Conforto per chi soffre

Posté par atempodiblog le 31 mai 2010

Conforto per chi soffre dans Fede, morale e teologia Madonna-e-sacerdoti

Oggi i pellegrinaggi portano migliaia di sofferenti ai santuari di Maria: Lourdes, Fatima, Pompei, Lo­reto e a tanti altri. Un popolo intero che chiede grazie, la sa­nità e la santità a Maria. Lo sanno bene: è Gesù che guan­sce, ma guarisce e compie il miracolo, mosso dalla pre­ghiera, dal desiderio della sua madre: Maria non prega in­vano! E la grazia, la guarigione la chiedono a Maria. La Madonna dei malati è presente non soltanto nei grandi san­tuari, ma nelle immagini venerate su tanti altari; nelle im­magini, in tante povere case. E’ sempre la Madonna che ve­glia e alla quale si rivolge chi soffre. Viene pregata duran­te il giorno, durante le notti senza sonno e senza sollievo. E chiedono un po’ di riposo, un po’ di pazienza, di rasse­gnazione.
Per quante persone la malattia è stata strumento di sal­vezza! In Paradiso spariranno certo tutti questi mali che ci travagliano. La sofferenza è lo strnmento con cui Gesù ci associa alla sua opera di redenzione, per la salvezza del­le anime. Dobbiamo accogliere volentieri questo messag­gio come una grazia particolare, con la quale ci chiama a seguirlo sulla via del Calvario, a portare la nostra croce di ogni giorno. La nostra vera infermità è l’incomprensione del valore della sofferenza cristianamente sopportato. Pre­ghiamo perché la sua carezza materna scenda sulle pal­pebre stanche, sulle membra indolenzite. E la sofferenza fisica e morale non lasci indifferente il cuore di Maria, no­stra madre.

FIORETTO: Osserverò Maria ai piedi della croce, penserò alle sue sofferenze. Ci darà forza, coraggio e fiducia nel­le nostre infermità.

GIACULATORIA: Dalla fame, dalle guerre, dalle malattie di questi tempi, proteggici o Maria.

Fonte: Viviamo maggio con Maria – Sacerdoti del S. Cuore (Dehoniani)

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Questa mia carrozzina è la libertà

Posté par atempodiblog le 31 mai 2010

Questa mia carrozzina è la libertà

La straordinaria avventura di Rita Coruzzi, dalla sciagurata operazione che le rovinò l’esistenza alla scoperta che «ci può essere gioia nella sofferenza. Ma occorre guadagnarsela col sudore della fronte»
di Benedetta Frigerio – Tempi

Questa mia carrozzina è la libertà dans Articoli di Giornali e News carrozzina

«Ero condannata a soffrire in eterno». Rita Coruzzi parla raggomitolata in un corpo fragile, segnato da una malattia e da ferri chirurgici che l’hanno resa tetraparetica e quindi «arrabbiata con la vita», racconta a Tempi. «Dopo aver lottato dalla nascita per poter camminare ho visto venir meno in un istante l’unica ragione per cui vivevo». Rita nasce ventitré anni fa con problemi agli arti inferiori. Cammina male, ma può riporre le sue speranze nella fisioterapia, cui si sottopone con tenacia e costanza, e nelle promesse della chirurgia. All’età di dieci anni l’intervento che deve guarirla peggiora le sue condizioni. «Rita – le dicono – non camminerai mai più». A ciò si somma l’addio del padre: non accetta che una figlia tanto bella finisca così. «Lasciò me e mia madre», spiega Rita. «Aggiunsi un’altra cicatrice sul mio cuore». Così la ragazza passa la sua adolescenza «arresa sulle mie membra martoriate».
Ma oggi quelle stesse membra lese paiono sprigionare una potenza che non appartiene loro. Rita le agita mentre si racconta nella sua casa a Reggio Emilia. Dice che non vuole più «la commiserazione in cui sono ristagnata per anni» e batte i pugni, ripetendo in continuazione che della vita «c’è da innamorarsi perdutamente». Cosa ha trasformato tanta rabbia in forza? L’esistenza di Rita ha una prima svolta quando a quattordici anni incontra un insegnante che la provoca: «Tutti hanno i loro problemi – le dice –. Alza quegli occhi da terra e inizia a sfruttare la tua intelligenza». Il secondo passo lo fa accettando per la prima volta di andare in gita di classe. Lì, ad Atene, «i compagni da cui meno ce lo si aspetta» la portano, dopo le sue iniziali resistenze, fino in cima all’acropoli, sollevando la carrozzina. Ma la vera rivoluzione, «quella più grande, quella del cuore, ci fu quando accolsi un invito a Lourdes». È lì che tutto cambia. «Se prima mi nascondevo, ora vado a testa alta sfidando tutti a guardarmi: se provano pena me lo dicano, li convincerò che si sbagliano. Se provano ammirazione non la merito, sono solo una persona che ha deciso di affrontare la vita dicendo il suo sì».
Oggi Rita guarda davvero le cose diversamente. «Ora vedo che la nostra società ha imboccato una strada sbagliata: se non sei dentro i canoni di perfezione, stabiliti da chissà chi, non vali nulla. Ma la perfezione non esiste, perciò se la rincorri ti rovini. Io lo so bene. Si arriva a nascondere i propri limiti, senza accorgersi che se sono condivisi diventano occasione di sentirsi amati. Io, per esempio, so che la carrozzina è un ostacolo, ma in fondo è una risorsa. Non mi lascia illusioni: chi sta con me non può scherzare, non può che amarmi sul serio».
L’unica cosa che questa ragazza umile e decisa non sopporta è che qualche luminare si permetta di definire “ingiusto” far nascere «persone come me», con il rischio che poi soffrano. «Se sono davvero i geni che dicono, provino a dimostrare che sono infelice. Fosse per loro mia madre avrebbe dovuto abortire». Gli uomini, attacca Rita, hanno raggiunto una presunzione senza pari, si mettono al posto di Dio, «con metodi tutt’altro che scientifici. Giustificano aborti ed eugenetica prospettando scenari di vita terribili. Se non basto io a confutare la loro teoria, pensino a Fulvio Frisone, nato spastico. Nessuno gli dava un briciolo di fiducia. Oggi è uno dei fisici nucleari più famosi al mondo: ha scoperto una nuova terapia per il tumore». Rita ricorda quando nemmeno i suoi medici e insegnanti credevano che fosse in grado di affrontare gli studi classici. «Dicevano che non mi sarei mai laureata. Figurarsi scrivere libri». Ma non c’è risentimento nei suoi ricordi, «perché lo so, dolore e sacrificio possono fare paura. Anche io ho paura, anche io fatico. La differenza è che io so. So quello che il nostro mondo si è dimenticato. Che su questa terra bisogna guadagnarsi il pane con il sudore della fronte per raggiungere la vera gioia». Rita non molla nemmeno quando, a due mesi dal conseguimento del praticantato in giornalismo, il direttore del giornale manda tutto all’aria: «Mi sono allora iscritta alla scuola di giornalismo e sto per finirla, mentre pubblico libri e giro l’Italia parlando di me. So, a furia di farla, che questa fatica è poi ripagata da soddisfazioni enormi. È vero, l’uomo è fatto per la gioia, ma se non ti rimbocchi le maniche te la puoi scordare, anzi rammollisci».

