Presenza di Maria nella vita cristiana
Jean Galot S.J.
Tratto da: LA CIVILTÀ CATTOLICA del 7 ottobre 1972, anno 123, n. 2935, alle pp. 22-33
Fonte: Radio Maria
La crisi della devozione mariana
La devozione a Maria è manifestamente in crisi. Non ci si deve meravigliare che la crisi più generale, che accompagna nella Chiesa il rinnovamento della dottrina e del culto, si ripercuota anche nel campo mariano. Tuttavia, la crisi della devozione alla Madonna appare più profonda per particolari ragioni.
Più precisamente, essa è una crisi di “devozione”. A molti cattolici è stato rimproverato un atteggiamento sentimentale che porta a lodare eccessivamente Maria,. o a pratiche di pietà che non si fondano su una reale visione della funzione della madre di Gesù nell’opera della salvezza. Un altro rimprovero, più fondamentale, è connesso col primo: il culto mariano è criticato perché ha attribuito a Maria un posto che spetta a Cristo o, ancora, perché ha usurpato ciò che appartiene allo Spirito Santo.
Sotto questi rimproveri si manifesta un’ottica differente. La “devozione” mariana si poneva la domanda: “Come onorare Maria? ”. In un periodo in cui si opera una revisione critica delle posizioni cultuali e dottrinali, e dove il cristocentrismo è messo maggiormente in risalto, il problema diventa: “Che posto si deve riconoscere a Maria nella Chiesa e, di conseguenza, nella vita cristiana”?
La reazione alle esagerazioni del passato a volte è radicale: capita, così, che, in occasione della trasformazione di chiese o di cappelle, il luogo sacro, rinnovato e felicemente adattato al gusto contemporaneo, non abbia più né statua né immagine della Madonna. Ad una esuberanza di immagini sacre che hanno fatto il loro tempo subentra un vuoto improvviso. Questo vuoto non è necessariamente l’espressione di un rifiuto; può esprimere la perplessità circa il posto da attribuire a
Maria nel culto; riflette un’epoca di transizione in cui taluni cristiani, disorientati, non sanno più come collocare Maria nella loro fede, nel loro pensiero, nella loro preghiera.
Cristo ha il suo posto ben definito: egli è al centro. È lui che spiritualmente sostiene e riempie l’edificio con la sua presenza. Egli è il nuovo tempio. Verso di lui devono convergere la preghiera e il culto, per salire con lui e per mezzo di lui, fino al Padre.
Ma, secondo il piano divino, egli non è solo. L’Incarnazione l’ha legato a Maria Vergine, in una unione indissolubile che è continuata nell’opera redentrice e continua nella Chiesa.
Ora, proprio questa unione indissolubile esige di essere riconosciuta nel culto come nell’insieme della vita cristiana. Ma, allora, che posto si deve dare a Maria? In passato, alcuni avevano concepito la sua funzione sotto il profilo della “mediazione”: Maria era la mediatrice, posta tra Cristo e i cristiani. Per mezzo suo si aveva accesso a Gesù. Questo modo di vedere aveva l’inconveniente di far pensare che Cristo non era immediatamente raggiungibile dai suoi. Invece, il posto attribuito a Maria non deve mai velare Cristo o allontanarlo da noi. Come ha affermato il Concilio, il ruolo di Maria è di aiutarci “ad aderire più intimamente al Mediatore e Salvatore”.
È dunque in funzione di Cristo, ed in vista d’un migliore accesso a lui, che Maria deve essere situata nel culto e nella dottrina. Bisognerebbe evitare che il culto mariano dia l’impressione di costituire un mondo a parte, che si sviluppa ai margini dell’insieme del culto cristiano.
La reazione contro gli eccessi di una devozione troppo sentimentale finisce a sua volta in un altro eccesso quando tende a confinare nell’ombra o a sopprimere il posto di Maria. Quello che è necessario è una “purificazione” della devozione alla Madonna, mediante una visione più chiara e più oggettiva della funzione affidata da Dio a Maria nell’opera della salvezza.
