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Professare con gioia “credo”

Posté par atempodiblog le 8 juillet 2010

Professare con gioia “credo” dans Fede, morale e teologia suorelvirapetrozzi

Ultimamente, quando sento pregare o cantare il Credo, risuonano fortemente in me le parole di questa preghiera, sento vibrare profondamente l’anima. Dicendo “credo” il cuore si pacifica, si rasserena, si fortifica nella certezza che la mia vita e quella della Comunità stanno in mani sicure: credo in Dio Padre, credo in Gesù Cristo, credo nello Spirito Santo… Sono parole che dicono la verità della nostra vita che è la fede: è nell’appoggiarci a Qualcun’altro, è nel dare fiducia a Lui che la nostra storia sperimenta quella serenità che nasce dalla certezza di essere stati desiderati da sempre dal Padre Creatore, rigenerati continuamente e redenti dal Figlio Salvatore, abbracciati e accompagnati ogni giorno dallo Spirito Santo Amore.
In ogni situazione della vita dobbiamo lasciare sgorgare dall’anima questa parola che deve diventare il respiro del nostro cuore, il nutrimento della nostra vita di dentro: nella gioia credo, nel dolore credo, nella salute credo, nella malattia credo, nei momenti di luce credo, nei momenti di tenebra credo… credo… credo!
“Credo” è un annuncio che deve abitare il nostro essere, radicarsi nel profondo del cuore per poi andare in tutto il mondo, e noi siamo quelli che dobbiamo portarlo: la nostra vita rinata deve annunciare e testimoniare che il Padre c’è, che il Risorto è vivo, che lo Spirito Santo dà continuamente vita e respiro ad ogni cosa.
La fede in Dio rigenera una storia nuova dentro di noi, una storia bella, ci apre alla speranza che è possibile cambiare. Noi che siamo continuamente con lo sguardo rivolto al passato, che non siamo capaci di sganciarci da tutto quello che ci ha fatto soffrire e ci ha umiliati, sperimentiamo che consegnando il nostro “ieri” alla misericordia di Dio possiamo vivere un “oggi” diverso, che ogni giorno è un giorno nuovo, un giorno vivo, con colori e possibilità nuove che si aprono alla nostra libertà vera.
Ma perché avvenga in noi il miracolo della risurrezione dobbiamo essere seri nella preghiera, più puliti nell’immaginazione, nei pensieri, dobbiamo aiutarci a non banalizzare il tempo che doniamo a Dio: tante volte siamo lì ma chissà a cosa pensiamo, a volte siamo così lontani e con tanta zavorra del passato addosso; altre volte siamo spaventati, agitati, confusi… Così facendo facciamo un grande torto a Gesù perché il nutrimento vero non è solo stare lì davanti a Lui, ma è accoglierlo, è vivere Lui, è consegnare a Gesù il nostro vissuto fatto di luci e di ombre, dicendo “Io credo in Dio, in Gesù, nello Spirito Santo”.
La nostra vita dipende dalla qualità della nostra preghiera, dalla qualità della nostra fede. Dico spesso alle nostre giovani suore che fare le cose solo perché ci hanno detto di farle è uno spreco, è una tristezza, è un dovere morto, e se le facciamo solo per dovere che donne siamo, che suore siamo? La fede non è un peso da portare, un dovere pesante da compiere, ma è un dono che ti spalanca gli orizzonti, che genera servizio gratuito, gioioso e fedele, che ti fa correre e ti fa volare nell’amore.
Professare con gioia “credo” significa essere uomini e donne autenticamente liberi, dinamici, immersi nella gioia che si fa servizio a tutti: è aver scoperto la vera grandezza della vita!

di Suor Elvira Petrozzi – Comunità Cenacolo

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Libri sconsigliati

Posté par atempodiblog le 8 juillet 2010

Libri sconsigliati dans Libri libril

Il Gabbiano Jonathan Livingston
« Richard Bach ha affermato più volte, negli Stati Uniti, di aver scritto il suo libro « Il gabbiano Jonathan Livingston » mediante una mente superiore che lo guidava attraverso il channelling… ».
iconarrowti7 dans Massimo Introvigne 
http://www.mariadinazareth.it/www2005/Libro/indice%20livingston.htm

