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Reincarnarsi? Un bluff intellettuale

Posté par atempodiblog le 28 mars 2010

Reincarnarsi? Un bluff intellettuale dans Stile di vita hadjadj

Cindy crede alla reincarnazione, ha letto cose stupefacenti su una rivista mentre era dal parrucchiere. Ne hanno discusso varie volte insieme nel tempo necessario a perfezionare la permanente. Lui, Fernand, è persuaso di essere stato una «chanteuse» nel periodo tra le due guerre, forse Lucienne Delyle, perché ogni volta che sente la sua voce cantare «Mon amant de Saint-Jean» le forbici si inceppano, l’asciugacapelli gli sfugge di mano, e gli arrivano immagini di cabaret e di uomini con il monocolo che affluiscono da un al di là della memoria. Cindy, da parte sua, immagina di essere stata una principessa russa all’epoca di Pietro il Grande.

Spesso vede se stessa con i suoi valletti attraversare pianure innevate in una troika con i sonagli, e quando sente il nome «San Pietroburgo» il cuore accelera. È un peccato che, in generale, nelle nostre presupposte reincarnazioni, la poesia non si estenda oltre uno o due fantasmi romanzeschi. Nessuno sostiene di essere stato uno scarafaggio in un’altra vita, un pangolino gigante, un pesce abissale del Pacifico, un tuco-tuco, detto anche ratto a pettine della Patagonia, un macaco indiano o una salamandra cieca del Texas. Un tizio infelice in amore mi spiegò che nella vita precedente aveva vissuto come marito monco di una donna-tronco di un circo svedese ma vi sfido a trovare qualcuno che affermi perentoriamente di essere stato il bisnonno del suo portiere o, essendo democratico, di essere la reincarnazione di un realista della Vandea; se ebreo, di aver fatto parte dell’Inquisizione spagnola; o, se un tempo è stato un grande capitalista sfruttatore delle miniere del nord, oggi per punizione è militante di Forza Operaia.

Alcuni, a cui la teoria della metempsicosi appare ancora troppo pesante, si accontentano di confondere la decomposizione e l’estasi. Continueranno a vivere nell’aria, la terra, le piante e gli insetti fecondati dal loro cadavere. Il signor Le Clézio intende la cosa solo in questo modo: «Quando sarò morto, non avrò lasciato niente. Quanto avrò reso il mio respiro al freddo, quando avrò reso la mia carne alla terra, quando avrò restituito la mia anima al mondo, non avrò lasciato niente. Non sarò partito. Non sarò in pace. Avrò smesso di sapere, ma in fondo niente sarà cambiato. Sarò sempre vivo, sparso nel mondo senza orizzonte, sarò sempre, qui o là, nella lotta per la vita. [....] Avrò aperto il sacco della mia autonomia, allora avrà luogo il movimento soave e sereno dell’osmosi. Mi spanderò».

Questa serie di proposizioni contraddittorie affermano al tempo stesso la permanenza e la dissoluzione dell’io. Il pensiero di Le Clézio ha anche lati buffi; sostiene comicamente che la Venere di Milo non sarebbe meno bella se ridotta in blocchi di pietra; che il nonno nel forno crematorio ha acquistato leggerezza e ampiezza; e infine che lo stesso libro di Le Clézio ridotto in ceneri valga altrettanto, o forse più, di quando era leggibile (l’ultimo esempio è particolarmente vero). Tuttavia basta prendere un momento sul serio tale pensiero, nella sua mistica del bio-degradabile, per capire la sua barbara stupidità. Lo spiritualismo disprezza la materia, il materialismo disprezza lo spirito, entrambi trascurano la consistenza della persona umana, corpo e anima, il valore della sua storia unica, il peso dell’acrobazia senza rete della sua responsabilità.

La tesi della reincarnazione vorrebbe sfuggire allo stesso tempo all’angoscia e all’ebbrezza di sapere che si vive e si muore una sola volta. Contiene tuttavia intuizioni corrette: il legame di ciascun individuo con la storia nel suo insieme, la risonanza del suo corpo con l’intero cosmo, la comunione della sua anima non con alcune ma con tutte le anime, ciascuna delle quali deve subire e sostenere le altre. È vero che ho un legame con il marito monco della donna-tronco; è vero che il nuoto subacqueo del pesce abissale o il rosicchiare patagone del tuco-tuco non sono privi di rapporto con la mia vita; è vero che porto qui e ora le conseguenze dell’imperatore Tang Gaozong, di Torquemada, di Jean Jaurès o di Philippe Pétain.