L’attenzione deve rivolgersi su Maria nella misura voluta dal Padre quando l’ha associata a suo Figlio nella grande opera di salvezza dell’umanità. Il culto mariano non si basa sul sentimento, ma sulla rivelazione della salvezza.
Aggiungiamo che, attualmente, si sente l’urgenza di procedere al rinnovamento del culto mariano. La nostra è un’epoca in cui la donna rivendica i suoi diritti nella società e nella Chiesa. Il posto attribuito a Maria nella Chiesa, nella vita di fede e nella preghiera, è proprio quello che, nel piano divino, è stato accordato alla donna. Lasciare vuoto questo posto significherebbe ignorare la donna, ammettere o sottolineare la sua assenza. La rappresentazione di Maria nei santuari cristiani dimostra la parte attiva e importante assunta dalla donna nel cristianesimo.
Quale immagine della donna?
Non soltanto si costata una disaffezione nei confronti di Maria da parte di un certo numero di cristiani, ma anche una ripugnanza a riconoscere in lei una immagine ideale della donna.
Reazioni contro l’immagine troppo “domestica” di Maria
- Prima di tutto c’è la ripugnanza che proviene da una immagine della donna ristretta alle virtù domestiche. Taluni partigiani del movimento d’emancipazione della donna hanno reagito contro l’immagine di Maria confinata nella sua casa, rinchiusa nei suoi sentimenti materni: l’esaltazione di una donna, che ha avuto come compito principale una responsabilità materna nei confronti di Gesù, sembra loro derivare da una mentalità che cerca di chiudere la donna nell’orizzonte familiare e domestico e di interdirle una funzione più larga nella società.
In realtà, si sarebbe, sotto il profilo teologico, gravemente miopi se si vedessero in Maria soltanto virtù domestiche, e non si facesse attenzione alla sua cooperazione all’opera redentrice. Poiché la maternità che fu offerta a Maria è una maternità messianica tutta orientata verso il compimento delle promesse divine della venuta di un Salvatore, a questo titolo Maria ha deliberatamente accettato il suo ruolo di madre. La sua attività a Nazareth non è consistita semplicemente nel prestare cure materne al bambino Gesù e nel tenere la casa; essa è dominata dalla preoccupazione di preparare la realizzazione del messaggio dell’Annunciazione. Una cooperazione ancora più diretta alla missione di Cristo si manifesta a Cana, dove il suo intervento ha suscitato la prima rivelazione pubblica del Cristo, e nella partecipazione al sacrificio del Calvario. Chiamando sua madre “donna” in queste due circostanze, Gesù ha chiaramente mostrato che egli poneva la collaborazione di Maria al disopra delle relazioni private tra madre e figlio e vi discerneva un contributo caratteristico della donna, coi suoi valori femminili, all’opera di liberazione dell’umanità.
Bisogna quindi che Maria sia presentata in questa prospettiva più ampia e che non ci si limiti a contemplare in lei la nobiltà dell’affetto materno e l’umiltà dell’esistenza domestica. Se la si considera come la nuova Eva, la donna che collabora con Cristo all’edificazione di una nuova umanità, Maria diventa a buon diritto l’immagine dell’autentica emancipazione femminile. In lei la donna emerge dall’orizzonte domestico per partecipare, secondo la volontà divina, nell’opera più vasta che ci sia: quella della redenzione e della divinizzazione del mondo. Ciò non significa che ella perda qualcosa della ricchezza dei suoi sentimenti materni, ma implica che la sua maternità è essenzialmente inquadrata nel piano superiore dell’opera della salvezza.