«Troppo facile lamentarsi sempre»
Rita ce l’ha soprattutto con «i cattolici che vivono di nascosto la loro fede. Capisco che hanno paura, una paura tremenda, ma finché non ci sarà il grido umano che ho dentro io, il grido di chi vuole vivere per Cristo risorto, il cristianesimo rimarrà debole. Forse quei cattolici saranno apprezzati, ma a quale prezzo? Di perdere Lui. Lui che è andato a Gerusalemme con le sue gambe. E mentre quegli altri, i discepoli, avevano paura, Lui se ne è fregato ed è andato incontro al suo destino di gloria». Rita non cerca commiserazione, «perché nella mia vita mi ha aiutato solo chi non mi ha dato tregua, chi non lasciava che mi lamentassi. Troppo facile scaricare le colpe sugli altri, potrei farlo con chi ha sbagliato ad operarmi, anzi l’ho fatto, ma poi mi sono stufata, perché la lagna non mi ridava l’uso delle gambe e mi lasciava solo più triste. Così ho iniziato a cedere, mi sono fatta aiutare e mi sono messa a combattere per ottenere quello che desideravo». Rita non fa sconti nemmeno a chi usa come alibi ultimo la solitudine, certa che «i buoni samaritani esistono e Dio ti soccorre sempre attraverso qualcuno. Il punto è se noi siamo disposti ad accoglierlo. Quanti aiuti mi passavano davanti e io non li riconoscevo perché diversi da quel che volevo!».
Nel suo libro Rita ha scritto che perfino certe cose brutte, se viste “da una prospettiva divina”, apparirebbero meravigliose. Ma Dio non è un masochista: «Non voglio dire che i mali li dà Dio. Sono conseguenze della ribellione dell’uomo e della natura. Dio lì usa, li trasforma. Qualche volta guarisce per farci capire che c’è, altrimenti ci dà se stesso per accompagnarci. Dio non è un masochista anche se a qualcuno piace tirarlo in ballo solo per incolparlo di ciò che non va. Forse è più comodo, ma non conviene, perché ci lascia mesti e incattiviti». E per capirlo non è necessaria la fede, «non c’è impedimento che tenga. Cosa mi impedisce di studiare, viaggiare, testimoniare, scrivere? Per assurdo la carrozzina mi dà libertà in più: non è lei ad avere potere su di me, ma io su di lei, la conduco io e dimostro al mondo che con dei limiti sono libera. È per questo che non posso giustificare chi ha tutto ma non fa nulla di buono per essere contento».

«Allora Dio, cosa vuoi?»
Certo, però, una cosa per Rita è stata ed è necessaria. E le numerose foto che colorano le pareti del suo studio ne sono la prova. Raccontano di qualcuno «che continuamente ti mostri le possibilità che hai. Sono i veri amici, i genitori, come mia madre, che dopo l’operazione anziché arrabbiarsi mi disse che ero in carrozzina perché Dio aveva grandi progetti per me. Ma ci sono pure le persone incontrate per caso in pochi secondi e che magari ti lanciano delle idee. Bisogna solo vederle, e perciò essere sempre vigili, umili e desiderosi. Il Signore si nasconde in quelle sfumature che consideriamo irrilevanti». Come tutti, anche Rita ha le sue preferenze, volti che contano più di altri. A Lourdes la Madonna le parla: “Ho bisogno di te”. È un miracolo «più grande anche della guarigione fisica», tanto che da allora nemmeno a sua madre Rita sembra più la stessa. «La vita da noiosa e vuota divenne una festa». Certo, restano i drammi, i momenti di sconforto. «Però Dio è venuto quaggiù, smettiamola di metterlo in cielo. Io lo sfido: “Allora, cosa vuoi?”, gli chiedo. Mi ha sempre risposto con fatti che mi hanno aiutato a rialzarmi». Fatti come i rapporti umani attraverso cui il Signore si documenta: «Quei volti sono Lui che mi vuole bene, Lui che mi ama più di tutti loro messi insieme». Dio è per Rita «un rapporto preferenziale», insieme a quello con la Madonna. Ma c’è un terzo volto che ha segnato la sua adolescenza. «Incontrando Giovanni Paolo II malato, ho desiderato di offrirgli tutte le mie fatiche e la mia compagnia». Comincia così una lunga corrispondenza epistolare tra i due. «Lo chiamavo amico, prima che Padre, perché era un confronto allo stesso livello. Ci capivamo, sentivamo il dolore allo stesso modo». Anche per questo, «per prolungare la memoria del mio amico Karol», Rita ha scelto di vivere la malattia «come fece lui, che non si nascondeva, ma andava davanti a tutti. Ragionava così: se io soffro e sono papa, si vede che il mondo deve vedere questo».
Ma c’è un’ultima amica che Rita ha ricevuto come «segno della Sua preferenza per me», anche se l’ha capito più tardi. È la sua carrozzina. «So che è un’affermazione forte, ma ci può essere gioia nella sofferenza. Io sono convinta che Cristo non voleva andare in croce, che ha cercato di evitarla chiedendolo al Padre, ma quando ha capito che doveva passare di lì l’ha abbracciata. Se ci pensiamo Pilato gli ha messo in bocca per tre volte la possibilità: “Non vedo colpa, vuoi che ti salvi?”. Lui però non ha risposto e sulla croce ci è andato per amore. Così io, per amore, vado sulla carrozzina convinta. E se con la mia sofferenza posso anche aiutare qualcuno, ben venga. Mi sento così amata che metto tutta la mia vita in quel che vuole Lui, seguendo le cose che fa capitare. Certo, ho i miei desideri, faccio progetti, Gli chiedo favori e sono anche cocciuta, ma è Lui che mi risponde. A volte come voglio, a volte “deviandomi” verso cose che sono anche meglio di quelle che immaginavo io».

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Ci condurrà in Cielo

Posté par atempodiblog le 29 mai 2010

Ci condurrà in Cielo dans Fede, morale e teologia reginadellapace

Tutto l’arco dell’esistenza terrena viene affidato a Maria, perché ella ci insegni a contare i nostri gior­ni e ci ottenga la sapienza del cuore vigilante. L’o­ra della morte – come passaggio dal tempo all’eter­nità della vita – è il momento decisivo d’ogni crea­tura umana. « Alla morte di un uomo si rivelano le sue opere. Prima della fine non chiamare nessuno beato; un uomo si conosce veramente alla fine »(Sir 11,27-28). Ci rivolgiamo quindi a Maria. A lei affi­diamo l’ora, il momento della nostra morte: un mo­mento di cui non sappiamo « né il giorno, né l’ora ».
E’ bello vedere Maria non solo ricevere le anime come la morte a lei le porta, ma portarle essa stessa a ricevere la corona di gloria meritata con la sua assistenza. « Occorre augurare, specialmente alla gioventù odierna esposta a tanti pericoli, che la devozione a Maria divenga il pensie­ro dominante di tutta la vita. Con l’assiduità della pre­ghiera si deve fare di Maria la quotidiana mediatrice, la nostra vera avvocata, sicché possiamo sperare che Ella, assunta nella gloria del Cielo, nell’ora del nostro trapas­so… possa essere nostra Avvocata presso la divina bontà e misericordia ». San Luigi da Montfort pone sulle labbra di Maria questa consolante « promessa »: « Felici quelli che, col soccorso della grazia divina, praticano le mie virtù e camminano sulle tracce della mia vita… Felici nella loro morte, che è dolce e tranquilla. E alla quale abitualmente assisto di persona per introdurli io stessa nelle gioie del Cielo ». (Trattato della vera devozione a Maria, n.200).

FIORETTO: Faccio un proposito che mi aiuti a vivere o­gni giorno la devozione a Maria, in modo che trasformi la mia vita.

GIACULATORIA: « Gesù, Giuseppe e Maria – assistetemi nell’ultima mia agonia ».

Fonte: Viviamo maggio con Maria – Sacerdoti del S. Cuore (Dehoniani)

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Tutti possiamo diventare santi

Posté par atempodiblog le 29 mai 2010

Tutti possiamo diventare santi dans Fede, morale e teologia santopadre

« Come possiamo divenire santi, amici di Dio? All’interrogativo si può rispondere anzitutto in negativo: per essere santi non occorre compiere azioni e opere straordinarie, né possedere carismi eccezionali. Viene poi la risposta in positivo: è necessario innanzi tutto ascoltare Gesù e poi seguirlo senza perdersi d’animo di fronte alla difficoltà » (Benedetto XVI – Omelia nella solennità di tutti i santi – 1 Nov 2006).

