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Te Deum del cuore

Posté par atempodiblog le 31 décembre 2010

L’anno che va, il tempo che viene
di Davide Rondoni – Avvenire

Te Deum del cuore dans Articoli di Giornali e News cuored

E ora che l’anno finisce, il cuore deve de­cidere da che parte stare. Il cuore, che è la sede delle decisioni che davvero segnano l’esistenza, come dice la Bibbia. E il nostro cuore, adesso che finisce un anno duro e pie­no di fatiche, deve decidere: lamento o gra­titudine?

È sempre così. Di fronte a un anno che passa, come di fronte al viso dei propri figli, o delle persone che ti trovi accanto. Hai mille motivi per lamentarti, cuore nostro. Mil­le motivi per dare voce alle ferite. Alle delu­sioni. Ai torti subiti. Mille motivi per far par­lare la lingua amara della rivendicazione. O la lingua stanca dell’avvilimento.

Molte notizie che anche oggi troviamo sui giornali farebbero salire parole dure dal cuo­re. Ma come c’è la durezza della pena, c’è an­che la durezza della gioia. La resistenza, la forza della gratitudine. Quella che proviamo per cose che magari sui giornali non ci fini­scono. La gratitudine per le cose da niente che costellano la nostra vita. Per il respiro che ancora ci viene accordato, e il riso e anche per il pianto con cui conosciamo il dolore e l’amore. Le cose che non fanno notizia, co­me il sorriso di un figlio, l’occhiata della per­sona che amiamo, il suo voltarsi quando la salutiamo. Quelle cose da niente che non fan­no notizia, ma che ci suggeriscono una gra­titudine invincibile. E noi vogliamo scegliere di rendere grazie per queste cose da niente. Per la fede dei semplici, papi nel fulgore del loro ministe­ro o ammalati nella penombra della loro of­ferta. Vogliamo ringraziare per tutte le ma­dri che, camminando lavorando soffrendo, non perdono la speranza. E custodiscono l’amore. Per tutti quelli che non fanno no­tizia e fanno andare il mondo, mettendo cu­ra e pazienza in lavori senza onori appa­renti. Gratitudine per la bellezza spavento­sa e dolce di questo posto chiamato Italia, edificato dal genio, dalla fede e dalla opero­sità dei nostri padri, sotto i cui cieli abitia­mo e vediamo panorami per cui vale la pe­na essere venuti al mondo. Il nostro cuore decide di ringraziare, in questa fine d’anno. Per le cose che ci hanno corretto. Per quel­le che, pure facendoci soffrire, ci hanno le­gato di più a ciò che vale. E ringraziare per le cose da niente, i ‘buon­giorno’ scambiati per le scale, i ‘se hai biso­gno di una mano, ci sono’ che ci hanno det­to anche con gesti silenziosi. Vogliamo ren­dere grazie per la benedizione dei bambini nostri e per quelli degli altri. Per i loro visi do­ve tutto reinizia. E per la pazienza dei nostri anziani, che onorano il tempo senza sentir­lo come una ingiustizia, ma come un chiari­mento. Vogliamo ringraziare per la pazienza preziosissima dei sofferenti nel corpo, nella mente. Per chi è restato senza lavoro, ma non senza dignità. Per le cose che non fanno mai notizia, come la cura e l’amicizia offerta da tanti a chi è solo. Per il mare di bene che con onde silenziose sostiene il nostro viaggio.

Ora che l’anno finisce strapperemo il cuore dalle mani del demonio lamentoso che vor­rebbe non farci vedere come i cuori di tutti cercano il bene. Ora che finisce l’anno con tutte le sue ferite e le sconfitte e le perdite, rin­grazieremo per tutti i doni, e per il segreto bene che si nasconde anche nel patimento se una mano ci passa sugli occhi come ai bambini. Ringrazieremo per tutti gli abbrac­ci silenziosi. Per i baci di amicizia e di amo­re scambiati. Per le cose da niente che non fanno notizia ma hanno fatto la vita e la spe­ranza per questo anno che finisce. E ringra­zieremo per il dono più misterioso di tutti, la fede. Per le mani che ce lo hanno offerto, per i volti che lo hanno confermato in mezzo al­le tenebre dell’anno. Per i dolci amici che ci hanno parlato di Lui, Signore buono dell’an­no che va e dell’istante che viene.

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Cominciare e ricominciare

Posté par atempodiblog le 30 décembre 2010

Cominciare e ricominciare dans Riflessioni sanjosemaria

La tua vita interiore dev’essere proprio questo: cominciare… e ricominciare.
Cammino, 292

La conversione è cosa di un istante; la santificazione è opera di tutta la vita. Il seme divino della carità, che Dio ha posto nelle nostre anime, aspira a crescere, a manifestarsi in opere e a produrre frutti che in ogni momento corrispondano ai desideri del Signore. È indispensabile quindi essere disposti a ricominciare, a ritrovare, nelle nuove situazioni della nostra vita, la luce e l’impulso della prima conversione. E questa è la ragione per cui dobbiamo prepararci con un approfondito esame di coscienza, chiedendo aiuto al Signore, per poterlo conoscere meglio e per conoscere meglio noi stessi. Se vogliamo convertirci di nuovo, questa è l’unica strada.
E’ Gesù che passa, 58

