno nello stomaco per noi cattolici italiani che abbiamo come orizzonte natalizio una tranquilla messa della Veglia – se non siamo troppo stanchi sennò andiamo a quella del mattino –, il pranzo di famiglia e il predicozzo contro il consumismo che ci mette a posto la coscienza. Sono come un pugno nello stomaco perché ci ricordano che in molte parti del mondo c’è poco da scherzare, si rischia la vita soltanto per l’intenzione di celebrare la messa. E non è piacevole sentirselo ricordare mentre si sta addentando una fetta di panettone o di qualche altro dolce tipico.

In realtà quello che prevale è la sensazione di una sproporzione tra le condizioni che viviamo qui e quello che altri fratelli nella fede vivono in Nigeria, ma anche in Pakistan, In India, in Cina, in Egitto, in Palestina, in Iraq, in Turchia e chissà in quanti altri paesi ancora. E in fondo ci riteniamo fortunati, “siamo nati dalla parte giusta del mondo” sentiamo dire tante volte. Ma forse soltanto perché usiamo dei criteri sbagliati. Sia ben chiaro: dovremmo davvero ringraziare Dio ogni minuto della nostra vita per quello che abbiamo, ma ciò non toglie che noi rischiamo di scambiare la Grazia con le condizioni di benessere materiale e fisico, la positività del disegno di Dio su di noi con l’andar bene delle cose. Vale a dire: ci sentiamo più fortunati perché le cose ci vanno bene, non perché siamo più vicino a Dio – qualsiasi sia la nostra situazione -, più “pronti con le lampade accese” all’incontro con lo Sposo.

Se invece adottiamo il criterio della vicinanza con Dio, allora forse dobbiamo rivedere la classifica dei fortunati e degli sfortunati: chi subisce o rischia il martirio ogni giorno, per il solo fatto di segnarsi con la croce o per partecipare alla messa, è enormemente più avanti di noi, che facciamo fatica perfino a essere fedeli a un piccolo gesto di digiuno.

Certo, non è necessario augurarsi per noi la sofferenza né tantomeno di essere dilaniati da bombe o torturati a morte, ma è indispensabile guardare con occhi diversi a coloro che vivono in queste difficili realtà: non sono soltanto fratelli nella fede che dobbiamo aiutare sia nella preghiera, sia economicamente sia politicamente per quel che possiamo – e questo è certo doveroso -, ma sono anzitutto dei testimoni da cui dobbiamo imparare l’amore a Gesù, l’amore alla Verità che viene prima di ogni tornaconto personale. Non dobbiamo guardali con compatimento, ma con ammirazione. E imparare la stessa tensione alla santità per affrontare nel modo più vero le mille insidie (per l’anima) di una vita comoda.

di Riccardo Cascioli - La Bussola Quotidiana

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Gesù nasce per visitarci

Posté par atempodiblog le 27 décembre 2011

Gesù nasce per visitarci dans Citazioni, frasi e pensieri gesw

Ecco l’amabilissimo Gesù [...] nasce per visitarci da parte dell’Eterno Padre, e i pastori e i re verranno a loro volta a visitarlo nella sua culla. Visitatelo voi pure [...], accarezzatelo, ospitatelo nel vostro cuore, adoratelo frequentemente; imitate la sua umiltà, la sua povertà, la sua obbedienza e mansuetudine.

San Francesco di Sales

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Il Prediletto

Posté par atempodiblog le 27 décembre 2011

Il Prediletto – Lettura per il giorno di S. Giovanni Evangelista. Del Beato Giustino Maria Russolillo
Fonte: DonGiustino.com

