È più unico che raro il fatto che due bambini di 10 e 9 anni, i veggenti di Fatima Francesco e Giacinta Marto, senza essere morti martiri, nel breve periodo della loro esistenza siano talmente cresciuti nell’amore di Dio e, di conseguenza, abbiano praticato le virtù in modo così eminente, da essere proposti dalla Chiesa a tutti, piccoli e adulti, come modelli da seguire. Ecco alcuni tratti delle loro vite che Radici Cristiane offre ai sui lettori nel 90° delle Apparizioni di Fatima, in base a quanto scritto dall’eminente gesuita portoghese Padre Fernando Leite nelle biografie dedicate ai due pastorelli (Ed. Luci sull’Est).
Gli eroici pastorelli di Fatima
di Fernado Leite – Radici Cristiane
Dei tre veggenti di Fatima, Francesco apparentemente è stato il meno privilegiato. Vedeva la Madonna, ma non la udiva né parlava con lei. La Madre di Dio gli promise l’eterna salvezza ma a condizione di recitare molti rosari giacché doveva purificarsi da qualche macchia del passato.
Sua cugina Lucia racconta che tuttavia egli andò alla morte con dolce a affabile tenacia, senza chiedersi il perché di questa sorte, con due soli propositi: rendersi degno del Cielo e consolare il Signore tanto offeso dagli uomini. Sua mamma descrive così il momento del suo trapasso: «prese un aria di sorriso e così rimase».
Nato l’11 giugno 1908 nella frazione di Fatima del comune di Vila Nova de Ourém, era figlio di genitori poveri, tenuti però come i più onesti e seri del posto. Francesco era equilibrato e detestava lo schiamazzo, ma non era triste, bensì allegro. Portato all’ascolto e alla conversazione più che ai giochi, cedeva facilmente quando gli negavano una piccola vittoria o un umile dono.
All’alba e al tramonto rimaneva estasiato in contemplazione del sole, delle stelle, delle meraviglie del creato. Guardando gli astri esclamava: “Nessuno però brilla come Nostro Signore!” Il suo grande divertimento era passare la giornata nei monti, mentre custodiva il gregge, a suonare il piffero e a cantare seduto sulle rocce.
Alle ragazzine invece piaceva danzare. Di tanto in tanto interrompevano la musica per dire assieme il Rosario, da loro ingenuamente accorciato al solo inizio delle parole: Padre Nostro, Ave Maria, Ave Maria, Ave Maria…
Deve conquistarsi il Paradiso
Finché nella primavera del 1916 appare loro l’Angelo della Pace. Inizia allora uno degli avvenimenti più misteriosi e profetici della storia. L’inviato del Cielo li prepara a ricevere la Madre di Dio, insegna loro a pregare, a fare sacrifici, a mortificarsi per riparare le offese contro Nostro Signore. Questo è il fatto che più profondamente e definitivamente inciderà nel cuore di Francesco. Ormai la sua vita non avrà un altro senso che consolare Cristo sofferente.
Nella sua terza apparizione, l’Angelo dà loro l’Eucaristia: singolare Prima Comunione di questi bambini ricevuta dalle mani di un angelo del Cielo! Ben istruito e reso profondo e serio dall’Angelo, Francesco arriva al 13 maggio 1917 alla visione della Madonna, che gli prometterà tramite la cugina Lucia sì il Cielo e fra poco, ma a condizione di pregare ancora molti rosari per rendersene degno. Francesco accetta il suo destino con immane calma.
Una celeste coerenza
Poi, il 13 giugno vedrà l’Inferno, vedrà pure il Papa che sale un ripida montagna e viene ucciso ai piedi della Croce. Francesco incomincerà a far girare esclusivamente la sua vita con stupefacente coerenza intorno a questi nuovi dati entrati nella sua precoce mente. Conoscerà il carcere, la minaccia di venire buttato in una pentola bollente, peggio, la derisione della sua gente, l’incomprensione dei suoi familiari. Niente lo distrarrà tuttavia dai suoi propositi.
Questa determinazione sua, di sua sorella e di sua cugina, determinazione tranquilla e ferma come la roccia, colpirà l’opinione pubblica portoghese. Arriveranno le folle e saranno acclamati come eroi, ma l’umiltà e la calma rimarranno invariabili.
All’ultima apparizione, nell’ottobre del 1917, presenzieranno 70.000 persone, che vedranno il sole girare a conferma della veridicità del messaggio. Né Lucia, né Giacinta né Francesco accetteranno mai un soldo, un vestito nuovo.
Il sorriso del giusto
Per Francesco la strada da fare è segnata: dire molti rosari, occulto anche alle cugine, inginocchiato dietro i muretti di pietra e gli arbusti; fare sacrifici; sostare lungamente in preghiera in Chiesa. A Giacinta diceva: “Senti, tu vai a scuola, io rimango qui in Chiesa presso Gesù Nascosto. Non vale la pena imparare a leggere, perché fra poco vado in Cielo”.
Si ammala gravemente. Le donne del paese testimoniano: “Entrando nella camera di Francesco, sentiamo ciò che sentiamo entrando in una chiesa”. Si prepara per una confessione generale e chiede alla cugina e alla sorella di ricordargli peccati che potrebbe aver dimenticato. Riconosce con grande umiltà le manchevolezze che gli rammentano le bambine.