“L’alchimista” di Paulo Coelho
Un alchimista targato New Age: un esame critico de “L’alchimista” di Paulo Coelho
Articolo di Massimo Introvigne
iconarrowti7 dans Riflessioni http://www.cesnur.org/testi/Cohelo.html

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L’amore di Dio è più grande di ogni peccato

Posté par atempodiblog le 8 juillet 2010

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L’amore di Dio è più grande di ogni peccato. Per quanto siamo caduti in basso, potremo sempre risalire dicendo col cuore: « Gesù confido in Te ».

Padre Livio Fanzaga

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Vincere noi stessi

Posté par atempodiblog le 8 juillet 2010

Vincere noi stessi dans Citazioni, frasi e pensieri vincere

« Nessuno sostiene una lotta più dura di colui che cerca di vincere se stesso. Questo appunto dovrebbe essere il nostro impegno: vincere noi stessi, farci ogni giorno superiori a noi stessi e avanzare un poco nel bene ».

Imitazione di Cristo

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L’immutabile destino della Chiesa: trionfante e sofferente insieme

Posté par atempodiblog le 8 juillet 2010

L'immutabile destino della Chiesa: trionfante e sofferente insieme dans Articoli di Giornali e News santopadre

C’è il senso del pontificato intero di Benedetto XVI nella istituzione, il giorno della festa di Pietro e Paolo, del nuovo Pontificio Consiglio per la rievangelizzazione dell’Occidente secolarizzato, per il riannuncio della fede in un mondo dove «il Dio di Gesù sembra eclissarsi».
E c’è un significato preciso, se il neonato Consiglio è stato affidato a un arcivescovo come Rino Fisichella, specialista in quella antica «apologetica» che oggi si preferisce chiamare «teologia fondamentale». Per capire, bisogna porsi alcune domande. Cominciando dalla più importante: la Chiesa cattolica è davvero in grave difficoltà? In realtà, teologia ed esperienza storica mostrano che sempre è stata, e sempre sarà, al contempo triumphans et dolens. Come il suo Fondatore sarà sempre, parola di Pascal, viva e feconda e, al contempo, come agonizzante.
Clero indegno, tra abusi sessuali e affarismi? Nessuna sorpresa, essendo, nel suo volto umano, sia casta che meretrix, sia madre dei santi che rifugio e patria dei peccatori.
Perseguitata? Se non lo fosse, smentirebbe il monito del Cristo ai discepoli, che
non possono avere sorte diversa dal Maestro. In decadenza numerica, quanto a praticanti e vocazioni? Doveroso, in fondo, poiché il suo destino, come prevede il Vangelo, è di essere «piccolo gregge», «lievito», «sale», «granello di senape».
È semplice catechismo. Sbagliano, dunque, coloro che si avventurano in improbabili analisi, immaginando un Benedetto XVI «angosciato» per questo tipo di problemi. Proprio per la sua prospettiva di fede, papa Ratzinger è molto addolorato, e non manca di dirlo pubblicamente ma, al contempo è lontano dalla «angoscia».
Quando mi descriveva la situazione inquietante, della Catholica nella tempesta postconciliare, mi permisi di chiedergli se, malgrado tutto, le sue notti fossero tranquille. Mi guardò sorpreso: «Perché non dovrei dormire? Dobbiamo fare, tutti, il nostro dovere sino in fondo. Ma saremo giudicati da Gesù sulla buona volontà, non sui risultati. La Chiesa non è nostra. Noi siamo solo l’equipaggio di un barca che è Sua, è Lui che tiene il timone e stabilisce la rotta. Sappiamo che ci saranno tempeste, anche terribili, che le sofferenze di ogni tipo non mancheranno ma sappiamo anche che non affonderemo e che prima o poi arriveremo al porto».
Se «angoscia» c’è, nel papa, non è certo per tribolazioni spesso provvidenziali, in ogni caso già annunciate venti secoli fa. C’è un sospetto di angoscia, semmai, per la constatazione— che in lui è sempre stata lucida e costante — che è proprio la fede che oggi fa problema.