Il Prediletto dans Don Giustino Maria Russolillo sangiovannievangelista

Questo benedetto Santo ha tante belle e dolci cose, tutte proprie di Lui, che non possiamo e non dobbiamo far passare il suo giorno, senza un ricordo particolare. Il Vangelo lo chiama – il discepolo che Gesù amava! – Sono queste come parole incantate per chi ama Gesù e vuol esserne amato, in grado non ordinario. Il discepolo che Gesù amava! Ma Gesù ama tutti quanti, perché allora solamente di Giovanni sta’ scritto – Il discepolo che Gesù amava? – Vuol dire che Gesù lo prediligeva, aveva per Lui delle preferenze. Ma se Gesù ama tutti infinitamente, come può amare uno più degli altri? L’amore infinito di Dio é un mistero, e così pure sono un mistero le sue comunicazioni alle anime. Se l’amore di Dio é infinito non sono infiniti i segni che Gesù ci dà di questo suo amore, e nemmeno i doni che ci fa, e i gradi per cui ci fa salire nell’unione nostra con Lui. Lui é infinito, e il suo amore é infinito, e il dono che ci fa di tutto Sé stesso é infinito; ma il resto poi, segni d’amore, doni particolari gradi di unione, non sono e non possono essere infiniti, e quindi ci può essere nella loro, distribuzione alle anime il più e il meno. Beato Lui, San Giovanni che ne’ segni d’amore, ne’ doni d’amore, ne’ gradi di unione che Gesù concedeva agli apostoli ebbe le preferenze! Già gli Apostoli erano i preferiti tra tutti gli uomini. Che gran cosa poi dev’essere per S. Giovanni, preferito tra i preferiti! Il discepolo che Gesù amava, anzi per meglio dire, che Gesù prediligeva! Che parole incantate sono queste per l’anima che ama e vuol essere amata da Gesù in maniera non ordinaria!
Ma che comporta a noi tutto questo? Molto davvero! Poiché se il Vangelo ci dice che Gesù amava di preferenza Giovanni, non ce lo dice per farci rodere di gelosia, ma perché noi onoriamo e amiamo di preferenza chi fu di preferenza amato ed onorano; e poi molto più, e questa é la buona notizia, affinché noi pure facciamo quant’é da parte nostra per meritare le predilezioni di Gesù, com’Egli stesso desidera di trovare in noi le delizie sue. [...]

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Nubi oscure

Posté par atempodiblog le 27 décembre 2011

Nubi oscure dans Citazioni, frasi e pensieri mormorazioni

Mormorare, dicono, è molto umano. — Ho replicato: noi dobbiamo vivere in modo divino.
La parola malevola o leggera di un solo uomo può formare una opinione, e perfino lanciare la moda di parlar male di qualcuno… Poi, questa mormorazione sale dal basso, arriva in alto e magari si condensa in nubi oscure.

San Josemaría Escrivá de Balaguer

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Santo Stefano: il primo martire cristiano

Posté par atempodiblog le 26 décembre 2011

Santo Stefano: il primo martire cristiano dans Stile di vita Santo-Stefano

Stefano è considerato il primo martire cristiano e per tale ragione viene celebrato subito dopo la nascita di Gesù. Fu arrestato nel periodo dopo la Pentecoste e morì lapidato. In lui si realizza in modo esemplare la figura del martire come imitatore di Cristo; egli contempla la gloria del Risorto, ne proclama la divinità, gli affida il suo spirito, perdona i suoi uccisori. Saulo (S.Paolo), testimone della sua lapidazione, ne raccoglierà l’eredità spirituale.

Fonte: Radio Maria

Divisore dans San Francesco di Sales

Omelia di Luigi Giussani per la festa di Santo Stefano Freccia dans Viaggi & Vacanze Santo Stefano ovvero dell’amicizia di Cristo

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Buon Natale a tutti!

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2011

Buon Natale a tutti! dans Santo Natale Santo-Natale
Auguro a voi e ai vostri cari la pace e la gioia del Santo Natale! :)

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«Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1, 1)

Posté par atempodiblog le 23 décembre 2011

«Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1, 1)
di François Xavier Nguyên Van Thuân
Tratto da: 30Giorni

«Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1, 1) dans Articoli di Giornali e News cardinale-Fran-ois-Xavier-Nguy-n-Van-Thu-n

