Jerzy Popiełuszko e la speranza che non si uccide
Posté par atempodiblog le 30 octobre 2011
A trent’anni dagli accordi di Danzica un ricordo del prete assassinato perché sostenne senza paura i lavoratori dei cantieri
Jerzy Popiełuszko e la speranza che non si uccide
Raccolte in un volume le « Omelie per la patria » pronunciate tra il 1982 e il 1984
di Andrea Possieri – L’Osservatore Romano
« Bisogna aver paura solo di tradire Cristo per i trenta denari di una meschina tranquillità ». Era solito pronunciare questa frase il beato don Jerzy Popiełuszko in uno degli abituali pellegrinaggi a Jasna Góra, dov’è conservata l’icona della Madonna di Czestochowa, che ogni anno, dal 1979, era solito organizzare con gli studenti universitari. Testimonianza cristiana e coraggio politico, nella difficile ricerca di uno spazio di libertà contro un regime oppressivo, si combinavano in quell’affermazione che ci restituisce la cifra di un uomo e di un sacerdote che riuscì a rappresentare, seppur per pochi anni, una guida spirituale e civile per migliaia di polacchi e anche un esempio di fede vissuta per moltissimi occidentali che seguivano con speranza e trepidazione l’evoluzione delle vicende polacche. D’altronde, la Chiesa cattolica in Polonia ha rappresentato, senza dubbio, la base attorno alla quale si è coagulata tutta l’opposizione, anche quella non cattolica, al regime comunista. Alcune delle « Omelie per la patria » che vennero scritte e pronunciate da don Jerzy Popiełuszko, tra il 1982 e il 1984, sono raccolte oggi in un volume curato da Annalia Guglielmi, Popiełuszko. « Non si può uccidere la speranza » (Castel Bolognese, Itaca, 2010, pagine 176, euro 12).
Il momento decisivo della storia polacca, che verrà spesso ricordato nelle omelie del beato, è rappresentato dagli scioperi dell’agosto del 1980 quando i cantieri Lenin di Danzica, per primi, incrociarono le braccia per chiedere, oltre all’aumento dei salari, anche il reintegro di Anna Walentynowicz, un’operaia licenziata alcuni mesi prima. Gli scioperi si allargarono rapidamente ad altre aziende del Baltico e ben presto superarono le normali rivendicazioni salariali operaie per assumere una dimensione nazionale e di lotta pacifica per la libertà. « Ma questi sono scioperi di solidarietà » affermò sprezzantemente il direttore dei cantieri navali Gniech. E « solidarietà », in polacco solidarnosc, fu la parola che riassunse questa stagione e che fornì, successivamente, il nome al sindacato libero e indipendente polacco.
Il 31 agosto del 1980 vennero firmati i cosiddetti « accordi di Danzica » tra il governo polacco e il Comitato interaziendale di sciopero (Mks), che aveva definito da tempo in 21 punti le richieste avanzate al regime comunista. Con quegli accordi il governo accettò le richieste degli operai – aumento del salario di base, soppressione dei « prezzi liberi », aumento delle pensioni – e, soprattutto, riconobbe il diritto a formare un sindacato libero. Come contropartita al riconoscimento politico il sindacato pose fine agli scioperi che per tutto il mese di agosto avevano caratterizzato la vita politica polacca.
Anche se parte degli accordi rimasero soltanto sulla carta, quell’intesa, che sancì il riconoscimento di una organizzazione indipendente dal potere politico, rappresentò una svolta epocale, un risultato senza precedenti nei regimi comunisti. Per la prima volta si era aperta una fessura di libertà nei governi delle cosiddette democrazie popolari dell’Europa orientale che avrebbe avuto ripercussioni ben più importanti delle rivolte, soffocate dai carri armati dell’Armata Rossa, del 1956 e del 1968.
La nascita, nel settembre del 1980, del Sindacato indipendente autogestito, guidato dall’elettricista Lech Walesa, rappresentò, infatti, un fenomeno politico-culturale ben più vasto e profondo delle tradizionali dinamiche economiche della vita delle fabbriche. Solidarnosc venne riconosciuta ufficialmente e registrata al Tribunale il 10 novembre del 1980 e, in breve tempo, raccolse circa dieci milioni di iscritti su una popolazione di circa quaranta milioni. Solidarnosc, infatti, riuscì a unire alla lotta non violenta per i diritti civili i simboli dell’identità nazionale e quelli religiosi.
