• Accueil
  • > Archives pour janvier 2010

C’è su di noi e per noi un Amore immenso e fedele!

Posté par atempodiblog le 29 janvier 2010

C’è su di noi e per noi un Amore immenso e fedele! dans Fede, morale e teologia suorelviraeilpapa

La vita è bellissima e io sono tanto contenta di esserci.
Prima di tutto desidero dire grazie a mia madre e a mio padre, perché mi hanno permesso di vivere e poi ringrazio tutti perché non sono sola: c’è attorno a me la vita preziosa di tante persone… siamo in tanti ad essere stati creati ed amati!
Sappiate che dobbiamo solo accoglierla, la vita, accoglierla e gioirne.
A volte non sorridiamo più, perché pensiamo di non essere amati. Ma non è vero! C’è su di noi e per noi un Amore immenso e fedele!
Apri le porte allora, per lasciar passare la luce, di modo che tu veda quella luce!
Lasciala filtrare anche negli spazi più intimi, e ad un certo momento quel raggio di luce si farà strada, per dire anche a te che ti senti rifiutato: ti amo, ti amo alla follia!
È un dono che ci fa Colui che ci ha creato: soltanto apriamoGli la porta; dobbiamo accogliere, dobbiamo dire “Sì, così sia”. E quando siamo pieni di amore, siamo anche ricolmi di felicità e ci viene la voglia di dare gioia a tutti, di “rimboccarci le maniche” e di servire la vita.
E prima di tutto, servi te stesso. Prima di uscire di casa, sorridi alla tua vita e lascia che quel sorriso ti doni un volto nuovo, un volto sereno, un volto di pace e di gratitudine per tutto quello che il Signore ti ha dato.
Allora “entrerai” nella vita, sarai capace di donarti, di servire anche gli altri, di restituire l’Amore ricevuto. È una “legge” dell’Amore: se non lo doni, allora non lo riconosci, non ti accorgi di quanto ne stai ricevendo… e poi incominci a pensare a qualche modo per trovarlo, lo vai a cercare chissà dove, elemosini l’affetto, la comprensione, la stima… ma questo è dipendenza ed egoismo, è la morte del cuore!
Vuol dire che quando siamo un po’ amareggiati e chiusi, è perché non stiamo amando e non stiamo servendo; è lì la radice della tristezza.
È un’esperienza che abbiamo fatto tutti, ma oggi possiamo scegliere, perché abbiamo vissuto anche la gioia, la speranza, il bene, il dono di noi!
A volte sembra che tutto svanisca, che sia stato solo un sogno… ma non è vero. Noi siamo nati per amare, non per mendicare l’amore e abbiamo sperimentato che Colui che ci ha creati, ci dà Amore senza misura: è Lui la sorgente inesauribile della Vita.
Facciamo questi passi di verità e di coraggio. Il Signore fa grandi cose: le ha fatte e le farà ancora, per noi e per tutti quelli che Gli aprono le porte del cuore.
Il “segreto” è la fiducia in Lui, è la fede che, come dice Gesù, smuove le montagne.
Quella fede sicura che è bene, è forza, è libertà, è amore, è servizio, è stupore… è vita!

di Suor Elvira Petrozzi -Comunità Cenacolo

Publié dans Fede, morale e teologia, Madre Elvira Petrozzi | Pas de Commentaire »

Ho fatto la scelta di Gesù: donarmi totalmente a Dio

Posté par atempodiblog le 29 janvier 2010

Ho fatto la scelta di Gesù: donarmi totalmente a Dio dans Andrea Tornielli plivio

«Sono felice di essere celibe e nella mia vita di prete non ho mai sentito il bisogno di avere una moglie». Padre Livio Fanzaga è la popolarissima e inconfondibile voce di «Radio Maria», l’emittente cattolica con ascolti da record, che non trasmette pubblicità ed è sostenuta soltanto dal contributo volontario dei suoi ascoltatori.

Perché il prete deve essere celibe?
«Io sono felice di esserlo per due motivi. Il primo è che mi sento realizzato per il dono totale della mia vita al Signore. È una donazione mistica e affettiva. Il secondo motivo è di carattere più pratico: da celibe posso servire la Chiesa con tutto me stesso».

Non ha mai sentito l’esigenza di sposarsi?
«No, perché sono sono già totalmente realizzato nella paternità spirituale verso coloro che attraverso il mio ministero vengono generati a Dio e alla Chiesa».

È d’accordo nel discutere sull’eventuale attenuazione o abolizione del celibato sacerdotale, per far fronte alla carenza di vocazioni?
«A mio parere la crisi di vocazioni è dovuta anche al fatto che c’è una concezione troppo manageriale e poco mistica del sacerdozio. Se viene meno il rapporto con Dio e l’amore per le anime, ci possono essere delle crisi affettive. Ma allora il problema non è abolire il celibato, ma è quello di annunciare e proporre il Vangelo tutto intero. Non è un caso che oggi proprio gli ordini di clausura, quelli con le regole più dure, non conoscano crisi di vocazioni. Se il Vangelo è proposto nella sua interezza, nell’uomo scatta la sete di assoluto e si arriva a donarsi eroicamente».