L’evangelista Matteo inizia la sua testimonianza su Gesù con queste parole: «Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo…» (Mt 1, 1).
Quando nelle celebrazioni liturgiche ricorre questo brano evangelico, non di rado sentiamo un certo imbarazzo. C’è chi considera la lettura di tale testo come un esercizio senza significato, quasi un arido elenco di nomi, su cui è difficile costruire prediche ad effetto piene di riflessioni spirituali. Altri lo leggono di corsa, rendendolo incomprensibile ai fedeli; altri ancora ne tagliano alcuni pezzi, abbreviandolo.
Per me che sono vietnamita, e in generale per tutti noi asiatici, la memoria dei nostri antenati è una cosa a cui teniamo molto. Seguendo la nostra cultura, spesso nelle nostre case conserviamo con pietà e devozione il libro della nostra genealogia familiare. Io stesso conosco i nomi di 15 generazioni dei miei antenati, fin dal 1698, quando la mia famiglia ha ricevuto il santo battesimo. Quando ripenso alla mia genealogia, mi accorgo di appartenere ad una storia che è più grande di me. E colgo con maggior profondità il senso della mia propria storia.
Per questo ringrazio la santa madre Chiesa che, almeno due volte all’anno, nel tempo dell’Avvento e nella festa della Natività di Maria, fa risuonare durante le nostre celebrazioni liturgiche, fin nella più sperduta cappellina cattolica, i nomi di quegli uomini che hanno avuto, secondo il misterioso disegno di Dio, un ruolo importante nella storia della salvezza e nella realtà del popolo d’Israele.
Sono convinto che le parole del documento della genealogia di Gesù Cristo esprimono qualcosa di essenziale dell’Antica e della Nuova Alleanza, hanno a che fare con il cuore del mistero della salvezza che ci trova uniti tutti – cattolici, ortodossi e protestanti.
Questo brano della Scrittura ci schiude il mistero della storia della salvezza come mistero della misericordia. Esso ci richiama a quanto proclama la Vergine Maria nel Magnificat, il suo cantico profetico che la Chiesa ripete ogni giorno nella lode del vespro: il disegno misericordioso e fedele di Dio si è compiuto secondo la promessa fatta «ad Abramo e alla sua discendenza per sempre» (Lc 1, 55). Davvero, la misericordia di Dio si estende e si estenderà di generazione in generazione, «perché eterna è la sua misericordia» (cfr. Sal 100, 5; 136).
Il Libro della genealogia di Gesù Cristo si articola in tre parti. Nella prima sono nominati i patriarchi; nella seconda i re prima dell’esilio di Babilonia; nella terza i re venuti dopo l’esilio.
Ciò che colpisce in primo luogo nella lettura del testo è il mistero della predilezione, della scelta da parte di Dio. Dio fa misericordia perché è libero. Il suo è un dono gratuito incomprensibile ai parametri del calcolo umano, tanto da apparire a volte scandaloso.
Così, nel Libro della genealogia di Gesù Cristo appare che Abramo, invece di scegliere il primogenito Ismaele, figlio della schiava Agar, ha scelto Isacco, il secondogenito, figlio della promessa, figlio della moglie Sara («In Isacco ti sarà data una discendenza»). Come notava l’esegeta Erik Peterson: «La generazione carnale non costituisce, da sola, la razza di Abramo nel senso della promessa divina, ma sono figli di Abramo quelli ai quali il nome di Dio è dato in sovrappiù [...]. Non vi è vera filiazione se non là dove c’è la promessa».
A sua volta, Isacco voleva benedire il primogenito Esaù ma, alla fine, ha benedetto piuttosto Giacobbe, secondo il misterioso disegno di Dio.
Giacobbe non trasmette la continuità familiare della stirpe che avanza storicamente verso il Messia, né a Ruben, il primogenito, né a Giuseppe, il più amato, il migliore di tutti, colui che ha perdonato i suoi fratelli e li ha salvati dalla fame in Egitto. La scelta è caduta su Giuda, il quarto figlio, che pure insieme agli altri fratelli aveva venduto Giuseppe ai mercanti che lo avevano condotto in Egitto.