La parole del Santo Padre ci sono di grande aiuto per la nostra vita spirituale. Innanzi tutto ci ricordano che tutti possiamo diventare santi, anche se fino ad oggi ci siamo impantanati nella mediocrità e nel peccato. Poi mettono bene in chiaro che la santità non consiste  nel compiere opere eccezionali, ma nell’amicizia con Gesù. Si tratta di conoscerlo sempre di più, di amarlo con un amore fedele, di imitarlo e di servirlo, superando col suo aiuto ogni difficoltà. Coraggio dunque! Sul cammino di santità alla sequela di Gesù ci prende amorevolmente per mano la Vergine Maria, Regina di tutti i santi.

di Padre Livio Fanzaga

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Prega per noi, adesso…

Posté par atempodiblog le 29 mai 2010

Prega per noi, adesso... dans Avvento verginmaria

“Maria, Madre di Dio, prega per noi… adesso. Non vogliamo accumulare, capitalizzare sicurezze. Ci basta sa­pere che « adesso » preghi per noi, ci proteggi. Abbi pietà dei troppi « adesso » trascurati, ignorati, disattesi ». (A. Pronzato). Prega per noi, adesso…
A Maria – la Vergine dell’Avvento - chiediamo di ren­derci vigilanti nell’attesa, così che, finito l’unico corso della nostra vita terrena, possiamo entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati. A lei, da noi con­templata nella gloria della Città di Dio, chiediamo « la vit­toria delle prospettive eterne su quelle temporali, della vi­ta sulla morte »(Paolo VI). A lei, modello compiuto del di­scepolo di Cristo, chiediamo di saper essere « artefici del­la città terrena e temporale, ma pellegrini solerti verso quella celeste ed eterna; promotori della giustizia che li­bera l’oppresso e della carità che soccorre il bisognoso, ma soprattutto testimoni operosi dell’amore che edifica Cristo nei cuori » (Paolo VI). 
« Madre della speranza, cammina con noi! Cammi­na con l’uomo di questo inizio di Terzo Millennio, con l’uomo di ogni razza e cultura, d’ogni età e condizione. Cammina con i popoli verso la solidarietà e l’amore, cam­mina con i giovani, protagonisti di futuri giorni di pace. Hanno bisogno di Te le Nazioni che di recente hanno riacquistato spazi di libertà ed ora sono impegnate a costrui­re il loro avvenire. Ha bisogno di Te l’Europa che dall’E­st all’Ovest non può ritrovare la sua vera identità senza riscoprire le comuni radici cristiane ». (Giovanni Paolo II)

FIORETTO: Mi metterò nelle mani della Madonna e farò un atto di carità per perseverare nel cammino della sal­vezza.

GIACULATORIA: « Se insorgono i venti delle tentazioni, guarda la stella, invoca Maria ».

Fonte: Viviamo maggio con Maria – Sacerdoti del S. Cuore (Dehoniani)

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Per indicare la strada verso la felicità

Posté par atempodiblog le 28 mai 2010

Ai giovani servono misure alte

Per indicare la strada verso la felicità dans Articoli di Giornali e News santopadre

Educare, cos’è? È suscitare la passione dell’io per ciò che lo circonda: per l’altro, dunque, per il « tu »; per gli uomini, per Dio – dice il Papa. Educare, è un coltivare il desiderio che ci spinge verso il reale. È, in fondo, un contagio di passione per l’uomo. Quella passione, dice il Papa, che dobbiamo risvegliare fra noi.

Nell’Aula del Sinodo Benedetto XVI parla ai vescovi italiani in assemblea generale. Due anni sono passati da quando denunciò la profondità della « emergenza educativa ». Oggi la Cei mette al centro della pastorale della Chiesa italiana dei prossimi dieci anni l’educazione. (Come chi, davanti a una casa che sembra instabile, decida di mettere mano alle fondamenta; a ciò che sta sotto, a ciò che viene prima).

E simmetricamente Benedetto, in un discorso che è lezione magistrale e augurio, va alle radici di quella difficoltà opaca, che però chi ha dei figli conosce. Quella strana resistenza a trasmettere ciò che abbiamo di buono, e prima di tutto il senso del vivere; come se qualcosa confusamente ci remasse contro, come se l’anello fra generazioni fosse incrinato. Che cosa è stato, a infrangere una trasmissione, di padre in figlio, antica, così che i padri balbettano, e i figli sembrano spesso incapaci di continuarne la storia? Per Benedetto XVI – ma ci verrebbe da dire per il professor Ratzinger, tale è la lucidità dell’analisi pure in poche righe – le radici di questo male oscuro sono due. Primo, «una falsa idea di autonomia dell’uomo», come di un «io completo in se stesso»; secondo, «la esclusione delle due fonti che da sempre orientano il cammino umano»: natura e Rivelazione. Se la natura non è più creazione di Dio, e la Rivelazione è soltanto figura di un remoto passato, vacillano gli architravi su cui poggia l’Occidente. E non c’è da stupirsi se, in questo humus ereditato, i figli disorientati cercano, senza trovarli, una direzione, e degli argini, come un fiume smarritosi sulla strada del mare.

Ma qui il professor Ratzinger passa la mano al padre: e sollecita a ritrovare la passione dell’educare. A liberare l’io dalla gabbia della fasulla autonomia in cui la modernità l’ha chiuso, e a spingerlo di nuovo al suo destino. Che è altro da sé: è la faccia, per prima, della madre, e poi i mille volti dell’altro, e quel Dio che sta dietro quei volti, e domanda di essere liberamente riconosciuto. E no, «non è una didattica, o una tecnica», educare: è abitare famiglie, scuole, parrocchie dove si incontrino facce credibili nell’annunciare che c’è un destino per ognuno, ed è buono.

Poi, la lezione di Benedetto si fa ancora più audace. Torniamo, dice, «a proporre ai figli la misura alta e trascendente della vita, intesa come vocazione». Vocazione al matrimonio come al sacerdozio; « vocazione », comunque, a significare che la vita è risposta a una chiamata, è adesione a un disegno non nostro. E certo, questa è l’antica visione della Chiesa; ma provate, oggi, in un crocchio di ragazzi fuori da una scuola, ad affermare che la vita non è «autorealizzazione» ma vocazione, adesione al disegno di Dio su ciascuno. Tanti vi guarderebbero come dei poveri folli; perché, cresciuti nella idea dell’uomo «come un io completo in se stesso», sono magari generosi, entusiasti, altruisti; e però in un espandersi, comunque, di un io che si concepisce come origine e orizzonte di ogni gesto. Poche cose sono lontane da noi, gente del terzo millennio, come la parola « vocazione »; come l’idea che la felicità possa essere nell’adesione ai piani di un Altro.

Eppure, non è forse proprio questo il nodo più profondo della opaca fatica di educare? Siamo « nostri », o apparteniamo a un Padre? Siamo monadi proprietarie di sé, o figli, e fratelli, chiamati insieme a un destino? La sfida accolta dalla Chiesa italiana nel mettere davanti a tutto, per dieci anni, l’educazione, è grande. A questa Chiesa il Papa indica un orizzonte radicale. Educare cristianamente è testimoniare ai figli, nella dittatura dell’io, nel trionfo orgoglioso dell’umana scienza e potenza: bambino, tu sei di Dio, e quella felicità che fin dai primi passi insegui e cerchi – come a tentoni, ostinatamente – abita, davvero, solo in Lui.