Il potere di Dio si manifesta nella nostra debolezza, e ci spinge a lottare, a combattere contro i nostri difetti, pur sapendo che non otterremo mai del tutto la vittoria durante la vita terrena. La vita cristiana è un continuo cominciare e ricominciare, un rinnovarsi di ogni giorno.
E’ Gesù che passa, 114

Avanti, qualunque cosa succeda! Ben protetto dal braccio del Signore, considera che Dio non perde battaglie. Se ti allontani da Lui, quale ne sia il motivo, reagisci con l’umiltà di chi vuole cominciare e ricominciare; di chi vuoi fare da figlio prodigo tutti i giorni e anche molte volte nel corso delle ventiquattro ore; di chi vuole risanare il suo cuore contrito nella Confessione, vero miracolo dell’Amor di Dio. In questo sacramento meraviglioso, il Signore pulisce la tua anima e ti inonda di gioia e di forza per non venir meno nella lotta, e per ritornare instancabilmente a Dio anche quando tutto ti sembra oscuro. Inoltre, la Madre di Dio, che è anche Madre nostra, ti protegge con la sua materna sollecitudine, e ti guida nel tuo avanzare.
Amici di Dio, 214

di San Josemaría Escrivá de Balaguer
Tratto da: josemariaescriva.info

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Oggi è nato

Posté par atempodiblog le 25 décembre 2010

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Oggi è nato di Daniele Ricci

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La nascita di Gesù

Posté par atempodiblog le 24 décembre 2010

La nascita di Gesù
Tratto da: L’Evangelo come mi è stato rivelato
Opera di Maria Valtorta.

