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In 15mila per apparizione della Madonna

Posté par atempodiblog le 3 février 2010

« Cari figli, con amore materno oggi vi invito ad essere un faro per tutte le anime che vagano nella tenebra della non conoscenza dell’amore di Dio. Per poter illuminare più fortemente possibile ed attirare quante più anime possibili, non permettete che le falsità che escono dalle vostre bocche facciano tacere la vostra coscienza. Siate perfetti! Io vi guido con mano materna, con mano d’amore. Vi ringrazio ».

In 15mila per apparizione della Madonna dans Medjugorje palavesuvioapparizionegmirjanadragicevicsoldo dans Medjugorje

A Napoli la veggente di Medjugorie
Maria Chiara Aulisio - Il Mattino

Eccolo qui il messaggio che ieri mattina, al Palavesuvio di Ponticelli, gremito all’inverosimile, la Madonna ha affidato a Mirijana. Dopo il testo, la testimonianza della veggente che ha invitato tutti i fedeli alla preghiera, soprattutto per i non credenti. Inevitabile una riflessione sull’eucarestia: «Andate a messa, – ha detto Mirijana – mettete Gesù al primo posto nella vostra vita, abbiate rispetto per i sacerdoti, sono loro che incarnano il figlio di Dio sulla terra». Alta, giovane e bionda, Mirijana Dragicevic ha avuto apparizioni quotidiane per un solo anno, dal 25 dicembre del 1981 al 25 dicembre del 1982. Quel giorno di Natale, affidandole il decimo segreto, la Vergine le disse che per tutta la vita avrebbe avuto solo un’apparizione all’anno: il 18 marzo. Ma le cose non andarono così. Dal 2 agosto del 1987, infatti, il secondo giorno di ogni mese Mirijana vede di nuovo la Madonna e con lei prega per i non credenti, «per quelli – dice – che non conoscono l’amore di Dio». «E se poteste vedere anche una sola volta le lacrime che scendono sul viso della Madonna, quando parla dei non credenti, – racconta ancora la veggente – sono sicura che preghereste con tutto il cuore». Infine, un’esortazione al digiuno, almeno un giorno alla settimana, alla confessione e alla preghiera in famiglia «l’unica strada – conclude – per trasmettere fede e amore ai nostri figli».

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Genocidio: l’orrore sempre in agguato