di Marina Corradi – Avvenire

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Rallegra i nostri cuori

Posté par atempodiblog le 24 mai 2010

Rallegra i nostri cuori dans Fede, morale e teologia laus

Padre Caterini ci ricorda che, quando dirigeva i pelle­grinaggi dall’Italia a La Salette, si fermava per la messa e il pranzo nel devoto Santuario di N.S. del Laus. Qui si venera una bellissima statua in marmo bianco: la Madonna con un braccio tiene Gesù Bambino e con l’altro allontana da noi un frutto. La spiegazione è semplice: ci allontana il frutto della morte, e ci offre Gesù, il frutto della vita. Del resto, la prima volta che nel Vangelo si incontra il nome del­la Madonna, è subito indicato come un annuncio di gioia.
L’Angelo dell’Annunciazione dice a Maria: rallegrati… gioisci, o piena di grazia! Quando poi va da S. Elisabetta, riempie quella casa di una gioia sconfinata: persino il bambino in seno a S. Elisabetta sussulta di gioia. E Maria can­ta la sua gioia col suo festoso Magnificat! Ecco che cos’è la devozione alla Madonna, causa nostrae laetitiae.
È una bella invocazione nelle Litanie lauretane: Cau­sa nostrae laetitiae. La devozione alla Madonna, oltre a tutto quello che stiamo dicendo in questo mese, ha un non so che di festoso, di gioioso, che non hanno le altre devo­zioni. Tutti i 31 giorni del suo bel mese, sono i giorni di festa. Basta entrare in un Santuario mariano: quant’aria di festa con le campane, i fiori, gli stendardi. I Santi hanno detto che perfino il nome rallegra e ricorrono a quel cu­rioso artificio: Ave – Eva. « Eva » rappresenta le spine, il dolore, il pianto; « Ave » rappresenta le rose, la gioia, il can­to. Eva ci ha fatto perdere il paradiso quaggiù; Ave ce lo ha riportato, portando Gesù. Eva ha aperto la valle delle lacrime; Maria ha aperto la valle della felicità.

FIORETTO: Cercherò di vivere la presenza di Gesù e di Maria, fonti della vera gioia. Pregherò se la tristezza è in agguato.

GIACULATORIA: Madre della gioia, prega per noi e per tutti i figli tuoi.

Fonte: Viviamo maggio con Maria – Sacerdoti del S. Cuore (Dehoniani)

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Gli uomini non sanno scorgere l’anima

Posté par atempodiblog le 24 mai 2010

Gli uomini non sanno scorgere l'anima dans Citazioni, frasi e pensieri Santa-Faustina

Nessuna creatura umana comprende il mio cuore, ma ora non mi meraviglio più di questo, mentre in passato me ne meravigliavo, quando le mie intenzioni venivano condannate e male interpretate; ora non me ne meraviglio affatto. Gli uomini non sanno scorgere l’anima, essi vedono il corpo e secondo questo corpo giudicano. Ma per quanto è distante la terra dal cielo, così sono distanti i pensieri di Dio dai nostri pensieri.

Santa Faustina Kowalska

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La riforma del santo sacerdote

Posté par atempodiblog le 23 mai 2010

La riforma del santo sacerdote
di Paolo Rodari – Il Foglio

La riforma del santo sacerdote dans Articoli di Giornali e News Sacerdote

Nelle difficoltà serve un celibato più puro e una liturgia più aderente al suo senso vero

Il vaticanista Sandro Magister dice una cosa che vale la pena ricordare quando si è di fronte alle richieste di riforma provenienti da una certa base del cattolicesimo, da coloro per i quali il dissenso è divenuto il centro della propria vita di fede: « Nei momenti cruciali, quando la chiesa è maggiormente in difficoltà anche a motivo dei peccati dei suoi componenti, i Pontefici hanno fatto sempre una cosa: rafforzare il celibato sacerdotale. La riformi gregoriana, ma anche quella tridentina, su questo caposaldo si sono affinate. Sulla ricerca di un clero scelto, una squadra di combattenti forti e virtuosi capaci di accettare la mortificazione del corpo a gloria di Dio e per il bene di tutta la chiesa. Preti celibi, preti sposi soltanto della. chiesa. E anche Benedetto XVI sta facendo la medesima cosa. Altrimenti non si spiegherebbe perché la straordinaria indizione di un anno dedicato ai sacerdoti il cui testimone principe è il curato d’Ars, un prete che visse il celibato totalmente, spendendo ogni energia per i suoi fedeli attraverso la celebra Il fuoco contro il celibato sacerdotale, in questo anno dedicato ai preti, è particolarmente insistente. Gli attacchi fanno male perché vengono da dentro la chiesa, dal suo interno, dai suoi uomini.