La nascita di Gesù dans Maria Valtorta La-nascita-di-Ges

[6 giugno 1944]
Vedo ancora l’interno di questo povero rifugio petroso dove hanno trovato asilo, accumunati nella sorte a degli animali, Maria e Giuseppe. Il fuocherello sonnecchia insieme al suo guardiano. Maria solleva piano il capo dal suo giaciglio e guarda. Vede che Giuseppe ha il capo reclinato sul petto come se pensasse, e pensa che la stanchezza soverchi il suo buon volere di rimanere desto. Sorride d’un buon sorriso e, facendo meno rumore di quanto ne può fare una farfalla che si posi su una rosa, si mette seduta e da seduta in ginocchio. Prega con un sorriso beato sul volto. Prega a braccia aperte, non proprio a croce, ma quasi, a palme volte in alto e in avanti, né mai pare stanca di quella posa penosa. Poi si prostra col volto contro il fieno in una ancora più intensa preghiera. Lunga preghiera. Giuseppe si scuote. Vede quasi morto il fuoco e quasi tenebrosa la stalla.
Getta una manata di eriche fini fini e la fiamma risfavilla; vi unisce rametti più grossi, e poi ancora più grossi, perché il freddo deve esser pungente. Il freddo della notte invernale e serena che penetra da tutte le parti di quella rovina. Il povero Giuseppe, presso come è alla porta – chiamiamo pure così il pertugio a cui fa da tenda il suo mantello – deve essere gelato. Accosta le mani alla fiamma, si sfila i sandali e accosta i piedi. Si scalda. Quando il fuoco è ben desto e la sua luce è sicura, egli si volge. Non vede nulla, neppure più quel biancore del velo di Maria, che prima metteva una linea chiara sul fieno scuro. Si leva in piedi e lentamente si avvicina al giaciglio. «Non dormi, Maria?» chiede. Lo chiede tre volte, finché Ella si riscuote e risponde: «Prego». «Non abbisogni di nulla?». «No, Giuseppe». Cerca di dormire un poco. Di riposare almeno». «Cercherò. Ma pregare non mi stanca». «Addio, Maria». «Addio, Giuseppe».
Maria riprende la sua posa. Giuseppe, per non cedere più al sonno, si pone in ginocchio presso il fuoco e prega. Prega con le mani strette sul viso. Le leva ogni tanto per alimentare il fuoco e poi torna alla sua fervente preghiera. Meno il rumore delle legna che crepitano e quello del ciuchino, che di tanto in tanto batte uno zoccolo sul suolo, non si ode niente. Un poco di luna si insinua da una crepa del soffitto e pare una lama di incorporeo argento che vada cercando Maria. Si allunga, man mano che la luna si fa più alta in cielo, e la raggiunge, finalmente. Eccola sul capo della orante. Glielo innimba di candore. Maria leva il capo come per una chiamata celeste e si drizza in ginocchio di nuovo. Oh! come è bello qui! Ella alza il capo, che pare splendere nella luce bianca della luna, e un sorriso non umano la trasfigura. Che vede? Che ode? Che prova?
Solo Lei potrebbe dire quanto vide, sentì e provò nell’ora fulgida della sua Maternità. Io vedo solo che intorno a Lei la luce cresce, cresce, cresce. Pare scenda dal Cielo, pare emani dalle povere cose che le stanno intorno, pare soprattutto che emani da Lei. La sua veste, azzurra cupa, pare ora di un mite celeste di miosotis, e le mani e il viso sembrano farsene azzurrini come quelli di uno messo sotto il fuoco di un immenso zaffiro pallido. Questo colore, che mi ricorda, benché più tenue, quello che vedo nelle visioni del santo Paradiso e anche quello che vidi nella visione della venuta dei Magi, si diffonde sempre più sulle cose, le veste, le purifica, le fa splendide. La luce si sprigiona sempre più dal corpo di Maria, assorbe quella della luna, pare che Ella attiri in sé quella che le può venire dal Cielo. Ormai è Lei la Depositaria della Luce. Quella che deve dare questa Luce al mondo. E questa beatifica, incontenibile, immisurabile, eterna, divina Luce che sta per esser data, si annuncia con un’alba, una diana, un coro di atomi di luce che crescono, crescono come una marea, che salgono, salgono come un incenso, che scendono come una fiumana, che si stendono come un velo…
La volta, piena di crepe, di ragnatele, di macerie sporgenti che stanno in bilico per un miracolo di statica, nera, fumosa, repellente, pare la voltadi una sala regale. Ogni pietrone è un blocco di argento, ogni crepa un guizzo di opale, ogni ragnatela un preziosissimo baldacchino contesto di argento e diamanti. Un grosso ramarro, in letargo fra due macigni, pare un monile di smeraldo dimenticato là da una regina; e un grappolo di pipistrelli in letargo, una preziosa lumiera d’onice.
Il fieno che pende dalla più alta mangiatoia non è più erba, sono fili e fili di argento puro che tremolano nell’aria con la grazia di una chioma disciolta. La sottoposta mangiatoia è, nel suo legno scuro, un blocco d’argento brunito. Le pareti sono coperte di un broccato in cui il candore della seta scompare sotto il ricamo perlaceo del rilievo, e il suolo… che è ora il suolo? E’ un cristallo acceso da una luce bianca. Le sporgenze paiono rose di luce gettate per omaggio al suolo; e le buche, coppe preziose da cui debbano salire aromi e profumi. E la luce cresce sempre più.