Non si può dimenticare che proprio questa prospettiva più alta è stata quella in cui Gesù stesso ha voluto che fosse considerata sua madre. Oltre alla parola “donna” che le ha rivolto nel corso della sua vita pubblica, è significativa la sua replica all’esclamazione della donna che “levò la voce dalla folla”. Questa donna pensa alla felicità della madre di Gesù: “Beato il seno che ti ha portato e le mammelle che hai succhiate!”(Lc 11, 27). Si potrebbe dire che molte rappresentazioni di Maria nell’arte cristiana sono rimaste allo stadio di questa esclamazione. Esse hanno certamente voluto far risaltare la bellezza di questa maternità, ma rimanendo al livello ordinario dell’affetto materno.
Cristo desidera che lo sguardo sia portato più in alto: “Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica!”. L’eccellenza di Maria supera di molto il piano fisico della maternità: essa risiede nell’accoglienza della parola divina e nella disponibilità a compiere un’opera divina.
Reazione contro l’immagine troppo “privilegiata” di Maria.
- La ripugnanza o la disaffezione nei riguardi di Maria come immagine ideale della donna viene anche da un altro motivo. La preoccupazione di sottolineare la grandezza di Maria ha portato ad insistere sui privilegi che le sono propri e che la rendono diversa dal resto dell’umanità. C’è stata una tendenza a celebrare le “glorie” di Maria ed a fare di lei un essere a parte, troppo lontano dalle condizioni dei cristiani ordinari. La presentazione di Maria ha preso un orientamento opposto al mistero dell’Incarnazione; mentre la sua maternità è destinata a manifestare fino a qual punto questo mistero affonda nell’umano, essa è stata aureolata di un nimbo glorioso che tende a renderla estranea all’umanità terrena.
Oggi si avverte una forte reazione a questa immagine troppo “celeste” di Maria. Per questo l’immacolata concezione e la santità senza macchia della madre di Gesù esercitano sulla mentalità dei giovani minore attrattiva del fatto che Maria abbia condiviso le tentazioni e le intime lotte dell’esistenza umana. Anche la sua verginità spesso lascia freddi, perché sembra mettere Maria al disopra della condizione sessuale della donna, in un’epoca in cui il valore della sessualità è stato maggiormente sottolineato.
Evidentemente non si tratta di rinunciare all’affermazione dei privilegi di Maria; tuttavia, è importante presentarli non come privilegi che mettono da parte o allontanano dal resto degli uomini, ma come una partecipazione più profonda al destino dell’umanità nel quadro della missione di salvezza. La santità immacolata è stata concessa a Maria per una più completa solidarietà con il mondo peccatore: essa le ha permesso di unirsi, in una offérta più pura, al sacrificio redentore di Cristo. La verginità non è una negazione della sessualità, ma una maniera di viverla ad un livello più elevato, mediante il perfezionamento della personalità femminile nell’intimità col Signore e in una più universale apertura del cuore agli altri.
Osserviamo che la parola di Cristo, citata precedentemente, tendeva ad avvicinare la situazione di Maria a quella degli altri uomini. Ad una donna che pensava al privilegio della madre di colui del quale ammirava l’insegnamento o i miracoli, e che riteneva necessariamente questo privilegio come esclusivo, Gesù risponde che la felicità più grande di Maria è accessibile anche a lei. Non nega ciò che è unico in sua madre, ma sottolinea che il più autentico valore Maria l’ha in comune con tutti coloro che ascoltano la parola di Dio. Di conseguenza si può dire che Cristo è stato il primo a rettificare un modo di lodare Maria, che si fermasse unicamente a privilegi personali. Egli ha insistito sulla comunità di destino e di “felicità” di Maria con tutti gli altri esseri umani. In una parola, ha dichiarato che la condizione religiosa di Maria era quella della Chiesa.
A questo proposito non è inutile ricordare come l’ultimo Concilio sia stato condotto a seguire questa strada tracciata dal Vangelo nell’esame delle relazioni tra Maria e la Chiesa. Si sa che la tendenza a isolare Maria, per meglio preservare e sottolineare i suoi privilegi, si è particolarmente manifestata durante il dibattito sull’integrazione della dottrina mariana nel documento sulla Chiesa.
