Celibato, basta bugie. Manca la fede
di Antonio Giuliano – labussolaquotidiana.it
Tutta colpa del celibato, dicono. Così i recenti casi di abusi e pedofilia hanno ridestato le puntuali accuse contro la Chiesa che obbliga i preti a non sposarsi. Al di là dei soliti pregiudizi, in una società che esalta il consumismo affettivo, i sacerdoti (ma anche i religiosi/e) sono visti come marziani. Ecco perché libri come quello di Mauro Leonardi Come Gesù (Ares, pp. 328, euro 16) o quello di Arturo Cattaneo Preti sposati? (Elledici, pp. 144, euro 9), di questi tempi appaiono davvero arditi: la scelta di seguire Cristo donandosi totalmente non è per nulla “castrante” del cuore umano. E Cattaneo, da teologo e docente di Diritto canonico, non schiva certo le questioni più scottanti, come ha fatto nel suo libro (con prefazione del cardinale Mauro Piacenza), nel quale richiama anche le tesi di autorevoli esperti.
Perché gli abusi da parte di uomini di Chiesa non possono essere spiegati con il celibato?
Chi afferma o suppone una simile relazione sta cercando un pretesto per screditare il celibato. Nessuno studio serio ha infatti potuto stabilire un rapporto fra celibato e pedofilia o abusi sessuali. A nessuno verrebbe in mente di imputare al matrimonio il fatto che persone sposate commettano tali abusi. Non si vede perché debba essere diverso nel caso del celibato. Ciò non toglie che, per la dignità di cui è investito il sacerdote di Cristo, pur ridimensionando il fenomeno e scagionando il celibato, l’abuso sessuale commesso da sacerdoti è particolarmente odioso, tragico e offensivo.
In una cultura segnata dall’ipersessualizzazione, non le pare che il celibato sia antistorico e contro-natura dal punto di vista psicoaffettivo?
Sono d’accordo con lo psicoterapeuta tedesco Manfred Lütz quando dice che la vita celibataria sarebbe innaturale solo quando l’esser da solo diventa una forma di egoismo chiuso in sé o una narcisistica messinscena di sé. Da un tale pericolo, non è però esento nemmeno l’uomo sposato. Oltre all’accusa di essere “innaturale” il celibato è spesso indicato quale una delle principali cause di certe crisi esistenziali di alcuni sacerdoti. Ma all’origine di tali crisi non è il celibato, ma l’inaridimento della vita spirituale. Quando un sacerdote non prega più regolarmente, quando egli stesso non si accosta più al sacramento della riconciliazione, in altre parole, quando egli non intrattiene più una relazione vitale con Dio, allora egli, come sacerdote, non è più fecondo. I fedeli stessi si rendono conto che da lui non emana più la forza dello spirito di Dio. Non è difficile comprendere come tutto ciò possa portare il prete ad uno stato di insoddisfazione e di frustrazione.
C’è qualcosa da rivedere all’interno dei seminari?
Al momento dell’ammissione al seminario e dell’accettazione per il conferimento dell’ordine, bisognerà procedere con grande diligenza e coerenza, senza lasciarsi condizionare dal desiderio di incrementare il numero delle vocazioni. La qualità è più importante della quantità. Da parte dei responsabili occorre il pieno riconoscimento della verità cristiana in materia di morale sessuale. Ciò contribuirà a un rinnovamento sia del sacerdozio sia della vita matrimoniale e familiare.
L’altro cavallo di battaglia contro il celibato è la tesi per cui favorirebbe la presenza di omosessuali tra i sacerdoti.
Se in qualche diocesi si osservasse un numero relativamente alto di sacerdoti con tendenze omosessuali, ciò indicherebbe che non si sono seguiti con sufficiente cura i criteri di selezione dei candidati al sacerdozio. La causa di una simile situazione non sarebbe certamente il celibato, per il semplice fatto che questa promessa presuppone che il futuro sacerdote sia eterosessuale. Infatti la rinuncia volontaria e consapevole, per amore del Regno dei Cieli, a quei beni naturali che sono il matrimonio e la famiglia è possibile solo a un uomo eterosessuale. Se uno promettesse di rinunciare a qualcosa che per lui non è un bene naturale ma gli è indifferente, estraneo o non lo attira, in realtà non farebbe una rinuncia; il termine rinuncia diventerebbe assolutamente privo di contenuto e non avrebbe nessun senso.