Qual è dunque la ragione più evidente per mantenere la legge del celibato?
«A me colpisce il fatto che Gesù, pur vivendo in un contesto culturale e religioso in cui non c’erano i celibi, abbia scelto di non sposarsi. Siccome esiste un rapporto diretto tra Cristo e il sacerdote, io credo che sia significativo rimanere celibi come lui lo è stato».

Non teme che l’esaltazione del celibato possa screditare il valore del matrimonio?
«Assolutamente no, c’è una vocazione al celibato e una vocazione al matrimonio, che è una via di santità, sono entrambi sacramenti».

di Andrea Tornielli – Il Giornale

Publié dans Andrea Tornielli, Articoli di Giornali e News, Discernimento vocazionale, Fede, morale e teologia, Padre Livio Fanzaga, Sacramento dell’Ordine | Pas de Commentaire »

I riccioli d’oro e il riso ignaro di un bimbo che va a morire

Posté par atempodiblog le 27 janvier 2010

Nel Giorno della memoria la voce dei sopravvissuti italiani alla Shoah
I riccioli d’oro e il riso ignaro di un bimbo che va a morire
di Gaetano Vallini  (©L’Osservatore Romano – 26-27 gennaio 2009)

I riccioli d'oro e il riso ignaro di un bimbo che va a morire dans Articoli di Giornali e News 2wfuu4p

Ci sono pagine che tolgono il respiro. Ed è dura andare avanti. Nonostante ormai si conosca tutto o quasi della Shoah, l’orrore è tale – e quello che si percepisce è solo un’infinitesima parte di quanto provato da chi c’era – che si stenta a credere sia stato possibile. Eppure non riesci a fermarti, perché senti che lo devi alla memoria di quanti non ce l’hanno fatta; al coraggio di quanti hanno accettato di raccontare l’indicibile; e a una verità storica che qualcuno ogni tanto prova vergognosamente a rimettere in discussione. Sarà perché ti inchioda di fronte alla degradazione di cui è capace l’uomo; sarà perché le testimonianze sono riportate anche in dialetto per restituirle nella loro pienezza, frammentate e ricomposte per ricostruire, come mai prima, la pagina più terribile e vergognosa della storia del secolo scorso; sarà perché sembra quasi di sentirle dalla viva voce dei sopravvissuti, ma Il libro della Shoah italiana (Torino, Einaudi, 2009, pagine 490, euro 42) curato da Marcello Pezzetti, riesce davvero a precipitare il lettore sulla soglia dell’inferno. Quell’inferno di cui parla Shlomo Venezia: « L’inferno… qualsiasi persona lo conosce dai libri, noi l’abbiamo vissuto ». E lui, scelto a far parte del Sonderkommando di Birkenau – dove c’erano, scrive l’autore, « gli impianti omicidi più imponenti che l’uomo abbia edificato nel corso della storia » – sa quello che dice; lui stava all’inferno: doveva rimuovere i corpi dalle camere a gas, preparandoli per i crematori. Quella di Venezia è la più agghiacciante tra le testimonianze raccolte da Pezzetti, storico del Centro di documentazione ebraica contemporanea (Cdec) di Milano, membro di diverse istituzioni dedicate alla ricerca sulla Shoah, consulente dei registi Spielberg e Benigni, coautore del film Memoria, nonché direttore del costituendo Museo della Shoah di Roma. L’autore ha tirato le somme di un lavoro iniziato alla fine degli anni Ottanta, quando il Cdec cominciò a effettuare alcune interviste audio ai sopravvissuti. In seguito furono contattate le comunità ebraiche italiane affinché offrissero un aiuto nella ricerca. E si pensò di realizzare dei video con ciascun testimone. La prima intervista filmata fu realizzata il 15 giugno 1995, a Milano, con Rachele Levi, della comunità ebraica italiana di Rodi. L’ultima, a fine 2008, a uno dei pochissimi superstiti della retata del 16 ottobre 1943, a Roma, ancora in vita: Enzo Camerino, residente a Montreal, di passaggio nella capitale. In totale sono stati intervistati – riportandoli per quanto possibile nei luoghi di prigionia – centocinque ebrei, sessanta donne e quarantacinque uomini, sopravvissuti alla deportazione dall’Italia, compreso il Dodecanneso, tra il 1943 e il 1945. Di essi, ottantotto finirono ad Auschwitz (dove il primo convoglio italiano arrivò il 23 ottobre 1943), quattro a Ravensbrück, tre a Bergen-Belsen, uno a Buchenwald e i restanti in altri luoghi. Il lavoro è stato lungo, complesso e doloroso. « Doloroso – sottolinea l’autore – innanzitutto per chi è stato intervistato, spesso consapevole di offrirci con grande generosità una parte importante della propria vita che aveva deciso di non rendere mai pubblica, in secondo luogo per i componenti delle loro famiglie, che in molti casi hanno assistito alle interviste e hanno appreso la sorte dei propri cari nei dettagli solo in quell’istante, infine per noi che abbiamo raccolto la loro storia e la loro memoria, dal momento che è stato estremamente difficile mantenere un equilibrio tra il necessario rigore scientifico che doveva contraddistinguere il nostro approccio e il coinvolgimento umano che la drammaticità delle testimonianze suscitava ». E il coinvolgimento umano non manca certo nella lettura di questo volume, pubblicato in occasione del Giorno della Memoria, che ripercorre le varie tappe del progetto di sterminio: la vita prima del fascismo, la convivenza con il regime, l’umiliazione delle leggi razziali, la violenza dell’occupazione nazista, gli arresti, gli interrogatori, la detenzione in carcere, il transito nei campi di concentramento italiani, il viaggio verso i lager, la prigionia nei campi della morte. È una lenta caduta nel tunnel della follia antisemita, nella peggiore delle abiezioni umane. Fino alla liberazione, al difficile ritorno a una vita che sembrava perduta, tra il lutto inconsolabile per i propri cari morti e il senso di colpa per essere sopravvissuti.

