Da dove la vita ci ha feriti

Posté par atempodiblog le 20 juin 2011

Da dove la vita ci ha feriti dans Citazioni, frasi e pensieri spiritosanto

Lo Spirito Santo vuole trasformarci partendo proprio da dove la vita ci ha feriti, dobbiamo solo dargli il permesso di entrare, di agire.

Suor Elvira – Comunità Cenacolo

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Celibato, basta bugie. Manca la fede

Posté par atempodiblog le 20 juin 2011

Celibato, basta bugie. Manca la fede
di Antonio Giuliano  – labussolaquotidiana.it

Celibato, basta bugie. Manca la fede dans Articoli di Giornali e News Altro-Ges

Tutta colpa del celibato, dicono. Così i recenti casi di abusi e pedofilia hanno ridestato le puntuali accuse contro la Chiesa che obbliga i preti a non sposarsi. Al di là dei soliti pregiudizi, in una società che esalta il consumismo affettivo, i sacerdoti (ma anche i religiosi/e) sono visti come marziani. Ecco perché libri come quello di Mauro Leonardi Come Gesù (Ares, pp. 328, euro 16) o quello di Arturo Cattaneo Preti sposati? (Elledici, pp. 144, euro 9), di questi tempi appaiono davvero arditi: la scelta di seguire Cristo donandosi totalmente non è per nulla “castrante” del cuore umano. E Cattaneo, da teologo e docente di Diritto canonico, non schiva certo le questioni più scottanti, come ha fatto nel suo libro (con prefazione del cardinale Mauro Piacenza), nel quale richiama anche le tesi di autorevoli esperti.

Perché gli abusi da parte di uomini di Chiesa non possono essere spiegati con il celibato?
Chi afferma o suppone una simile relazione sta cercando un pretesto per screditare il celibato. Nessuno studio serio ha infatti potuto stabilire un rapporto fra celibato e pedofilia o abusi sessuali. A nessuno verrebbe in mente di imputare al matrimonio il fatto che persone sposate commettano tali abusi. Non si vede perché debba essere diverso nel caso del celibato. Ciò non toglie che, per la dignità di cui è investito il sacerdote di Cristo, pur ridimensionando il fenomeno e scagionando il celibato, l’abuso sessuale commesso da sacerdoti è particolarmente odioso, tragico e offensivo.

In una cultura segnata dall’ipersessualizzazione, non le pare che il celibato sia antistorico e contro-natura dal punto di vista psicoaffettivo?
Sono d’accordo con lo psicoterapeuta tedesco Manfred Lütz quando dice che la vita celibataria sarebbe innaturale solo quando l’esser da solo diventa una forma di egoismo chiuso in sé o una narcisistica messinscena di sé. Da un tale pericolo, non è però esento nemmeno l’uomo sposato. Oltre all’accusa di essere “innaturale” il celibato è spesso indicato quale una delle principali cause di certe crisi esistenziali di alcuni sacerdoti. Ma all’origine di tali crisi non è il celibato, ma l’inaridimento della vita spirituale. Quando un sacerdote non prega più regolarmente, quando egli stesso non si accosta più al sacramento della riconciliazione, in altre parole, quando egli non intrattiene più una relazione vitale con Dio, allora egli, come sacerdote, non è più fecondo. I fedeli stessi si rendono conto che da lui non emana più la forza dello spirito di Dio. Non è difficile comprendere come tutto ciò possa portare il prete ad uno stato di insoddisfazione e di frustrazione.

C’è qualcosa da rivedere all’interno dei seminari?
Al momento dell’ammissione al seminario e dell’accettazione per il conferimento dell’ordine, bisognerà procedere con grande diligenza e coerenza, senza lasciarsi condizionare dal desiderio di incrementare il numero delle vocazioni. La qualità è più importante della quantità. Da parte dei responsabili occorre il pieno riconoscimento della verità cristiana in materia di morale sessuale. Ciò contribuirà a un rinnovamento sia del sacerdozio sia della vita matrimoniale e familiare.