E’ insostenibile all’occhio. In essa scompare, come assorbita da un velano d’incandescenza, la Vergine… e ne emerge la Madre. Si. Quando la luce torna ad essere sostenibile al mio vedere, io vedo Maria col Figlio neonato sulle braccia. Un piccolo Bambino, roseo e grassottello, che annaspa e zampetta con le manine grosse quanto un boccio di rosa e coi piedini che starebbero nell’incavo di un cuore di rosa; che vagisce con una vocina tremula, proprio di agnellino appena nato, aprendo la boccuccia che sembra una fragolina di bosco e mostrando la lingnetta tremolante contro il roseo palato; che muove la testolina tanto bionda da parere quasi nuda di capelli, una tonda testolina che la Mamma sostiene nella curva di una sua mano, mentre gnarda il suo Bambino e lo adora piangendo e ridendo insieme e si curva a baciarlo, non sulla testa innocente, ma su, centro del petto, là dove sotto è il cuoricino che batte, batte per noi… là dove un giorno sarà la Ferita. Gliela medica in anticipo, quella ferita, la sua Mamma, col suo bacio immacolato.
Il bue, svegliato dal chiarore, si alza con gran rumore di zoccoli e muggisce, e l’asinello volge il capo e raglia. E’ la luce che li scuote, ma io amo pensare che essi hanno voluto salutare il loro Creatore, per loro e per tutti gli animali. Anche Giuseppe, che, quasi rapito, pregava così intensamente da esser isolato da quanto lo circondava, si scuote, e dalle dita strette al viso vede filtrare la luce strana. Leva le mani dal viso, alza il capo, si volge. Il bue ritto in piedi nasconde Maria.
Ma Ella chiama: «Giuseppe, vieni». Giuseppe accorre. E quando vede si arresta, fulminato di riverenza, e sta per cadere in ginocchio là dove è. Ma Maria insiste: «Vieni, Giuseppe» e punta la mano sinistra sul fieno e, tenendo con la destra stretto al cuore l’Infante, si alza e si dirige a Giuseppe, che cammina impacciato per il contrasto fra il desiderio di andare e il timore di essere irriverente.
Ai piedi della lettiera i due sposi si incontrano e si guardano con un pianto beato. «Vieni, ché offriamo al Padre Gesù» dice Maria. E, mentre Giuseppe si inginocchia, Ella, ritta in piedi fra due tronchi che sostengono la volta, alza la sua Creatura fra le braccia e dice: «Eccomi. Per Lui, o Dio, ti dico questa parola. Eccomi a fare la tua volontà. E con Lui io, Maria, e Giuseppe, io sposo. Ecco i tuoi servi, Signore. Sia fatta sempre da noi, in ogni ora e in ogni evento, la tua volontà, per tua gloria e per amor tuo». Poi Maria si curva e dice: « Prendi, Giuseppe» e offre l’Infante.
«Io? A me? Oh, no! Non sono degno!». Giuseppe è sbigottito addirittura, annientato all’idea di dover toccare Iddio. Ma Maria insiste sorridendo: «Tu ne sei ben degno. Nessuno più di te lo è, e per questo l’Altissimo ti ha scelto. Prendi, Giuseppe, e tienilo mentre io cerco i panni». Giuseppe, rosso come una porpora, stende le braccia e prende il batuffolino di carne che strilla di freddo e, quando lo ha fra le braccia, non persiste nell’intenzione di tenerlo scosto da sé per rispetto e se lo stringe al cuore, dicendo con un grande scoppio di pianto: «Oh! Signore! Dio mio!» e si curva a baciare i piedini e li sente freddi, e allora si siede al suolo e se lo raccoglie in grembo e con la sua veste marrone e con le mani cerca coprirlo, scaldarlo, difenderlo dalla sizza della notte.
Vorrebbe andare verso il fuoco, ma là c’è quella corrente d’aria che entra dalla porta. Meglio stare qui. Meglio, anzi, andare fra i due animali, che fanno da scudo all’aria e che mandano calore. E va fra il bue e l’asino e sta con le spalle alla porta, curvo sul Neonato per fare del suo petto una nicchia, le cui pareti laterali sono una testa bigia dalle lunghe orecchie e un grosso muso bianco dal naso fumante e dall’umido occhio buono. Maria ha aperto il cofano e ne ha tratto lini e fasce. E’ andata al fuoco e le ha scaldate. Eccola che va a Giuseppe e avvolge il Bambino nella tela intiepidita e poi nel suo velo per riparargli la testolina. « Dove lo mettiamo ora?» chiede. Giuseppe guarda intorno, pensa…
«Aspetta» dice. «Spingiamo più in qua i due animali e il loro fieno e tiriamo giù quel fieno là in alto e lo mettiamo qui dentro. Il legno della sponda lo riparerà dall’aria, il fieno gli farà guanciale e il bue col suo fiato lo scalderà un pochino. Meglio il bue. E’ più paziente e quieto». E si dà da fare, mentre Maria ninna il suo Bambino, stringendoselo al cuore e tenendo la sua guancia sulla testolina per dargli calore. Giuseppe ravviva il fuoco senza risparmio per fare una bella fiamma e scalda il fieno e, man mano che lo asciuga, perché non raffreddi se lo mette in seno. Poi, quando ne ha raccolto tanto da farne un materassino all’Infante, va alla mangiatoia lo dispone che sia come una cunella.
«E’ pronto» dice. «Ora ci vorrebbe una coperta, perché il fieno punge, e per ricoprirlo… Prendi il mio mantello» dice Maria. «Avrai freddo». «Oh! non fa nulla! La coperta è troppo ruvida. Il mantello è morbido e caldo. Io non ho freddo per nulla. Ma che Egli non soffra più!». Giuseppe prende l’ampio mantello di morbida lana celeste cupo e lo accomoda in doppio sul fieno, con un lembo che pende fuor dalla greppia. Il primo letto del Salvatore è pronto. E la Madre, col suo dolce passo ondeggiante, ve lo porta e ve lo depone, e lo ricopre con il lembo del manto e lo conduce anche intorno al capino nudo, che affonda nel fieno, appena riparato da questo dal sottile velo di Maria. Rimane scoperto solo il visetto grosso come un pugno d’uomo, e i Due, curvi sulla greppia, lo guardano beati dormire il suo primo sonno, perché il calduccio delle fasce e del fieno ha calmato il pianto e conciliato il sonno al dolce Gesù.