Ognuno di questi momenti viene introdotto da una breve scheda che inquadra i luoghi e i fatti. Il resto lo raccontano loro, i testimoni, senza sconti, senza concedere nulla alla fantasia. Quanto raccontato sembra prendere forma. E li vedi lì, nel ghetto di Roma, cercare di sfuggire alla caccia, impauriti e sorpresi per l’inattesa violenza. Cogli il sollievo e la gratitudine per l’insperato aiuto di un conoscente, magari un cattolico, a volte un prete o una suora; o al contrario l’incredulità e la rabbia per la delazione di un vicino di casa, fino ad allora considerato amico. Li immagini nelle carceri, mentre vengono seviziati durante gli interrogatori attraverso i quali gli aguzzini cercano di estorcere i nomi di parenti e conoscenti ebrei. Li osservi persi nel Campo di Fossoli, o alla Risiera di San Sabba, macerati dai dubbi sul loro futuro incerto, mentre cominciano a giungere alle loro orecchie notizie spaventose. Senti l’asfissiante oppressione delle centinaia di persone rinchiuse nei carri merci, ammassate come bestie, in un viaggio disumano verso quelli che ci si illude siano campi di lavoro, mentre i più anziani e i più deboli cominciano già a morire. E poi l’arrivo nei lager; per la stragrande maggioranza Auschwitz-Birkenau, un luogo sul quale tra i deportati già circolavano voci tanto terribili quanto inverosimili. Li vedi su quella banchina, smarriti, impauriti, piangenti e tremanti, con gli sguardi attratti dal sinistro bagliore di quelle oscure ciminiere fumanti, con quell’odore nauseante e sconosciuto che avvolge tutto. Cogli l’angoscia straziante di quanti sono subito separati dai familiari: genitori, fratelli, sorelle, mariti, figli, i più grandicelli. I più piccoli sono immediatamente avviati con le mamme verso le camere a gas, assieme ad anziani e malati. Senti le loro urla terrorizzate, impotenti, disperate. « Siamo arrivati alla mattina – ricorda Ida Marcheria – ed è stata subito una Babele: urla, grida, abbaiare di cani. C’hanno levato il papà e i nostri fratelli, poi ci hanno diviso dalla mamma. A mamma l’hanno fatta salire su un camion, dicevano che noi dovevamo andare a piedi perché eravamo giovani. È salita sul camion e ci ha raccomandato: « Bambine, state sempre insieme! ». Forse lo sentiva, non lo so… comunque non ha pianto la mia mamma, non piangeva. Non l’ho vista più. La mamma… è quella sera che è morta ». « Il momento più terribile? La separazione dai genitori. È stata – dice Trahamin Cohen – una cosa tremenda… È stato terribile, terribile! Molte volte purtroppo questa scena mi viene in mente in sogno. Ma il ricordo è peggio del sogno. Il ricordo a me mi ammazza. Non ci reggo… ». A Birkenau furono deportati circa duecentomila bambini, di loro seicento erano italiani. Tra questi c’era anche il più piccolo ebreo deportato dall’Italia. « Figlio di Marcella Perugia, nacque al Collegio militare di Roma il 17 ottobre 1943, il giorno prima della partenza. Questo bambino, forse nemmeno arrivato a Birkenau, è rimasto senza nome ». Il libro è dedicato a lui. La quasi totalità dei bambini venne uccisa nelle camere a gas il giorno stesso dell’arrivo. Il loro ricordo è il più straziante. « I bambini… i bambini che scendevano dai vagoni erano come i bambini di tutto il mondo: piccoli, assolutamente ignari del loro destino… In particolare – sono le parole di Nedo Fiano – io ricordo un servizio di notte, quando è arrivato dalla Francia un convoglio di bambini molto piccoli, credo che nessuno superasse i cinque anni. Il fatto unico è che questi