Non si tratta soltanto di dichiarazioni estemporanee di qualche vescovo della periferia dell’impero. Si tratta di uscite inaspettate di vescovi ritenuti vicini (anche idealmente) a Roma. A loro dire è impellente trovarsi a parlare, a confrontarsi e a discutere, del celibato. Che, fuori dall’ecclesialese, significa una cosa: eliminarlo. Perché soltanto riformando il cuore della vita della chiesa, appunto il sacerdozio, una vera rivoluzione in scia allo spirito dei tempi può avere luogo. Le dichiarazioni anti celibato di qualche giorno fa di monsignor Paul Iby, vescovo del Burgenland, sono soltanto ciò che emerge di una pressione sempre più intensa e sistematica. Una rivolta alimentata anche dall’evidente appoggio di alcuni cardinali. Tre giorni fa l’arcivescovo di Vienna, il cardinale Christoph Schönborn, ha detto di capire « le preoccupazioni » di Iby: « Le preoccupazioni sollevate dal vescovo Iby sono le preoccupazioni di tutti noi ». Parole ascoltate con gravità oltre il Tevere, soprattutto alla luce del fatto che il Papa, indicendo l’anno sacerdotale, ha proposto altri modelli. L’ha ricordato due giorni fa sull’Osservatore Romano, probabilmente non a caso, il segretario del Clero, monsignor Mauro Piacenza: « L’anno sacerdotale nasce da una ricorrenza ben precisa, il centocinquantesimo anniversario della nascita al cielo del curato d’Ars, e proprio per indicare un’autentica realizzazione del modello sacerdotale ». E poi l’affondo sul celibato, il cui fondamento è in Cristo,: « Non basta dire che Cristo e la sua vita furono verginali, la verginità non è qualcosa di aggunto all’esistenza terrena di Cristo, ma appartiene alla sua stessa essenza. Cristo è la verginità stessa e quindi ne è il modello. Certamente esistono molteplici ragioni di convenienza del celibato, sia sotto il profilo storico sia biblico, sia sotto quello spirituale e pastorale, tuttavia fondamentale è aderire alla fonte di tutto: Cristo stesso ». C’è chi ricorda che la chiesa di fatto già ammette i preti sposati: diverse comunità anglicane sono state da poco riammesse alla piena comunione con Roma, sacerdoti sposati compresi. E poi si rammenta l’esperienza delle chiese cattoliche di rito orientale: anche qui ci sono sacerdoti coniugati. Don Nicola Bux, consultore della Dottrina della fede, ci tiene però a puntualizzare un po’ di cose. Dice: « Anzitutto vorrei domandare a questi cardinali che continuamente chiedono aperture e nuove discussioni: ha forse ragione Karl Rahner quando sostiene nei ‘Nuovi saggi’ che i cardinali conoscono a mala pena ciò che hanno imparato nelle lezioni di teologia mentre non sanno nulla della dottrina cattolica? Forse si. Forse ha ragione Rahner. Tra l’altro vanno fatti alcuni chiarimenti sui preti sposati orientali. Questi propriamente non sono preti sposati nel senso che erano sposati già prima dell’ordinazione. Ai preti, infatti, non è concesso il matrimonio. Tecnicamente occorrerebbe chiamarli ‘sposati-ordinati preti’. E la cosa non è senza senso: è un sintomo evidente dell’antica tradizione comune con l’occidente che non ammette a chi è ordinato di accedere al matrimonio. Inoltre va ricordato quando e come l’oriente aprì ai preti sposati. Fu durante il Concilio di Trullo che si svolse a Costantinopoli nel 692. Di fatto questa apertura fu un cedimento. Perché occorre dirlo anche se forse è poco ecumenico: nella cristianità soltanto i cattolici di rito latino non hanno ceduto. Orientali, ortodossi e protestanti sono stati meno forti e decisi ». Don Luigi Negri, vescovo di San Marino e voce ascoltata nella galassia ciellina, dice che « la situazione è grave ». Perché? « Ci sono vescovi che prendono posizioni direttamente contrarie alla dottrina. Aprono su questioni sulle quali il Papa ha già detto cose di fatto definitive. Vorrei ricordare che molte dichiarazioni di Giovanni Paolo II erano prossime all’essere considerate come pronunciate ex cathedra, e dunque infallibili. Invece ci sono alcune autorità della chiesa che chiamano in causa il magistero giustificandolo agli occhi della mentalità dominante. Dimenticano Jean Guitton del ‘Cristo dilacerato’. E’ un breve saggio che scrisse di getto durante il Concilio. Disse che l’eresia si verifica quando è il mondo che giudica la fede, che chiama la fede a giustificarsi. Io contesto questa mentalità smascherata da Guitton perché non è più cristiana. E mi sgomenta che siano autorità della chiesa a fare proprie queste posizioni ». Il Papa ha parlato più volte del valore del celibato. Il 12 marzo si trovava a Castel Gandolfo. Qui ricevette i partecipanti a un convegno teologico. Parlò del « valore sacro del celibato ». E affondò il colpo contro le mode che vogliono far sì che anche il sacerdote si adegui, spirito e anima, al mondo. Disse: « Nel modo di pensare, di parlare, di giudicare i fatti del mondo, di servire e amare, di relazionarsi con le persone, anche nell’abito, il sacerdote deve trarre forza profetica dalla sua appartenenza sacramentale, dal suo essere profondo. Di conseguenza, deve porre ogni cura nel sottrarsi alla mentalità dominante, che tende ad associare il valore del ministro non al suo essere, ma alla sua funzione, misconoscendo, cosi, l’opera di Dio. che incide nell’identità profonda della persona del sacerdote, configurandolo a sé in modo definitivo ». Il richiamo all’abito non è senza senso. L’abito è un segno. Uno schiaffo in faccia al mondo. Ed è anche una forma di difesa dalle insidie e dalle tentazioni del mondo. Eppure, nel post Concilio, alcuni l’hanno abbandonato. E chi teorizza che sia giusto così, dimentica Giovanni Paolo Il. Racconta un frequentatore dell’appartamento wojtyliano: « Un giorno arrivò al Papa l’annuario dei vescovi brasiliani. C’erano i loro nomi e cognomi, gli indirizzi, e anche le foto. Il Papa lo apri e, pochi secondi dopo, lo scagliò contro il muro con violenza. Nelle foto molti vescovi erano in giacca e cravatta. Erano i tempi in cui la teologia della liberazione andava forte e faceva proseliti. n Papa non sopportava un simile tradimento ». Attacco al celibato, attacco al cuore della vocazione sacerdotale, fino agli attacchi alla liturgia, il luogo dove i fedeli, grazie ai ministri di Dio; appunto i sacerdoti, incontrano il mistero. Un Papa, Benedetto XVI, che indice l’anno sacerdotale per ritrovare il baricentro. Per ricordare qual è la giusta direzione. Anche se, a onor del vero; già molto aveva detto quando era cardinale e, ancora prima, vescovo e teologo. Per quanto riguarda la liturgia non si può non ricordare il suo « Introduzione allo spirito della liturgia », un cult alla stessa stregua del libro a cui Ratzinger si rifà, quello « Spirito della liturgia » di Romano Guardini pubblicato nella Pasqua del 1918 come volume inaugurale della collana « Ecclesia Orans » a cura dell’abate Herwegen: l’opera che, come scrive Ratzinger, « inaugurò il movimento liturgico in Germania. Essa diede il suo contributo perché si celebrasse la liturgia in maniera essenziale ». Per Ratzinger la riforma liturgica che ha portato il sacerdote a pregare versus populum ha introdotto « una clericalizzazione quale non si era mai data in precedenza. Ora infatti il sacerdote diviene il punto di riferimento di tutta la celebrazione. Tutto termina su di lui. E’ lui che bisogna guardare, è alla sua azione che si prende parte, è a lui che si risponde; è la sua creatività a sostenere l’insieme della celebrazione ». Invece « l’atto con cui ci si rivolgeva tutti verso oriente non era celebrazione verso la parete, non significava che il sacerdote volgeva le spalle al popolo: egli non era poi considerato così importante ». Alessandro Gnocchi dice che l’attacco al clero, al significato profondo del sacerdozio e quindi alla liturgia, ha le sue radici nell’immediato post Concilio. « Anche se – spiega – già nella riforma dei riti della Settimana santa del 1955-56 messa in campo, tra gli altri, da monsignor Annibale Bugnini ci furono dei prodromi di questo attacco: i cambiamenti stravolsero i riti secolari. Per la domenica delle Palme viene introdotta una ritualità verso il popolo e con le spalle alla croce e al Cristo dell’altare, il Venerdì santo si riducono gli onori da rendere al Santissimo e si altera la venerazione della croce con il risultato di oscurare la natura sacrificale dell’ultima cena. Per il Lunedì santo si proibisce la preghiera contra persecutores ecclesiae e la preghiera per il Papa ». Perché queste riforme? Difficile rispondere. Secondo padre Carlo Braga – lavorò a stretto contatto con Bugnini – questa riforma fu la « testa d’ariete » che scardinò la liturgia romana dei giorni più santi dell’anno. Secondo Annibale Bugnini, invece, la prima occasione d’inaugurare un nuovo modo di concepire la liturgia. Allora furono alcuni episcopati e anche vari liturgisti come Léon Gromier, consultore della Congregazione dei riti e membro dell’Accademia pontificia di liturgia, a lamentarsi. Ma con pochi risultati: Pio XII non aveva forse più la forza di reagire e la riforma passò. E a poco valse un segno lanciato qualche tempo dopo da Giovanni XXIII: nel 1959, nella sua celebrazione del Venerdì santo a Santa Croce in Gerusalemme, celebrò seguendo le pratiche tradizionali. Bugnini fu il principale protagonista della riforma liturgica. Una riforma che ha cambiato, di fatto, la vita dei fedeli e, insieme, quella dei preti. Dice Gnocchi: « Anzitutto il prete ha iniziato a celebrare ‘verso il popolo’ e non più ‘spalle al popolo’, ovvero volgendo il suo sguardo verso oriente, verso Cristo che viene. Questa è stata una svolta drammatica. Il prete è diventato un protagonista, quasi uno showman, al fondo il padrone della liturgia. In questo modo si è persa la dimensione verticale della celebrazione in favore di una dimensione circolare. Tutto è dentro un circolo chiuso composto dal prete e dai fedeli. Cristo resta fuori. Tant’è vero che il Santissimo è alle spalle del prete. Questa circolarità ha fatto sì che si perdesse il concetto di presenza reale di Cristo. Dell’eucaristia quasi ci si dimentica. Tutto è chiacchiera umana. Tutto è liturgia della parola. Prima del Concilio il celebrante sedeva a lato dell’altare così tutti guardavano a Cristo. Oggi siede dietro l’altare. E tutti sono costretti a guardare lui ».

Tratto da: pastorale.myblog.it

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Protegge i suoi figli

Posté par atempodiblog le 22 mai 2010

Protegge i suoi figli dans Apparizioni mariane e santuari Madonna-Rue-du-Bac-Parigi

L’epoca delle grandi apparizioni inizia però dal 1830 con la Medaglia Miracolosa, che la Madonna fa coniare per proteggere i suoi figli che la portano devotamente, invocandola: “O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi”. Poi si susseguono le quat­tro più belle apparizioni, che sono come i quattro vange­li della Vergine. Tutte custodiscono dei segreti ed hanno tutte un messaggio di preghiera e di conversione.

La Salette (1846) – La Madonna appare a 1800 metri d’altezza sulle Alpi francesi, a due pastorelli: Melania e Massimino. Maria conferma loro la sua divina maternità, dicendo che non può più trattenere il braccio del suo di­vino Figlio che minaccia di castigare il mondo per i trop­pi peccati. Ha compiuto anche là vari prodigi e guarigio­ni a conferma del fatto.

Lourdes (1858) – La Madonna appare per ben 18 vol­te a Bernadette in una grotta; conferma il dogma della Immacolata Concezione e fonda qui la sua città prodigio, dove tuttora guarisce miracolosamente tanti corpi e tante anime malate.