Posté par atempodiblog le 2 février 2010

Genocidio: l’orrore sempre in agguato
di André Glucksmann – Corriere della Sera

Genocidio: l'orrore sempre in agguato dans Articoli di Giornali e News 2ez4wo5

Da Cracovia a Oswiecim, dove si trova il campo di Auschwitz, la strada costeggia la Vistola, a perdita d’occhio la neve monotona imbianca le paludi nascondendole allo sguardo. Il paesaggio è sconfinato. Passiamo davanti alla fabbrica chimica dove lavoravano fino allo sfinimento i deportati ritenuti validi. Il tempo è bello e freddo, un sole splendente illumina la banchisa e rapidamente scompare, lasciando ognuno di noi ai propri pensieri. Penso a Fred, che per me fu come un fratello maggiore. Aveva 17 anni, io 5, quando andò in Austria per organizzare la resistenza antinazista. Non lo rividi mai più. Arrestato all’arrivo del treno nella stazione di Vienna, fu torturato e spedito ad Auschwitz come carne da macello, poi scappò e venne ripreso da ragazzini della sua stessa età ingaggiati nella Hitlerjugend, che lo imprigionarono e lo dimenticarono. Morì su quella terra desolata bevendo la propria urina. Nel 1967, il poeta Paul Celan, durante una passeggiata, tentò di far assaporare al filosofo Heidegger il fascino ammaliante di simili paesaggi paludosi e ghiacciati, sperando di suscitare nel professore tedesco un esame di coscienza. Fu un fallimento. Il pensatore, che aveva regolarmente pagato le proprie quote al partito nazista dal 1933 al 1945, fece notare al poeta che i loro ricordi non erano gli stessi: la star delle università di quei tempi riteneva che «l’agricoltura meccanizzata» e i campi della morte fossero «la stessa cosa», cioè che fossero un effetto del regno mondiale della tecnica, e lui non provava tristezza né rimpianto, né sentiva alcuna responsabilità particolare. Un così supremo distacco oggi è fra i più condivisi, anche se le sottigliezze filosofiche (identificazione delle mietitrebbiatrici con le camere a gas) sono ignorate dai più. È possibile commemorare Auschwitz senza congelare la sua tragica storia, quasi fosse la traccia di un’epoca lontana, sepolta e svanita? È la domanda che si sono posti, dopo le cerimonie annuali, come tanti altri prima di loro, alcuni intellettuali inquieti, per la maggior parte polacchi e cattolici, in compagnia di Jerzy Buzek, presidente del Parlamento europeo. Reiterando la domanda che tormentava Giovanni Paolo II — come rifondare i diritti dell’uomo dopo Auschwitz?— si imbattevano di nuovo nella sfida più radicale che abbia scosso la cultura europea: «Eccoci tornati all’anno Mille» (Sartre nel 1945). Prima, «ogni uomo era al riparo in mezzo alla folla». Dopo la rivelazione di Auschwitz e di Hiroshima, «ogni mattina saremo alla vigilia della fine dei tempi». La capacità intima di sterminare fino al genocidio, la capacità materiale dell’arma assoluta proiettano la specie umana nell’orizzonte invalicabile della sua autodistruzione. Ogni anno sono più di un milione i nostri contemporanei— scuole, famiglie e persone da sole— che fanno il viaggio ad Auschwitz visitando i campi, fotografandoli e fotografando se stessi. Gli uni non sanno e si informano, gli altri verificano, altri ancora pregano. Malgrado l’emozione e la buona volontà, rischiano di ripartire senza risposta, come quando sono arrivati. Non è facile immaginare l’inimmaginabile quando la propria esistenza è lontana anni luce da quella realtà, quando si è ben nutriti, lavati, educati. Le persone più scosse dalla visita di Auschwitz che ho avuto occasione d’incontrare erano due studentesse, una ruandese e tutsi, l’altra cecena, Annick e Milana. Essendo sfuggite di poco alla crudeltà sterminatrice, il crimine nazista echeggiava dentro di loro, risvegliava l’incontro con l’inumano che avevano vissuto. Non evochiamo Auschwitz come se si trattasse di una vicenda chiusa, non visitiamo questo luogo della memoria come fosse un museo degli orrori, il mausoleo di un passato superato. E se bisogna proferire il «mai più!», che sia detto come impegno, allora sì. Non certo come constatazione. Il XX secolo si è concluso col genocidio portato fino in fondo dei tutsi del Ruanda, condotto alla velocità di un lampo, davanti agli occhi del pianeta intero: i giornalisti internazionali lavoravano sul posto, il generale Onu Dallaire informava ora dopo ora, fax dopo fax, Kofi Annan. Supplicava di inviargli rinforzi e di dargli il diritto d’intervenire. Nulla fu fatto. La Francia aveva scelto male i propri amici e la coscienza del mondo non dava segni di vita. Come la Chiesa, che non riuscì a trovar le parole per fermare gli assassini in un Paese del «Cristo Re», dove vittime e carnefici erano cattolici ferventi. Il risultato fu che 10 mila civili al giorno furono giustiziati, per tre mesi, donne e bambini innanzitutto. La logica di Auschwitz, sterminatrice di un popolo nella sua totalità, funzionava nuovamente. E così l’illogica indifferenza che la rende possibile. Sterminio degli ebrei d’Europa, sterminio dei tutsi del Ruanda. Non crediate che siano storie archiviate. Ci fu la Cambogia dei khmer rossi, ci fu Srebrenica. Le pulsioni genocidiarie imperversano nel Caucaso, dove un ceceno su cinque è stato ucciso dall’esercito russo in un silenzio quasi generale; nel Darfur, dove le vittime delle milizie sudanesi sono centinaia di migliaia e gli sfollati milioni. Quanto ai progetti per l’avvenire sbandierati qui e là, essi continuano ad apparire sinistri. Ahmadinejad a Teheran non minaccia forse, con la regolarità di un metronomo, di far scomparire nuclearmente Israele dalle carte geografiche? Non è il solo. I mostri genocidiari non appartengono al passato, ma all’attualità. La sfida del 1945 sussiste. Quando Napoleone e la sua Grande Armata scomparvero, l’Europa illuminata si addormentò sulla sua belle époque dimenticando Clausewitz: «Una volta abbattuti i limiti del possibile, che esistevano per così dire solo nel nostro inconscio, è difficile ristabilirli». Auschwitz è eternamente possibile, l’inaudita pulsione di morte rivelata dal secolo scorso incombe sul nuovo.