ragazzi erano felici, contenti di scendere da questi vagoni dov’erano stati per giorni, avevano sottobraccio i loro giocattoli e si avviarono verso il crematorio. Si tenevano, ricordo, in file di tre… si tenevano per mano. Mi ricordo un bambino coi capelli biondi, dai riccioli meravigliosi, riccioli d’oro, così felice… Era straziante, una scena incredibile ». Tremendi sono anche i ricordi della vita del campo: l’angosciante rito delle selezioni – « È lì che abbiamo incontrato il dottore Mengele, il maledetto, e lui ha cominciato a separare gli uomini dalle donne con un cenno della testa », dice Arianna Szörényi – e il freddo, la fame, l’agonia dei malati, i Kinderblock dove finivano i bambini oggetto di sperimentazioni; e ancora le angherie, le violenze gratuite, brutali, inumane. « Davanti a me – ricorda Alberto Sed – c’era uno del Kommando che portava un regazzino verso un carretto; c’erano due tedeschi, uno dei quali gli ha detto: « Férmete! Il regazzino nun l’appoggiare, ma lancialo dentro il carretto! » ‘Sto regazzino poteva ave’ cinque, sette mesi… quando questo l’ha buttato, inaspettatamente uno dei due ha tirato fuori la pistola… e c’ha fatto il tiro a segno. Avevano scommesso dei marchi ». « C’era la violenza più totale, la violenza assoluta. La violenza fisica prima di tutto, poi la violenza psicologica. Era – racconta Piero Terracina – un vivere continuamente sotto la paura delle percosse, delle punizioni, delle selezioni. Lì sapevamo che dovevamo morire. Potevamo morire dopo un giorno, dopo una settimana, dopo un mese, non si andava oltre con il pensiero ». C’era la certezza di quell’inferno di cui parla Shlomo Venezia. Eppure, mentre tanti si lasciavano andare, altri si aggrappavano alla vita, spinti soprattutto dalla volontà di ritrovare un giorno i familiari da cui erano stati divisi. « Io vivevo soprattutto con l’idea di resistere per trovare le bambine, per ritornare con le bambine », dice Giulia Fiorentino Tedeschi. « Quello che mi spingeva a sopravvivere – è invece il ricordo di Virginia Gattegno – era l’idea di uscire di lì, cioè di morire magari appena fuori, ma non lì dentro a quell’inferno, non da prigioniera. Morire come un essere umano, insomma ». Qualcuno arrivò a vedere il giorno della liberazione dei campi, alcuni tuttavia morirono nei giorni successivi per le malattie e gli stenti patiti, senza poter assaporare la ritrovata libertà. Ma per molti il ritorno alla vita non è stato facile. Emblematiche le parole di Ida Marcheria e di Alberto Israel, che riassumono lo stato d’animo di tanti sopravvissuti: « Io maledico il giorno che sono uscita da quel lager. Non dovevo uscire, non dovevo mai tornare. Non so gli altri, può darsi che sono felici, non lo so ». « C’è una cosa che devo dire, con molta fatica: noi abbiamo un rimorso… perché noi siamo riusciti a vivere. Non avremo mai pace fino al giorno in cui non andremo a raggiungerli ». Ma per altri prevale il senso di riconoscenza, nonostante tutto, malgrado il ricordo che non si cancella mai, e che torna come un incubo ricorrente. Nonostante quel « dov’era Dio » che ancora angoscia molti. C’è tutto questo e molto altro nel lavoro di Pezzetti. Complessivamente, secondo i dati del Cdec, dall’Italia venne deportato circa un quinto degli ebrei residenti: poco meno di 7.800 – cui vanno aggiunti 1.819 ebrei dei possedimenti italiani del Dodecanneso. Solo 837 sono tornati. Il libro della Shoah italiana è un doveroso tributo alla memoria di quanti non ce l’hanno fatta e un monito per il futuro.