Fatima (1917) – La Madonna appare sei volte a tre pa­storelli: Giacinta, Francesco e Lucia, e lancia il suo acco­rato lamento: “Ci sono troppe anime che vanno all’inferno, perché non c’è chi prega e si sacrifica per loro!”. Concede il privilegio di fare una buona morte a coloro che segui­ranno la pia pratica dei Primi cinque Sabati del mese e dimostra di essere Signora di tutti i popoli in quanto dice che il suo Cuore Immacolato dovrà trionfare in tutto il mondo.

FIORETTO: Le richieste della Madonna devono essere da me ascoltate. Sarò fedele alla recita del santo Rosario in spirito di penitenza e di riparazione.

GIACULATORIA:Tu dei cristiani sei la retta via, dona a noi la luce e così sia”.

Fonte: Viviamo maggio con Maria – Sacerdoti del S. Cuore (Dehoniani)

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Da Fatima a Medjugorje. Il piano di Maria per la pace

Posté par atempodiblog le 22 mai 2010

DA FATIMA A MEDJUGORJE – IL PIANO DI MARIA PER LA PACE

gospa medjugorje

Il 1991 è un anno cruciale nella storia contemporanea. Nessuno lo sospetta, ma l’impero sovietico che domima metà del mondo sta per collassare. La Regina della pace lo aveva già annunciato fin dai primi mesi delle apparizioni (30 Ottobre 1981), evocando la promessa di Fatima: “Alla fine la Russia si convertirà”. Il primo messaggio del 1991 è il più drammatico che mai sia stato pronunciato dalla Madonna: “ Cari Figli, oggi, come prima mai v’invito alla preghiera. Che la vostra preghiera sia preghiera per la pace. Satana è forte e desidera distruggere non solo la vita vita umana, ma anche la natura e il pianeta su cui vivete” (25 Gennaio 1991). Mentre la Madonna dà il messaggio, infuria la prima guerra contro l’Iraq. I pericoli di un conflitto globale incombono minacciosi. Il Papa Giovanni Paolo II lancia appelli accorati perché le armi tacciano. Il 25 Giugno, ventesimo anniversario delle apparizioni, i cannoni serbi incominciano a crepitare in Bosnia Erzegovina. Scoppia la guerra civile nei Balcani, durati quasi quattro anni, con oltre quattrocentomila morti e ottantamila donne stuprate. Sull’orrizzonte internazionale si addensano nuvoloni gonfi di tempesta.

In questo contesto La Regina della pace, nel messaggio del 25 Agosto 1991, dà un annuncio che lega strettamente Fatima a Medjugorje, come se le due apparizioni facessero parte di un medesimo piano di salvezza. La Madonna vede realizzarsi ciò che noi non riusciamo a vedere. Al di là dei cannoni che crepitano, grazie alla preghiera e al digiuno di innumerevoli anime devote, si sta realizzando la promessa fatta a Fatima di un tempo di pace per l’umanità, preceduto dalla conversione della Russia. Chi ascolta comprende che può essere protagonista di un avvenimento storico unico e si sente personalmente coinvolto:
“Cari Figli, anche oggi vi invito alla preghiera, ora come non mai, da quando il mio piano ha incominciato a realizzarsi. Satana è forte e vuole intralciare i miei progetti di pace e di gioia e farvi pensare che mio Figlio non sia forte in ciò che ha deciso. Perciò vi invito, cari figli, a pregare e a digiunare ancora più intensamente. Vi invito a qualche rinuncia per la durata di nove giorni, perché col vostro aiuto si realizzi tutto ciò che voglio realizzare secondo i segreti inziati a Fatima. Vi invito, cari figli, a comprendere l’importanza della mia venuta e la serietà della situazione.” (25 Agosto 1991). Chi allora poteva pensare che l’8 Dicembre del medesimo anno i capi delle varie Repubbliche sovietiche ne avrebbero decreatato lo scioglimento e che il 25 Dicembre la bandiera rossa sarebbe stata ammainata dal Cremilino? Uno dei più grandi imperi della storia, la cui nefasta epopea anticristica era stata preannunciata dalla Madonna a Fatima, era caduto senza versamenti di sangue.
Da Fatima a Medjugorje la storia umana vive una delle pagine più drammatiche e luminose dell’Apocalisse. Non si tratta di un evento che ci sta dietro le spalle, come se ormai appartenesse al passato. Al contrario si tratta di una prospettiva nella quale siamo profondamente coinvolti e il cui svolgimento riguarda il nostro immediato futuro. Siamo infatti nel pieno di quel grande combattimento fra il Cielo e l’inferno, fra la Donna vestita di sole e il grande drago rosso, dal cui esito dipenderà il futuro del mondo. Questa pagina dell’Apocalisse è una realtà sotto i nostri occhi e noi ne siamo direttamente chiamati in causa. Satana ha colto il suo momento propizio per distruggere il mondo e impadronirsi delle anime mediante l’odio e la guerra. La Regina della pace è scesa in campo per schiacciargli la testa e preparare per il mondo un tempo di primavera.

Il grande combattimento escatologico non è ancora entrato nella sua fase culminante, ma le forze in campo si stanno ormai chiaramente delineando. All’inizio del ventesimo secolo il serpente infernale preparava quegli sconvolgimenti che avrebbero dato origine a due guerre mondiali, fino alla produzione attuale delle armi di sterminio di massa. Nello stesso tempo seduceva il mondo col miraggio della totale autonomia dell’uomo, non più sottomesso a Dio, ma padrone orgoglioso del suo destino. Non è difficile immaginare che cosa sarebbe accaduto se la Madonna non fosse intervenuta per tempo.

E’ a partire da Fatima che la Madre di Dio sta pazientemente facendo maturare il suo piano di salvezza. La sua strategia è quella divina di sempre. Si tratta di vincere il male col bene. Laddove il nemico diffonde l’incredulità, la Madonna suscita la fede; laddove sparge l’odio, lei semina l’amore; laddove aizza alla violenza e alla vendetta, lei chiama alla mitezza e al perdono. Satana ingrossa i suoi eserciti trascinando gli uomini sulle vie dell’egoismo e dell’immoralità; la Madre di Dio forma le sue schiere invincibili invitando le anime alla conversione e alla santità di vita.

Guardando alla storia del ventesimo secolo con l’occhio della fede, noi possiamo vedere una crescita contemporanea, quasi parallela, delle forze del bene e di quelle del male. Alle orde dei negatori di Dio e degli spregiatori dell’uomo Maria contrappone le schiere dei testimoni della fede e degli apostoli dell’amore. Nei lager e nei gulag, come nei campi di battaglia di tutto il mondo, agli orrori dell’inferno la Madonna oppone le figure eroiche di coloro che muoiono donando la vita per i fratelli. Quando il maligno ordiva trame di morte, Maria tesseva i suoi piani di vita.

L’errore di prospettiva del dopo guerra è stato quello di pensare che la grande tribolazione fosse ormai alle spalle e che per l’umanità si prospettasse un lungo tempo di pace. Le sofferenze della guerra avevano avvicinato gli uomini a Dio. Il bagno di sangue aveva resa l’umanità un po’ più saggia. Il maligno tuttavia è l’infaticabile e l’irriducibile. Lui sa che ha alla sua portata la possibilità di distruggere il mondo e non vuole lasciarsela sfuggire. E’ straordinaria l’abilità con la quale satana negli ultimi decenni del secolo ha usato la grande disponibilità dei beni materiali per allontanare gli uomini da Dio, per diffondere l’ateismo pratico e per trascinare nell’immoralità e nell’indifferenza religiosa gli individui, le famiglie e la società intera.

Quando sono incominciare le apparizioni di Medjugorje, il 24 Giugno 1981, nessuno poteva pensare quale straordinario avvenimento stesse incominciando e a quale mirabile progetto la Madonna avesse posto mano. Il triplice grido “Pace, pace, pace”, lanciato al mondo fra le lacrime, coglieva un’umanità distratta e paga delle sue sicurezze. Nessuno in quei primi tempi poteva neppure sospettare che la sua presenza fra noi sarebbe durata così a lungo. Il disegno della Regina della pace si è delineato gradualmente, ma con mirabile continuità. Mentre il tempo passava e molti si interrogavano fino a quando sarebbero durate le apparizioni, il piano della divina misericordia si andava delineando nella sua mirabile bellezza.

