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La misericordia e il perdono

Posté par atempodiblog le 30 octobre 2011

Sunto di un pensiero di Padre Livio Fanzaga, dai microfoni di Radio Maria, su due tratti della santità: misericordia e perdono.

La misericordia e il perdono dans Fede, morale e teologia 28slkdt

Noi dobbiamo avere verso questo mondo uno sguardo misericordioso. Dobbiamo guardare gli uomini come vittime del demonio che li ha ingannati, come dei prigionieri che lui tortura, come dice Caterina da Siena “sono i martiri di satana”, ingannati, torturati con il rischio di perdizione eterna. Noi dobbiamo avere questo occhio, lo voglio raccomandare, perché questo è distintivo del cristianesimo.

In un mondo che ci perseguita e che ci disprezza, noi dobbiamo guardare tutti con misericordia.

La nostra reazione verso chi commette qualcosa di sbagliato nei nostri confronti non deve essere quella della rabbia, ma deve essere quella di chi ha avuto la grazia della liberazione, la grazia della luce, la grazia di conoscere l’amore di Dio, allora, avendo noi avuto questa grazia, dobbiamo guardare questo mondo con l’occhio misericordioso del Padre Celeste, o se vogliamo dire meglio, con quella misericordia con cui Dio ci ha guardato, ha guardato noi, noi uomini che l’abbiamo messo in Croce. Dio non ci ha mai guardato con disprezzo. Ci ha guardato con misericordia e anche quando ha visto che noi stavamo accumulando i castighi (non di Dio, i castighi che noi ci siamo inflitti) Dio si è messo a piangere e ha detto “Gerusalemme, Gerusalemme Io ho voluto raccogliere i tuoi figli come fa la chioccia con i suoi pulcini ma tu non hai voluto”.  La medesima cosa sta facendo la Madonna adesso. Come una chioccia sta raccogliendo i suoi pulcini. Anche i più lontani per salvarli e per evitare che l’omicida, il menzognero fin dal principio, distrugga questa terra perché questo è il suo obiettivo.

Allora la nostra santità deve avere tratti particolari nel nostro tempo. Uno di questi tratti particolari è la grande misericordia con cui dobbiamo guardare questo mondo, quando dico questo mondo intendo anche i nostri familiari, se noi facciamo una statistica delle nostre famiglie, delle nostre parentele – io sono il primo a farla con la mia -… fai i conti su dieci… uno o due son dalla parte di Dio, gli altri non si sa bene dove sono. E’ una realtà viva e vera che possiamo guardare, allora cosa dobbiamo fare? Cosa facciamo, la guerra? Li malediciamo? Li disprezziamo? Li mandiamo all’inferno? No, dobbiamo fare come il medico che guarda con amore i malati, come Dio guarda con misericordia, come la Madonna ci guarda con misericordia così noi dobbiamo guardare tutti con misericordia.

Attenzione, tutte sono anime per le quali Cristo ha versato il Suo Sangue. Noi dobbiamo avere per queste anime pietà, compassione. La Madonna ci invita ad essere portatori della pace, apostoli dell’amore, testimoni della fede, mani gioiosamente tese…

Noi dobbiamo manifestare questa misericordia divina alla gente che molte volte è gente di casa nostra e che magari mal ci sopporta perché siamo cristiani.

Bisogna avere questa misericordia ed avere la pazienza; Dio ha avuto verso di te questa misericordia. Pensa quanto ti ha sopportato prima che tu ti convertissi; e perché tu non vuoi avere la stessa misericordia e non vuoi sopportare prima che gli altri si convertono? Bisogna avere questa pazienza di Dio, la pazienza di Dio. Pensate la pazienza che ha avuto la Madonna. Tutte le volte ci dice che non è stanca di noi, ha una pazienza incredibile. In un recente messaggio ha detto che i pellegrini vanno a Medjugorje per pregare per i poveri peccatori, ma essi stessi vivono nel peccato.