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Lo sguardo di Maria è lo sguardo di Dio su ciascuno

Posté par atempodiblog le 10 décembre 2010

Lo sguardo di Maria è lo sguardo di Dio su ciascuno dans Citazioni, frasi e pensieri gospam

« Lo sguardo di Maria è lo sguardo di Dio su ciascuno. Lei ci guarda con l’amore stesso del Padre e ci benedice. Si comporta come nostra “avvocata” – e così La invochiamo nella Salve, Regina: “Advocata nostra”. Anche se tutti parlassero male di noi, Lei, la Madre, direbbe bene, perché il suo Cuore Immacolato è sintonizzato con la Misericordia di Dio ».

Benedetto XVI

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Con te Maria

Posté par atempodiblog le 10 décembre 2010

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Il testo si trova nelle ‘Pagine’ (di lato) alla voce Canti. Con te Maria dans Canti canta

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Per un Natale indimenticabile…

Posté par atempodiblog le 10 décembre 2010

“Maria ci dice che cosa è l’Avvento: andare incontro al Signore che ci viene incontro. AspettarLo, ascoltarLo, guardarLo”.
Benedetto XVI

Per un Natale indimenticabile... dans Fede, morale e teologia Santo-Natale-albero

In questi giorni convulsi che ci separano dal Natale rischiamo di perdere l’essenziale, che è l’incontro col Signore che viene. Il lavoro, gli impegni, la corsa per i regali, ecc… finiscono per impadronirsi del nostro tempo,  dei nostri pensieri e del nostro cuore. Così rischiamo di perdere il dono prezioso del Natale.
Ogni Natale è un evento di grazia. Il mistero dell’Incarnazione si rinnova nei cuori che si aprono per accoglierlo.
Quel medesimo Bambino, che la Vergine Madre ha dato alla luce, desidera nascere ed essere deposto nella culla di ogni cuore.
Dobbiamo preparare questa culla nei giorni che abbiamo davanti.
Innanzi tutto con la preghiera. Troviamo ogni giorno qualche momento per restare soli nella nostra cameretta, o per sostare nel silenzio di una Chiesa o per pregare e pensare mentre siamo in macchina. Guardiamo nella luce di Dio alla situazione della nostra vita. Riflettiamo su quello che siamo e su che strada siamo incamminati. Lasciamo che la voce della coscienza si faccia strada nel groviglio dei pensieri, di sentimenti e di passioni che si agitano dentro di noi. Ascoltiamo la voce che ci chiama. E’ una voce paterna, una voce amica, una voce di misericordia. Prepariamo la confessione di Natale. E’ nel sacramento della riconciliazione che Dio ci dà la pace. Nella S. Messa di mezzanotte riceverai nel cuore il Bambino Gesù, nostra pace.
Lo porterai gioioso a casa tua, ai tuoi cari, agli amici, ai conoscenti, a tutti quelli che incontrerai. Sarà un Natale indimenticabile.

di Padre Livio Fanzaga

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Non dire mai…

Posté par atempodiblog le 9 décembre 2010

Non dire mai... dans Riflessioni San-Francesco-di-Sales

Non dire mai: Il tale è un ubriacone, anche se l’hai visto ubriaco davvero; quello è un adultero, perché l’hai visto in adulterio; è incestuoso perché l’hai sorpreso in quella disgrazia; una sola azione non ti autorizza a classificare la gente. Il sole si fermò una volta per favorire la vittoria di Giosuè e si oscurò un’altra volta per la vittoria del Salvatore; a nessuno viene in mente per questo di dire che il sole è immobile e oscuro.

Noè si ubriacò una volta; e così anche Lot e questi, in più, commise anche un grave incesto: non per questo erano ubriaconi, e non si può dire che quest’ultimo fosse incestuoso. E non si può dire che S. Pietro fosse un sanguinario perché una volta ha versato sangue, né che fosse bestemmiatore perché ha bestemmiato una volta.

Per classificare uno vizioso o virtuoso bisogna che abbia fatto progressi e preso abitudini; è dunque una menzogna affermare che un uomo è collerico o ladro, perché l’abbiamo visto adirato o rubare una volta soltanto.Anche se un uomo è stato vizioso per lungo tempo, sì rischia di mentire chiamandolo vizioso.

Simone il lebbroso chiamò Maddalena peccatrice, perché lo era stata prima; mentì, perché non lo era più, anzi era una santa penitente; e Nostro Signore la difese. Quell’altro Fariseo vanesio considerava grande peccatore il pubblicano, ingiusto, adultero, ladro; ma si ingannava, perché proprio in quel momento era giustificato.

Poiché la bontà di Dio è così grande che basta un momento per chiedere e ottenere la sua grazia, come facciamo a sapere che uno, che era peccatore ieri, lo sia anche oggi? Il giorno precedente non ci autorizza a giudicare quello presente, e il presente non ci autorizza a giudicare il passato. Solo l’ultimo li classificherà tutti.

Non potremo mai dire che un uomo è cattivo senza pericolo di mentire. In caso che sia necessario parlare possiamo dire che ha commesso tale o tal’altra azione cattiva, che ha condotto una vita disordinata in tale periodo, che agisce male al presente; ma non è lecito da ieri tirare delle conclusioni per oggi, né da oggi per ieri, e ancor meno da oggi per domani.

Tratto da: Filotea di San Francesco di Sales

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Occhi di cielo

Posté par atempodiblog le 9 décembre 2010

Occhi di cielo dans Canti reginadellapace

Se guardo il fondo dei tuoi occhi teneri
mi si cancella il mondo con tutto il suo inferno.
Mi si cancella il mondo e scopro il cielo,
quando mi tuffo nei tuoi occhi teneri.

Occhi di cielo, occhi di cielo,
non abbandonarmi in pieno volo.
Occhi di cielo, occhi di cielo,
tutta la mia vita per questo sogno…

Se io mi dimenticassi di ciò che è vero,
se io mi allontanassi da ciò  che è sincero,
i tuoi occhi di cielo me lo ricorderebbero,
se io mi allontanassi dal vero.

Occhi di cielo…

Se il sole che mi illumina un giorno si spegnesse
e una notte buia vincesse sulla mia vita,
i tuoi occhi di cielo mi illuminerebbero,
i tuoi occhi sinceri, che sono per me cammino e guida.

Occhi di cielo…

Traduzione del canto spagnolo, dedicato alla Regina del Cielo, “Ojos de cielo”.

