Così salvai la mia vita dopo il Sessantotto
Posté par atempodiblog le 19 janvier 2011
Così salvai la mia vita dopo il Sessantotto
di Angela Pellicciari
Tratto da: Liberal
Raccontare la propria vita a sconosciuti, sconosciuti che per di più non si hanno davanti agli occhi, non è cosa facile. Ci proverò perché mi è stato chiesto e perché mi sembra giusto rispondere alla richiesta. La mia vita è legata al Cammino neocatecumenale nel senso che è rinata grazie alla predicazione e all’affetto di Kiko e Carmen. Questo avveniva quando avevo 23 anni e mi ero letteralmente persa.
Avevo cercato la giustizia e la verità, ma lontano da Dio che non conoscevo, e mi ero imbattuta nel ’68 vissuto con passione come se fosse una missione. Ribelle per temperamento e storia, ero precipitata senza accorgermene in un vortice distruttivo di non senso e disprezzo per me stessa e per gli altri.
Una storia sentimentale finita nel peggiore dei modi mi aveva gettato in una disperazione cupa che mi rendeva difficile, la mattina, iniziare la giornata. A vent’anni la mia vita doveva ancora cominciare e per me era già finita. Questo il contesto in cui Dio ha deciso di farsi conoscere. Una notte, mentre prendevo in mano i pezzi della mia vita (soffrivo di una lucida forma di pazzia, era come se il mio io fosse “andato in pezzi” e non riuscissi più a convivere con me stessa), mentre contemplavo la catena dei “peccati” che inesorabilmente mi aveva condotto al punto in cui ero, mentre in una parola toccavo il fondo dell’angoscia, mi è apparso come un mare di fuoco. Un fuoco vivo. Sapevo che in quel mare c’era Dio. Ma come potevo incontrarlo?
L’ascolto della predicazione in una catechesi per adulti mi ha ridato speranza: mi veniva annunciato che Dio è amore. Che Dio mi amava così come ero e mi donava gratuitamente la possibilità di essere guarita dalle ferite e liberata dalla disperazione. Quell’amore che avevo cercato con tutte le mie forze senza riuscire ad incontrarlo mi veniva incontro come l’Assoluto e si faceva garante della possibilità di amare.
Il Cammino è la comunità. La comunità è quanto avevo cercato senza trovarla. La comunità è un gruppo di fratelli che non si sono scelti, che casualmente (ma il caso non esiste, è Provvidenza) si sono trovati ad ascoltare insieme una predicazione, l’hanno accolta, ed hanno acconsentito a fare un percorso di conversione insieme. Insieme vuol dire conoscendo le debolezze gli uni degli altri, le insopportabilità, le insofferenze, le stoltezze, le idiosincrasie, le invidie, le gelosie, eppure continuare a riunirsi perlomeno due volte a settimana per pregare e passare una giornata al mese insieme in “convivenza”. Tutto questo è possibile perché c’è Dio come garante. Perché piano piano si impara a volersi bene. Perché si impara il perdono. Perché si impara, anche, a dare la vita. Sia nel senso di metterla a disposizione per l’evangelizzazione, sia nel senso di mettere al mondo tutti i figli che la generosità di Dio manda.
Il Cammino è come un fiume che risana. Risana e rende possibile la vita insieme. A cominciare dalle coppie che non si separano. Dalle famiglie che si riuniscono. Dai figli che restano in comunità, nonostante il mondo vada da un’altra parte, perché vedono l’eroicità della fede dei loro genitori. Imparano che la fede non è una sovrastruttura e che non si tratta di prediche: si tratta di vivere nella quotidianità comportamenti impossibili alle sole forze umane.
Quanto a me, con gli anni, anzi, con i decenni, la mia vita è stata risanata. Da tutti i punti di vista, a cominciare dalla sessualità. Essendo separata, ero chiamata a vivere in castità. Ma senza un concreto e costante aiuto di Dio, bisognosa di affetto come sono, mi sarebbe stato impossibile praticarla. Mi è stato dato anche –e a cinquant’anni!- un discreto successo professionale. Quando molti vanno in pensione ho cominciato una nuova attività: quella di storica e di saggista. Ho visto che è possibile morire sperando nella risurrezione e non dubitare dell’amore di Dio in agonie lunghe mesi. Terrorizzata da sempre dalla morte che mi fa orrore e che nessuna catechesi del mondo è riuscita a farmi sembrare “naturale”, mi è stato concesso di vivere un’esperienza di tumore che avrebbe potuto essere molto seria (anche se poi così non è stato) in pace.
Che dire? Il Cammino è un fiume in piena. Ricco di acque. E’ una seria “iniziazione per adulti” alla fede, stracarico di frutti: itineranti, famiglie in missione, seminaristi e preti (più di 70 sono i seminari del Cammino nelle varie parti del mondo), monache di clausura (circa 4000 le sorelle entrate in convento), missioni ad gentes, evangelizzazione a tappeto di tutti i quartieri delle città, missioni popolari: fratelli che vanno due a due (come insegnato da Gesù) ad annunciare (come, fino a qualche tempo fa’, facevano solo i testimoni di Geova) dappertutto -nelle strade, negli ospedali, nelle giardini pubblici, ovunque- che il regno dei cieli è arrivato con la vittoria sulla morte di Gesù. Il Cammino è anche una predicazione inesauribile, assistita in modo manifesto dagli incredibili doni dello Spirito Santo. La predicazione di Kiko e Carmen è sempre fresca, nuova, profonda. Esistenziale, viva. Come l’ultima immagine che Kiko ci ha consegnato per il Family Day di Madrid (di cui è stato l’inventore): il mondo, ha detto, ci vuole far credere che la nostra vita sia come un transatlantico che non va da nessuna parte. Ma non è vero. “Non è vero che questo transatlantico sta fermo in un mare oscuro. Non è vero che la nave che è la nostra vita non va da nessuna parte! La nostra nave sta camminando verso la Gerusalemme celeste”.
Potrei dire di più? Posso solo aggiungere che non ho esagerato.
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