Non giudichiamo le persone: guardate che si giudica ciò che dicono, ciò che fanno, ciò che insegnano, ma non si giudicano le persone per quanto riguarda il loro cuore perché nessuno sa se non Dio qual è la situazione di ognuno rispetto a Lui. Neanche l’interessato lo sa. Guardate che è di fede questo. Nessuno può sapere con esattezza, a meno che Dio non gli da una rivelazione speciale, quale la situazione davanti a Dio. Difatti la teologia insegna che nessuno può avere la certezza di essere in grazia di Dio. Casomai devi pregare. Non si può dire “io sono in grazia e tu no”, può essere che sia  il contrario. Solo Dio vede i cuori.

Bisogna avere uno sguardo di compassione verso gli altri. Guardarli come Dio li guarda: con bontà, con desiderio di salvarli… vedendo che sono malati, cioè dobbiamo vedere le malattie spirituali, chi fa il male è spiritualmente malato. Per colpa sua, ma solo Dio vede il grado di responsabilità. A noi tocca dare la medicina della bontà, dell’incoraggiamento, del buon esempio, dell’amore.
Oggi è un mondo invivibile perfino nelle famiglie.

L’altro tratto fondamentale della santità è il perdono. La misericordia e il perdono hanno cambiato il mondo, hanno spezzato quella catena di violenza che lo avrebbe distrutto. Se il mondo ha un futuro è perché la misericordia e il perdono sono venuti in questo mondo e sono in Gesù Cristo. Quelli che credono in Lui li rendono presente in ogni generazione. Viviamo la santità esprimendo la Sua misericordia e incominciamo nelle nostre famiglie. Siamo misericordiosi e mani tese. Come dice San Francesco di Sales: “si prendono più mosche con una goccia di miele che con un barile di aceto”. Ha perfettamente ragione, con una goccia di amore di Dio si conquistano le anime, con la frusta del Savonarola non ne conquisti neanche una. Ciò non vuol dire che Gesù Cristo non dovesse dire la verità, ma dirla con carità.

A volte i matrimoni si sfasciano quando uno dei due si indurisce e non perdona l’altro. Questa è la morte della famiglia. Laddove invece si fa lo sforzo di pregare… ci si parla, ci si perdona, si riprende sempre daccapo. Questo vale tra marito e moglie, ma anche fra genitori e figli.

Per perdonare bisogna essere umili. Mi ricorderò sempre di come ho conquistato un’anima. Vi racconto questa stupidaggine: riguarda un ragazzo della Parrocchia. C’erano dei ragazzi di Parrocchia che erano dei somarelli a scuola e non avevano voglia di studiare a cui dissi “sentite ragazzi faccio un fioretto vi farò delle lezioni di latino” nonostante tutto il lavoro che avevo da fare, però un paio di volte alla settimana facevo la lezione a sei o sette ragazzi. Un giorno uno di loro si presentò alla lezione di latino con il suo cane e, quest’ultimo, continuava ad abbaiare mentre gli altri ragazzi ridevano a questa scenetta… “ma scusa”, dico, “porta fuori il cane”, non l’avessi mai detto! Ha preso il cane e se n’è uscito; non veniva più in Chiesa. Non dovevo dire una cosa del genere. Sapete cosa ho fatto? Gli ho telefonato e gli ho detto “ti chiedo scusa, sono stato maleducato”.

Facendo questo ho conquistato un’anima, se non lo avessi fatto (e avevo mille ragioni per non farlo) l’avrei persa. Questo è  un piccolo esempio di come nella vita familiare la capacità di perdonare è fondamentale, oggi. La misericordia e il perdono ci spalancano le porte dei cuori. Sono quei tratti di santità che hanno una valore sociale e familiare incredibili. Sono quelle che Gesù ci dice: “siate misericordiosi come il Padre Celeste”, “nella misura in cui giudicate sarete giudicati”, “perdonate e vi sarà perdonato”, “date e vi sarà dato”.

Quando c’erano difficoltà familiari, mia mamma ci portava a fare l’elemosina ai poveri perché ricordava la frase evangelica: “date e vi sarà dato”.

Con questa catechesi vi ho voluto preparare alla festa di tutti i santi… che la Madonna guardandoci non dica più “non vedo la gioia in voi”.