Publié dans Articoli di Giornali e News, Libri, Riflessioni | 2 Commentaires »

La nostra vita appartiene a un Altro

Posté par atempodiblog le 26 janvier 2010

La nostra vita appartiene a un Altro dans Don Luigi Giussani dongiussani

«La nostra vita appartiene a qualcosa d’Altro. L’inevitabilità [di ciò che accade] è come il sinonimo più chiarificatore di questa non appartenenza a noi della cosa, e soprattutto non appartiene a noi ciò da cui tutto deriva: la nostra vita appartiene a un Altro.
In questo senso si capisce perché la vita dell’uomo è drammatica: se non appartenesse a un Altro sarebbe tragica. La tragedia è quando una costruzione frana e tutti i sassi e i pezzi di marmo e i pezzi dimuro, crollano. E tutto nella vita diventa niente, è destinato a diventar niente, perché di ciò che abbiamo vissuto nel passato, di ciò che abbiamo vissuto fino a un’ora fa, fino a cinqueminuti fa, non esiste più niente di formato, di costruito non esiste più niente. E questo è tragico. La tragedia è il nulla come traguardo, il niente, il niente di ciò che c’è.
Mentre se tutto appartiene a un Altro, a qualcosa d’Altro, allora la vita dell’uomo è drammatica, non tragica. Riconosco che ti appartengo, riconosco che il tempo non è statomio, non mi apparteneva, come il tempo fino ad oggi non mi appartiene, non mi appartiene. Prendi pure la mia vita, accetto che non mi appartenga, riconosco che non mi appartiene, accetto che non mi appartenga.
Ciò che possiede il nostro tempo è morto per noi, si presenta ai nostri occhi e al nostro cuore come il luogo dove è amato il nostro destino, dove è amata la nostra felicità, tanto che Colui che possiede il tempo muore per il nostro tempo. Il Signore, Colui a cui appartiene il tempo, è buono».

Don Luigi Giussani – Si può vivere così?

Publié dans Don Luigi Giussani, Fede, morale e teologia | Pas de Commentaire »

San Domenico Savio, un capolavoro di don Bosco

Posté par atempodiblog le 24 janvier 2010

 San Domenico Savio, un capolavoro di don Bosco dans Corrado Gnerre San-Domenico-Savio-e-don-Bosco

Il primo frutto di santità di don Bosco fu un bambino, gracile nel fisico, ma fortissimo nella spiritualità e nella generosità.

San Domenico Savio è stato certamente il grande capolavoro pedagogico di san Giovanni Bosco. Nacque a Riva di Chieri da una famiglia povera nel 1842. Ad appena sette anni, in maniera del tutto eccezionale, fu ammesso alla Prima Comunione: a quei tempi l’Eucarestia si riceveva per la prima volta oltre i dodici anni.
Sin da subito il piccolo Domenico s’impegnò a vivere una vita autenticamente cristiana, da qui la sua famosa frase: « La morte, ma non il peccato ».

di Corrado Gnerre

Publié dans Corrado Gnerre, Fede, morale e teologia, San Domenico Savio, San Giovanni Bosco | Pas de Commentaire »

La sofferenza e la morte non sono l’ultima parola

Posté par atempodiblog le 23 janvier 2010

La sofferenza e la morte non sono l'ultima parola dans Fede, morale e teologia krizevac

Il terremoto di Haiti, con le devastazioni e le decine di migliaia di cadaveri, fra i quali moltissimi bambini, ha provocarto dolore e sgomento. Perchè tutto questo, se Dio è amore? E’ un interrgativo spontaneo che ci sollecita ad approfondire la fede.

Lo spettacolo raccapricciante di una moltitudine di cadaveri ci richiama a una realtà che preferiamo nascondere il più possibile: l’onnipresenza del dolore e della morte nella vita umana.  Si tratta di una costatazione: basta aprire gli occhi.

Ma chi, come i cristiani, guarda con gli occhi della fede che cosa vede? Vede le anime immortali di tutti coloro che, morendo, si aprono all’amore di Dio e vengono accolte nel suo Regno di gioia e di pace, Vede i morti che la terra ha ingoiato risuscitare nell’ultimo giorno a immagine della gloria di Cristo risorto. Vede nei sopravissuti che hanno perso ogni cosa la presenza di Gesù che chiede aiuto.

« Vidi poi un nuovo cielo e una terra nuova…Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme….Udii allora una voce potente che usciva dal trono: Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perchè le cose di prima sono passate » ( Apocalisse 21, 1-4).

La sofferenza e la morte che affliggono l’esistenza umana non sono l’ultima parola. In Cristo risorto avremo la gioia e la vita immortale.

Padre Livio Fanzaga

Publié dans Fede, morale e teologia, Padre Livio Fanzaga | Pas de Commentaire »

Mirjana a Napoli il 2 febbraio 2010

Posté par atempodiblog le 23 janvier 2010

Mirjana a Napoli il 2 febbraio 2010 dans Apparizioni mariane e santuari mirjanat

Il giorno 2 Febbraio 2010 L’Associazione “Cieli Nuovi”, con il patrocinio del comune di Napoli, promuove Veglia di preghiera con la veggente Mirjana Dragicevic Soldo, al Palavesuvio di Via Argine a Ponticelli– Napoli

PROGRAMMA:
Martedì 2 febbraio 2010
ore 6.00 a.m. Accoglienza
ore 6.15 a.m. S.Rosario, Adorazione Eucaristica
ore 7.30 a.m. S.Messa
A seguire momento di preghiera con la veggente

Animazione e canti a cura dei « Figli del Divino Amore »

Fonte: cielinuovi.org

Publié dans Apparizioni mariane e santuari | 2 Commentaires »