L’altro cavallo di battaglia contro il celibato è la tesi per cui favorirebbe la presenza di omosessuali tra i sacerdoti.
Se in qualche diocesi si osservasse un numero relativamente alto di sacerdoti con tendenze omosessuali, ciò indicherebbe che non si sono seguiti con sufficiente cura i criteri di selezione dei candidati al sacerdozio. La causa di una simile situazione non sarebbe certamente il celibato, per il semplice fatto che questa promessa presuppone che il futuro sacerdote sia eterosessuale. Infatti la rinuncia volontaria e consapevole, per amore del Regno dei Cieli, a quei beni naturali che sono il matrimonio e la famiglia è possibile solo a un uomo eterosessuale. Se uno promettesse di rinunciare a qualcosa che per lui non è un bene naturale ma gli è indifferente, estraneo o non lo attira, in realtà non farebbe una rinuncia; il termine rinuncia diventerebbe assolutamente privo di contenuto e non avrebbe nessun senso.

Una rinuncia alla quale Gesù “invita” non obbliga…
Certamente il celibato è un invito, un dono che il Signore offre e non può essere imposto a nessuno. La Chiesa – guidata dallo Spirito Santo – ha gradatamente riconosciuto l’importanza di scegliere i candidati per il ministero sacerdotale fra coloro che hanno ricevuto tale dono. Riguardo al suo valore, Gesù ha precisato: “Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso” (Mt 19,11). Ciò implica una comprensibile prudenza nel discernimento delle vocazioni al sacerdozio. La Chiesa è la prima interessata a evitare che diventi sacerdote chi non è in grado di vivere le esigenze del celibato. Quest’ultimo è infatti un dono, ma anche un compito e una chiamata ad amare di più.

Ma i preti sposandosi non capirebbero di più i problemi delle famiglie?
Chi prende sul serio l’accompagnamento spirituale dei fedeli arriva ad avere più esperienze di non pochi sposati. Manfred Lütz ha osservato che un pastore d’anime sposato, così come uno psicoterapeuta sposato, corre sempre il rischio di rivivere inconsciamente e di far agire nel caso presente davanti a sé le esperienze del proprio matrimonio. Perciò egli ha bisogno, in genere, di una supervisione, per evitare simili rischi. Al contrario, un buon pastore d’anime ha una ricca esperienza esistenziale con tantissime vicende matrimoniali. Da tutto ciò egli può attingere per i casi più difficili. Si spiega così la straordinaria fecondità degli scritti di Giovanni Paolo II sul matrimonio.

Però in Oriente i preti si sposano…
Questo è uno dei temi su cui esiste forse la maggior disinformazione. La Chiesa primitiva ammetteva sacerdoti sposati, ma a condizione che essi, dopo l’ordinazione, vivessero in perfetta e perpetua continenza. Questa richiesta, non ancora teorizzata teologicamente, dimostra che sin dall’inizio c’era la convinzione che il sacerdote dovesse esser libero da ogni altro legame per potersi donare alla Chiesa sull’esempio di Cristo. Difatti la Chiesa latina con la progressiva introduzione a partire dal IV secolo del requisito del celibato è rimasta in sintonia con la pratica originale di un clero continente. E nei primi secoli, le Chiese d’Oriente hanno promosso l’astinenza dei chierici anche più di quelle d’Occidente. Poi l’obbligo all’astinenza si è iniziato a indebolire nelle Chiese orientali a causa degli scismi e di alcune manipolazioni dei testi dei precedenti concili. L’interpretazione della Chiesa orientale va dunque sfatata, perché storicamente insostenibile. Sebbene la Chiesa di Roma abbia accettato quella disciplina, sarebbe più logico promuovere anche lì il sacerdozio celibatario.