I mariologi più zelanti si sono opposti a questa integrazione: essi volevano la redazione di un documento a parte. Questa presa di posizione si comprende, del resto, dalle circostanze nelle quali due correnti si sono affrontate: una voleva considerare Maria riconoscendo in lei soprattutto un membro della Chiesa; l’altra ne sottolineava la posizione eccezionale, specialmente per la sua cooperazione, unica, al mistero dell’Incarnazione redentrice. Le due correnti avevano quasi lo stesso numero di sostenitori; al momento del voto, la prima vinceva con una debole maggioranza (l114 contro 1074). Oggi, a distanza di tempo, si è più portati a riconoscere che la decisione è stata felice, e che era veramente desiderabile, per lo stesso sviluppo della dottrina mariana, di integrare nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa un capitolo su Maria. Infatti, era proprio il posto di Maria nella Chiesa che bisognava determinare con precisione.
Il senso di questo voto non esprimeva un’indicazione dello Spirito Santo, quella di non isolare Maria dal popolo di Dio? Il timore di vedere Maria ridotta alla condizione degli altri membri della Chiesa non può determinare un atteggiamento che tenderebbe ad accentuare il più possibile una distanza separatrice. Ciò che molti temevano non si è del resto verificato nella elaborazione del capitolo VIII della Lumen gentium. Il ruolo unico di Maria è stato messo in luce. Il capitolo lo ha caratterizzato secondo due linee essenziali: quella dell’esemplarità, per cui Maria è il modello della Chiesa e dei cristiani; e quella della maternità, che esprime la missione eccezionale che le è stata attribuita nella formazione e nella vita della Chiesa, ma che l’avvicina al massimo all’insieme dell’umanità.
Maria, immagine della Chiesa
La comunità di destino di Maria con noi si manifesta in una vita di adesione a Cristo simile alla nostra. Considerando Maria come immagine della Chiesa, ci soffermeremo su tre atteggiamenti essenziali, che rivestono una importanza primordiale per il rinnovamento del culto mariano.
La Chiesa – ha dichiarato il Concilio – “diventa sempre più simile al suo grande modello, progredendo continuamente nella fede, speranza e carità”. Per ogni cristiano come per l’insieme della comunità, il progresso nella fede, speranza e carità si effettua avendo lo sguardo fisso su colei che ne ha dato un grande esempio alla nascita stessa della Chiesa.
Maria, pioniera nella fede
Il Vangelo di Luca pone in rilievo il valore della fede di Maria. II contrasto con Zaccaria contribuisce a mettere in luce l’adesione di fede con la quale Maria ha ricevuto il messaggio dell’angelo. L’elogio di Elisabetta verte specialmente su questo punto: “Beata colei che ha creduto perché si compirà ciò che le è stato detto da parte del Signore” (1,45).
Ora, nonostante questa presentazione del Vangelo, non si può dire che Maria sia stata sufficientemente ritenuta dal popolo cristiano come pioniera nella fede. Ammirando la grandezza della Madre di Dio, molti hanno trascurato di fare attenzione all’atto di fede che è stato all’origine della sua maternità. Si sono spesso considerate soltanto l’immensità e la gratuità del dono divino, lasciando nell’ombra il merito e la cooperazione di colei che ha creduto. Vera cooperazione, come suggerisce l’esclamazione di Elisabetta: la beatitudine della fede deriva dal fatto che essa contribuisce a ottenere il compimento del piano divino.
Soprattutto non è stato sufficientemente considerato lo sforzo di una fede sviluppatasi nell’oscurità. Il Concilio parla di un pellegrinaggio nella fede che durante la vita pubblica di Gesù ha condotto Maria fino al Calvario. Un pellegrinaggio è una marcia penosa, che comporta un aspetto di avventura. Contrariamente a certe immagini troppo insipide della personalità di Maria, la sua non era una fede già fatta, né una fede facile. Ella conobbe i rischi e gli ostacoli abituali alla fede cristiana.