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Invito alla misericordia con i fratelli

Posté par atempodiblog le 30 octobre 2011

Invito alla misericordia con i fratelli dans Fede, morale e teologia sanfrancesco

«[...] Io ti dico, come posso, per quello che riguarda la tua anima, che quelle cose che ti sono di impedimento nell’amare il Signore Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri, anche se ti coprissero di battiture, tutto questo tu devi ritenere come una grazia. E così tu devi volere e non diversamente. E questo tu tieni in conto di vera obbedienza da parte del Signore Iddio ed mia per te… E ama coloro che agiscono con te in questo modo, e non esigere da loro altro se non ciò che il Signore darà a te. E in questo amali e non pretendere che divengano cristiani migliori. E questo sia per te più che stare appartato in un eremo. E in questo voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me suo servo e tuo, se ti diporterai in questa maniera, e cioè: che non si sia alcun frate al mondo che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che dopo avere visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli [...]».

San Francesco
Fonti Francescane

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Gesù chiede il cuore

Posté par atempodiblog le 30 octobre 2011

Gesù chiede il cuore dans Antonio Socci antoniosocci

[...] Era abituale a quel tempo l’esecrazione moralistica dei pubblici peccatori da parte soprattutto di un’élite e di movimenti spirituali molto ossessionati dal tema della purità e che ritenevano se stessi giusti, retti, onesti, pii (e abilitati a giudicare i peccati altrui). Ma a chi sbandiera la propria rettitudine, le proprie pratiche di pietà e giudica con disprezzo il peccatore, Gesù racconta una parabola scomoda. La storia di un pio fariseo che «stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore». Gesù conclude così: «Io vi dico: questi (il pubblicano, nda) tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro (il fariseo, nda), perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato» (Lc. 18,10-14).
Eppure l’«uomo onesto» era veramente una persona perbene, osservante della Legge, anche sinceramente impegnato. In alcuni episodi troviamo le scandalizzate invettive di alcuni (non tutti) scribi e farisei contro Gesù reo di parlare con pubblicani e prostitute. La purezza interiore di Gesù è assoluta («se il tuo occhio ti scandalizza, toglilo» Mt. 18,9), la santità della sua vita è sotto gli occhi di tutti, è inarrivabile (solo lui può proclamare: «Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore») tanto che sfida tutti a rimproverargli un solo peccato (mai nelle sue preghiere al Padre c’è una richiesta di perdono). Passa tante notti immerso in preghiera, eppure questo Gesù accetta con simpatia umana l’invito a pranzo di pubblici peccatori, ha affetto per ciascuno di loro, e – con somma indignazione dei benpensanti – lascia che una povera donna di pessima fama gli baci i piedi bagnandoli con le sue lacrime di dolore.
Erano in tanti a scandalizzarsi di questa totale libertà di Gesù dalle loro regole. Eppure a questi tali, a questa gente perbene, onesta e osservante della Legge, Gesù non risponde giustificandosi o arrampicandosi sui vetri, ma con un colpo da ko: «I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio» (Mt. 21,31). Doveva essere per loro come un pugno nello stomaco. E quando, secondo la Legge, pretendono di lapidare l’adultera e di avere il suo consenso, dice loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra» (Gv. 8,7).
Silenzio generale, imbarazzo e poi, uno a uno, se ne vanno. Un giorno fissando negli occhi questa gente perbene (che giudicava gli altri e li disprezzava come peccatori) scandisce queste parole: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità. [...] Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna?» (Mt. 23,27-28 e 33).