Eppure anche nella Chiesa son tornate a farsi sentire voci progressiste contro il celibato. E viene ricordato come anche il teologo Ratzinger nel 1970 era possibilista sui preti sposati.
Nel 1970 la commissione teologica della Conferenza episcopale tedesca (a cui apparteneva Ratzinger) suggerì effettivamente di aprire una discussione sul tema, il documento non venne però firmato da Ratzinger. Penso che chi chieda di abolire l’esigenza del celibato dovrebbe avere maggior rispetto nei confronti di quanto il Magistero insegna. Quest’ultimo ha individuato la ragione teologica del celibato nella configurazione del sacerdote a Gesù Cristo, Capo e Sposo della Chiesa. Ciò permette al sacerdote di vivere il celibato non come un elemento isolato o puramente negativo (rinuncia difficile), ma quale frutto di una libera scelta d’amore – continuamente da rinnovare – in risposta ad un invito di Dio a seguire Cristo nel suo donarsi come “Sposo della Chiesa”, partecipando così alla paternità e alla fecondità di Dio.

In che modo i sacerdoti possono essere aiutati a vivere il celibato?
Ciò che maggiormente aiuta a vivere, e con gioia, il celibato è accoglierlo con la giusta motivazione, ossia quella del dono a Cristo e alle anime. Così il celibato non solo non sarà causa di solitudine, ma sarà fecondo di compagnia e di amicizia. Anzitutto con Cristo, incontrato quotidianamente nell’Eucaristia e nella preghiera, ma poi anche con i fratelli. Da Gesù il sacerdote impara ad amare i fedeli lui affidati nel modo giusto e autentico, senza cedere a tentazioni possessive di nessun genere, ma spinto sempre dal desiderio di servire. Aprendosi a tutti, senza fare preferenze che facilmente sono dettate da un compiacimento personale ed egoistico. Il celibato non significa inibizione del cuore, che di per sé tende ad amare, ma è proprio uno stimolo ad amare ancora di più e meglio.

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L’eternità

Posté par atempodiblog le 20 juin 2011

L'eternità dans Fede, morale e teologia eternit

È articolo di fede che, come è senza fine la gloria che dà Iddio alle anime giuste, così è senza fine il castigo che dà ai malvagi all’inferno. Il motivo è che, dopo la morte, è finito il tempo e non è più possibile né meritare, né demeritare: come si muore, tali si resta per tutta l’eternità: i giusti sempre giusti, i malvagi sempre malvagi. Ora, Dio, giustissimo rimuneratore, non può non premiare e glorificare le anime dei giusti e non punire e castigare i cattivi. I buoni in cielo saranno sempre buoni per tutta l’eternità, perciò Dio per tutta l’eternità li premia e li glorifica; i cattivi, al contrario, nell’inferno saranno sempre soggiogati, per tutta l’eternità, dai loro vizi, quindi Dio per tutta l’eternità li punisce e li tormenta. A far cessare all’inferno il castigo, bisognerebbe che cessasse il peccato, ma il peccato permane, perché il dannato non potrà mai rivolgersi a Dio con un atto di contrizione e chiedergli perdono.

Anzi egli lo odierà e maledirà eternamente, quindi conviene che anche la pena sia sempiterna, altrimenti Dio non sarebbe giusto.

Posto ciò, considerate che vuol dire eternità di castigo. Essa è una pena terribilissima, perché non ha misura. Amplissimo è il giro della terra e l’altezza dei pianeti, ma tuttavia si possono misurare; profondo è il fondo del mare, ma si può scandagliare dagli esperti; ogni cosa, insomma, benché si chiami smisurata, si può sempre, in qualche modo, misurare. L’eternità sola non può misurarsi; tutte le misure immaginabili, applicate all’eternità, sono di essa infinitamente minori.

di Sant’Agostino Roscelli
Fonte: Immacolatine.it

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La vita eterna

Posté par atempodiblog le 16 juin 2011

La vita eterna dans Citazioni, frasi e pensieri papabenedettoxvi

« Noi oggi abbiamo spesso un po’ paura di parlare della vita eterna. Parliamo delle cose che sono utili per il mondo, mostriamo che il cristianesimo aiuta anche a migliorare il mondo, ma che la sua meta sia la vita eterna e che dalla meta vengano poi i criteri della vita, non osiamo dirlo.
Allora dobbiamo invece avere il coraggio, la gioia, la grande speranza che la vita eterna c’è, che è la vera vita e che da questa vera vita viene la luce che illumina anche questo mondo ».