Non si deve invocare il fatto che Maria abbia visto Gesù, come se ne derivasse che la sua fede dovesse nascere spontaneamente e senza sforzo. lnnanzitutto Maria ha dovuto credere in Cristo prima di averlo visto, perché al momento dell’Annunciazione le fu chiesto un atto di fede decisivo.
Successivamente, quando ebbe Gesù, vide solo un bambino che lentamente cresceva e diventava uomo: per guardarlo come salvatore dovette infrangere la banalità di una infanzia e di una giovinezza esteriormente uguali a tante altre. Non meno caratteristico è l’antecedente della sua fede in rapporto al primo miracolo: Maria precede e suscita, con la sua fede, il miracolo di Cana, mentre la fede dei discepoli ne è la conseguenza.
Le prove della fede non sono state risparmiate a Maria. Già a Cana la risposta di Gesù avrebbe potuto scoraggiare l’audace domanda di miracolo. Al Calvario, ove si può indovinare la sofferenza della madre accanto al figlio, la fermezza vittoriosa della sua fede è sottintesa nell’affermazione del Vangelo: ella “era in piedi” (Io 19, 25).
Il pellegrinaggio della fede di Maria ha accompagnato lo svolgimento dell’opera di salvezza. Si è lontani da una fede pigra, che si limiterebbe a ricevere un certo numero di verità e ad esprimerle in una formula. Maria ha avuto una fede attiva, tesa alla ricerca e intenta a scoprire sempre più chi era Gesù. La sua fede dovette affrontare l’incredulità di coloro che, attorno a lei, erano indifferenti od ostili; ella fu scossa dal dramma redentore.
Per tutti questi aspetti, è una fede che ha aperto il cammino alla nostra e che continua a farci comprendere in che cosa consista la fede autentica. È normale che la nostra fede debba penosamente camminare nell’oscurità, che si sviluppi attraverso le lotte, con uno sforzo incessante di approfondimento, che incontri prove che minacciano di sconvolgere tutte le nostre convinzioni. Come quella di Maria, la nostra fede deve progredire con la nostra vita, ed esplorare sempre più il mistero di Cristo. Essa non può mai riposarsi nella passività, nel “tutto fatto”.
Maria nel movimento della speranza.
- Come non si è sufficientemente riconosciuto in Maria colei che ha creduto, così non si è sufficientemente riconosciuto in lei colei che ha sperato. L’attenzione è stata più volentieri rivolta alla Vergine gloriosa che, nel mistero dell’assunzione, ha ricevuto il coronamento della speranza.
Ora, se il trionfo celeste della madre di Cristo è un incoraggiamento per la speranza cristiana mostrandole la realizzazione del suo ultimo compimento, esso non invita a scoprire lo sviluppo progressivo della speranza nell’anima di Maria.
Il messaggio dell’Annunciazione ha comportato in realtà un appello alla speranza: non solo nella fede, ma anche nella speranza Maria ha consentito alla sua maternità. Anche solo da questo punto di vista, il suo atteggiamento dovrebbe essere ritenuto molto suggestivo per la soluzione di un problema contemporaneo. Spesso si costata un timore di fronte alla maternità e alla paternità: ora, nella misura in cui la maternità diventa cosciente, frutto di una deliberata opzione, deve essere animata dalla speranza. Solo la speranza può superare qualsiasi timore suscitato dalla responsabilità materna.
Al momento in cui Maria accolse in se stessa il bimbo che le era stato offerto, la speranza ebraica è diventata speranza cristiana, vale a dire una speranza che non è più semplicemente fondata su una promessa, ma che implica già il possesso di ciò che attende. Maria era certa della salvezza dell’umanità, non soltanto per la promessa contenuta nel messaggio dell’angelo, ma anche per la realtà della presenza del Salvatore in lei.