Si resta sinceramente sconcertati davanti a queste parole di fuoco che Gesù pronuncia contro delle persone perbene, mentre è dolce con i peccatori che, in fin dei conti, sono davvero gente discutibile (anche noi, oggi, detestiamo i disonesti, i profittatori, gli opportunisti e certi sfrenati gaudenti e normalmente vediamo tutti questi vizi negli «altri»: ognuno di noi istintivamente si mette nel novero delle persone che fanno il proprio dovere, le persone perbene). Non è che Gesù invitasse a essere peccatori, ma a essere umili e a non giudicare gli altri, a non vantare la propria rettitudine. Perché questo rende superbi, fa presumere di se stessi e delle proprie capacità. Gesù invece è drastico: «Senza di me non potete far nulla». Nulla. Non dice «potete fare ben poco». Dice «non potete fare nulla». E’ un’espressione pesantissima, sconcertante. Chi è mai costui che avanza una simile «pretesa»?
In effetti dai Vangeli risulta che sono più pronti ad accoglierlo i «peccatori» (talvolta criminali) che i «giusti». Anche quando Gesù è in croce, viene dileggiato dai notabili, osservanti della Legge, e viene implorato dal «ladrone», che certo non era uno stinco di santo. Gesù arriva al suo cuore attraverso le ferite della sua vita, ed è il cuore di uno che sta morendo come criminale, non il cuore di uno corazzato con la sua superba moralità.
Gesù chiede di essere amato da tutti così come ciascuno è. Sembra dire a peccatori, incoerenti, poveracci: «Né i limiti e i peccati vostri, né quelli altrui possono comunque impedirvi di volermi bene e rimanere con me. Io farò il resto. Vi cambierò io».
Questo atteggiamento di Gesù è particolarmente evidente nel caso di Pietro, il più emblematico. Dopo tutto quello che aveva ricevuto e visto, nel momento dell’arresto di Gesù e dell’interrogatorio lo rinnegò ben tre volte per paura. Con le labbra, non con il cuore, dice sant’Ambrogio, cioè lo rinnegò per vergognosa viltà e ne pianse amaramente, ma continuava a volergli bene. Neanche lui sapeva spiegarsi questa cosa, ma gli voleva bene. Questo gli era chiaro. Di certo voleva sprofondare mentre lo diceva a se stesso, sentendosi ormai indegno dell’amicizia di Gesù, ma era innegabile quanto fosse attaccato al suo Maestro. Lo cercava sempre con gli occhi. E lo sguardo di Gesù, mentre cantò il gallo, fu il suo ultimo incontro con lui prima dell’esecuzione capitale sulla croce.
Poi accade l’inaudita, imprevedibile resurrezione di Gesù e una serie di eventi convulsi. Gesù appare più volte, vivo, fra i suoi. Una di queste volte, il Maestro, era sulla riva del lago di Tiberiade – con la tenerezza che lo caratterizzava – aveva preparato del pesce per i suoi amici stanchi che con la barca tornavano dalla pesca. A un certo punto di quello stupefacente pasto insieme, Gesù fissa Pietro, che si sarà sentito morire. Ma, diversamente da quanto temeva, Gesù non gli chiede affatto conto del tradimento, non si mette a rimproverarlo per la sua viltà, non gli dice «non peccare, non tradire, non essere incoerente». Ma gli dice: «Simone, tu mi ami?». E addirittura glielo ripete tre volte e per tre volte gli consegna il suo piccolo gregge di amici e lo chiama alla sua grande missione.
Così Gesù fa capire la sola cosa che chiede: il cuore, che si voglia bene a lui. Al resto penserà lui. Trasformerà lui quel focoso e rozzo pescatore, quel codardo nel momento del pericolo, nel pilastro della sua Chiesa, in un padre forte e buono, disposto un giorno a dare anche lui, con eccezionale eroismo, la sua vita su una croce. Gesù si compiace di gente così: l’amico che lo ha rinnegato, la Maddalena, Zaccheo, la Samaritana, il ladrone del Golgota. Li ama così come sono e li perdona. Così li trasforma. Li cambia lui stesso.