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Il culto silenzioso che prospera da 15 anni

Posté par atempodiblog le 2 février 2010

Lacrime rosse e miracoli
Il culto silenzioso che prospera da 15 anni
di Andrea Tornielli – Il Giornale

Il culto silenzioso che prospera da 15 anni dans Andrea Tornielli madonnacivitavecchia

«Ho tra le mani le cartelle cliniche di una donna, guarita istantaneamente da un cancro ai polmoni e mi ha sempre colpito anche il caso di un importante sceicco musulmano, che ha portato in dono un gioiello dopo che la moglie aveva ricevuto una grazia… Ma a quindici anni di distanza dalle lacrimazioni della Madonnina – dice il vescovo emerito Girolamo Grillo – ciò che davvero mi commuove sono i veri miracoli, i frutti spirituali, evidenti anche a me nelle ore che passo qui a confessare».
Sono passati esattamente quindici anni da quando a Pantano, una frazione alla periferia di Civitavecchia, una Madonnina di gesso proveniente da Medjugorje versò lacrime di sangue. Per alcuni giorni migliaia di persone passarono per il giardino di Fabio Gregori, l’operaio dell’Enel proprietario della statuina. Tanti, tantissimi i testimoni delle lacrimazioni: tra di loro anche il comandante dei vigili urbani, dichiaratamente agnostico. Alla Madonnina venne fatta una Tac e non fu trovato alcun trucco al suo interno. Senza esito l’inchiesta della magistratura, sgonfiate le denunce per abuso della credulità popolare, nessuna truffa emersa dalle indagini. Oggi, archiviato il clamore, mentre la Chiesa ufficialmente si mantiene prudente e sospende il giudizio – ma è noto e documentato con tanto di firma autografa papale che Giovanni Paolo II credeva alle lacrimazioni e volle venerare personalmente la Madonnina facendosela portare in Vaticano – a non fermarsi è il flusso di pellegrini. Provengono da tutto il mondo, ma cresce il numero dei polacchi. Monsignor Girolamo Grillo, vescovo emerito, è stato direttamente coinvolto negli eventi accaduti tra febbraio e marzo 1995. Inizialmente incredulo, richiesto di cambiare atteggiamento da una telefonata del principale collaboratore di Papa Wojtyla, l’allora Segretario di Stato Angelo Sodano, si è ritrovato ad essere personalmente testimone dell’ultima lacrimazione, la quattordicesima, avvenuta sotto i suoi occhi, in casa sua. «Ho rischiato l’infarto» dice oggi con un sorriso di gratitudine sulle labbra.
«Spesso – confida al Giornale – mi viene rivolta la seguente domanda: perché non parla più della Madonnina, come faceva un tempo? Io rispondo: ora non sono più io il responsabile della diocesi di Civitavecchia, ma non avrei parlato egualmente, perché mi sono accorto che, in seguito al mio silenzio, l’iniziativa di proporsi alle anime è stata presa direttamente dalla stessa Madonna. È lei a chiamare, è lei a bussare al cuore di tante anime».
Grillo ogni domenica trascorre due ore e mezza nel confessionale della chiesa di Sant’Agostino, a Pantano. «La soprannaturalità di un fenomeno religioso non la si potrà mai dimostrare – spiega – con la sola ragione. In questo campo, infatti, di enorme rilevanza sono i frutti: un albero è buono soltanto quando i frutti sono buoni. Ecco perché la Chiesa, quando si tratta di questi fenomeni, non ha mai alcuna fretta di pronunciarsi». Il vescovo snocciola l’elenco di questi «frutti»: «Innanzitutto le continue grandi conversioni, da parte di persone che, ad esempio, ignoravano il sacramento della confessione anche da quaranta o cinquant’anni. Padre Everardo, che ha confessato qui per cinque anni, mi ha confidato di aver contato, durante tutto quel periodo, una grande conversione al giorno».
Monsignor Grillo ricorda che c’è poi tanta gente che riscopre la preghiera e l’adorazione eucaristica. Ma la Madonnina di Civitavecchia appare «specializzata» nell’aiutare i giovani a uscire dal tunnel della droga, nel ricomporre i matrimoni in crisi, nell’aiutare le coppie senza figli ad averne uno. «Tra gli ex voto – confida – ci sono le siringhe degli ormai ex tossicodipendenti, ci sono molti anelli, segno delle unioni che si ricompongono. E sono davvero tanti i bambini concepiti dopo che i genitori, senza figli da molti anni, sono venuti qui a pregare». Il vescovo emerito accenna al collier regalato alla Madonnina da un facoltoso sceicco musulmano, un petroliere. «Ha chiesto una grazia per la moglie gravemente ammalata, e lei è guarita». Ma ciò che più conta è che «i fedeli che accorrono a Civitavecchia da tutte le parti del mondo sono convinti di trovarsi di fronte a un fatto soprannaturale».
Entrando nella chiesetta c’è un registro, che viene cambiato mediamente due volte al mese: «Commoventi sono le preghiere dei piccoli: credo sia questo, in effetti, il linguaggio che la Madonna preferisce. Non per nulla, del resto, la prima testimone del pianto della Madonnina è stata la piccola Jessica Gregori, che all’epoca aveva appena cinque anni e mezzo».

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