Lourdes come non l’avete mai letta

Posté par atempodiblog le 6 février 2010

Ecco i testi (semisconosciuti in Italia) che i giganti della letteratura hanno dedicato al santuario mariano più famoso del mondo
di Paolo Greco – Tempi

Lourdes come non l'avete mai letta  dans Apparizioni mariane e santuari lourdes

«Malgrado tutto, come siete strana, Madre Nostra! Qui, da principio non vi riconoscevo in questa immagine di giovinetta, di prima di Betlemme e di prima del Golgota… Voi che, mentre eravate viva in terra non avete fatto mai miracoli, ne fate ora… Luce di bontà che non conosce sera, rifugio degli afflitti, Maria, sorgente di ogni compassione, Madre di ogni pietà». È suggestiva l’immagine della Madonna – quasi sempre silenziosa nel Vangelo, anche dinnanzi alla Croce, e che a Lourdes appare e compie miracoli – di Karl-Louis Huysmans, che troviamo in La folla di Lourdes, libro che risale al 1907, poco prima della sua morte. Pur non essendo tra i più noti lavori dell’autore di A ritroso, Laggiù e En Route (la descrizione del percorso che lo porterà alla conversione al cattolicesimo), La folla di Lourdes contiene pagine intense e di profonda verità, anche sugli aspetti degenerativi della cittadina. L’autore francese, con la sua scrittura nervosa e irregolare che ne rifletteva il carattere difficile, non poteva non rilevare i contrasti fra l’aspetto spirituale e la contrastante realtà di quanto vedeva a Lourdes, divenuta regno dei bottegai e affollata di pellegrini «che sostano davanti ai negozi di oggetti religiosi, sulle cui insegne si legge il nome di Soubirous… così la famiglia agita come una bandiera commerciale il nome della veggente…» ma senza che ciò sminuisse l’autenticità della sua fede.
«Bisogna confessare che a Lourdes si vive in uno straordinario clima spirituale», scrive. «Ci si muove nella camera di combustione della pietà. Le ininterrotte urla di Ave, il continuo ondeggiare di folle che si ha sotto gli occhi, l’incessante spettacolo di gente che soffre e di gente che si diverte, mangia e beve seduta sull’erba, come in una gita domenicale, alla fine sbalordisce. Si vive in una dimensione senza proporzioni; il massimo del dolore, il massimo della gioia: ecco Lourdes». Di Lourdes si sono occupati molti grandi scrittori ma se ne è parlato poco nei centocinquant’anni dalla prima apparizione della Vergine Maria a Bernadette Soubirous, l’11 febbraio del 1858, anche perché si tratta di libri introvabili in Italia, se non in poche biblioteche, o addirittura mai tradotti. Per citarne alcuni oltre a Huysmans, troviamo i nomi di Maurice Barrès, Leon Bloy, Francis Jammes, François Mauriac, Franz Werfel, Emile Zola e Alexis Carrel, il medico francese convertitosi nel 1903 dopo aver assistito a un miracolo, futuro premio Nobel per la Medicina e autore del celeberrimo L’uomo questo sconosciuto. Nessuna altra località legata al culto mariano è stata oggetto di tanta letteratura e anche da questo punto di vista la città dei Pirenei raggiunge un primato, oltre a quello di essere il luogo di pellegrinaggio più famoso nel mondo, visitato ogni anno da oltre cinque milioni di persone, un numero superiore a quello di coloro che si recano alla Mecca o a Benares.

L’interrogativo di un demolitore
Il romanzo di maggior successo e clamore per le polemiche suscitate è Lourdes di Emile Zola, il maestro del naturalismo letterario, a cui si era ispirato l’amico Huysmans nelle prime opere e che non ha mai fatto mistero del suo radicale ateismo, pubblicato nel 1894 nella trilogia sulle Tre città: Parigi, Lourdes, Roma.
Zola si era recato una prima volta nella cittadina dei Pirenei nel 1891, per ritornarvi l’estate dell’anno successivo, durante un pellegrinaggio nazionale. Unitosi alla folla con il taccuino in mano per annotare scrupolosamente quanto vedeva, non riuscì a passare inosservato per la popolarità di cui godeva e la stampa avanzò persino l’ipotesi di una sua conversione, smentita dallo scrittore durante una visita al bureau medico delle constatazioni quando, pur avendo assistito ad una guarigione giudicata miracolosa, ribadì di «non credere ai miracoli, ma piuttosto al bisogno degli
uomini di credervi». Zola riteneva che la scomparsa di una malattia fosse da attribuire a fattori nervosi, di autosuggestione, sulla base delle teorie sostenute da Jean-Martin Charcot sull’isterismo.