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« Io sono l’Immacolata Concezione »

Posté par atempodiblog le 8 décembre 2010

« Io sono l’Immacolata Concezione »
dal libro « Sui passi di Bernadette » di Padre Livio Fanzaga

Bernadette strumento di grazia
Da una ventina di giorni ormai Bernadette non si recava alla grotta. Come spesso accade nella sapiente pedagogia divina, i momenti di grande grazia sono preparati da un tempo di purificazione, di aridità e di prova. Poi, quando meno te l’aspetti, la grazia irrompe nella tua vita come un fulmine a cielo sereno. Da tre settimane la piccola non sentiva nessuna attrazione di recarsi alla grotta. I visitatori andavano diminuendo, mentre la pressione delle autorità si faceva più audace. Si era dunque chiuso quello strano fenomeno di una giovane donna che si manifestava nella nicchia di una grotta a Massabielle?
Bernadette vive l’attesa oscura della fede. Dopo quindici apparizioni  la veggente continua a chiamare l’apparizione “Aquero”, “Quella cosa”, rinunciando per il momento a identificarla con la santa Vergine. Anche i veggenti hanno i loro tunnel oscuri da percorrere, quando il soprannaturale sembra improvvisamente eclissarsi.
Durante la notte che precede la grande solennità dell’Annunciazione ecco che la grazia passa improvvisamente a visitare l’umido Cachot, dove la famiglia Soubirous, sei persone sistemate su due letti,  dorme il sonno tranquillo dei giusti. Bernadette si sveglia, prima ancora dell’alba, mentre avverte in fondo al cuore un’attrazione che le è ben nota. Al riconoscerla il suo cuore trabocca di gioia e attende che si avvicini la pallida luce del mattino. Alla quattro però non riesce più stare nel letto. Si alza, si veste e senza esitazioni corre verso la grotta. Quando Dio chiama, bisogna correre. Gli appuntamenti col soprannaturale non ammettono pigrizie, o ritardi, o dilazioni.
Hai notato la corsa di Pietro e Giovanni al sepolcro, quando le donne annunciano che il Signore è risorto? Se leggi attentamente la Bibbia ti renderai conto di questa particolare “fretta”, che caratterizza gli incontri con Dio. Mi ricordo che a Medjugorje, quando vi era l’apparizione di notte sulla montagna, riservato al gruppo di preghiera di Ivan, si correva così veloci lungo quei sentieri, inerpicandoci fra i sassi e le spine, che io mi ritrovavo sempre ad arrivare per ultimo trafelato e borbottante.
Quel giorno benedetto però non era solo Bernadette ad avere fretta. Anche la Madonna aspettava impaziente quel momento di grande grazia in cui avrebbe rivelato il suo nome immacolato. Dio ci fa attendere, prima di concederci le grazie, perché vuole disporre il terreno affinché possano dare frutti abbondanti. Non appena però i tempi sono maturi, non indugia un solo istante, ma realizza immediatamente quanto ha progettato di fare.
L’apparizione dura ormai da un’ora, preceduta come sempre dalla preghiera del S. Rosario. Il cuore di Bernadette ora è pronto per formulare ancora una volta l’audace richiesta e per accogliere la grande rivelazione. Vorrei farti notare, caro amico, come dopo ben quindici apparizioni la veggente non osi ancora identificare la giovane donna con la santa Vergine. Non vedi in tutto questo una regia divina, che prepara la manifestazione del mistero dell’Immacolata Concezione?
Il nome, nella prospettiva biblica, esprime la profondità inafferrabile di una persona. Chi è Maria se non colei che, unica fra le creature,  è stata concepita “immacolata”? Questa è la realtà profonda della sua persona che sta per essere svelata ed è per questo che fino a quel momento era stata indicata da nessun nome, se non da quello vago di “Aquero”, “Quella cosa”.
La rivelazione del mistero abissale di Maria è certo un grandissimo dono di grazia, fra i più straordinari che la Madonna ci abbia dato nelle sue apparizioni. Tuttavia esso ci viene dato attraverso una mediazione umana. Se Bernadette non l’avesse richiesto con insistenza, ripetendo la domanda per ben quattro volte, la Madonna non ci non ci avrebbe rivelato il tesoro nascosto della sua concezione immacolata.
“Signorina, volete avere la bontà di dirmi chi siete, per piacere?”, chiede la piccola veggente, col coraggio che le viene dal viso accondiscendete della giovane donna. Quest’ultima sorride, ma tace. Bernadette incalza, senza mostrare segni di scoraggiamento, mentre “Aquero” sorride sempre più bella. E’ forse facendo riferimento a questa sua personale esperienza che un giorno Bernadette dirà che la santa Vergine ama essere pregata a lungo?
Alla quarta volta la giovane donna cessa di sorridere. Tiene le mani giunte, mentre il rosario le pende dal braccio destro. Improvvisamente le mani si abbassano verso terra allargandosi, poi si ricongiungono all’altezza del petto e, alzando gli occhi al cielo, dice con ineffabile dolcezza: “Que soy era Immaculada Counceptiou”.
“Domandai per tre volte chi fosse – racconta Bernadette – ma le risposte furono altrettanti sorrisi. Mi azzardai a riproporle la domanda e questa volta Ella levò lo sguardo verso il cielo, congiungendo in segno di preghiera le mani che erano tese ed aperte verso terra, e mi disse: Io sono l’Immacolata concezione. Queste sono le ultime parole che mi ha rivolto. I suoi occhi erano blu”.
Esiste forse un momento più grande di questo nelle innumerevoli apparizioni mariane della storia? Io credo di no. Te beata, piccola Bernadette, che hai potuto contemplare l’umile grandezza di Maria, mentre si inabissava nel suo nulla, dal quale l’amore del Creatore l’aveva tratta, per farne il Tempio della sua gloria. Te beata, che hai visto gli occhi blu di Maria levati al cielo, gli occhi della sottomissione, gli occhi della gratitudine, gli occhi della lode, gli occhi dell’adorazione. Te beata, che hai contemplato la grandezza della creatura quando accetta con gioia la dipendenza dal suo Creatore. Te beata, che hai guardato l’essere umano nello splendore immacolato della prima creazione. Te beata che hai ammirato in Maria, perfetta redenta, la gloria della nostra redenzione. Te beata, che hai potuto scorgere nel destino di beatitudine della Madre quello che attende i suoi figli. Te beata, perché hai osato e hai creduto e attraverso di te è scesa sul mondo una luce che non si spegnerà più!