Il priore viene a somministrargli la Comunione, sarà la sua seconda e ultima. La prima l’aveva ricevuta dall’emissario di Dio. Il 4 aprile 1919, a dieci anni e dieci mesi, Francesco morì sorridendo. Lucia, nella sua lunga vita ogni tanto ripeteva “Cosa darei per rivedere Francesco!” e gli occhi le si riempivano di lacrime.
La beata Giacinta di Fatima
Nel 1935, la celebre Suor Lucia di Fatima scrive circa sua cugina Giacinta Marto: «Lei era bambina solo nell’età. Per il resto, sapeva praticare le virtù e mostrare a Dio e alla Santissima Vergine il suo amore per il sacrificio che la Madonna ci raccomandò (…) Conservo di Lei una grande stima di santità». E aggiunge: «Giacinta fu, secondo me, quella a cui la Madonna comunicò una maggiore abbondanza di grazie, di conoscenza di Dio e della virtù (…) Aveva un portamento oltremodo serio, modesto e amabile, che sembrava tradurre la presenza di Dio in tutti i suoi atti, proprio da persona avanti negli anni e di grandi virtù».
Giacinta nacque quasi due anni dopo suo fratello Francesco e sviluppò un temperamento molto diverso: quanto Francesco era calmo, Giacinta era vivace, amante dei giochi e delle innocenti danze popolari, che eseguiva in modo delizioso. Ma anche Giacinta era precocemente devota, soprattutto di Cristo crocifisso.
In comune i due fratellini avevano soprattutto la grande amicizia per la cugina più grande Lucia. A tutti e tre appare l’Angelo della Pace nel 1916, inizio dell’avvenimento di fede più importante del secolo XX.
Il coraggio del martirio
Essendo la più piccolina del gruppo, Giacinta ruppe il compromesso di non parlare dei fenomeni soprannaturali che stavano accadendo e ne dovete soffrire molto. Anche lei fu subito cosciente che la sua vita sarebbe durata poco tempo, e in mezzo a grandi patimenti. Ma non indietreggiò mai, perché tutto offriva con entusiasmo per alleviare le tribolazioni del Santo Padre e per la conversione dei peccatori.
Quando detenuta nel carcere ogni tanto piangeva lo faceva non per sé stessa, bensì per le preoccupazioni cagionate ai suoi genitori. Trascinata dai poliziotti verso il pentolone bollente, ci racconta Lucia, «la pastorella si avvia al sacrificio senza vacillare. Se n’è andata subito, senza salutarci». Giacinta non sapeva che era solo una minaccia, benché brutale; e comunque morirà dopo sofferenze e desolazioni non meno atroci e altrettanto coraggiosamente accettate.
Privilegiata di altre rivelazioni private
Giacinta ebbe molte rivelazioni oltre quelle del famoso ciclo delle apparizioni del 1917. Alcune di esse riguardavano il Santo Padre, al quale lei continuamente pensava. In esse il Vicario di Cristo gli appariva provato per la situazione del mondo e dei fedeli, minacciato da imminenti persecuzioni, colpito da infami calunnie.
Pativa in modo particolare per le distruzioni che la nuova guerra avrebbe arrecato e per le anime che sarebbero cadute nell’inferno. Si domandava perplessa perché la Madonna non faceva vedere a tutti l’inferno così come glielo aveva fatto vedere a lei il 13 luglio 1917. Ella pensava che ciò sarebbe bastato ad evitare che almeno alcuni vi cadessero.
Abnegazione di sé
Per i peccatori e per la Chiesa offriva sacrifici continui: distribuiva la merenda fra le pecore, altre volte fra alcune ragazze più povere. Ed era l’unico cibo di cui disponeva per le lunghe ore passate nella campagna. Arrivò persino a privarsi dal bere nel mese di agosto, quando il caldo era rovente. Stringeva al corpo un ruvida corda e ogni tanto si strofinava le gambe con le ortiche. Forse ciò che le costò di più fu la rinuncia al ballo, al quale era molto affezionata e ben portata.
Quando vide vicina la morte, disse a Lucia: «Ormai mi manca poco per andare in Cielo. Tu resti qui per dire che Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al Cuore Immacolato di Maria. Quando sarà il momento di dirlo, non nasconderti (…) Ah! Se potessi mettere nel cuore di tutti la luce che ho qui dentro nel petto a bruciarmi…!».
Le vicine si davano il turno per cucire i vestiti al capezzale di Giacinta, sentendo forte il richiamo della sua santità. La stanza si riempiva di curiosi che rimanevano edificati vedendola dormire ed esclamavano: “Questa deve essere un angelo!”. A volte una folla si inginocchiava a pregare intorno al letto, senza che la bambina si svegliasse dal suo placido sonno.
La Provvidenza permise che non morisse a casa fra i suoi, ma in ospedale nella lontana Lisbona. Sarebbe rimasta in grande solitudine se non fosse che la Madonna la visitò varie volte per consolarla e darle forze.
Il 20 febbraio 1920 la Madre di Dio venne a cogliere questo piccolo grande fiore per portarlo in Cielo. Nel 1935 la sua bara fu riaperta e il corpo trovato incorrotto. Oggi giace nel transetto della Basilica della Madonna di Fatima.