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Confidiamo nella Provvidenza Divina e nella Sua Misericordia

Posté par atempodiblog le 4 juillet 2011

Confidiamo nella Provvidenza Divina e nella Sua Misericordia dans Beato Pier Giorgio Frassati Beato-Pier-Giorgio-Frassati

Nelle mie lotte interne mi sono spesso domandato perché dovrei io essere triste? dovrei soffrire, sopportare a malincuore questo sacrifizio? Ho forse io perso la Fede? no, grazie a Dio, la mia Fede è ancora abbastanza salda ed allora rinforziamo, rinsaldiamo questa che è l’unica Gioia, di cui uno possa essere pago in questo mondo.
Ogni sacrificio vale solo per essa; poi, come cattolici, noi abbiamo un Amore che supera ogni altro e che dopo quello dovuto a Dio è immensamente bello, come bella è la nostra religione. Amore che ebbe per avvocato quell’Apostolo, che lo predicò giornalmente in tutte le sue lettere ai vari Fedeli. La Carità, senza di cui, dice S. Paolo, ogni altra virtù non vale. Essa sì che può essere di guida e d’indirizzo per tutta la vita, per tutto un programma. Essa con la Grazia di Dio può essere la meta a cui il mio animo può attendere. Ed allora noi al primo momento siamo sgomenti, perché è un programma bello, ma duro, pieno di spine e di poche rose, ma confidiamo nella Provvidenza Divina e nella Sua Misericordia.

Pier Giorgio Frassati – Lettera a Isidoro Bonini (Torino, 6/3/1925)

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La differenza fra un treno e un golpe

Posté par atempodiblog le 4 juillet 2011

La differenza fra un treno e un golpe dans Articoli di Giornali e News tav

Sarebbe fin troppo banale condannare la guerriglia in Val di Susa dicendo che mai e poi mai si può giustificare l’uso della violenza, che una cosa sono le proteste pacifiche e un’altra i lanci di pietre e di bombe carta, eccetera eccetera. Tutte considerazioni ovvie, anche se doverose. Ma questa volta crediamo che si possa dire qualcosa di più, oltre alla solita litania di «sdegno», «indignazione», «ferma condanna» e così via.

Il punto è la distinzione tra la manifestazione del mattino e quella del pomeriggio. La prima è stata pacifica, con famigliole in corteo. La seconda la gazzarra che sappiamo, con i famigerati black bloc in azione. Tra i manifestanti del mattino e quelli del pomeriggio, o se volete tra gli storici comitati No Tav e i professionisti della violenza, c’è dunque una differenza netta. Questa sarebbe appunto la considerazione scontata e banale.

Quella meno scontata e meno banale, invece, riguarda i toni, le dichiarazioni, i discorsi che purtroppo abbiamo sentito anche dai manifestanti non violenti. Abbiamo sentito parlare di militarizzazione della valle, di violenza di Stato, di polizia assassina. Beppe Grillo poi ci ha messo il suo carico da novanta.

Ieri è venuto in Val di Susa e dalla sua arringa abbiamo estrapolato parole come «dittatura», «guerra civile», «rivoluzione», «eroi». Mettendo in ordine queste parole pesanti come pietre, Grillo ha in sostanza detto che in Val di Susa il regime sta facendo prove di dittatura, che siamo ormai alla guerra civile e che i No Tav faranno una rivoluzione che li renderà, appunto, degli eroi.

Ma di che cosa stiamo parlando? Si può pensare ciò che si vuole dell’alta velocità. Ma occorre anche stare ancorati alla realtà, e la realtà è che in Val di Susa si stanno scavando delle gallerie per far passare un treno. Belle o brutte, ma gallerie per un treno. Punto e stop. Dove sono le prove di dittatura? Inoltre, mettendo tutto nel medesimo minestrone, i capi della protesta attribuiscono a Berlusconi il tentato golpe della Tav, che invece è stata decisa da governi precedenti e di diverso colore, che è scolpita in un accordo intergovernativo tra Italia e Francia e rientra tra le grandi reti europee che disegneranno i trasporti per almeno un secolo. Se la Torino-Lione non si farà, un pezzo consistente di Italia sarà tagliato fuori da questa rete e non per quattro o cinque anni, ma per il futuro. È una faccenda che va guardata con un’elementare prospettiva storica, specie nel centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia perché proprio allora si decise il traforo del Fréjus. Cosa sarebbero stati il Piemonte e l’Italia senza quella linea ferroviaria voluta da Cavour? È possibile che un sistema economico sia prigioniero di una minoranza localistica condannata a diventare l’alibi dei professionisti della guerriglia? Che c’entra Berlusconi?