La struttura narrativa di Lourdes – non dobbiamo dimenticare che ci troviamo di fronte a uno scrittore d’indiscutibile bravura – fu studiata per far colpo sul lettore, costruita com’è su un suggestivo percorso psicologico in chiave antireligiosa. Basti pensare al protagonista, un giovane sacerdote che proprio durante un viaggio a Lourdes perde la fede. Il romanzo suscitò un enorme scandalo. La Chiesa lo mise all’indice e Léon Bloy definì l’autore «il cretino dei Pirenei». Eppure alcuni hanno giudicato l’opera di Zola, nonostante le idee contenute, un lavoro avvincente se pensiamo alla coinvolgente capacità narrativa di Zola, superbo narratore delle folle di Parigi, degli scenari di massa, dei mercati, dello squallore delle periferie popolate da un’umanità umiliata da lavori massacranti, distrutta dall’alcool, da debolezze e vizi di ogni tipo, oltre alle miserie morali dei ricchi. A Lourdes lo scrittore francese è riuscito magistralmente a cogliere lo scenario corale del luogo: la moltitudine degli ammalati, dei moribondi, dei corpi dilaniati dalla sofferenza, dei loro accompagnatori, dei barellieri, dei medici, dei sacerdoti. Tutto il mondo del dolore, del disperato desiderio di guarire. Il suo è un affresco potente, una vera e propria sinfonia sull’infinita sofferenza e sulla misera umana, sulla forza della superstizione religiosa nell’illusione di ricevere l’aiuto dalla Vergine, in un’ironica e tragica cornice di preghiere e invocazioni senza fine. Ciò spiega la popolarità raggiunta dal libro, ma forse non ci si è soffermati, pur nel radicale pessimismo, su alcuni suoi sorprendenti aspetti. Il rispetto per Bernadette, ad esempio, che suona strano in un testo tanto sprezzante. Lo dimostra l’episodio in cui il sacerdote protagonista, che avverte già nel suo cuore lo spegnersi della fede, incontra dopo molto tempo un amico medico conosciuto anni prima a Parigi, allora convinto ateo e poi convertitosi, dopo la morte della moglie e della figlia, e andato a vivere a Lourdes abbandonando la professione. L’uomo è vecchio, schiacciato dalla solitudine e dal dolore, ma conserva la speranza di rivedere un giorno i suoi cari. Non sostiene, come in passato, che Bernadette fosse un’ammalata, un’allucinata. Racconta d’averla incontrata, nel convento in cui si era ritirata, e di aver trovato «una creatura pura ed adorabile», dagli «occhi stupendi, di una limpidezza infantile, che non parlava mai delle sue visioni e svolgeva lavori umili». Bernadette non ha goduto, dice all’amico, del suo trionfo a Lourdes. «Se avesse avuto uno spirito intrigante e imperioso, la grotta sarebbe stata sua, sua la basilica, la vedremmo in un trono durante le cerimonie, sotto un baldacchino… Sarebbe lei a dispensare i miracoli, lei a guidare la folla al cielo con un gesto di comando, avrebbe preso parte al suo successo e invece se ne è spogliata, non ha partecipato al trionfo di cui è stata l’artefice». Descrizione bellissima in cui si avverte, nell’autore, pur nella sua impietosa e ironica visione di Lourdes e dello sconvolgente panorama «di tutte le malattie del mondo», quasi un momento di pausa, una nota dissonante, un’interrogazione silenziosa nell’ininterrotta invettiva contro la speranza e la superstizione. Si tratta di momenti, è vero, ma sono momenti che accrescono la tensione narrativa e che alla fine lasciano aperto il mistero di Lourdes, nonostante Zola si sforzi di demolirlo.