Il mistero sorprendente della libera scelta degli antenati del Messia da parte di Dio incomincia a sollecitare la nostra attenzione. Questa pagina illumina anche il mistero della nostra elezione, di come è capitato anche a noi di diventare, per grazia, cristiani. «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15, 16). Non siamo stati scelti a causa dei nostri meriti, ma solamente a causa della sua misericordia. «Ti ho amato di amore eterno», dice il Signore (Ger 31, 3). Questa è la nostra sicurezza. «Il Signore dal seno materno mi ha chiamato» (Is 49, 1). È questo il nostro unico vanto: la consapevolezza di essere stati gratuitamente chiamati e scelti. «Egli solleva l’indigente dalla polvere, dall’immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi, i principi del suo popolo» (Sal 113, 7-8).
Infatti, se consideriamo i nomi dei re presenti nel documento della genealogia di Gesù, possiamo constatare che prima dell’esilio solo due di essi sono stati fedeli a Dio: Ezechia e Giosia. Gli altri sono stati idolatri, immorali, assassini.
Anche nel periodo dopo l’esilio, fra i numerosi re nominati, troviamo solo due personaggi che sono rimasti sempre fedeli al Signore: Salatiel e Zorobabele. Gli altri sono o pubblici peccatori o figure sconosciute.
In Davide, il più famoso fra i re che hanno dato i natali al Messia, si intrecciano fedeltà a Dio, peccati e delitti: con amare lacrime egli confessa nei suoi salmi i peccati di adulterio e il crimine di assassinio, specialmente nel Salmo 50, che nella liturgia della Chiesa cattolica è diventato preghiera penitenziale.
Anche le donne che Matteo nomina all’inizio del suo Vangelo come madri che trasmettono la vita, dal grembo della benedizione di Dio, ci colpiscono per le loro storie. Sono donne che si trovano tutte in una situazione irregolare e di disordine morale: Tamar è una peccatrice, che con l’inganno ha avuto un’unione incestuosa col genero Giuda; Raab è la prostituta di Gerico, che accoglie e nasconde le due spie israelitiche inviate da Giosuè, e viene ammessa nella comunità israelita; Rut una straniera; della quarta donna non si dice il nome, si dice soltanto «quella che era stata moglie di Uria». Si tratta di Betsabea, la compagna di adulterio di David.
Scriveva il grande poeta francese Charles Péguy, che mi è molto caro: «Bisogna riconoscerlo, la genealogia carnale di Gesù è spaventosa. Pochi uomini hanno avuto forse tanti antenati criminali, e così criminali. Particolarmente così carnalmente criminali. È in parte ciò che dà al mistero dell’Incarnazione tutto il suo valore, tutta la sua profondità, un arretramento spaventoso. Tutto il suo impeto, tutto il suo carico di umanità. Di carnale. Quantomeno per una parte, e per una gran parte».
Perché il fiume di queste generazioni umane, gonfio di peccati e di crimini, diventa una sorgente di acqua limpida man mano che ci avviciniamo alla pienezza dei tempi: con Maria, la Madre, ed in Gesù, il Messia, vengono riscattate tutte le generazioni.
Questa lista di nomi di criminali, di adultere e di meretrici che Matteo evidenzia nella stirpe umana di Gesù non scandalizzi noi poveri peccatori. Essa fa risaltare il mistero della misericordia di Dio. Anche nel Nuovo Testamento, Gesù ha scelto Paolo, che lo ha perseguitato, e Pietro, che lo ha rinnegato, al quale erano così devoti i cristiani lapsi dei primi tempi, quelli che nei momenti più duri delle persecuzioni, per paura, avevano ceduto alle pressioni, abiurando la propria fede. Pietro e Paolo, un rinnegato e uno zelante persecutore, sono le colonne della Chiesa. In questo mondo, se un popolo scrive la sua storia ufficiale, di regime, parlerà delle sue vittorie, dei suoi eroi, della sua grandezza. È un caso unico, mirabile e stupendo, trovare un popolo che nella sua storia ufficiale non nasconde i peccati dei suoi antenati.
Con il parto mirabile e stupendo di Maria, che celebriamo nella festa del Natale, il Regno è venuto, la pienezza dei tempi è già arrivata. Ma Gesù afferma che il Regno sta crescendo lentamente, di nascosto, come un granello di senape. Tra la pienezza e la fine dei tempi, la Chiesa è in cammino come popolo della speranza.
Scriveva ancora Charles Péguy: «La fede che mi piace di più è la speranza».
È questa la nostra grande chiamata. Non per nostro merito, ma «perché eterna è la sua misericordia». Oggi, come nei tempi dell’Antico e del Nuovo Testamento, Dio agisce nei poveri di spirito, negli umili, nei peccatori che per il dono libero della sua predilezione si convertono a lui con tutto il cuore, trovando felicità oltre ogni attesa.