Chi non comprendeva si chiedeva con un pizzico di incredulità: “Perché un così lungo tempo e perché così tanti messaggi”? La presenza della Madonna a molti sembrava superflua. “Abbiamo la Chiesa, abbiamo l’Antico e il Nuovo Testamento” commentavano coloro che si erano dimenticati che la Madre di Cristo è anche la Madre della Chiesa e dell’umanità. Eppure la Madonna aveva fatto intravedere fin dall’inizio che ci trovavamo di fronte a un intervento di Dio assolutamente eccezionale e irripetibile.

“Io e mio Figlio abbiamo un progetto speciale su questa parrocchia” (Medjugorje, 12 Aprile 1984), confidava la Regina della pace. “Cari figli, vi amo ed ho scelto in modo speciale questa parrocchia, che mi è più cara di altre, dove sono rimasta volentieri quando l’Altissimo mi mandava” (Medjugorje, 21 Marzo 1984), affermava la santa Vergine, manifestando una chiara predilezione divina per la piccola parrocchia dell’Erzegovina. Ma è un Giovedì santo che la Regina della pace dichiara l’importanza primaria di Medjugorje rispetto a tutte le apparizioni del passato: “Cari figli, vi ringrazio perché nei vostri cuori avete cominciato a pensare di più alla gloria di Dio. Oggi è il giorno in cui volevo cessare di darvi dei messaggi, perché alcuni non mi hanno accolto. La parrocchia, ad ogni modo, ha fatto progressi, e desidero darvi dei messaggi come mai è avvenuto in nessun luogo nella storia dall’inizio del mondo. Grazie per aver risposto alla mia chiamata” (Medjugorje, 4 Aprile 1985).

Questo messaggio, che all’inizio destava meraviglia, ora si sta pienamente realizzando. La Regina della pace lo completava affermando che mai più sulla terra ci sarebbero state apparizioni come quelle di Medjugorje. Ci troviamo di fronte a un avvenimento unico e irripetibile, come eccezionale è il pericolo che minaccia l’umanità. Si delinea così il quadro mirabile della divina misericordia che ha donato alla nostra generazione un tempo straordinario di grazia, nel quale la Madre di Dio sta preparando le schiere del bene, per arginare la furia del drago, ormai sciolto dalle catene a causa della stoltezza degli uomini.

La Madonna in questi ultimi tempi invita ripetutamente a pregare per un suo piano che si deve realizzare. Noi non possiamo conoscere gli elementi singoli e i suoi tempi di attuazione, ma ci appare chiaro un disegno di sconfinato amore, il cui sbocco finale è il nuovo mondo della pace. Incominciando da Fatima fino ad oggi, la presenza di Maria si va sempre più manifestando come l’elemento chiave per la comprensione dei tempi che stiamo vivendo. Lo stesso pontificato di Giovanni Paolo secondo appare in tutto il suo valore solo se collocato nel piano materno di Maria per l’umanità. Comprendere il progetto della Regina della pace è oggi una grande urgenza per la Chiesa e per l’intera umanità. Esso infatti prevede la nostra attiva collaborazione per potersi realizzare.

A una umanità inquieta e senza pace, a un mondo in balia dell’odio e del rancore, a una generazione in pericolo e tentata di disperazione, la Madonna si presenta come l’inviata dall’Altissimo e la messaggera del suo amore. Mentre l’angoscia per il futuro cresce nei cuori, lei ci rincuora dicendo: “Sono qui io ad aiutarvi”. Siamo ancora nel vivo del tempo di grazia che Dio ha concesso al mondo. Non durerà all’infinito. Si tratta infatti di un periodo di preparazione spirituale per un futuro su cui è posto il sigillo dei dieci segreti. Beati coloro che verranno trovati con le loro lampade accese.

di Padre Livio Fanzaga

Fonte: Oggi
Tratto da: Radio Maria

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Maria conosce la via

Posté par atempodiblog le 13 mai 2010

Maria conosce la via dans Fede, morale e teologia mariasantissima

Nelle apparizioni, le mani sono la parte del corpo della Madonna, dopo gli occhi, poste in maggior ri­salto. Maria alza le mani nella preghiera, riceve nelle sue mani le grazie, stende le mani a noi per invitarci ad avvicinarci, vorrebbe stringerci tutti al suo cuore. Apre le mani per far piovere su di noi le sue grazie.

Lasciamoci condurre da Maria: le sue mani ci so­sterranno. Chiudiamo gli occhi come facevamo da bambini con la nostra mamma e lasciamoci condurre da Maria. Ella conosce la via: sa dove condurci, dove arrivare. Imitiamo le mani di Maria: la loro purezza immacolata in ogni azione. La loro operosità instan­cabile, la loro frequenza nel congiungersi con la pre­ghiera.

« Le mani, spesse volte, suppliscono alla lingua, agli occhi… Ho visto mani innocenti di bimbi man­dare baci alla Madonna e ne provai gioia e venera­zione. Ho visto mani congiunte in preghiera che mi commossero. Mani diafane di ammalati che stringevano il crocifisso e ne ebbi conforto. Mani caritatevoli versare nella mano del povero l’elemosina. Ma­ni misericordiose posarsi sul capo dell’afflitto e sol­levarlo. Mani consacrate benedire il popolo, la cam­pagna, il pane… assolvere un peccatore, versare l’ac­qua rigeneratrice sul capo del neonato. O mani di Ma­ria, beneditemi » (S. Giovanni Bosco).

FIORETTO: Preghiamo Maria di aprire le sue mani per benedirci e per accoglierci tra le sue braccia, in vita. in morte, in cielo.

GIACULATORIA: « Vergine fedele sempre al tuo Signo­re fa’ che tale diventi questo mio cuore! »

Fonte: Viviamo maggio con Maria – Sacerdoti del S. Cuore (Dehoniani)

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Maria nostra Madre

Posté par atempodiblog le 13 mai 2010

La visitazione perpetua di Maria dans Citazioni, frasi e pensieri Maggio-con-Maria-Rosa-Mistica

Il mese di Maggio è con Ottobre il mese di Maria. Questo significa che in questo periodo dobbiamo avvicinarci in modo speciale al suo Cuore materno. Il mezzo che Lei stessa ci consiglia è la preghiera del santo rosario, recitato ogni giorno, sia personalmente come in famiglia.
Recitando il rosario col cuore entriamo in comunione con la Madonna e facciamo l’esperienza della sua pienezza di grazia e del suo amore materno. La Madonna è nostra Madre. E’ specialmente nella preghiera che la sentiamo vicina. Preghiamo il santo rosario contemplando con Maria il volto di Gesù.
Impariamo a farci accompagnare dalla Madonna nello svogimento della nostra giornata. Fin dal mattino, quando ci svegliamo, preghiamola di prenderci per mano, perchè ci accompagni nel lavoro e nel compimento dei nostri doveri. Lei ci proteggerà, ci terrà sulla retta via, ci guiderà nel discernimento della volontà di Dio.
Gesù ci ha donato sua Madre come Guida e Maestra. Il cammino della vita fatto con Lei è al riparo dagli inganni e dagli attacchi del mondo e del maligno. In questo mese possa ognuno di noi scoprire il suo incommensurabile amore.