Ma la tesi della reincarnazione si rifiuta di riconoscere in quale misura tutto ciò mi spetta in modo insostituibile, che l’esistenza non è una prima prova, che non c’è una seconda possibilità, non c’è rivincita né ripescaggio dopo il trapasso. Cindy sogna ciò che sarebbe potuta essere anziché darsi da fare per diventare ciò che è. La credenza nella reincarnazione porta a una vera e propria disincarnazione; immagina di essere mediocremente principessa invece di accettare regalmente i propri compiti di segretaria. Ci si inventano più vite e più morti per non vedere più la propria vita e la propria morte, gravide di tutta l’avventura umana.

di Fabrice Hadjadj – Avvenire

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Ben oltre il folle di Facebook

Posté par atempodiblog le 28 mars 2010

«Scoperti» e «cancellati»

Ben oltre il folle di Facebook dans Marina Corradi marinacorradi

Il  ’gioco’ ignobile del tiro al bersaglio sui Down, spuntato su Facebook nei giorni scorsi, è sparito dalla Rete in poche ore: a furor di popolo, nell’onda di una indignazione generale. La forza di questa sollevazione rassicura: siamo ancora in un mondo umano, verrebbe da dire, se a una simile ripugnante caccia al diverso ci ribelliamo. Possiamo magari, e legittimamente, prendercela con la incontrollabilità dei social network, o con la globalizzazione che ha fatto crollare le frontiere e reso impotenti i codici penali. Certi, però, che quel ‘gioco’ su Facebook è opera solo di un pazzo, o di un idiota. Che la sua logica («I Down sono solo un peso… come eliminarli civilmente?») è del tutto estranea alla gente normale. E, certamente, è così.

Tuttavia, nel leggere questa storia, ci torna in mente una ricerca pubblicata dal British Medical Journal tre mesi fa, sull’incidenza della sindrome di Down in Gran Bretagna (ne riferiamo a pagina 7). Dove si spiega come l’aumento dell’età media delle madri negli ultimi dieci anni abbia portato a un incremento molto forte della sindrome; compensato, però, dal progresso degli screening prenatali, sempre più estesi, così che il 70% dei bambini Down viene individuato prima della nascita. Una diagnosi? No, una sentenza capitale: il 92 % delle donne raggiunte dal responso abortisce. D etect è il verbo usato dalla dottoressa Morris, della Queen Mary University di Lontra, per indicare l’individuazione dei bambini Down. I «detected babies» ben raramente vengono al mondo. «Detected» – in italiano individuati, scoperti. E cancellati, 92 su 100. Questo è il British Medical Journal.

Come dice invece quel pazzo su Facebook? («I Down sono solo un peso… come eliminarli civilmente?»). Dove la differenza è nel tempo, in un ‘prima’ e in un ‘dopo’, tra il feto – nella mentalità corrente, un nulla – e il bambino; ma non è nella sostanza delle cose. Quelli lì, non sono desiderati. E se umanamente l’angoscia di una madre di fronte a un figlio handicappato è comprensibile, resta evidente che tutti o quasi, attorno, le dicono o le fanno capire che no, non bisogna avere un figlio così. Così semplice, così indifeso. Così bambino per sempre. La stessa Morris, intervistata da un quotidiano inglese, si è rallegrata dell’affinamento dei test prenatali. Che riconoscono, nel buio del ventre, i figli ‘sbagliati’. Chiamandoli al loro breve destino. Allora il delirio di un vigliacco che, nascosto dietro a un soprannome, ha enunciato sulla Rete il suo ‘gioco’ abietto, non sarà come il materializzarsi di un sottopensiero inconscio, indicibile, che però esiste, almeno quando si tratti di nascituri – di non ancora nati, e dunque secondo alcuni di non­uomini? (In quella frontiera del ‘prima’ e del ‘dopo’ stabilita a ferrea barriera, per difenderci da dubbi e inquietudini).

Non sarà, quel gioco di vergogna, come il lazzo di un ubriaco, che però riecheggia qualcosa che in qualche modo si è ascoltato dai sobri? («Eliminandoli civilmente»). I «detected babies» non nascono. Scovati. Presi. E ‘civilmente’ respinti. Ma il 30 % sfugge ai controlli. La dottoressa Morris lamenta che c’è uno zoccolo duro di donne, che non accetta lo screening. Che non si sottopone a un esame che è già quasi verdetto. Che si tiene quel bambino, comunque: già figlio, e non clandestino. E questo zoccolo duro di madri ribelli, meraviglia. Forse più questo, che il rigurgito su Facebook di un ubriaco: che si lascia andare, nella sua ubriachezza nella impunità della Rete, a un vergognoso, ben occultato pensiero.

di Marina Corradi – Avvenire

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Pedofilia: il Vaticano sembra il solo a fare notizia

Posté par atempodiblog le 28 mars 2010

Pedofilia: il Vaticano sembra il solo a fare notizia
di Vittorio Messori - Corriere della Sera

Pedofilia: il Vaticano sembra il solo a fare notizia dans Articoli di Giornali e News megafono 

Mi si scuserà se prendo spunto dall’esperienza personale. Credo che possa aggiungere un piccolo tassello al mosaico oscuro del sesso degli adulti con i minori. Oscuro per noi, oggi: non pochi di coloro che si atteggiano a inflessibili moralizzatori, furono apostoli attivi della sessantottarda « liberazione sessuale ».