Benedetto XVI

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Il suicidio del pensiero

Posté par atempodiblog le 16 juin 2011

Il suicidio del pensiero dans Gilbert Keith Chesterton 2e5vdd2

[...] Mentre sfoglio tutti questi intelligenti, meravigliosi, noiosi ed inutili libri moderni, gli occhi si fermano sul titolo di uno di essi: «Giovanna d’Arco» di Anatole France. Gli ho dato soltanto un’occhiata, ma un’occhiata mi è bastata per richiamarmi alla mente la «Vita di Gesù» di Renan. Ha la stessa strana impostazione di scetticismo riverente, che scredita delle storie soprannaturali che hanno qualche fondamento per raccontare storie naturali che non ne hanno alcuno. Poiché non possiamo credere a quel che un Santo fece, fingiamo di sapere esattamente che cosa sentì.
Ma io non cito questi libri per criticarli, bensì perché l’incontro fortuito di questi nomi suscita in me due immagini di salute mentale che mi colpiscono e che spazzano via davanti a me tutta questa letteratura.
Giovanna d’Arco non si lasciò inchiodare al crocevia, rifiutando tutti i sentieri come Tolstoj, o accettandoli tutti come Nietzsche. Ne scelse uno e vi si lanciò come un fulmine. E tuttavia Giovanna, se ci pensiamo bene, aveva in sè tutto quello che c’era di vero in Tolstoj e in Nietzsche, tutto quello che c’era in loro di accettabile. Io pensavo a quanto c’è di nobile in Tolstoj: il gusto delle cose ordinarie, l’affetto vivo per la terra, il rispetto per il povero, la dignità delle reni piegate dal lavoro. Giovanna d’Arco ebbe tutto ciò, con questo di più: che sopportò duramente la povertà nell’atto stesso di ammirarla, mentre Tolstoj è il tipo dell’aristocratico che cerca di scoprirne il segreto. Pensavo poi a quanto c’è di coraggio, di fierezza, di passione nello sventurato Nietzsche e al suo disperato ammutinamento contro la vuotaggine e la pusillanimità del nostro tempo; pensavo alla sua invocazione all’equilibrio estatico del vivere pericolosamente, al desiderio dei galoppi sfrenati sui grandi cavalli, ai suoi appelli alle armi. Bene: Giovanna d’Arco ebbe tutto questo e, anche qui, con la differenza che essa non solo esaltò il combattimento, ma combattè. Noi sappiamo che essa non ebbe paura di un esercito, mentre Nietzsche come tutti sappiamo, ebbe paura di una mucca. Tolstoj si limitò a fare l’elogio del contadino; essa fu contadina. Nietzsche si limitò a fare l’elogio del guerriero; essa fu guerriera.
Essa li vince tutti e due sul terreno dei rispettivi, antagonistici ideali: è stata più dolce dell’uno e più forte dell’altro. Essa fu inoltre una persona perfettamente pratica, che fece qualcosa, mentre essi sono dei folli speculatori che non hanno concluso nulla. Era impossibile che non mi attraversasse la mente il pensiero che essa e la sua fede dovevano avere qualche misterioso senso di unità e di utilità morale che è andato perduto.
E questo pensiero ne provocò un altro più grande: anche la colossale figura del suo Maestro attraversò il teatro dei miei pensieri. Il soggetto trattato da Anatole France, come quello trattato da Ernesto Renan, furono oscurati dalle medesime difficoltà derivanti dal pensiero moderno. Anche Renan tenne divise, nel suo eroe, la bontà e la combattività. Renan rappresentò la giusta rabbia di Gerusalemme come un semplice esaurimento nervoso dopo le idilliche aspettative della Galilea. Come se l’amore per l’umanità fosse incompatibile con l’odio per l’inumanità. Gli altruisti, con sottile, debole voce, denunziano Cristo come un egoista. Gli egoisti (con voce ancor più debole e sottile) lo denunziano come altruista. Nel presente clima si comprendono certi cavilli. L’amore di un eroe è più terribile dell’odio di un tiranno. L’odio di un eroe è più generoso dell’amore di un filantropo. C’è, in questo, una sanità profonda ed eroica, di cui gli uomini moderni possono solo raccogliere i frammenti. C’è un gigante di cui vediamo solo le braccia abbandonate e le gambe che si allontanano. Essi hanno lacerato l’anima di Cristo in due brandelli grotteschi, catalogati come egoismo e altruismo, e sono egualmente sconcertati dalla Sua folle magnificenza e dalla Sua insana dolcezza. Si sono divisi le Sue vesti e se le sono giocate a dadi; benché la Sua tunica fosse senza cuciture e tessuta tutto d’un pezzo.