Tuttavia, questa speranza che è cresciuta con lo sviluppo della vita privata e pubblica di Gesù, ha dovuto lottare sempre più per mantenersi viva nonostante lo spiegamento di forze ostili al messaggio evangelico. Sul Calvario Maria ha anche conosciuto la terribile impressione di una speranza che sente sfuggirle tutto ciò che le sembrava sicuro e che perde tutti i suoi sostegni umani, visibili. Questa speranza ha dovuto elevarsi al disopra della morte per attendere un trionfo di altro genere, invisibile, quello della risurrezione.
Con questa prova della sua speranza, Maria è particolarmente vicina a molte situazioni umane. Ella ha conosciuto la tentazione della disperazione e quindi è nella condizione migliore per essere invocata da coloro che si trovano nella stessa situazione.
Il romanziere Giorgio Bernanos, che conosceva spesso ore buie, cercava di superarle invocando la “Vergine del Sabato santo”, colei che, al momento in cui tutto sembrava finito e perduto, aveva conservato la speranza nella vittoria di Cristo.
Un’epoca di cambiamenti come la nostra, che minaccia la speranza a causa degli sconvolgimenti che la caratterizzano, ha particolarmente bisogno di rivedere il suo atteggiamento di fronte alla trasformazione essenziale dell’umanità che è il passaggio dalla morte alla risurrezione: passaggio che è stato pienamente vissuto nella speranza di Maria.
Aspetti suggestivi della carità di Maria.
- Diversi aspetti della carità di Maria meriterebbero di essere sottolineati, perché corrispondono a taluni orientamenti attuali della carità cristiana.
Il legame tra l’adesione a Cristo e l’amore per gli altri appare nella successione degli episodi dell’Annunciazione e della Visitazione. Facendo seguire questi due racconti, Luca mostra che il privilegio accordato a Maria nella sua maternità non può rinchiuderla in se stessa ma, al contrario, richiede che sia condiviso con gli altri. L’intimità con Cristo non può significare una separazione, un isolamento, ma deve comunicare ad altri la sua felicità. In Maria il possesso del Figlio di Dio tende a diffondersi. L’autenticità della presenza divina incarnata si manifesta nella forza della carità.
A Cana si rivela un altro aspetto della carità di Maria: l’attenzione verso i poveri, che provvede ai loro bisogni materiali. Questo amore per gli indigenti assume un rilievo maggiore perché non procura soltanto il necessario, ma assicura il prolungamento della gioia di una festa di nozze. È significativo che Maria abbia richiesto la prima rivelazione del Salvatore sotto la forma di questo soccorso ai poveri.
Un episodio della vita pubblica fa supporre in Maria un notevole spirito di larghezza. Quando i “fratelli di Gesù”, all’inizio della vita pubblica, gli chiedono di rinunciare alla predicazione, che essi giudicano una follia, Maria li accompagna (Mc 3, 21.31; Mt 12, 46; Lc 8, 19). Ella è animata da sentimenti diversi, perché crede in suo figlio, per cui potrebbe rompere con coloro che non condividono la sua fede. Trovandosi in loro compagnia, con la sua tolleranza dà prova del rispetto che ha per la coscienza altrui. Da questo punto di vista Maria ha preceduto la posizione presa dal Vaticano II in questo campo: lei, che è stata la prima nella fede, è stata anche la prima a rispettare coloro che si opponevano a questa fede ed a conservare buone relazioni con essi. La sua preoccupazione di conservare buoni rapporti con gli altri fa di lei una precorritrice dell’ecumenismo.
