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Il fratellino

Posté par atempodiblog le 7 mars 2010

Il fratellino dans Don Bruno Ferrero hospitaly

Una giovane madre era in attesa del secondo figlio.
Quando seppe che era una bambina, insegnò al suo bambino primogenito, che si chiamava Michele, ad appoggiare la testolina sulla sua pancia tonda e cantare insieme a lei una «ninna nanna» alla sorellina che doveva nascere.
La canzoncina che faceva «Stella stellina, la notte si avvicina…» piaceva tantissimo al bambino, che la cantava più volte.
Il parto però fu prematuro e complicato. La neonata fu messa in una incubatrice per cure intensive. I genitori trepidanti furono preparati al peggio: la loro bambina aveva pochissime probabilità di sopravvivere.
Il piccolo Michele li supplicava: «Voglio vederla! Devo assolutamente vederla!».
Dopo una settimana, la neonata si aggravò ancor di più. La mamma allora decise di portare Michele nel reparto di terapia intensiva della maternità. Un’infermiera cercò di impedirlo, ma la donna era decisa e accompagnò il bambino vicino al lettino ingombro di fili e tubicini dove la piccola lottava per la vita. 
Vicino al lettino della sorellina, Michele istintivamente avvicino il suo volto a quello della neonata e cominciò a cantare sottovoce: «Stella stellina…».
La neonata reagì immediatamente. Cominciò a respirare serenamente, senz’affanno.
Con le lacrime agli occhi, la mamma disse: «Continua, Michele, continua!».
Il bambino continuò. La bambina cominciò a muovere le minuscole braccine.
La mamma e il papà piangevano e ridevano nello stesso tempo, mentre l’infermiera incredula fissava la scena a bocca aperta.
Qualche giorno dopo, la piccola entrò in casa in braccio alla mamma, mentre Michele manifestava rumorosamente la sua gioia.
I medici della clinica, imbarazzati, lo definirono con parole difficili. La mamma e il papà sapevano che era stato semplicemente un miracolo. Il miracolo dell’amore di un fratello per una sorellina tanto attesa.

Possiamo vivere soltanto se siamo sicuri che c’è qualcuno che ci attende.
È una delle più belle frasi di Gesù: «Io vado a prepararvi un posto. Così anche voi sarete dove io sono» (Giovanni 14,2-3).

di Bruno Ferrero - I fiori semplicemente fioriscono

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La salsa sulla tovaglia

Posté par atempodiblog le 7 mars 2010

La salsa sulla tovaglia dans Riflessioni tovaglia

La buona educazione non sta tanto nel non versare della salsa sulla tovaglia, ma piuttosto nel non accorgersi se lo fa qualcun altro. «L’educazione di un popolo si giudica dal contegno ch’egli tien per la strada», ammoniva Edmondo De Amicis nel suo vetusto Cuore. Se così fosse, non avremmo di che gloriarci ai nostri giorni. Lo stare a tavola è l’altra cartina di tornasole classica per la verifica del galateo. Qui ci viene incontro la frase sopra riportata, desunta dai Quaderni del grande scrittore russo Anton Cechov (1860-1904). L’idea è abbastanza originale perché non si ferma sul mero comportamento esteriore ma sullo stile. Non far pesare un difetto o una mancanza altrui è segno di finezza e di generosità. Anche Gesù ironizza su chi s’accanisce a togliere la pagliuzza dall’occhio altrui, senza accorgersi della propria grossolanità. Sì, perché spesso chi rimarca i limiti degli altri è, in proprio, un individuo zotico, rozzo, cafone. Purtroppo ai nostri giorni, con la scusa di combattere il formalismo, si è caduti nella sbracataggine e nella volgarità. Se poi si vede una manchevolezza in un’altra persona, si è subito pronti a cavalcarla in modo sguaiato, attaccando negli altri ciò che noi stessi per primi allegramente pratichiamo. Alla radice di tutto c’è, comunque, la mancanza di stile, di dignità. Un’assenza che spesso parte dall’alto, da certi comportamenti pacchiani e stolidi di politici e di persone dello spettacolo, e si dirama diffondendosi nei gesti quotidiani di tutti, creando così un’atmosfera generale sboccata, scurrile e triviale.

di Gianfranco Ravasi

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«Questo è mio!»

Posté par atempodiblog le 7 mars 2010

«Questo è mio!» dans Racconti e storielle donbosco

Nell’aprile del 1885 Don Bosco si trovava di passaggio a Marsiglia. Era circa la mezzanotte. Don Francesco Cerruti, che lo accompagnava, stava per andare a letto quando lo colpì un grido. Sulle prime credette che venisse da un prete malaticcio, ospite della casa. Ma lo udi più forte, a modo di urlo, poco dopo più forte ancora. Senza dubbio partiva dalla camera di Don Bosco, attigua alla sua. Si veste, va alla camera di Don Bosco, entra e lo vede seduto sul letto e sveglio.
— Don Bosco, sta male?
— No — risponde —, torna a dormire tranquillo.
Al mattino, appena alzato, va da lui e lo trova seduto sul sofà in uno stato di grandissima prostrazione.
— Don Bosco, è ben lei che ha gridato stanotte?
— Sì, sono io — gli risponde ancora tutto contraffatto nel volto.
— Ma che cosa è avvenuto?
— Ho veduto — disse tutto serio Don Bosco — il demonio entrare in questa casa. Era in una camerata e passava dall’uno all’altro letto dicendo di quando in quando: «Questo è mio!» Io protestavo. A un tratto si precipita addosso a uno di quei giovani per portarlo via. Io mi posi a gridare ed egli si avventò contro di me come per strangolarmi.
Ciò detto, Don Bosco, commosso e piangente, continuò:
— Caro Don Cerruti, aiutami! Sono venuto in Francia a cercare denari per i nostri giovani e per la Chiesa del Sacro Cuore, ma qui ora vi è un bisogno assai più grave: bisogna salvare questi poveri giovani. Lascerà tutto e penserà a loro. Facciamo un buon Esercizio della Buona Morte.
Quella sera il direttore della casa annunziò ai giovani l’Esercizio della Buona Morte, aggiungendo che anche Don Bosco avrebbe confessato. Confessò difatti nella sua camera, seduto sul sofà, perché l’estenuazione delle forze non gli permetteva di reggersi sulla sedia. Tutto andò così bene che Don Bosco, dopo, disse scherzando: — Vedi, il demonio mi ha fatto perdere una notte, ma sì è ricevuto una buona bastonata.
Anche il direttore Don Paolo Albera, il futuro secondo successore di Don Bosco, informato da Don Cerruti del sogno, confermò dicendo: — Don Bosco ha purtroppo ragione. Vi sono parecchi giovani che mi fanno piangere per la loro condotta.

Più tardi Don Cerruti interrogò Don Bosco:
— I giovani che il demonio voleva portar via con sé sono di quelli che non vanno a confessarsi?
— No — rispose Don Bosco —, sono particolarmente quelli che si confessano male, che fanno sacrilegi nella confessione. Ricordati bene: quando predichi, soprattutto alla gioventù, insisti molto sulla necessità di fare buone confessioni, e in specie sulla necessità del dolore dei propri peccati.

Tratto da: Sogni Don Bosco
Fonte: Spiritualità Giovanile Salesiana

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