Antonio Socci – Indagine su Gesù

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Jerzy Popiełuszko e la speranza che non si uccide

Posté par atempodiblog le 30 octobre 2011

A trent’anni dagli accordi di Danzica un ricordo del prete assassinato perché sostenne senza paura i lavoratori dei cantieri
Jerzy Popiełuszko e la speranza che non si uccide
Raccolte in un volume le « Omelie per la patria » pronunciate tra il 1982 e il 1984
di Andrea Possieri – L’Osservatore Romano

Jerzy Popiełuszko e la speranza che non si uccide dans Articoli di Giornali e News jerzypopieuszko

« Bisogna aver paura solo di tradire Cristo per i trenta denari di una meschina tranquillità ». Era solito pronunciare questa frase il beato don Jerzy Popiełuszko in uno degli abituali pellegrinaggi a Jasna Góra, dov’è conservata l’icona della Madonna di Czestochowa, che ogni anno, dal 1979, era solito organizzare con gli studenti universitari. Testimonianza cristiana e coraggio politico, nella difficile ricerca di uno spazio di libertà contro un regime oppressivo, si combinavano in quell’affermazione che ci restituisce la cifra di un uomo e di un sacerdote che riuscì a rappresentare, seppur per pochi anni, una guida spirituale e civile per migliaia di polacchi e anche un esempio di fede vissuta per moltissimi occidentali che seguivano con speranza e trepidazione l’evoluzione delle vicende polacche. D’altronde, la Chiesa cattolica in Polonia ha rappresentato, senza dubbio, la base attorno alla quale si è coagulata tutta l’opposizione, anche quella non cattolica, al regime comunista. Alcune delle « Omelie per la patria » che vennero scritte e pronunciate da don Jerzy Popiełuszko, tra il 1982 e il 1984, sono raccolte oggi in un volume curato da Annalia Guglielmi, Popiełuszko. « Non si può uccidere la speranza » (Castel Bolognese, Itaca, 2010, pagine 176, euro 12).
Il momento decisivo della storia polacca, che verrà spesso ricordato nelle omelie del beato, è rappresentato dagli scioperi dell’agosto del 1980 quando i cantieri Lenin di Danzica, per primi, incrociarono le braccia per chiedere, oltre all’aumento dei salari, anche il reintegro di Anna Walentynowicz, un’operaia licenziata alcuni mesi prima. Gli scioperi si allargarono rapidamente ad altre aziende del Baltico e ben presto superarono le normali rivendicazioni salariali operaie per assumere una dimensione nazionale e di lotta pacifica per la libertà. « Ma questi sono scioperi di solidarietà » affermò sprezzantemente il direttore dei cantieri navali Gniech. E « solidarietà », in polacco solidarnosc, fu la parola che riassunse questa stagione e che fornì, successivamente, il nome al sindacato libero e indipendente polacco.
Il 31 agosto del 1980 vennero firmati i cosiddetti « accordi di Danzica » tra il governo polacco e il Comitato interaziendale di sciopero (Mks), che aveva definito da tempo in 21 punti le richieste avanzate al regime comunista. Con quegli accordi il governo accettò le richieste degli operai – aumento del salario di base, soppressione dei « prezzi liberi », aumento delle pensioni – e, soprattutto, riconobbe il diritto a formare un sindacato libero. Come contropartita al riconoscimento politico il sindacato pose fine agli scioperi che per tutto il mese di agosto avevano caratterizzato la vita politica polacca.
Anche se parte degli accordi rimasero soltanto sulla carta, quell’intesa, che sancì il riconoscimento di una organizzazione indipendente dal potere politico, rappresentò una svolta epocale, un risultato senza precedenti nei regimi comunisti. Per la prima volta si era aperta una fessura di libertà nei governi delle cosiddette democrazie popolari dell’Europa orientale che avrebbe avuto ripercussioni ben più importanti delle rivolte, soffocate dai carri armati dell’Armata Rossa, del 1956 e del 1968.
La nascita, nel settembre del 1980, del Sindacato indipendente autogestito, guidato dall’elettricista Lech Walesa, rappresentò, infatti, un fenomeno politico-culturale ben più vasto e profondo delle tradizionali dinamiche economiche della vita delle fabbriche. Solidarnosc venne riconosciuta ufficialmente e registrata al Tribunale il 10 novembre del 1980 e, in breve tempo, raccolse circa dieci milioni di iscritti su una popolazione di circa quaranta milioni. Solidarnosc, infatti, riuscì a unire alla lotta non violenta per i diritti civili i simboli dell’identità nazionale e quelli religiosi.