Chiediamo alla Madonna la grazia di capire quanto ci è Madre. Gesù ce l’ha donata, ma non tutti ne approfittano. Quelli però che hanno scoperto la presenza di Maria, affrontano il cammino della vita con sicurezza e gioia.
La Madonna è una Madre che ci ama immensamente. « Se sapeste quanto vi amo, piangereste di gioia! », ha detto a Medjugorje. L’amore materno di Maria non è generico, ma personalizzato. Guarda a ognuo dei suoi figli come se esistesse lui solo. Conosce per nome tutti, uno ad uno, e legge nel cuore di ognuno di noi come nessun altro potrebbe.
Il suo amore materno è incondizionato. Non ama soltanto i figli buoni, ma anche quelli cattivi. Per Lei siamo tutti degni di amore, di compassione e di aiuto. Se ha una preferenza, è per i figli più lontani e versa lacrime di sangue per ognuno di loro che si perde nel peccato. Non c’è nessuno, per quanto sia caduto in basso, che non sia raggiunto dal suo sguardo pieno di dolcezza.
Accettiamo l’amore materno di Maria. E’ un atto di umiltà che ci rende cari a Dio. Guardando alla Madre come dei figli, resteremo piccoli e avremo il diritto al suo amore incommensurabile. Nessun essere umano è senza una Madre celeste che lo ama e lo protegge. Gesù ci ha fatto un grande dono!

Abbiamo visto che Lei è una madre che ci ama immesnamente, senza « se » e senza « ma ». Ora aggiungiamo che Il suo amore è dolce e paziente. Che cosa vuol dire?
Innanzi tutto che la Madonna, benché non cessi mai di esortarci alla santità, non perde mai la pazienza a causa delle nostre fragilità e dei nostri ritardi. Lei sa capire, sa scusare, sa aspettare e, soprattutto, non ci ritira mai la fiducia, se solo siamo pronti a rialzarci.
La Madonna è una madre dolce, perchè quando deve riprenderci, lo fa con delicatezza, senza ferirci e senza farci perdere d’animo. Il suo volto esprime sempre tenerezza, anche quando disapprova e corregge. Lei condisce di piccole gioie i nostri momenti più difficili e versa olio salutare sulle ferite che noi stessi ci infliggiamo.
Può capitare, e accade spesso, che la nostra mamma terrena non ci capisca o ci chiuda la porta in faccia. La Madonna non lo fa mai, a meno che non siamo noi a respingerla. La Madonna è una madre che ci capisce sempre e ci attende sul suo cuore per confortarci nei momenti dell’amarezza. Approfittiamone!

Maria è una Madre che ci prende per mano. Sulla via della santità non procediamo in solitudine al seguito di Gesù. Come ogni madre con i suoi figli, così la Madonna ci prende premurosamente per mano e non ci lascia mai soli nel cammino, ben sapendo quante insidie ci prepara il demonio.
Quando cadiamo Lei ci rialza, ci ripulisce e ci medica le ammaccature. Non ci rimprovera, non ci rinfaccia nulla. Vuole soltanto che ci rimettiamo in piedi e riprendiamo di nuovo la strada.
Quando siamo spossati e ci lasciamo andare, arriva fino a prenderci in braccio, come fanno i genitori con i loro bambini quando scalano una montagna. All’inizio della salita i piccoli corrono, mai poi, quando la stanchezza si fa sentire,  vogliono essere presi in braccio.
Quando lungo la via maestra si affacciano altre strade, apparentemente più percorribili, e noi siamo tentati di seguirle, la Madonna ci tiene stretti per mano e non lascia che l’ingannatore ci attiri nelle trappole che ci ha preparato.
La via della santità, sulla quale siamo invitati, a prima vista potrebbe spaventarci. E’ una via stretta e angusta e sono pochi quelli che la scelgono. Però con la Madonna è tutto più facile. Lei la spiana e la tapezza di tante piccole gioie. Lasciati prendere per mano e va avanti, ogni giorno un po’, insieme a Lei.

Vorrei che alla fine di questo mese dedicato a Maria tutti avessero la certezza di avere una Madre che ci ascolta sempre. Ascolta ciascuno in ogni ora del giorno. Non solo le parole arrivano diritte al suo Cuore, ma persino i nostri pensieri più reconditi non sfuggono alla sua trepidazione di Madre.
Maria ci ascolta col Cuore. Ci legge nell’intimo e ci capisce. Con Lei non abbiamo bisogno di usare molte parole. Ci basta alzare verso di Lei gli occhi supplichevoli. La Madonna è una madre sempre accessibile, sempre pronta a parlare con ognuno dei suoi figli. A Lei possiamo dire ogni cosa nella certezza che non Le sfuggirà neppure una parola.
Se noi conoscessimo questa possibilità ci sentiremmo meno soli, meno fragili e infinitamente più protetti. Affronteremmo la vita con la sicurezza e la gioia dei bambini che si sentono voluti, amati e ascoltati.

Padre Livio Fanzaga

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Madre mia, fiducia mia

Posté par atempodiblog le 9 mai 2010

Madre mia, fiducia mia dans Fede, morale e teologia reginadellapace

Alla Madonna ci rivolgiamo per ottenere varie grazie: la salute per noi o per i nostri cari, la pace in­teriore e con i nostri fratelli, l’amore al raccogli­mento, al silenzio… Maria ce le ottiene: Maria ci ot­tiene tutto quello che serve per la nostra santifica­zione, per la nostra vita, per la nostra gioia. Ecco per­ché i Santi riponevano in lei ogni loro fiducia. Se ci rechiamo a san Giovanni Rotondo, sopra la porta del­la cella di Padre Pio si legge questa scritta: « Maria è tutta la ragione della mia speranza » (S. Bernardo). Ma, attenzione: Maria ci ottiene ogni grazia, perché le attinge alla sorgente unica, che è solo Gesù! Gesù ce le ha meritate con la sua vita, col suo sacrificio, col suo san­gue; ma ha incaricato la sua divina madre di distribuirle. Ma qual è la grazia delle grazie? Che Maria susciti in noi un grande, sconfinato amore per il suo dilettissimo Figlio Gesù. Perciò dobbiamo ravvivare la nostra fede: perché Gesù adesso non si scopre con gli occhi della carne, ma solo con quelli della fede.
Altrimenti non possiamo capire come Maria Madda­lena, come i due discepoli di Emmaus non abbiano potu­to riconoscere Gesù che parlava loro. Gli occhi della car­ne vedevano un ortolano, un viandante sconosciuto: ed e­ra Gesù, che si fa riconoscere (come dice S. Paolo) solo con gli occhi della fede. Questa è la differenza tra noi, po­veri di fede, e i santi. Noi, dopo mezz’ora, un’ora di ado­razione ci stanchiamo… I Santi riuscivano a trascorrere giornate intere, notti intere in chiesa, senza nemmeno ac­corgersene.

FIORETTO: Non devo far passare giorno senza rivolgere un pensiero a Maria: « Madre mia, fiducia mia! ».

GIACULATORIA: « O luce amabile degli occhi nostri, por­gete suppliche per i figli vostri ».

Fonte: Viviamo maggio con Maria – Sacerdoti del S. Cuore (Dehoniani)

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Fare bene il segno della Croce

Posté par atempodiblog le 9 mai 2010

Fare bene il segno della Croce dans Fede, morale e teologia Maria-Immacolata

All’inizio della prima apparizione di Lourdes la Santa Vergine ha salutato Bernadette con un sorriso, aveva le mani aperte. Subito dopo le ha rivolto un invito alla preghiera giungendo le mani. Bernadette vedendo il Rosario che pendeva al braccio della bella Signora ha preso il suo dalla tasca, voleva fare il segno della Croce ma non ci riusciva, potè farlo solo dopo che lo ebbe fatto la Madonna.

Bernadette rimase impressionata dal modo calmo, ampio e solenne con cui Aquerò si era segnata.
Dunque la prima preghiera che la Madonna insegna a Lourdes è il segno di Croce.
La prima preghiera che una mamma deve insegnare ai suoi bambini è fare il segno della Croce.

In esso è condensato tutto il mistero della nostra redenzione.
Con esso si professano i due misteri principali del cristianesimo: la SS. Trinità e la divinità e morte redentrice del Figlio di Dio incarnato.

Il segno di Croce deve essere fatto col cuore, deve essere un atto esternamente bello, solenne ma internamente partecipato con la professione intima di fede.

Impariamo a fare bene il segno della Croce e a pregare con le mani giunte.

di Padre Livio Fanzaga

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