L’unica strada
Posté par atempodiblog le 25 septembre 2011
Una notizia
“Se c’è un delitto che una religione può compiere è quello di dire: ‘io sono l’unica strada’”.
E’ una frase sorprendente di don Giussani che, subito dopo, ancor più sorprendentemente, aggiungeva: “E’ esattamente ciò che pretende il cristianesimo”.
Quale conclusione trarne? Che Giussani giudicava “delittuoso” il cristianesimo? Non siate frettolosi.
Da vero maestro di razionalità egli spalanca un orizzonte affascinante. Dice infatti: “Non è ingiusto sentirsi ripugnare di fronte a tale affermazione (che, cioè, una religione si ponga come ‘unica strada’, nda). Ingiusto sarebbe non domandarsi il motivo di tale pretesa”.
Così – spiega Massimo Camisasca nel volume “Don Giussani”, [...] – il sacerdote lombardo “ci invita a porre la domanda adeguata: non dobbiamo chiederci che cosa sia giusto o ingiusto, ma che cosa sia accaduto”.
Ovvero, è possibile che Dio si sia davvero incarnato e sia diventato una compagnia permanente per l’uomo?
Infatti, conclude Giussani, “se fosse accaduto, questa strada sarebbe l’unica… perché l’avrebbe tracciata Dio”.
Cosicché “tutto si riduce a rispondere alla domanda: chi è Gesù?”. E’ lui infatti l’unico che abbia avanzato tale inaudita pretesa nella storia. E, per il solo fatto che questa notizia si propaga da duemila anni e ci ha raggiunto, non c’è niente di più importante che verificarne la fondatezza.
Verifica che – ripeteva Giussani – è possibile fare solo mettendosi totalmente in gioco, con la propria stessa vita. “Vieni e vedi”. E’ l’avventura che un grande intellettuale, Agostino d’Ippona, ha vissuto e ha raccontato nelle “Confessioni”.
Sentieri interrotti?
Un acuto intellettuale laico di oggi, presentando nel 2001 proprio un libro di Giussani, fissava lo sguardo su Gesù, nell’episodio evangelico dell’adultera perdonata, e osservava: “Se Dio esiste, se esiste una rivelazione, è impossibile che non sia questa. Solo qui c’è questa commossa solidarietà con l’umano. Si può non credere, ma tutto questo è incomparabile”.
L’intellettuale che pronunciava queste parole, profonde e toccanti, era Ernesto Galli Della Loggia.
Antonio Socci
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