Il 28 agosto 1980 il primate di Polonia, cardinale Stefan Wyszynski, aveva inviato il giovane cappellano don Jerzy Popiełuszko – nato il 23 settembre 1947 da una famiglia contadina e ordinato sacerdote nel 1972 – nella grande acciaieria della città, la Huta Warszawa perché gli operai in sciopero avevano chiesto un sacerdote per celebrare la messa. D’altronde il rapporto tra il cristianesimo e le manifestazioni pacifiche del 1980 fu fortissimo. Emblematiche sono le immagini della Madonna Nera di Czestochowa e le fotografie di Giovanni Paolo ii che vennero affisse sui cancelli dei cantieri di Danzica durante lo sciopero.
Nel gennaio del 1982 don Popiełuszko assistette al processo degli operai della Huta e nel mese di febbraio assieme al parroco della chiesa di San Stanislao Kostka iniziò a organizzare ogni mese una messa per la patria « per chiedere assieme al popolo la pace della patria e la protezione di Dio sulla nazione ». Da allora per trentuno mesi don Jerzy presiedette le messe per la patria – tenendo omelie che venivano sempre scritte e inviate al vescovo ausiliario – che divennero un fatto straordinario nella vita di Varsavia e della Polonia. Alle messe della chiesa di San Stanislao Kostka partecipavano migliaia di persone provenienti da altre città. All’inizio della liturgia e dopo la comunione gli attori polacchi che non avevano aderito alla programmazione teatrale e televisiva di regime recitavano poesie ed eseguivano canti religiosi e patriottici.
L’esperienza dell’agosto 1980, in cui si erano svolti quegli scioperi che avevano legittimato l’affermazione di una prima organizzazione politica indipendente, erano ben presenti in molte omelie di don Jerzy. « Le speranze dell’agosto 1980 continuano a vivere » affermò nell’agosto 1984 « e noi abbiamo il dovere morale di custodirle in noi e di sostenerle coraggiosamente nei nostri fratelli. Bisogna liberarsi dalla paura che paralizza e rende schiavi le menti e i cuori degli uomini ». Il 1980 – scrisse nel settembre del 1983 – ha portato alla luce « grandi qualità » della nazione, « perspicacia, prudenza, capacità di azione comune », e lo « slancio patriottico degli operai » dell’agosto del 1980 si è combinato con il risveglio della coscienza degli intellettuali e dell’intera nazione « narcotizzata negli ultimi decenni ».
D’altronde, il nesso tra nazione polacca e cristianesimo è continuamente ribadito nelle omelie di don Popiełuszko così come è netta la denuncia degli « articoli menzogneri » di « Trybuna Ludu » o « Argumenty ». Di fronte al tentativo del regime comunista di costruire una nazione socialista senza il fondamento storico rappresentato dalla cultura cristiana – « il programma di ateizzazione porta all’assurdo, provoca un senso di violenza sulla società e di schiavitù sulla persona » – Popiełuszko evidenziava, con forza, il richiamo secolare alle radici cristiane della nazione polacca. « Fin dalle origini – scrive il sacerdote – la cultura polacca porta in sé l’evidente impronta del cristianesimo » e per questo « non si possono tagliare le radici del nostro più che millenario passato: un albero senza radici cade al suolo, e in questi ultimi decenni gli esempi sono stati molti ».
Il ruolo pubblico del sacerdote originario del paese di Okopa divenne ben presto inviso agli occhiuti agenti del regime polacco. Già il 30 agosto del 1982, pochi mesi dopo l’inizio delle messe per la patria, giunse alla curia di Varsavia una lettera minacciosa del Ministro del Culto Adam Lopatka in cui la figura del giovane sacerdote assumeva i connotati di un pericoloso turbatore dell’ordine pubblico. La lettera segnò l’inizio della persecuzione del regime contro don Jerzy. La procura di Varsavia inizierà a compilare un « dossier Popiełuszko » che nel luglio del 1984 contava ormai più di mille pagine in cui erano stati annotati tutti i comportamenti sovversivi del sacerdote polacco. Il 19 ottobre 1984 venne rapito e ucciso da tre ufficiali dei servizi di sicurezza polacchi. Quella sera stessa prima di morire, durante la recita del rosario, aveva detto: « Dobbiamo vincere il male con il bene e mantenere intatta la nostra dignità di uomini, per questo non possiamo fare uso della violenza ».
Come ha scritto Annalia Guglielmi, don Popiełuszko « ha fatto la sua scelta per il bene e di fronte al male non ha intrapreso la strada del silenzio rassegnato e indifferente » e entrando a buon diritto in quella schiera di santi e martiri « ha dato a tutti un esempio di come sia possibile, seguendo con umiltà e passione maestri e testimoni, dare la vita e, se necessario, offrirla fino all’estremo sacrificio per la verità, la giustizia e la pace ».
Laisser un commentaire
Vous devez être connecté pour rédiger un commentaire.