di Gilbert Keith Chesterton

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I catechisti insegnino e testimonino la fede della Chiesa

Posté par atempodiblog le 16 juin 2011

I catechisti insegnino e testimonino la fede della Chiesa  dans Fede, morale e teologia catechismo

E’ necessario che i catechisti insegnino e testimonino la fede della Chiesa e non una loro interpretazione. Proprio per questo è stato realizzato il Catechismo della Chiesa Cattolica.

Bendetto XVI

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Don Bosco assiste a un conciliabolo di demòni

Posté par atempodiblog le 13 juin 2011

Don Bosco assiste a un conciliabolo di demòni dans Anticristo donbosco

Nella notte del 1° dicembre del 1884 il chierico Viglietti, che faceva da segretario a Don Bosco, fu svegliato di soprassalto da grida strazianti che venivano dalla camera del Santo. Balzò subito da letto e stette ad ascoltare. Don Bosco, con voce soffocata dal singhiozzo, gridava: “Ohimè, ohimè, aiuto, aiuto!”.
Viglietti entrò e disse: “Oh, Don Bosco, si sente male?”.
“Oh, Viglietti – rispose svegliandosi -; no, non sto male, ma non potevo più respirare. Ma basta: ritorna tranquillo a letto e dormi”.
Al mattino, dopo la Messa, “Oh, Viglietti, non ne posso proprio più, ho lo stomaco rotto dalle grida di questa notte. Sono quattro notti consecutive che faccio sogni che mi costringono a gridare e mi stancano all’eccesso”.
E narrò che, tra l’altro, aveva sognato la morte di Salesiani a lui carissimi. Ma il sogno che l’aveva maggiormente impressionato era stato il seguente.