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La festa del Natale

Posté par atempodiblog le 23 décembre 2011

La festa del Natale dans Fede, morale e teologia Santo-Natale-albero

Il Natale è la commemorazione della nascita di Gesù, e ciascuno deve compiere uno sforzo per capire quel Gesù che vediamo nel presepio, quel bambino che vagisce nella culla e che è il figlio di Dio. Da dove viene? Viene dal cielo, è disceso dal cielo. Ha la prerogativa unica, misteriosa, immensa di racchiudere in sé due figliolanze: è figlio di Maria, e quindi è uomo, è nostro fratello; ed è figlio di Dio, viene dal cielo. In lui vive la divinità. Colui che ha creato il cielo e la terra, Colui che è sempre stato e sempre sarà, Colui che è la ragione, il principio dell’essere di tutte le cose, della nostra vita e della nostra esistenza, Colui che conosce tutto e che vede nei nostri pensieri.

La meraviglia è una caratteristica della festa del Natale. Siamo sorpresi, siamo incantati. Dio si è fatto uomo ed è in mezzo a noi. Il Natale è la visita, la venuta di Cristo fra noi, e Cristo è il figlio di Dio fatto uomo. È la discesa di Dio in mezzo a noi. Come è lontano Dio! come è misterioso, inaccessibile, incomprensibile! Tanti non credono in Lui, perché non lo vedono con gli occhi, non lo sentono, non lo comprendono. Dio è un mistero senza confini.

Avete mai guardato il cielo? Avete mai pensato ai secoli che sono passati? Tutti gli esperimenti recenti degli astronauti ci hanno almeno abituati a guardare un po’ di più la volta stellata che sta sopra di noi, a pensare a queste distanze immense, a questi secoli senza numero che segnano l’età dell’universo. Ebbene, il Dio di questo universo, il Dio di queste immense profondità del tempo e dello spazio, il Dio infinito, il Dio che sta nei cieli, questo Dio che è inafferrabile ai nostri occhi e così poco pensabile anche per le nostre menti, questo Dio vivo, vero, proprio Lui è venuto in mezzo a noi.

È venuto per farsi conoscere, si è fatto nostro fratello, si è fatto uno di noi. Si è rivestito di carne umana, si è fatto uomo per essere nostro amico, per darci confidenza. Avrebbe potuto venire come Dio vestito di gloria, di splendore, di luce, di potenza e farci sbarrare gli occhi dalla meraviglia. Invece è venuto come il più piccolo, il più fragile, il più debole degli esseri, perché nessuno avesse vergogna nell’avvicinarlo, perché nessuno avesse timore, perché tutti potessero averlo vicino e annullare tutte le distanze. C’è stato in Lui uno sforzo di inabissarsi, di sprofondarsi dentro di noi, affinché ciascuno di noi potesse sentirsi da Dio pensato, da Dio amato.

È la grande parola nella quale si racchiude tutto il cristianesimo. Questa nostra religione è l’amore di Dio per noi. Chi può dire di non essere amato da Dio? Non certo gli ammalati, se è venuto per quelli che soffrono; non i bambini, se si è fatto Egli stesso bambino; non la madre di famiglia, se Egli è voluto venire a far parte della famiglia umana; non l’operaio, se Egli ha voluto essere un povero falegname. Dio si è fatto uomo affinché l’uomo comprendesse il suo linguaggio, ha voluto assumere le nostre labbra per farsi capire. Le sue parole sono state semplici, adatte alla nostra povera intelligenza, ma sono pur sempre parole divine, immense. Ha recato il messaggio che è come un programma: Beati voi poveri, perché vostro è il mio Regno; beati voi che piangete perché sono venuto a consolarvi; beati voi che amate e soffrite per la giustizia perché Io vi sfamerò, vi darò questa giustizia; e beati voi, puri di cuore, perché voi vedrete Dio, avrete l’intuizione delle cose divine.

Tratto da: «MISSA IN AURORA» A SANTA MARIA «REGINA MUNDI» – OMELIA DI PAOLO VI
Fonte: Vatican.va

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O Luce eterna…

Posté par atempodiblog le 22 décembre 2011

O Luce eterna... dans Citazioni, frasi e pensieri stellav

Con grande nostalgia attendo il Natale vivo, l’attesa assieme alla Madonna. O Luce eterna, che vieni su questa terra, illumina la mia mente e rafforza la mia volontà, affinché non venga meno nei momenti delle prove impegnative.

Santa Faustina Kowalska

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