L’altro giorno l’ex sindaco Chiamparino, che certo non è un berlusconiano, ha ricordato l’elementare principio secondo il quale la democrazia ha delle regole, per cui un’opera ormai decisa e deliberata non può essere messa in discussione all’infinito. Oltretutto, prima di dare il via all’opera, ci sono stati centinaia di incontri con i sindaci, variazioni del tracciato, e via dicendo. Insomma non si può dire che non si siano ascoltate anche le ragioni di chi era contrario.

Pure le accuse rivolte alla polizia ci paiono deliranti. Si è parlato di cariche di tipo sudamericano. A noi pare che, a differenza di quanto accadde dieci anni fa a Genova, la polizia sia stata attentissima a non compiere alcun abuso. Si è difesa, certo: non doveva? L’elenco dei feriti però parla chiaro: la stragrande maggioranza sono poliziotti, non manifestanti. E comunque anche qui c’è una sproporzione stupefacente tra la realtà e la sua raffigurazione fornita da alcuni capi della protesta: la polizia ha cercato di garantire l’apertura di un cantiere, non è venuta a reprimere un’espressione di libero pensiero.

Chi guida a viso scoperto la protesta, non mette il passamontagna dei delinquenti e vuole sinceramente mantenere il tutto nell’ambito della manifestazione pacifica, dovrebbe riflettere sull’effetto che certe iperboli hanno sulle teste calde. Si sa che ci sono, le teste calde. Se si continua a far credere che in Val di Susa invece che un treno passerà un golpe, sarà più difficile operare distinzioni nette tra le manifestazioni del mattino e quelle del pomeriggio.

di Michele Brambilla – La Stampa

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Una gioia più certa e più grande

Posté par atempodiblog le 4 juillet 2011

Una gioia più certa e più grande dans Alessandro Manzoni alessandromanzoni

« Dio non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande ».

Alessandro Manzoni

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Rapporto sul «caso O’Callaghan»

Posté par atempodiblog le 4 juillet 2011

La controversa storia della scoperta dello studioso gesuita. L’entusiasmo di Paolo VI e il misterioso, ventennale silenzio.
di Antonio Socci

Tratto da: 30Giorni, giugno 1991, p. 12-13
Fonte: Storia Libera

Rapporto sul «caso O'Callaghan» dans Antonio Socci antoniosocci

Fra i manoscritti in ebraico e aramaico che dal 1947 furono ritrovati in alcune grotte tra le rocce ad ovest del Mar Morto, vicino al Kirbet Qumran, si scoprirono pure – nella grotta settima – dei frammenti in greco, 19 in tutto. A differenza degli altri manoscritti, non erano in pergamena o pelle, ma su papiro e, caso unico, in lingua greca. Due di essi furono identificati: appartenevano a libri dell’Antico Testamento, Esodo 28,4-7 e Baruc 6,43-44. Per gli altri non si trovò l’originaria collocazione.

Dopo alcuni anni, nel 1971, un papirologo spagnolo, il gesuita José O’Callaghan, docente al Pontificio istituto biblico di Roma, riprese a lavorare su quei frammenti rimasti orfani, soprattutto il n. 5, perché stava redigendo un catalogo dei manoscritti dell’Antico Testamento. La fatica fu vana. Neanche la chiara sequenza di lettere – «nnes» – alla quarta riga, che sembrava rimandare alla parola «egennesen» (generare) e quindi alle sezioni genealogiche della Bibbia, fu di aiuto. Peraltro un autorevole papirologo britannico, Cecil H. Roberts, in base ai criteri scientifici di datazione della scrittura (com’è noto assai attendibili), aveva datato quel frammento non oltre il 50 d.C. Padre O’Callaghan doveva dunque escludere a priori che potesse trattarsi di un frammento dei Vangeli sinottici, ufficialmente datati, anche nella Chiesa cattolica, fra 70 e 100 d.C.

Stava per abbandonare l’impresa quando si affacciò alla sua mente l’ipotesi che la combinazione – «nnes» – potesse invece far parte di «Gennesaret», nome di una città della Palestina. Ma nell’Antico Testamento non trovò nessun passo che coincidesse con questo gruppo testuale. Il frammento, chiamato 7Q5, comprendeva infatti venti lettere disposte su cinque righe.

Alla fine, solo per curiosità, fece un sondaggio sul Nuovo Testamento. Si può immaginare il suo stupore quando scoprì che un passo del Vangelo di Marco coincideva perfettamente. E che 7Q5 conteneva perfino altre coincidenze particolari, come lo spazio bianco fra due lettere dov’era la cesura del discorso (la «paragraphos») e il «Kai» iniziale (la « E ») tipico della paratassi di Marco.