Gli era parso di essere in una grande sala dove diavoli in gran numero tenevano congresso e trattavano del modo di sterminare la Congregazione Salesiana. La loro figura era indeterminata e si avvicinava piuttosto alla figura umana. Parevano ombre che ora si abbassavano e ora si alzavano, si accorciavano, si stendevano, come farebbero molti corpi che dietro avessero un lume trasportato or da una parte or dall’altra, ora abbassato al suolo e ora sollevato. Ma quella fantasmagoria metteva spavento.
Ora ecco uno dei demòni avanzarsi e aprire la seduta. Per distruggere la Congregazione Salesiana propose un mezzo: la gola. Fece vedere le conseguenze di questo vizio: inerzia per il bene, corruzione dei costumi, scandalo, nessuno spirito di sacrificio, nessuna cura dei giovani. Ma un altro diavolo gli obiettò: “Il tuo mezzo non è efficace perché la mensa dei religiosi sarà sempre parca e il vino misurato. La Regola fissa il loro vitto ordinario. I superiori vigilano per impedire che succedano disordini. No, non è questa l’arma per combattere i Salesiani. Procurerò io un altro mezzo che ci faccia ottenere meglio il nostro intento: l’amore alle ricchezze. In una Congregazione religiosa quando entra l’amore alle ricchezze, entra insieme l’amore alle comodità, si cerca ogni via per avere un peculio, si rompe il vincolo della carità perché ognuno pensa a se stesso, si trascurano i poveri per occuparsi solo di quelli che hanno fortuna, si ruba alla Congregazione”.
Costui voleva continuare, ma sorse un terzo demonio: “Ma che gola!”. – esclamò -. “Ma che ricchezze! Tra i Salesiani l’amore alle ricchezze può vincere pochi. Sono tutti poveri i Salesiani. In generale poi sono così immensi i loro bisogni per i tanti giovani e per le tante case, che qualsiasi somma, anche grossa, verrebbe consumata. Non è possibile che tesoreggino. Ma ho io un mezzo infallibile per rovinare la Società Salesiana e questo è la libertà. Indurre quindi i Salesiani a sprezzare le Regole, a rifiutare certi uffici pesanti e poco onorifici, spingerli a fare scismi dai loro superiori con opinioni diverse, ad andare a casa col pretesto d’inviti e simili”.
Mentre i demòni parlamentavano, Don Bosco pensava: “Io sto ben attento, sapete, a quanto andate dicendo. Parlate, parlate pure, che così potrò sventare le vostre trame”.
Intanto saltò su un quarto demonio: “Ma che!”, gridò. “Armi spezzate le vostre. I superiori sapranno frenare questa libertà, scacceranno via dalle case chi osasse dimostrarsi ribelle alle Regole. Qualcuno forse sarà trascinato dall’amore alla libertà, ma la gran maggioranza si manterrà fedele. Io ho un mezzo adatto per guastare tutto fin dalle fondamenta; un mezzo tale che a stento i Salesiani se ne potranno guardare: sarà proprio un guasto in radice.
Ascoltatemi con attenzione: persuaderli che l’essere dotti è quello che deve formare la loro gloria principale. Quindi indurli a studiare molto per sé, per acquistare fama, e non per praticare quello che imparano, non per usufruire della scienza a vantaggio del prossimo. Perciò boria nelle maniere verso gli ignoranti e i poveri, poltroneria nel sacro ministero. Non più oratori festivi, non più catechismi ai fanciulli, non più scuolette basse per istruire i poveri ragazzi abbandonati, non più lunghe ore di confessionale. Terranno solo la predicazione, ma rara e misurata, e questa sterile perché fatta a sfogo di superbia, col fine di ottenere le lodi degli uomini e non di salvare anime”.
La proposta di costui fu accolta da applausi generali. Allora Don Bosco intravide il giorno in cui i Salesiani avrebbero potuto illudersi che il bene della Congregazione dovesse consistere unicamente nel sapere, e
temette che non solo così praticassero, ma anche predicassero doversi così praticare.

Anche questa volta Don Bosco se ne stava in un angolo della sala ad ascoltare e a vedere tutto, quando uno dei demòni lo scoperse e gridando lo indicò agli altri. A quel grido tutti si avventarono contro di lui urlando: “La faremo finita!”.
Era una ridda infernale di spettri, che lo urtavano, lo afferravano per le braccia e per la persona, ed egli a gridare: “Lasciatemi! Aiuto!”.
Finalmente si svegliò con lo stomaco tutto sconquassato dal molto gridare.

Don Bosco raccontando il sogno piangeva. Il chierico Viglietti gli prese la mano e stringendosela al cuore, gli disse: “Ah, Don Bosco, noi con l’aiuto di Dio le saremo sempre fedeli e buoni figliuoli!”.
“Caro Viglietti”, rispose Don Bosco, “sta’ buono e preparati a vedere gli avvenimenti… Vi saranno di quelli che vorranno soprattutto la scienza che gonfia, che procaccia loro le lodi degli uomini e che li rende sprezzanti di chi essi vedono da meno di loro per sapere”.