“Umile e alta più che creatura” (Dante)
La richiesta del nome era venuta dalla Chiesa, rappresentata dal parroco, ed è a lui che Bernadette corre per riferire quanto detto da “Aquero”. Peyramale aveva chiesto come segno che fiorisse il cespuglio del rosaio selvatico che pendeva da sotto la nicchia. Aveva avuto in risposta un segno ben più grande.  “Immacolata Concezione” è una espressione che racchiude un abisso insondabile di luce. Peyramale ne è investito e quasi accecato.
Avrebbe potuto accettare che la giovane donna dicesse di essere colei che era stata concepita senza peccato originale. Ma definire se stessa “Immacolata Concezione” gli appariva assurdo. Non comprendeva, ma nel medesimo tempo capiva che una grande luce si era accesa nella nicchia di Massabielle, una luce così grande che né lui, né la piccola veggente potevano afferrare.
In realtà l’espressione “Immacolata Concezione” è assolutamente pertinente. Essa significa non solo che Maria è immacolata, ma che è la concezione immacolata per eccellenza, in quanto è l’unica creatura concepita senza la macchia del peccato originale. In questa espressione non solo è indicata la perfetta santità di Maria, ma anche l’unicità irrepetibile del suo essere incontaminato, in un mondo in cui tutti gli esseri umani portano il segno umiliante del male.
L’istante in cui la santa Vergine ha pronunciato il suo nome è rimasto impresso nell’anima di Bernadette come un sigillo indelebile. La descrizione che ce ne ha fatto vale da sola più di qualsiasi trattato di mariologia. Maria vi appare in tutta la sua abissale piccolezza e nel medesimo tempo nella sua sconfinata grandezza. Quando la Madonna dice “io”, scompare nella luce purissima della sottomissione e della riconoscenza al Creatore.
Innanzi tutto abbassa le braccia, per indicare il nulla dal quale è stata tratta. Poi le solleva al petto, congiungendole in atteggiamento di suprema adorazione. Quindi, senza alzare la testa, eleva gli occhi verso il cielo, alla fonte suprema dell’essere, della vita e della grazia. Poi pronuncia ciò che è, senza nulla tacere della sua infinita grandezza e senza minimamente appropriarsene, ma lasciando che l’immensità della luce divina che da lei emana celebri la gloria dell’Altissimo.
Potremo noi  parlare così di Maria? Impareremo la grande lezione di Lourdes, dove la Madre di Dio ci ha manifestato quale mistero inafferrabile di grandezza è in lei, piccola serva del Signore? Avremo ancora paura di confessare quale mirabile creatura Dio ci abbia donato come madre? Esiteremo ancora a presentare al popolo cristiano le grande cose che in lei ha fatto l’Onnipotente?
Rimango stupito davanti a questo miracolo dello spirito, unico e irripetibile, di vedere una creatura manifestare, col più semplice e trasparente dei gesti, che tutto il suo essere di luce è soltanto un puro dono di grazia. Comprendo che quando tacciamo sul mistero di infinita grandezza di Maria, o quando cerchiamo di oscurare il posto che Dio le ha affidato al suo fianco nell’opera della Redenzione, noi in realtà facciamo torto all’Onnipotente e anche a  noi stessi, che abbiamo in Maria l’onore del genere umano e la speranza della gloria futura.