Una rinuncia alla quale Gesù “invita” non obbliga…
Certamente il celibato è un invito, un dono che il Signore offre e non può essere imposto a nessuno. La Chiesa – guidata dallo Spirito Santo – ha gradatamente riconosciuto l’importanza di scegliere i candidati per il ministero sacerdotale fra coloro che hanno ricevuto tale dono. Riguardo al suo valore, Gesù ha precisato: “Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso” (Mt 19,11). Ciò implica una comprensibile prudenza nel discernimento delle vocazioni al sacerdozio. La Chiesa è la prima interessata a evitare che diventi sacerdote chi non è in grado di vivere le esigenze del celibato. Quest’ultimo è infatti un dono, ma anche un compito e una chiamata ad amare di più.
Ma i preti sposandosi non capirebbero di più i problemi delle famiglie?
Chi prende sul serio l’accompagnamento spirituale dei fedeli arriva ad avere più esperienze di non pochi sposati. Manfred Lütz ha osservato che un pastore d’anime sposato, così come uno psicoterapeuta sposato, corre sempre il rischio di rivivere inconsciamente e di far agire nel caso presente davanti a sé le esperienze del proprio matrimonio. Perciò egli ha bisogno, in genere, di una supervisione, per evitare simili rischi. Al contrario, un buon pastore d’anime ha una ricca esperienza esistenziale con tantissime vicende matrimoniali. Da tutto ciò egli può attingere per i casi più difficili. Si spiega così la straordinaria fecondità degli scritti di Giovanni Paolo II sul matrimonio.
Però in Oriente i preti si sposano…
Questo è uno dei temi su cui esiste forse la maggior disinformazione. La Chiesa primitiva ammetteva sacerdoti sposati, ma a condizione che essi, dopo l’ordinazione, vivessero in perfetta e perpetua continenza. Questa richiesta, non ancora teorizzata teologicamente, dimostra che sin dall’inizio c’era la convinzione che il sacerdote dovesse esser libero da ogni altro legame per potersi donare alla Chiesa sull’esempio di Cristo. Difatti la Chiesa latina con la progressiva introduzione a partire dal IV secolo del requisito del celibato è rimasta in sintonia con la pratica originale di un clero continente. E nei primi secoli, le Chiese d’Oriente hanno promosso l’astinenza dei chierici anche più di quelle d’Occidente. Poi l’obbligo all’astinenza si è iniziato a indebolire nelle Chiese orientali a causa degli scismi e di alcune manipolazioni dei testi dei precedenti concili. L’interpretazione della Chiesa orientale va dunque sfatata, perché storicamente insostenibile. Sebbene la Chiesa di Roma abbia accettato quella disciplina, sarebbe più logico promuovere anche lì il sacerdozio celibatario.
Eppure anche nella Chiesa son tornate a farsi sentire voci progressiste contro il celibato. E viene ricordato come anche il teologo Ratzinger nel 1970 era possibilista sui preti sposati.
Nel 1970 la commissione teologica della Conferenza episcopale tedesca (a cui apparteneva Ratzinger) suggerì effettivamente di aprire una discussione sul tema, il documento non venne però firmato da Ratzinger. Penso che chi chieda di abolire l’esigenza del celibato dovrebbe avere maggior rispetto nei confronti di quanto il Magistero insegna. Quest’ultimo ha individuato la ragione teologica del celibato nella configurazione del sacerdote a Gesù Cristo, Capo e Sposo della Chiesa. Ciò permette al sacerdote di vivere il celibato non come un elemento isolato o puramente negativo (rinuncia difficile), ma quale frutto di una libera scelta d’amore – continuamente da rinnovare – in risposta ad un invito di Dio a seguire Cristo nel suo donarsi come “Sposo della Chiesa”, partecipando così alla paternità e alla fecondità di Dio.
In che modo i sacerdoti possono essere aiutati a vivere il celibato?
Ciò che maggiormente aiuta a vivere, e con gioia, il celibato è accoglierlo con la giusta motivazione, ossia quella del dono a Cristo e alle anime. Così il celibato non solo non sarà causa di solitudine, ma sarà fecondo di compagnia e di amicizia. Anzitutto con Cristo, incontrato quotidianamente nell’Eucaristia e nella preghiera, ma poi anche con i fratelli. Da Gesù il sacerdote impara ad amare i fedeli lui affidati nel modo giusto e autentico, senza cedere a tentazioni possessive di nessun genere, ma spinto sempre dal desiderio di servire. Aprendosi a tutti, senza fare preferenze che facilmente sono dettate da un compiacimento personale ed egoistico. Il celibato non significa inibizione del cuore, che di per sé tende ad amare, ma è proprio uno stimolo ad amare ancora di più e meglio.