Tra fede e scetticismo
Neppure il racconto del 1931 Pellegrini di Lourdes di François Mauriac, premio Nobel per la Letteratura nel 1952 e da molti giudicato il massimo scrittore cattolico del secolo scorso, raggiunse il successo che si sarebbe potuto immaginare. È il racconto di due amici, Agostino e Sergio, assiduo credente il primo e scettico il secondo, che si trovano assieme a Lourdes. Il taglio narrativo dello scrittore, che aveva saputo superbamente descrivere nei suoi romanzi il conflitto fra la carne e lo spirito, qui è piuttosto debole. Le riflessioni di Agostino sono di natura religiosa sui santuari, sul culto delle Vergine, mentre i pensieri di Sergio sono aderenti alla visione di nichilismo e di sconforto di chi non crede. Lourdes, ammette l’uomo, è «il luogo in cui nessuno può evitare di guardare in faccia il suo destino. È impossibile per me fare a Lourdes tre passi senza chiedermi in cosa credo e in cosa non credo». L’uomo tuttavia desidera sfuggire a queste domande, sottrarsi a un mondo nauseabondo popolato da malati e da devoti, ritornare alla vita semplice, normale, anche se
ne avverte il vuoto, l’inconsistenza, come quando incontra in un ristorante due affascinanti amiche: i loro berretti assurdi, i buffi capelli arricciati, le gote e le labbra dipinte, le lunghe ciglia incollate gli appaiono ridicoli. «Ridevano senza aver voglia di ridere, ripetevano senza convinzione cose che avevano sentito dire. Le sente sincere solo quando si lamentano di dover cambiare i pneumatici poiché erano arrivate senza autista» e rifiuta di seguirle a Biarritz, dove, attorno alle povere creature che ricoprono le spiagge, fioriscono tutte le cupidigie. Pagina modernissima che ci ricorda il vuoto, il nulla che caratterizza la vita di molti giovani nella società odierna. Sergio tuttavia rimane ancorato ad un’esistenza priva di fede, senza speranza.

Il debito del fuggiasco
Il romanzo più commovente su Bernadette viene però paradossalmente da uno scrittore di formazione completamente diversa da quella cattolica. È Il canto di Bernadette dell’ebreo Franz Werfel. Nato a Praga nel 1890, amico di Franz Kafka e di Max Brod, amante della bella vita e terzo marito di Alma, vedova del musicista Gustav Mahler, tra le donne più affascinanti di Vienna e non solo intellettualmente, Werfel scrisse romanzi di successo tra i quali Una scrittura femminile azzurro pallida e, con intuito profetico pochi anni prima dello sterminio nazista degli ebrei, I quaranta giorni di Mussa Dagh, sulla deportazione degli armeni, la sua migliore opera. Abbandonata l’Austria per motivi razziali, nel 1940 lo scrittore si trovava con la moglie in Francia da dove cercò, senza riuscirvi, di raggiungere il Portogallo, attraverso la Spagna, per sfuggire ai tedeschi. Alcuni amici suggerirono allora alla coppia di cercare una via di scampo a Lourdes, dove le truppe di Hitler non erano ancora giunte. Werfel rimase nella cittadina alcune settimane in uno stato d’animo di angoscia e di paura, ma conobbe «qualcosa di grande importanza: la splendida storia di Bernadette Soubirous». Decise allora di fare un voto: se fosse riuscito a mettersi in salvo e raggiungere gli Stati Uniti avrebbe scritto un libro su di lei. Così è stato.
Il canto di Bernadette è un romanzo bellissimo, che «racconta meravigliosamente una storia meravigliosa» rigorosamente fedele ai fatti. Il successo fu tale che nel 1943 il regista Henry King ne girò un film con la splendida interpretazione di Jennifer Jones, film che ottenne ben quattro Oscar. L’autore probabilmente fece in tempo a vederlo, poiché sarebbe morto nel 1945 a Los Angeles. La lettura di Werfel insegna che per capire il mistero, il fascino di Lourdes, bisogna partire dalla semplicità, dalla modestia e dalla sottomissione di Bernadette, una poverissima ragazza, semianalfabeta e di salute cagionevole che un giorno vide in una grotta la « bella Signora » con il Rosario in mano che le disse di essere l’Immacolata Concezione – espressione di cui anche oggi pochi cattolici conoscono il significato – e che non sarebbe stata felice in questa vita ma in un’altra, come insegna il messaggio evangelico: non è in questo mondo che potremo trovare una risposta alla presenza del male e del dolore. Avrebbe potuto la semplice mente di Bernadette inventarsi queste parole? È la domanda alla quale il non credente deve dare una risposta. Nessuno fino ad ora ci è riuscito.

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