Padre Carlo Maria Martini, a quel tempo rettore del Biblico e oggi cardinale arcivescovo di Milano, accompagnando la pubblicazione della scoperta di O’Callaghan con un suo prudentissimo articolo su «La Civiltà Cattolica» nel ’72, spiegava: « Pur se al profano potrebbe sembrare il contrario, è assai improbabile una coincidenza casuale di alcune lettere, disposte su diverse righe, con un testo letterario già noto ».
Eppure lo stesso Martini sottopose la scoperta di O’Callaghan al vaglio di tutti gli esperti del Biblico prima e poi anche a quello del professor Sergio Daris, papirologo dell’Università di Trieste. Alla fine fu concessa l’autorizzazione per la pubblicazione, ma dietro un eloquente punto interrogativo. « Ricordo che Paolo VI venne a sapere della scoperta » racconta padre Michele Piccirillo, archeologo in Terrasanta « e avrebbe voluto dar lui stesso l’annuncio ufficiale al mondo, ma ne fu dissuaso ».

La prudenza fu motivata con la necessità di non compromettere la Chiesa su una scoperta che doveva ancora reggere al vaglio della comunità scientifica internazionale.

I diretti interessati, padre Benoit e padre Ballet, che avevano curato il ritrovamento, reagirono con virulenza contro la scoperta di O’Callaghan, come pure Kurt Aland, l’autorevole direttore dell’Istituto per la ricerca sul testo del Nuovo Testamento di Münster e coeditore del mitico Nestle-Aland e del «Greek New Testament». Accettare quella scoperta significherebbe distruggere tutta la costruzione «professorale» ufficiale. Tutto il castello esegetico moderno crollerebbe rovinosamente, i Vangeli sarebbero restituiti ad una piena storicità e le loro cronache sarebbero testimonianze dirette di uomini che avevano visto, sentito, e toccato con mano.

Insomma, nel piccolo frammento di papiro 7Q5 sarebbe contenuta una eccezionale conferma documentaria di ciò che la Chiesa ha insegnato ininterrottamente per diciannove secoli. Due professori presbiteriani, D. Estrada e W. White Jr, nel libro «The First New Testament», spiegano che in questa diatriba si contrappongono « punti di vista liberali sul Nuovo Testamento contro una scoperta capace di distruggere i fondamenti delle tesi liberali e teologiche già accettate; il lavoro dell’ultimo arrivato sui rotoli del Mar Morto (O’Callaghan) contro gli sforzi di alcuni scienziati largamente stimati e responsabili istituzionali del lavoro ».
« Confesso che io stesso sarei stato prudentissimo ad accettare subito i risultati di 7Q5″, ammette lealmente padre O’Callaghan, che certo non manca di scrupolo scientifico e di prudenza, « ma credo anche che se si fosse trattato di un frammento di letteratura greca o dell’Antico Testamento non sarebbero insorti tanti problemi immotivati. Ho fatto tante altre identificazioni analoghe, da Senofonte a Teocrito, a Eusebio di Cesarea e tutto è stato pacificamente accettato. Ne ho pubblicate altre a Bruxelles, altre ancora in Spagna e sono stato molto lodato ». O’Callaghan, decano della Facoltà biblica, dove insegna da 24 anni, ha un curriculum di oltre 200 titoli. Ma su 7Q5 è scesa una censura che non ha permesso alla notizia di essere ufficializzata né di trapelare granché fuori della cerchia degli addetti ai lavori (nonostante l’attenzione dedicata da tempo alla vicenda dal periodico «Si si no no»).

Eppure quel frammento è stato sottoposto a tante prove del computer. La più recente a Oxford: è stato messo a raffronto con tutto l’insieme della letteratura greco-cristiana, ma l’unico responso possibile che il computer continua a dare per quel gruppo testuale è Marco 6,52-53.

Dopo tanti anni, a rompere questa sospetta cappa di silenzio è stato uno studioso luterano, Carsten Peter Thiede, che in un suo approfondito studio, «Il più antico manoscritto dei vangeli?», pubblicato dall’Istituto biblico di Roma, arriva a una argomentata e certa conclusione: « in base alle regole del lavoro paleografico e di critica testuale, è certo che 7Q5 è Mc 6,52-53, il più antico frammento conservato di un testo del Nuovo Testamento, scritto attorno al 50, e sicuramente prima del 68. E che il passo come tale non provenga da una raccolta formatasi prima di Marco, ma presupponga un Vangelo già completamente terminato, era già stato affermato, giustamente, dallo stesso Kurt Aland ».

Le crepe scientifiche sull’edificio «professorale» dell’esegesi storica si stanno allargando. Ma i dogmi dell’esegesi razionalista, che si mostrano sempre più irrazionali, sembrano avere dalla loro talora l’ufficialità ecclesiastica.

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