Il 28 agosto 1980 il primate di Polonia, cardinale Stefan Wyszynski, aveva inviato il giovane cappellano don Jerzy Popiełuszko – nato il 23 settembre 1947 da una famiglia contadina e ordinato sacerdote nel 1972 – nella grande acciaieria della città, la Huta Warszawa perché gli operai in sciopero avevano chiesto un sacerdote per celebrare la messa. D’altronde il rapporto tra il cristianesimo e le manifestazioni pacifiche del 1980 fu fortissimo. Emblematiche sono le immagini della Madonna Nera di Czestochowa e le fotografie di Giovanni Paolo ii che vennero affisse sui cancelli dei cantieri di Danzica durante lo sciopero.
Nel gennaio del 1982 don Popiełuszko assistette al processo degli operai della Huta e nel mese di febbraio assieme al parroco della chiesa di San Stanislao Kostka iniziò a organizzare ogni mese una messa per la patria « per chiedere assieme al popolo la pace della patria e la protezione di Dio sulla nazione ». Da allora per trentuno mesi don Jerzy presiedette le messe per la patria – tenendo omelie che venivano sempre scritte e inviate al vescovo ausiliario – che divennero un fatto straordinario nella vita di Varsavia e della Polonia. Alle messe della chiesa di San Stanislao Kostka partecipavano migliaia di persone provenienti da altre città. All’inizio della liturgia e dopo la comunione gli attori polacchi che non avevano aderito alla programmazione teatrale e televisiva di regime recitavano poesie ed eseguivano canti religiosi e patriottici.
L’esperienza dell’agosto 1980, in cui si erano svolti quegli scioperi che avevano legittimato l’affermazione di una prima organizzazione politica indipendente, erano ben presenti in molte omelie di don Jerzy. « Le speranze dell’agosto 1980 continuano a vivere » affermò nell’agosto 1984 « e noi abbiamo il dovere morale di custodirle in noi e di sostenerle coraggiosamente nei nostri fratelli. Bisogna liberarsi dalla paura che paralizza e rende schiavi le menti e i cuori degli uomini ». Il 1980 – scrisse nel settembre del 1983 – ha portato alla luce « grandi qualità » della nazione, « perspicacia, prudenza, capacità di azione comune », e lo « slancio patriottico degli operai » dell’agosto del 1980 si è combinato con il risveglio della coscienza degli intellettuali e dell’intera nazione « narcotizzata negli ultimi decenni ».
D’altronde, il nesso tra nazione polacca e cristianesimo è continuamente ribadito nelle omelie di don Popiełuszko così come è netta la denuncia degli « articoli menzogneri » di « Trybuna Ludu » o « Argumenty ». Di fronte al tentativo del regime comunista di costruire una nazione socialista senza il fondamento storico rappresentato dalla cultura cristiana – « il programma di ateizzazione porta all’assurdo, provoca un senso di violenza sulla società e di schiavitù sulla persona » – Popiełuszko evidenziava, con forza, il richiamo secolare alle radici cristiane della nazione polacca. « Fin dalle origini – scrive il sacerdote – la cultura polacca porta in sé l’evidente impronta del cristianesimo » e per questo « non si possono tagliare le radici del nostro più che millenario passato: un albero senza radici cade al suolo, e in questi ultimi decenni gli esempi sono stati molti ».
Il ruolo pubblico del sacerdote originario del paese di Okopa divenne ben presto inviso agli occhiuti agenti del regime polacco. Già il 30 agosto del 1982, pochi mesi dopo l’inizio delle messe per la patria, giunse alla curia di Varsavia una lettera minacciosa del Ministro del Culto Adam Lopatka in cui la figura del giovane sacerdote assumeva i connotati di un pericoloso turbatore dell’ordine pubblico. La lettera segnò l’inizio della persecuzione del regime contro don Jerzy. La procura di Varsavia inizierà a compilare un « dossier Popiełuszko » che nel luglio del 1984 contava ormai più di mille pagine in cui erano stati annotati tutti i comportamenti sovversivi del sacerdote polacco. Il 19 ottobre 1984 venne rapito e ucciso da tre ufficiali dei servizi di sicurezza polacchi. Quella sera stessa prima di morire, durante la recita del rosario, aveva detto: « Dobbiamo vincere il male con il bene e mantenere intatta la nostra dignità di uomini, per questo non possiamo fare uso della violenza ».
Come ha scritto Annalia Guglielmi, don Popiełuszko « ha fatto la sua scelta per il bene e di fronte al male non ha intrapreso la strada del silenzio rassegnato e indifferente » e entrando a buon diritto in quella schiera di santi e martiri « ha dato a tutti un esempio di come sia possibile, seguendo con umiltà e passione maestri e testimoni, dare la vita e, se necessario, offrirla fino all’estremo sacrificio per la verità, la giustizia e la pace ».

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