Nulla può turbare il Pastore, se nel clero e nei laici regge la fiducia nella esistenza di Dio, nella verità del Vangelo, nella Chiesa come corpo del Cristo. Nulla può stare in piedi, invece, se ci si convince che ci sono Caso, Materia, Evoluzione cieca al posto di Dio; che la Scrittura non è che un’antologia caotica di remota letteratura semitica; che la Chiesa è una multinazionale affaristica o, a esser benevoli, la maggiore delle Ong, una Croce Rossa con l’hobby della religione. Per due volte, solo negli ultimi mesi, Benedetto XVI ha ripetuto — e ogni volta, sì, con un sospetto di angoscia —: «La fede rischia oggi di estinguersi come una fiamma che non trova più alimento». A Fatima ha ricordato l’equivoco di tanto attivismo clericale, che si affatica sulle conseguenze morali, politiche, sociali da trarre dalla fede, senza però interrogarsi sulla verità e credibilità di quella fede. Cosa che, oggi, non è affatto scontata. E non lo è a tal punto che una volta, a tavola, gli sentii sfuggire una confidenza: «Oggi, in Occidente, chi mi stupisce non è l’incredulo, è il credente».
Nella sua inquietudine, certa intellighenzia e nomenklatura ecclesiali non lo confortano ma, spesso, sembrano contrastarlo. Come ha ripetuto in questi giorni, è consapevole che i maggiori pericoli per la Chiesa vengono dal suo interno, e non solo per il peccato del denaro, dell’arrivismo, della carne.
Sa meglio di tutti (un quarto di secolo alla Congregazione per la fede non sono stati vani) che molta teologia, magari dispensata nelle università «cattoliche» se non «pontificie», è infida, insinua il dubbio e mina le certezze.
Sa che tanta esegesi biblica disseziona la Scrittura come fosse un qualunque testo antico, accettando acriticamente un metodo che chiama «storico-critico» creato nel Novecento da atei o da protestanti secolarizzati e che più che critico è ideologico. La base stessa su cui tutto si fonda, la Risurrezione di Gesù nello spirito ma anche nel corpo, è messa in dubbio se non respinta da preti e frati in cattedra. Sa che le basi dell’etica cattolica sono negate, nella pratica, da tanta pastorale. Sa che, nei seminari, i pochi giovani superstiti dipendono, più che dal direttore spirituale, da sociologi e psicologi: e se increduli, tanto meglio, non è forse segno di «illuminata apertura»?
Se, dunque, «la fiamma» si spegne è anche perché tanti, che pur dovrebbero, non l’alimentano, anzi lavorano per estinguerla. È tempo, dunque, di gettare fascine nel braciere, riscoprendo quel lavoro di ricerca della credibilità della fede, quell’accordo tra il credere e il ragionare che è sempre esistito nella Chiesa e che dopo il Concilio era stato abbandonato. È tempo, insomma, di ritorno all’apologetica, per ridare alimento alla fiaccola, spenta la quale niente avrebbe più senso e San Pietro, con il Vaticano intero, potrebbero essere consegnati all’Unesco come semplice «patrimonio artistico della umanità». Non a caso monsignor Fisichella, specialista proprio di apologetica— o teologia fondamentale, che dir si voglia— è sembrato a Benedetto XVI il «fuochista» adeguato. Un lavoro arduo attende l’arcivescovo, cardinale se farà bene. Qui, per la Chiesa, tutto è in gioco: e non basteranno i soliti convegni, dibattiti, «cattedre di non credenti» o la solita «documentite» ad uso interno. Ci vorranno nuovi apologeti, rispettosi di tutti e al contempo coriacei nel mostrare le ragioni per le quali il credente non è un credulo, perché il Vangelo è «vero».

di Vittorio Messori – Corriere della Sera

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