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La tiritera nichilista

Posté par atempodiblog le 2 décembre 2010

Monicelli, la grottesca mancanza di pietas dell’establishment italiano. Clericalismo verboso della chiesa secolarista. Perfino Napolitano si fa firmatario di questo tetro e ipocrita manifesto ideologico
di Giuliano Ferrara – Il Foglio
Tratto da: rassegna.governo.it
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L’altra sera un vecchio cieco e solo e malato si è buttato dalla finestra di un ospedale romano. Triste notizia di cronaca.
Succede, non spesso magari, ma succede.
Gli ospedali sono pieni di vecchi ammalati, la demografia dice che la tendenza è quella, una società di vecchi che a un certo punto si ammalano e devono curarsi e affrontare un periodo di prove molto dure, di conflitto tra un barlume di speranza e una letale noia di vivere. Questo vecchio che si è messo in volo era celebre per la sua arte di regista di commedie e per la sua personalità pubblica dal tratto amabilmente cinico e abrasivamente misantropico. Abbiamo scoperto allora che una circostanza malinconica, forse addirittura disperata, può trasformarsi, nel discorso pubblico italiano, in un orgoglioso e tetro manifesto ideologico a favore della libertà, dell’autodeterminazione umana, e del loro più recente compagno in occidente, il nulla.
Monicelli, come chiunque, aveva la facoltà di fare quel che ha fatto senza essere poco cristianamente e liberalmente giudicato, tanto meno biasimato o condannato. Dico la facoltà e non il diritto, perché « diritto di buttarsi dalla finestra » è espressione in sé grottesca, sebbene la sua parafrasi sia risuonata in confusi discorsetti sull’eutanasia pronunciati alla Camera. Ma la facoltà sì, quella ovviamente ce l’aveva. Il presidente della Repubblica e l’establishment culturale e civile italiano (ma per il presidente Napoletano questo giudizio vale doppiamente, per l’una e l’altra metà del paese che rappresenta) non hanno invece ii diritto di imporci una insincera, mistificatrice, ideologica apologia della disperazione, della solitudine, della misantropia e del suicidio.
Ognuno può in coscienza valutare il gesto di Monicelli alla luce di convinzioni diverse, tutte libere: convinzioni religiose di tradizione cristiana, filosofie materialiste o ateiste, ma anche semplici considerazioni di senso comune sulle circostanze e il significato di una decisione estrema, in una situaziòne limite, che ha risvolti morali da discernere in spirito compassionevole, all’insegna della pietà. La valutazione dovrebbe essere discreta, attenta, governata dalla sensibilità e non dall’arroganza culturale, che è una delle peggiori varianti dell’aggressività umana. Ma come si vede siamo di fronte a ben altro. Il giornalista collettivo e l’uomo di spettacolo – figure massimamente ottuse del contemporaneo – hanno deciso in men che non si dica, appena la salma è stata ritrovata e coperta da un lenzuolo bianco nella pioggia, che il volo di Monicelli è lo sberleffo del laico, un atto di anticonformismo, l’espressione di una volontà incoercibile, superba, nobilitante per l’intera comunità. Ma a questa tiritera nichilista di serie B, caratterizzata da spontaneità e sciocco automatismo, indizio di un modo coatto, indottrinato, di guardare ai fatti della vita e della morte, si sono aggiunte le dichiarazioni autorevoli di leader politici o quella, caratterizzata da una sfumatura di prudenza, ma in sé non diversa dalle altre, del capo dello stato, che ha combinato nella sua riflessione pubblica la « forte personalità » di un grand’uomo con la necessità di « rispettare » questo suo ultimo « scatto di volontà ».
Io penso che un uomo colto ed equilibrato come Napolitano dovrebbe tenere conto, per dirlo con Geno Pampaloni, dì quel « sentimento dell’assoluto con cui l’uomo nella storia si difende dalla storia ».
Una volta il gesto suicida di un uomo celebre sarebbe stato circondato nella parola pubblica da un eccesso di pudore, da una riservatezza negazionista radicata nel senso del peccato e nella concezione cattolica della vita, e questo è qualcosa che probabilmente non tornerà mai più. Ma la cattiva secolarizzazione si vede dal fatto che la sua chiesa, con i suoi chierici e il suo clericalismo ciarliero e i suoi mortiferi devoti, rovescia la frittata; e impudicamente esibisce, davanti a vecchi e malati che magari vogliono curarsi e sperare, davanti a cittadini che si aspettano autorità e leader intellettuali capaci di pietas e di misura nel giudizio, un manifesto di gioiosa lode a chi in nome dei veri significati della vita – la vitalità, hanno detto – si è appena tolto di mezzo con tragica brutalità. Dicono che quel vecchio uomo di talento che si è buttato dalla finestra, lui sì, aveva « la schiena dritta », era un partigiano dell’esistenza degna di essere vissuta. Nemmeno il regista Denys Arcand, con le sue demoniache ma tenere « Invasioni barbariche », la storia di un’eutanasia postsessantottina vissuta in gruppo, aveva esibito una così stucchevole retorica di stato sulla morte come bandiera.
Il suo racconto aveva la specifica pietà di una esperienza scristianizzata della fine terrena, e di una comunione generazionale fatta di amicizia e di valori umani stupefatti, fragili ma sinceri. Questa trombonata nazionale è molto peggio, è la misura irriflessa di quanto siamo diventati ipocriti e bugiardi.

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L’uomo di fede

Posté par atempodiblog le 1 décembre 2010

L'uomo di fede dans Citazioni, frasi e pensieri Charles-De-Foucauld

“Chi vive di fede ha l’anima piena di pensieri nuovi, di gusti nuovi, di giudizi nuovi: sono nuovi orizzonti che si aprono al suo sguardo [...] Quasi fasciato da queste verità così nuove, di cui il mondo non si dà pena, egli comincia necessariamente a vivere una vita nuova, opposta a quella del mondo, che giudica le sue azioni pura follia. Il mondo è in una notte profonda, l’uomo di fede è nella piena luce; la strada luminosa lungo la quale egli avanza non appare agli occhi degli uomini: sembra loro che egli voglia camminare nel vuoto come un folle”.

Beato Charles De Foucauld

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