Il suicidio del pensiero

Posté par atempodiblog le 16 juin 2011

Il suicidio del pensiero dans Gilbert Keith Chesterton 2e5vdd2

[...] Mentre sfoglio tutti questi intelligenti, meravigliosi, noiosi ed inutili libri moderni, gli occhi si fermano sul titolo di uno di essi: «Giovanna d’Arco» di Anatole France. Gli ho dato soltanto un’occhiata, ma un’occhiata mi è bastata per richiamarmi alla mente la «Vita di Gesù» di Renan. Ha la stessa strana impostazione di scetticismo riverente, che scredita delle storie soprannaturali che hanno qualche fondamento per raccontare storie naturali che non ne hanno alcuno. Poiché non possiamo credere a quel che un Santo fece, fingiamo di sapere esattamente che cosa sentì.
Ma io non cito questi libri per criticarli, bensì perché l’incontro fortuito di questi nomi suscita in me due immagini di salute mentale che mi colpiscono e che spazzano via davanti a me tutta questa letteratura.
Giovanna d’Arco non si lasciò inchiodare al crocevia, rifiutando tutti i sentieri come Tolstoj, o accettandoli tutti come Nietzsche. Ne scelse uno e vi si lanciò come un fulmine. E tuttavia Giovanna, se ci pensiamo bene, aveva in sè tutto quello che c’era di vero in Tolstoj e in Nietzsche, tutto quello che c’era in loro di accettabile. Io pensavo a quanto c’è di nobile in Tolstoj: il gusto delle cose ordinarie, l’affetto vivo per la terra, il rispetto per il povero, la dignità delle reni piegate dal lavoro. Giovanna d’Arco ebbe tutto ciò, con questo di più: che sopportò duramente la povertà nell’atto stesso di ammirarla, mentre Tolstoj è il tipo dell’aristocratico che cerca di scoprirne il segreto. Pensavo poi a quanto c’è di coraggio, di fierezza, di passione nello sventurato Nietzsche e al suo disperato ammutinamento contro la vuotaggine e la pusillanimità del nostro tempo; pensavo alla sua invocazione all’equilibrio estatico del vivere pericolosamente, al desiderio dei galoppi sfrenati sui grandi cavalli, ai suoi appelli alle armi. Bene: Giovanna d’Arco ebbe tutto questo e, anche qui, con la differenza che essa non solo esaltò il combattimento, ma combattè. Noi sappiamo che essa non ebbe paura di un esercito, mentre Nietzsche come tutti sappiamo, ebbe paura di una mucca. Tolstoj si limitò a fare l’elogio del contadino; essa fu contadina. Nietzsche si limitò a fare l’elogio del guerriero; essa fu guerriera.
Essa li vince tutti e due sul terreno dei rispettivi, antagonistici ideali: è stata più dolce dell’uno e più forte dell’altro. Essa fu inoltre una persona perfettamente pratica, che fece qualcosa, mentre essi sono dei folli speculatori che non hanno concluso nulla. Era impossibile che non mi attraversasse la mente il pensiero che essa e la sua fede dovevano avere qualche misterioso senso di unità e di utilità morale che è andato perduto.
E questo pensiero ne provocò un altro più grande: anche la colossale figura del suo Maestro attraversò il teatro dei miei pensieri. Il soggetto trattato da Anatole France, come quello trattato da Ernesto Renan, furono oscurati dalle medesime difficoltà derivanti dal pensiero moderno. Anche Renan tenne divise, nel suo eroe, la bontà e la combattività. Renan rappresentò la giusta rabbia di Gerusalemme come un semplice esaurimento nervoso dopo le idilliche aspettative della Galilea. Come se l’amore per l’umanità fosse incompatibile con l’odio per l’inumanità. Gli altruisti, con sottile, debole voce, denunziano Cristo come un egoista. Gli egoisti (con voce ancor più debole e sottile) lo denunziano come altruista. Nel presente clima si comprendono certi cavilli. L’amore di un eroe è più terribile dell’odio di un tiranno. L’odio di un eroe è più generoso dell’amore di un filantropo. C’è, in questo, una sanità profonda ed eroica, di cui gli uomini moderni possono solo raccogliere i frammenti. C’è un gigante di cui vediamo solo le braccia abbandonate e le gambe che si allontanano. Essi hanno lacerato l’anima di Cristo in due brandelli grotteschi, catalogati come egoismo e altruismo, e sono egualmente sconcertati dalla Sua folle magnificenza e dalla Sua insana dolcezza. Si sono divisi le Sue vesti e se le sono giocate a dadi; benché la Sua tunica fosse senza cuciture e tessuta tutto d’un pezzo.

di Gilbert Keith Chesterton

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