Aprire la porta del cuore a Dio

Posté par atempodiblog le 19 janvier 2010

Aprire la porta del cuore a Dio dans Fede, morale e teologia suorelvirapetrozzi

A volte incontro tra i giovani qualcuno che mi dice: “Ma io non lo vedo e non lo sento quel Dio vivo, quel Risorto di cui ci parli”. Me lo dicono con aria di sfida, ma soprattutto con un misto di tristezza e desiderio sul volto, quasi coscienti che hanno bisogno di vedere, di toccare e di sentire quel Dio vivo, per tornare a vivere anche loro. Io rispondo loro: “Ma tu gli hai aperto la porta? Hai provato a dire per un momento: Signore, ho bisogno di te!”.
La porta del cuore ha una maniglia sola, quella di dentro, e solo noi possiamo nella libertà aprire a Lui che bussa, che desidera entrare per farci felici, perché la nostra gioia sia piena. E se entra Lui, dopo un lungo inverno ricomincia la primavera: il cuore si spalanca in un bel sorriso. Dico sempre ai ragazzi che la prima cosa che dobbiamo fare quando ci svegliamo al mattino è un bel sorriso alla nostra vita, a quello stupendo dono del quale dobbiamo essere innamorati: la vita che ti è regalata per un nuovo giorno. E così il sole entra dalla parete del tuo cuore, e di lì illumina tutto. Perché piangere allora? è finito il tempo del buio, della tristezza, della disperazione, della paura: Gesù è risorto e non ci lascia  soli, ci dona lo Spirito Santo, l’Amore con cui il Padre lo ama e con cui Lui ci ha amato.
Spesso ci domandiamo: “Ma l’amore dov’è? Cos’è?”
L’amore è un cammino con tanti passi che coinvolge tutto il nostro essere: dobbiamo entrare in questo sentiero dell’amore e cominciare a camminare nel perdono, nella bontà, nella misericordia, nella pazienza…
L’amore deve cominciare dalla testa, da un pensiero limpido, fresco e pulito; poi ci sono gli occhi che devono parlare di speranza, di gioia, di positivo; poi le orecchie che devono ascoltare in modo nuovo; poi la bocca per sorridere e infondere coraggio al dono della vita, per vivere un silenzio di pace che guarisce le nostre reazioni istintive e che parla più di tante parole… e poi tutta la nostra vita impara la novità di un linguaggio fatto di gesti autentici, veri e gratuiti.
Quanti santi hanno avuto il coraggio di cambiare: persone con una violenza interiore senza fine ad un certo momento sono diventate dolcissime, miti, silenziose, perché hanno lasciato lavorare lo Spirito Santo in loro. Guardando a loro possiamo dire che l’amore esiste, che lo Spirito Santo non è un fantasma ma una presenza viva che ci trasforma realmente.
Ho sempre pensato allo Spirito Santo come a un bambino buono e vivace, pieno di fantasia e di vita, che inventa sempre tante cose belle, nuove e vere, una dopo l’altra: questo è l’Amore. E per incontrare questo bambino è necessario chinarci, farci bambini anche noi: ecco perché ai nostri giovani proponiamo di “piegare” le ginocchia nella preghiera, di riconoscersi piccoli e bisognosi, per incontrare la Verità dell’Amore. Senza quell’incontro non siamo capaci di gesti umani autentici: né di sorridere, né di piangere, né di gesti di bontà, di misericordia, di pazienza, di pace.
Per questo lasciamoci invadere da questa luce, da questo fuoco, da questo amore, dalla sua presenza: tutto quello di cui abbiamo bisogno è lo Spirito Santo.
Lui è il datore dei doni e desidera farci dei regali straordinari: vuole operare la trasformazione del nostro cuore, del nostro passato, vuole guarire le radici profonde dalle quali veniamo per donarci la pace con noi stessi.
Invochiamolo in questo tempo con insistenza: Lui, che è sceso su Maria e sugli Apostoli, scenda su di noi e ci renda uomini e donne nuovi, risorti con Cristo.

di Suor Elvira Petrozzi – Comunità Cenacolo

Publié dans Fede, morale e teologia, Madre Elvira Petrozzi | 1 Commentaire »

La croce di Haiti

Posté par atempodiblog le 19 janvier 2010

La croce di Haiti dans Articoli di Giornali e News lacrocedihaiti
La croce in Haiti
Fonte: Radio Maria

Publié dans Articoli di Giornali e News | 3 Commentaires »

119° anniversario della nascita di don Giustino Maria Russolillo

Posté par atempodiblog le 18 janvier 2010

119° anniversario della nascita di don Giustino Maria Russolillo dans Citazioni, frasi e pensieri DSCN0118

“O mio Dio e mio tutto, o mio Padre, Figlio e Spirito Santo, la Vostra volontà si adempia, il Vostro amore trionfi, la Vostra gloria rispenda in me e in tutti sempre più come in Voi stesso, o mio Dio e mio tutto”.