Per coloro che non vissero quei tempi , sarà sorprendente un carotaggio tra tanti, troppi testi degli anni Settanta. Libertà di sesso, per chiunque e con chiunque! Bambini compresi, anzi questi per primi, per educarli da subito a una prospettiva « non repressiva », a un « eros liberato ». Tra questi difensori –ma solo oggi, va ripetuto– del rispetto per i piccoli, molti sono coloro per i quali non vale, non deve valere, il rispetto per i più piccoli ancora. Guai, dunque a chi tocca i bambini già nati. Ma guai anche a chi volesse difendere i bambini non ancora nati; e difenderli non da molestie, ma dalla estirpazione violenta dall’utero. Un certo sdegno liberal non è eguale per tutti: infanzia protetta, certo, ma solo quella scampata all’ecatombe.

Veniamo allora alla piccola, ma forse significativa, esperienza personale.Terminata l’università e in attesa di un varco per infilarmi in qualche giornale o casa editrice, sentii parlare di una possibilità di lavoro temporaneo come assistente –qualcosa a metà tra il sorvegliante e il tutor– in collegi che praticavano ancora l’internato. Feci domanda ad alcuni di essi (tutti laici, va precisato, nessuno religioso) e fui convocato per colloqui e per una prima esperienza. Parlando con coloro che avrebbero potuto divenire colleghi, sentii talvolta discorsi che non capivo: lo stipendio era esiguo, il lavoro impegnativo ma, in cambio, c’erano vantaggi, c’erano benefit riservati che compensavano i sacrifici . Compresi solo quando, in un collegio per i virgulti di ricchi borghesi, un cinquantenne mi disse, strizzando l’occhio: « Vieni, non esitare! Sai, di giorno si lavora molto ma, di notte, le nostre stanze sono accanto a quelle dei ragazzi… ». Abituato, nottetempo, a un altro genere di frequentazioni, cambiai direzione alla mia ricerca di un lavoro, seppur temporaneo. Passarono gli anni e, come inviato di un quotidiano, visitai molti manicomi in procinto di chiusura per la legge Basaglia. In molti istituti non ci si curava neanche di nascondere che le ricoverate – e i ricoverati – minorenni, erano un « bottino » tanto appetito da scatenare lotte accanite tra medici e paramedici. I sindacalisti tacevano: anzi, mi dissero in una di quelle case, si erano riservati un diritto di prelazione sugli imberbi. Ma poiché la vita è lunga e gli incontri tanti, non ho dimenticato quello con un capitano di mare che –ridendo, a tavola, un po’ alticcio– mi raccontava della sorte, secondo lui divertente, che toccava, e tocca, ai quindicenni imbarcati come mozzi nelle infinite navi di ogni bandiera che solcano i mari.

Sono solo piccole postille a quanto detto l’altro giorno dal portavoce vaticano, padre Federico Lombardi: « Certamente quanto compiuto in certi ambienti religiosi è particolarmente riprovevole, data la responsabilità educativa e morale degli uomini di Chiesa. Ma chi è obiettivo e informato sa che la questione è molto più ampia e il concentrare le accuse solo sulla Chiesa falsa la prospettiva ». Padre Lombardi ha citato l’inchiesta svolta in Austria dal governo: « Diciassette casi di molestie o violenze ascrivibili a religiosi cattolici, 510 in altri ambienti. Non sarebbe giusto, innanzitutto per le vittime, che ci si occupasse almeno un poco anche di loro? ». In America, nella nebulosa delle innumerevoli chiese, chiesuole, sette, comunità religiose non ve ne è alcuna che non debba affrontare denunce di fedeli, maschi e femmine, per le attenzioni riprovevoli di ministri del culto. Neanche le istituzioni della vasta e variegata comunità ebraica americana sono esenti dal dilagare del contagio. Preti, pastori, rabbini si ritrovano spesso insieme nelle aule dei tribunali. E altrettanto avviene per tanti che lavorano negli ambienti più laici e più lontani da prospettive religiose, come ho ricordato.

Eppure, solo la Chiesa cattolica sembra fare notizia. Ma a ben pensarci, un simile « privilegio » non dovrebbe dispiacere a un credente. Chi si sdegna per la malefatte di un prete, più che per quelle di chiunque altro, è perché lo lega a un ideale eccelso che è stato tradito. Chi considera più gravi le colpe « romane », rispetto a ogni altra, è perché vengono da una Chiesa da cui ben altro si aspettava. Molte invettive anticlericali sono in realtà proteste deluse. E’ scomodo, per i cattolici, che il bersaglio privilegiato sia sempre e solo « il Vaticano ». Ma chi denuncia indignato le bassezze, è perché misura l’altezza del messaggio che da lì viene annunciato al mondo e che, credenti o no che si sia, non si vorrebbe infangato.

Fonte: Sursum Corda

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