Infine, l’ultima indicazione che Luca ci dà di Maria merita di essere meditata: la madre di Gesù si trova nella riunione che attende la Pentecoste (Act l, 14). Invece di appartarsi, Maria si confonde con la comunità nascente; non è nominata per prima in questa assemblea, poiché Luca cita prima i nomi degli apostoli; ella si comporta semplicemente come un membro della comunità. In Maria si intuisce una carità che evita la rivendicazione di qualsiasi precedenza, felice di scomparire in mezzo agli altri. Per darle un titolo moderno potremmo dire che la sua carità è sinceramente democratica.
Maria, madre della Chiesa
Forti resistenze si erano manifestate al Vaticano II all’accettazione del titolo di Maria “Madre della Chiesa”. Esse provenivano soprattutto dal timore di attribuire alla madre di Gesù un posto privilegiato che la situerebbe al di fuori e al di sopra della Chiesa ed una funzione che usurperebbe quella di Cristo, unico fondatore della Chiesa. In effetti l’espressione non è esente da ambiguità.
Tuttavia, si può dire altrettanto dell’espressione “Madre di Dio”, che potrebbe anch’essa intendersi nel senso inaccettabile di una maternità a riguardo della divinità, ma che è stata impiegata per affermare la maternità nei riguardi del Figlio di Dio nella sua incarnazione.
In realtà il titolo di “Madre di Dio” è necessario per esprimere la vera portata della maternità di Maria; quello di “Madre della Chiesa” è ugualmente necessario per enunciare l’ampiezza della funzione di Maria nella formazione e nello sviluppo della Chiesa.
Il Concilio tuttavia non ha usato il titolo nella Costituzione Lumen gentium. Questa astensione è stata volontaria, ma è stata compensata, in certa misura, dall’introduzione nel testo di una frase di Benedetto XIV: “La Chiesa cattolica, edotta dallo Spirito Santo, con affetto di pietà filiale, venera Maria come madre amatissima”. Le ultime parole erano state cancellate dalla citazione nella penultima redazione, ma poi sono state rimesse in seguito: ciò fa supporre una serrata lotta di opinioni su questo punto. Per i Padri del Concilio che volevano escludere l’adozione di un nuovo titolo mariano, il testo aveva il vantaggio di non contenere l’espressione “Madre della Chiesa”.
Nondimeno comportava l’idea equivalente ed è veramente a conclusione del pensiero conciliare che Paolo VI poté andare aldilà della formulazione adottata, proclamando Maria “Madre della Chiesa”, “vale a dire di tutto il popolo di Dio, sia dei fedeli sia dei pastori”. Sotto l’ispirazione dello Spirito Santo è stato così dato un orientamento più fermo per l’uso cristiano del titolo.
Che cosa significa, più precisamente, questa maternità di Maria nei riguardi della Chiesa? Essa indica in primo luogo, nel passato, una cooperazione materna alla nascita della Chiesa: cooperazione consistita nel concorso di Maria all’Incarnazione, alla missione salvifica di Gesù e, più particolarmente, al sacrificio redentore. Per tutta la durata della Chiesa essa significa una presenza materna con un concorso speciale nella diffusione della grazia. Maria, dice il Concilio, è stata per noi una “madre nell’ordine della grazia”, e “questa maternità di Maria nell’economia della grazia, perdura senza soste… fino alla perpetua consumazione di tutti gli eletti”.
Questo modo di presentare l’influsso di Maria sulla vita della grazia è più .felice di quella che si esprimeva nel titolo di “mediatrice di tutte le grazie”. La nozione di mediazione è più vaga e di apparenza più speculativa; la qualità di madre è più concreta e indica il genere di mediazione.