Don Giustino Maria Russolillo

Publié dans Citazioni, frasi e pensieri, Don Giustino Maria Russolillo, Preghiere | Pas de Commentaire »

L’inferno di Haiti e il Paradiso

Posté par atempodiblog le 17 janvier 2010

L’inferno di Haiti e il Paradiso dans Antonio Socci antoniosocci

Basta un piccolo starnuto del pianeta, in un minuscolo francobollo di terra come Haiti, e sono spazzati via migliaia di esseri umani. Anche un microscopico virus è in grado di uccidere milioni di persone. Sono tutte manifestazioni di una stessa fragilità, di uno stesso destino. Tutti documenti della nostra misera condizione mortale.

C’è una sola “malattia”, trasmessa per via sessuale, che porta inevitabilmente alla morte l’umanità intera e non ha cure possibili. Non è l’Aids. Ne siamo affetti tutti, ad Haiti come qui. Si chiama: vita.

E’ una “malattia” anche stupenda (per questo la scrivo fra virgolette), è una “malattia” che amiamo, a cui stiamo attaccati con le unghie e con i denti. Ma solitamente non riflettiamo sulla sua natura effimera e quindi l’amiamo in modo sbagliato, dimenticando che dobbiamo scendere alla stazione e siamo destinati a un’altra dimora.

Quando arrivano grandi tragedie, personali o collettive, apriamo gli occhi sull’estrema fragilità della nostra esistenza e – svegliandoci – ci sentiamo quasi ingannati. Come se non sapessimo che siamo di passaggio.

Sì, siamo tutti malati terminali. Ma noi dimentichiamo di essere sulla soglia della morte dal primo istante di vita. Lo rimuoviamo.

Anzi, quasi tutto quello che facciamo ogni giorno ha questa segreta ragione: farci dimenticare il nostro destino, esorcizzare la morte, preannunciata dalla decadenza fisica, dalle malattie, dalla sofferenza, dal dolore altrui. Distrarci, come diceva Pascal: il “divertissement”.

Ormai la nostra mente è organizzata come un vero e proprio palinsesto televisivo: c’è la mezz’ora dedicata alla tragedia di Haiti dove magari si chiama a parlarne non i missionari, non organizzazioni come l’Avsi che da anni lavorano in quelle povere terre, ma Alba Parietti e Cristiano Malgioglio. Poi, subito dopo, il telecomando passa ai quiz, alle ballerine sgallettanti, alle chiacchiere (politica o sport) eccetera.

Tutti modi – si dice – “per ingannare il tempo”. In realtà per ingannare noi stessi, per dimenticare il destino . Perché il nostro insopprimibile desiderio è di vivere sempre, è di essere felici, e ci è insopportabile l’idea della morte e dell’infelicità.

Così, anche quando parliamo seriamente di tragedie come quelle di Haiti, con la faccia compunta, tocchiamo tutti i tasti fuorché quello.

Parliamo dell’emergenza (e va bene), degli aiuti da mandare (e va benissimo), della miseria di quei luoghi (verissima), poi varie storie e considerazioni, finché uno guarda l’orologio perché deve andare al tennis, un altro sbircia il telefonino e un altro ancora sussurra al vicino “ma quand’è che se magna?”.

Ricomincia il tran tran. E gli affanni. E l’ebbrezza di essere padroni della nostra vita. E le illusioni. Eppure il più grande “filosofo” di tutti i tempi chiamò “stolto” colui che riempiva il suo granaio illudendosi di poterne godere all’infinito: “stanotte stessa ti sarà chiesta la tua anima…”.

Perché un giorno tutti dovremo rispondere dei nostri atti e di come abbiamo speso il nostro tempo. In quanto la vita è un compito. Anche se ormai gli stessi preti parlano raramente dell’Inferno e del Paradiso a cui siamo destinati.

Pensiamo che inferno e paradiso siano da fuggire o cercare qui sulla terra. “Haiti, migliaia in fuga dall’inferno”, titolava ieri la prima pagina della “Stampa”. Altri giornali raccontavano i “paradisi tropicali” dei turisti a pochi passi dall’orrore haitiano.

Solo la Chiesa ci dice che c’è un Inferno ben peggiore di Haiti (ed eterno) da cui fuggire. E un Paradiso da raggiungere, di inimmaginabile bellezza e gioia, in cui tutte le lacrime saranno asciugate.

Il solo conforto oggi di fronte all’enormità del dolore di tutta quella povera gente e di fronte a tanti morti, è proprio questo: sperarli (e pregare per questo) fra le braccia del Padre, finalmente nella felicità certa, per sempre.

Ma noi, davanti alla nostra stessa morte (che è certa, inevitabile), che speranza abbiamo? Proviamo a rifletterci. Per me la sola speranza autentica è in Colui che ha avuto pietà della sorte umana, Colui che ha il potere vero e che ripagherà ogni sofferenza con un felicità senza fine e senza limiti.