Tratto da: Sogni Don Bosco
Fonte: Spiritualità Giovanile Salesiana

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Vigilanti e pronti a prevenire gli attacchi del Maligno

Posté par atempodiblog le 13 juin 2011

Vigilanti e pronti a prevenire gli attacchi del Maligno dans Anticristo Santa-Maria

Dal guardare sorge il mal pensiero; dal pensiero sorge una certa dilettazione nella carne, benché involontaria; a questa dilettazione indeliberata spesso succede poi il consenso della volontà: ed ecco che l’anima è perduta. […] Il demonio ha bisogno solamente che noi cominciamo ad aprirgli la porta, perché esso poi finirà d’aprirsela. Ai primi solletichi sensuali con cui ci assalta il demonio dobbiamo resistere e non permettere che la serpe, cioè la tentazione, da piccola si faccia grande. È facile uccidere il leone quando è picciolo; ma è difficile quando è grande.

Sant’Alfonso Maria De Liguori – Sulla castità del sacerdote
Tratto da: L’ora di Satana (L’attacco del Male al mondo contemporaneo) di Padre Livio Fanzaga con Diego Manetti, Ed. Piemme

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Una scintilla nascosta

Posté par atempodiblog le 4 juin 2011

Una scintilla nascosta dans Citazioni, frasi e pensieri agostino

Quando fai del bene, non mancare di riguardo verso chi non ne fa, non ti inorgoglire sprezzantemente di fronte a lui. In lui non è ancora spenta la grazia di Dio che può sempre farlo diventare un altro.

Sant’Agostino

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Dio è Amore

Posté par atempodiblog le 1 juin 2011

Dio è Amore dans Fede, morale e teologia ges1

La devozione al Sacro Cuore di Gesù rivolge ai fedeli un duplice invito. Primo: conoscere Cristo in profon­dità, intimamente. Bisogna approfondire i suoi misteri. « Quando – dice Paolo VI – col catechismo alla mano sie­te arrivati a dire: « È Figlio di Dio », non arrestatevi; biso­gna andare avanti, esplorare intimamente e giungere fino in fondo e troveremo: Dio è amore ».
Secondo: non basta più una religione puramente e­steriore, fatta di sole pratiche, forse frettolose! Dob­biamo penetrare fino in fondo e concluderemo: il Van­gelo è amore, l’incarnazione è amore, la passione è amore, l’Eucaristia è amore, la Chiesa è amore, la grazia è amore. E’ proprio vero che: la carità di Cristo incom­be sopra di noi, ci preme, ci perseguita. E allora? Dob­biamo rispondere alle sollecitazioni dell’Amore. « Sape­vamo – prosegue il Papa – che l’amore è un comandamento, cioè una cosa che ci obbliga; il Signore è stato tanto buono da esigere da noi, come prima cosa, il sa­crificio del nostro cuore al suo tanto attraente, gioioso, amoroso ».
Il Signore si è voluto servire di questa predisposi­zione nostra naturale per farci suoi soci, per attirarci a sé, per stringere questo nodo definitivo della vera reli­gione. Vuole da noi niente altro che il cuore. Cuore chia­ma cuore, amore chiama amore. Per esprimere l’amore bisogna essere almeno in due, l’amore per essere fecon­do ha bisogno di due che si amino, altrimenti è egoismo.

FIORETTO: Onorerò il Sacro Cuore di Gesù con atti di fiducia e di speranza nella Sua bontà infinita.

GIACULATORIA: “O Cuor santissimo, specchio di Dio… buono e ognor fervido rendi il mio”.

Fonte: Viviamo giugno col Sacro Cuore – Sacerdoti del S. Cuore (Dehoniani)

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