Inoltre, l’idea di maternità è più legata a quella di una trasmissione della vita, più adatta a suggerire che la grazia non è semplicemente una serie di benefici divini ottenuti da una intercessione, ma una vita che si sviluppa con il concorso di un influsso materno. Attualmente, quella che si potrebbe chiamare “la crisi della maternità” potrebbe rimettere in questione la presentazione di Maria, Madre della Chiesa? In questa crisi vediamo la mentalità di “rivolta contro la madre” che anima le reazioni di un certo numero di giovani. Abbiamo parlato della disaffezione nei riguardi della verginità di Maria; si osserva anche una disaffezione nei riguardi della sua maternità. Perché questa reazione sfavorevole? Hanno potuto contribuire a suscitarla alcuni eccessi di maternalismo, come pure l’idea della donna troppo confinata nella sua maternità, alla quale abbiamo già fatto allusione. Ma la reazione sembra scaturire da un bisogno più profondo e più grande, quello di una affermazione di sé di fronte all’influsso della madre, influsso che si ritiene scomodo o soffocante per la personalità.
Comunque sia, l’idea della maternità di Maria nei confronti della Chiesa non potrebbe essere abbandonata; essa esprime, anzi, tutta la sintesi della funzione ecclesiale di Maria, perché la qualità d’immagine o di modello si collega alla sua posizione materna. L’attività di fede, speranza, carità, che ci ha dato come esempio, ha fatto parte della cooperazione materna di Maria all’opera della salvezza. Ma pur mantenendolo, questo volto materno deve essere mostrato nel suo vero significato.
Non è un volto maternalista. Maria non ha intralciato lo sviluppo e l’attività del Salvatore: la sua maternità non è stata una presa accaparrante, ma un servizio ed una collaborazione. Riconoscere ciò nei riguardi della Chiesa non è rassegnarsi umilmente davanti a lei in un atteggiamento infantile.
L’infantilismo non è affatto legato alle relazioni del cristiano con colei che egli considera come una madre nell’ordine della grazia.
Con l’evoluzione della mentalità contemporanea sta per costituirsi un’altra immagine dei genitori: quella del padre e della madre che diventano gli amici dei loro figli al momento in cui . questi raggiungono l’età dell’adolescenza. Questa immagine è ben diversa dall’autoritarismo patriarcale di un tempo.
Una trasformazione analoga sarebbe auspicabile nel modo di concepire la maternità di Maria. È una maternità che, presso persone adulte, si esercita come un’amicizia, amicizia piena di sollecitudine in vista della crescita della vita di grazia. Le rappresentazioni della madre di Gesù non hanno certo favorito simile idea perché consistevano spesso nella rappresentazione di una madre col suo bimbo.
Ora, la tenera infanzia di Gesù non è stata che un momento della vita materna di Maria. Per molto tempo, a Nazareth, Maria ha vissuto accanto a Gesù adolescente e poi adulto, e le sue relazioni con lui sono state diverse in questo periodo. Fermarsi quasi esclusivamente al primo tempo della maternità significa correre il rischio di ammettere che le relazioni del cristiano con Maria implichino un atteggiamento più o meno simile a quello del bambino. Vi sono molteplici immagini della maternità di Maria, specialmente quella di una madre amica del figlio diventato grande.
Ciò che è insostituibile nella qualità di Madre della Chiesa è il valore comunitario della maternità. Maria non ha soltanto una posizione di madre nei confronti di ciascun cristiano. È madre della comunità e, dunque, madre dell’unità. Nella tradizione precedente, la maternità spirituale di Maria era stata considerata come una maternità individuale. Il vantaggio del titolo di Madre della Chiesa è di sottolineare che questa maternità individuale si inquadra in un influsso materno più vasto, e che Maria è anche incaricata di una missione particolare per sviluppare i legami di unità che fortificano la Chiesa.
Madre dell’unità: in un’epoca in cui la ricerca dell’unità tra i cristiani e tra gli uomini si afferma con maggior vigore, questa funzione di Maria appare in tutta la sua importanza. Chi non conosce l’influsso che una madre può esercitare in una famiglia per mantenere le buone relazioni e favorire l’armonia? Proprio questo delicato influsso è, secondo il piano divino, indispensabile al progresso dell’unità cristiana.