La Salette. Cittadella del sacro, bastione delle Alpi.
Posté par atempodiblog le 19 septembre 2010
La Salette.
Cittadella del sacro, bastione delle Alpi.
di Lucetta Scaraffia
La zona che circonda le montagne della Salette non è di forte presenza turistica: si vedono le tracce di un turismo povero e austero, senza impianti di risalita, un turismo che sembra appartenere al passato. Del resto, anche il santuario non fa eccezione. Anzi, il primo aggettivo che viene in mente per definirlo è proprio questo: «austero».
Se ripenso al mio viaggio-pellegrinaggio al santuario della Salette, nelle Alpi francesi, il ricordo più forte che mi si affaccia alla mente è quello di un gruppo non numeroso di fedeli che canta il Tantum ergo , a conclusione dei vespri, di fronte alle statue dei due pastorelli testimoni dell’apparizione, a pochi passi dal santuario, in mezzo a pascoli di alta montagna, privi di alberi e arbusti, sormontati da cime rocciose con tracce di neve. Se quasi tutti i santuari sono stati eretti in luoghi alti, quasi per essere più vicini al cielo e proteggere gli abitati circostanti, questo infatti è l’unico famoso e importante situato proprio in alta montagna, a quasi duemila metri di altitudine, in un paesaggio maestoso di vette che lo fanno assomigliare più a un rifugio che a un luogo di pellegrinaggio.
Lo si capisce salendo per la strada tutta curve, che a un certo punto abbandona pini e arbusti per snodarsi nel paesaggio spoglio delle alte cime: quando compare da lontano, nella montagna deserta, più che un santuario sembra un monastero tibetano, severo e inaccessibile.
La Salette oggi è facilmente accessibile in automobile – naturalmente nella buona stagione, perché penso che ben diverso penso sia percorrere questa strada d’inverno con la neve – ma per decenni il santuario è stato noto per essere di difficile accesso. E le peripezie del percorso, raccontate da molti famosi pellegrini, facevano parte del suo fascino sugli intellettuali della prima metà del Novecento, come la coppia Maritain. E sono convinta che abbia avuto un ruolo, nell’affermarsi di questo luogo di pellegrinaggio così nuovo e disagiato, anche la contemporanea nascita della passione per l’alpinismo: proprio nelle montagne lì accanto, infatti, si trovano i rifugi più antichi (di metà Ottocento) della Francia, segno di un precoce sviluppo della passione per le scalate.
La zona che circonda le montagne della Salette, però, non è di forte presenza turistica: si vedono le tracce di un turismo povero e austero, senza impianti di risalita, un turismo che sembra appartenere al passato. Del resto, anche il santuario non fa eccezione. Anzi, il primo aggettivo che viene in mente per definirlo è proprio questo: austero. La basilica ottocentesca e l’ampio edificio moderno che la affianca, destinato all’accoglienza dei pellegrini, si stagliano solitari nel panorama montano deserto: non un bar, non un venditore di souvenir, di rosari, di statuette di Maria. Niente di quella vita mercantile e profana che di solito circonda i luoghi di pellegrinaggio, distrae i pellegrini dalla preghiera, ma anche li conforta, riconducendoli al piano quotidiano e materiale a cui dovranno tornare. Qui gli oggetti religiosi – e rigorosamente solo quelli, nessun foulard o braccialettino, o giocattolo per i bambini lasciati a valle – vengono venduti dagli stessi missionari che gestiscono il santuario, in un negozio moderno e grande, ma severo, che viene aperto solo negli intervelli fra le funzioni religiose, così come il bar e la tavola calda selfservice, moderni e tristissimi. L’austerità è data anche dal fatto che tutta la vita del luogo dipende totalmente dai ritmi della giornata religiosa: un altoparlante avverte quando stanno per iniziare le funzioni, e da quel momento tutto ciò che non è preghiera viene sospeso.
È totalmente assente quell’atmosfera da festa paesana, allegra e un po’ commerciale, che di solito circonda i santuari, a ricordare che siamo anche fatti di carne, e non solo di spirito, e che il pellegrinaggio è sempre stato anche un’occasione di svago e d’incontro.
I rigoristi saranno contenti, io un po’ meno: mi sembra che questo rigore tolga anche vitalità alla fede.
Vado volentieri ai vespri, ma non mi piace essere obbligata a farlo da una voce autoritaria che decide del mio tempo. I pellegrini che arrivano con i pullman – in verità, non moltissimi – si adeguano agli ordini dell’altoparlante senza fiatare, sembra quasi per obbligo. Sì, si tratta di un santuario particolare, e non solo perché si trova in alta montagna: traspare molto chiaramente la sensazione che si vuole tenere tutto sotto controllo, senza lasciare nessuno spazio all’iniziativa individuale. Anche io ero arrivata là non solo per devozione, ma anche per capire qualcosa di più della storia di questo santuario, che stavo studiando e che presentava molti aspetti strani: per prima cosa, la dinamica dell’apparizione, molto diversa da quelle che si sono susseguite nella Francia dell’Ottocento. La Madonna, secondo il racconto dei due pastorelli, era vestita in un modo stranissimo, che – come si vede dalle prime immagini che erano state disegnate su suggerimento delle loro parole – somiglia più a una divinità orientale che alla Vergine Maria.
I due pastorelli, a differenza degli altri veggenti ottocenteschi, hanno fatto una brutta fine: il maschio, pur divenuto zuavo del papa, è morto giovane di cirrosi epatica, mentre la più longeva Melania è passata da un convento all’altro, fornendo versioni sempre diverse dei ‘segreti’ di cui l’avrebbe messa a parte Maria, per arrivare a morire nel sud dell’Italia.
Ma, soprattutto, l’apparizione sarebbe stata fin da principio ‘riconosciuta’ da gruppi esoterici di impronta satanica: la prima miracolata era stata infatti Adèle Chevalier, la compagna di bagordi e di messe nere dell’abbé Boullan, noto satanista lionese. E non è certo un caso che si siano precipitati sul luogo dell’apparizione intellettuali di dubbia reputazione cattolica o discussi, come lo stesso Boullan, ma anche come lo scrittore Huysmans, suo seguace, e Bloy, anch’egli attratto dal mondo esoterico, o Tardif de Moidrey e Louis Massignon. Ma Huysmans si è poi convertito, e così Bloy, che ha attirato al santuario anche i coniugi Maritain, rimasti sempre così legati a questo luogo di pellegrinaggio che, in occasione del centenario dell’apparizione, quando il futuro Paolo VI era favorevole a farlo passare sotto silenzio, Jacques riuscì a fargli superare le sue esitazioni. La sorveglianza speciale dei missionari della Salette si spiega dunque con il timore che arrivino sul posto – come già è accaduto – falsi devoti, e che da luogo di pellegrinaggio cristiano si trasformi in santuario esoterico. Non so giudicare dell’autenticità delle apparizioni, né so se i pastorelli fossero ingenui e sinceri come li rappresentano le statue sul prato davanti al santuario, ma una cosa è certa: i luoghi sacri sono creati anche dalla devozione di chi vi si reca, dalle tante preghiere rivolte in quel luogo. E senza dubbio Dio scrive diritto anche sulle righe storte: lo provano senza alcun dubbio le numerose conversioni avvenute intorno a questo luogo. Per questo quelle parole del canto che precede la benedizione della sera, risonanti davanti al bellissimo paesaggio di montagna, mi sono rimaste nel cuore. E l’avere avvertito con tanta intensità la sensazione di trovarmi accanto al mistero è per me la conferma del fatto, non secondario, che il santuario della Salette è veramente un luogo sacro.
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