Al centro la Speranza

Posté par atempodiblog le 25 avril 2010

Al centro la Speranza dans Emmanuel Mounier hopeu

La tentazione più forte che potrebbe impadronirsi del nostro cuore di fronte agli scenari del tempo in cui viviamo, segnati dall’angoscia del terrorismo e della guerra e dall’insicurezza economica e sociale, è la disperazione: “Pensare con chiarezza e non sperare più” (Albert Camus). Se il rischio dei tempi di tranquillità e di relativa sicurezza è quello della presunzione – nell’illusione di poter cambiare facilmente il mondo e la vita -, il rischio opposto – proprio dei tempi di prova – è di vivere la paura del domani in maniera più forte della volontà e dell’impegno di prepararlo e di plasmarlo. In realtà, “l’ansietà, il timore dell’avvenire, sono già delle malattie. La speranza, al contrario, è, prima di tutto, una distensione dell’io. La speranza afferma l’inefficacia ultima delle tecniche nella risoluzione del destino dell’uomo: essa si situa all’opposto dell’avere, dell’indisponibilità. Essa fa credere, dà tempo, offre spazio all’esperienza in corso. La speranza è il senso dell’avventura aperta, tratta generosamente la realtà, anche se questa sembra contrastare i propri desideri. La speranza entra nella situazione più profonda dell’uomo. Accettarla o rifiutarla è accettare o rifiutare di essere uomo” (Emmanuel Mounier). Accogliere la sfida della speranza vuol dire allora volersi veramente umani, a testa alta fra il vento e il sole, umili e coraggiosi davanti alla fatica di vivere e all’apparente vittoria del male che ferisce la terra [...] Oggi, negli scenari di insicurezza che caratterizzano gli inizi del Terzo Millennio, è la speranza a sfidarci, per dare ragione di essa a un mondo che sempre più ne appare privo ed assetato. Si tratta di raccogliere in modo nuovo e di nuovo l’invito rivolto ai primi cristiani dall’Apostolo Pietro nella Prima delle due Lettere a lui attribuite, vero “vademecum” del discepolo  pellegrino fra gli uomini: “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in voi” (1 Pt 3,15).

“La speranza – afferma Tommaso d’Aquino con la sobria  precisione dei concetti, che gli è propria – è l’attesa di un bene futuro, arduo, ma possibile a conseguirsi”: essa non è la semplice dilatazione del desiderio, ma l’orientamento del cuore e della vita a una meta alta, che valga veramente la pena di essere raggiunta, e che tuttavia appare raggiungibile solo a prezzo di uno sforzo serio, perseverante, onesto, capace di sostenere la fatica di un lungo cammino. Nello stesso senso, Kierkegaard definisce la speranza “la passione per ciò che è possibile”, mettendo in particolare l’accento sull’elemento del “pathos”, di quell’amore doloroso e gioioso che lega il cuore umano a ciò di cui ha profonda nostalgia e attesa. In un’epoca di passioni ideologiche, Roger Garaudy aveva definito la speranza “l’anticipazione militante dell’avvenire”, con una sottolineatura – tipica di quella stagione – dello sforzo prometeico del soggetto personale e collettivo nella realizzazione del futuro atteso. Infine, il teologo della speranza, Jürgen Moltmann, l’aveva definita agli inizi degli anni Sessanta come “l’aurora dell’atteso, nuovo giorno che colora ogni cosa della sua luce”, evidenziando come vivere la speranza significhi “tirare l’avvenire di Dio nel presente del mondo”. L’incrocio di questi diversi approcci alla speranza mostra di quante attese essa può farsi carico: ecco perché occorre distinguere i due possibili volti del futuro sperato.

Il futuro “relativo” è quello che oggi possiamo progettare e domani realizzare: è il futuro come progetto e come impegno, dilatazione del nostro presente agli orizzonti del domani che esso è in grado di prevedere e di portare a compimento. Di questo futuro si nutrono le tante speranze, piccole e grandi, di cui sono intessute le opere e i giorni degli uomini. Esse, però, da sole non coprono l’intero orizzonte: consapevoli o meno, tutti abbiamo bisogno di una speranza più grande, di una speranza ultima. Ad essa corrisponde il futuro “assoluto”: è il futuro del tutto indeducibile e nuovo, che ci viene incontro al di là di ogni calcolo e di ogni misura. È il futuro di cui è ultima sentinella la morte, compagna dichiarata o segreta di ogni meditazione profonda sul destino dell’uomo e del mondo. Ernst Bloch – il filosofo del “principio speranza” – vede in questo futuro lo spazio dell’utopia, che rende la vita bella e degna di essere vissuta, perché in essa si offre l’ “homo absconditus”, l’uomo non ancora pienamente manifestato a se stesso. La fede cristiana vi riconosce il futuro di Dio, dischiuso all’uomo come patto e promessa nella storia biblica della salvezza ed in particolare nella resurrezione di Cristo dai morti. La differenza fra l’utopia e la speranza della fede è quella stessa che c’è fra l’uomo solo davanti al suo domani, e l’uomo che ha creduto nell’avvento di Dio e aspetta il Suo ritorno, andandogli incontro con inequivocabili segni di preparazione e d’attesa.

Davanti agli scenari del tempo, seguiti agli eventi dell’11 Settembre, e davanti agli scenari del cuore, segnati in tanti dalla paura e dall’insicurezza, la speranza utopica rischia di essere evasione consolatoria, fuga dalle responsabilità del presente. La speranza della fede – pur non sottraendosi a questo rischio – calcola con l’ “impossibile possibilità” di Dio, e proprio per questo con quella maggiore audacia dell’amore che rende possibili gli altrimenti impossibili gesti della carità vissuta fino in fondo. Se c’è perciò un dono da chiedere a Dio per tutti noi [...] è la speranza teologale: una speranza più forte di ogni calcolo, eppure umile e fiduciosa nella promessa dell’Altro che è venuto a visitarci. Questa speranza non è qualcosa che si possa possedere, ma Qualcuno che ti viene incontro e ti possiede, Colui per cui vale la pena di vivere e amare e soffrire, radicati e fondati sulle parole della Sua promessa: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Matteo 28,20). È questa la speranza che coniuga la giustizia e il perdono. Una speranza di cui questo nuovo, vecchio mondo dell’inizio del terzo millennio ha più che mai bisogno per vivere e per risorgere…

di Mons. Bruno Forte

Une Réponse à “Al centro la Speranza”

  1. lucetta dit :

    Grazie di questo post. Sto leggendo anch’io qualcosa sulla speranza

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