Per questo la Chiesa c’è sempre, dentro ogni prova dell’umanità, dentro ogni “inferno” terreno com’è Haiti (provate a leggere le testimonianze accorate da là dei missionari). C’è per portare agli uomini la compassione di Dio, la sua carezza, il suo aiuto e soprattutto per aprire le porte del suo Regno.

“Ti sei chinato sulle nostre ferite e ci hai guarito” dice un prefazio della liturgia ambrosiana “donandoci una medicina più forte delle nostre piaghe, una misericordia più grande della nostra colpa. Così anche il peccato, in virtù del Tuo invincibile amore, è servito a elevarci alla vita divina”.
E la cosa grande che ci porta Gesù, il Salvatore degli uomini, non è solo questa, ma la resurrezione, la vittoria sulla morte, cosicché nulla di ciò che abbiamo amato andrà perduto.

Diceva don Giussani:Cristo risorto è la vittoria di Dio sul mondo. La sua risurrezione dalla morte è il grido che Egli vuole far risentire nell’animo di ognuno di noi: la positività dell’essere delle cose, quella ragionevolezza ultima per cui ciò che nasce non nasce per essere distrutto. ‘Tutto questo è assicurato, te lo assicuro, Io sono risorto per renderti sicuro che tutto quello che è in te, e con te è nato, non perirà’”.
Come si fa allora a non gioire, anche nelle lacrime? Come si fa a non affidarsi – anche nella tragedia – all’unico che salva?

Voglio dirlo con le parole di san Gregorio Nazianzeno: “Se non fossi tuo, mio Cristo, mi sentirei una creatura finita. Sono nato e mi sento dissolvere. Mangio, dormo, riposo e cammino, mi ammalo e guarisco, mi assalgono senza numero brame e tormenti, godo del sole e di quanto la terra fruttifica. Poi io muoio e la carne diventa polvere come quella degli animali che non hanno peccati. Ma io cosa ho più di loro? Nulla, se non Dio. Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei creatura finita”.

Antonio Socci

Publié dans Antonio Socci, Articoli di Giornali e News | 1 Commentaire »

Momento presente

Posté par atempodiblog le 17 janvier 2010

Momento presente dans Citazioni, frasi e pensieri Santa-Faustina

“Mi è cara soltanto l’ora presente, perché il futuro forse non albergherà nella mia anima. Il tempo passato non è in mio potere per cambiare, correggere od aggiungere qualche cosa. Né i sapienti, né i profeti han potuto far questo. Affidiamo pertanto a Dio ciò che appartiene al passato. O momento presente, tu mi appartieni completamente, desidero utilizzarti per quanto è in mio potere, e nonostante io sia piccola e debole, mi dai la grazia della tua onnipotenza. Perciò, confidando nella Tua Misericordia, avanzo nella vita come un bambino, ed ogni giorno Ti offro il mio cuore infiammato d’amore per la Tua maggior gloria”.

Santa Faustina Kowalska

Publié dans Citazioni, frasi e pensieri, Santa Faustina Kowalska | Pas de Commentaire »

Settimana di Preghiera per l’unità dei Cristiani

Posté par atempodiblog le 17 janvier 2010

Settimana di Preghiera per l’unità dei Cristiani: 18-25 gennaio 2010
« Voi sarete testimoni di tutto ciò » (Lc 24,48)

Settimana di Preghiera per l'unità dei Cristiani dans Preghiere unitcristiani

Per l’unità dei cristiani:
Padre, che riunisci i dispersi,
concedi a tutti coloro che credono in Cristo
il dono della pace e dell’unità.

Publié dans Preghiere | Pas de Commentaire »

La Vergine dei poveri di Banneux

Posté par atempodiblog le 15 janvier 2010

La Vergine dei poveri di Banneux dans Apparizioni mariane e santuari La-Vergine-dei-Poveri-di-Leon-Jamin
La Vergine dei Poveri di Leon Jamin

A Benneux, la Vergine Santa riprende e sviluppa l’avvenimento di Lourdes: non solo perché appare vestita come a Lourdes e viene da quella direzione, ma anche perché ripropone la fonte dell’acqua, illuminandone il simbolo nel suo significato profondo. Al riguardo, [...] Mons. Kerkhofs, scrive: “La Madonna a Lourdes aveva aperto la sorgente, ma a Banneux si era degnata di allargarla ed estenderla a tutte le nazioni… Quella sorgente simboleggia il Salvatore Divino al quale Maria conduce: a Gesù attraverso Maria. L’azione di Maria che inizialmente si esplica come ‘maternità’ si attua poi e si completa come ‘mediazione’”.

[...] In queste apparizioni, Lei è venuta sopratutto a esortare allo spirito di povertà, di fiducia in Dio e in Lei, alla molta preghiera. Non manca l’invito al servizio, alla carità, specialmente per gli ammalati, che Lei dice di essere venuta ad allieviare nella loro sofferenza. Il tutto, sempre accompagnato da un amabile sorriso.

[...] Meraviglia, poi, quel definirsi di Maria come “Vergine dei poveri”. Un titolo completamente nuovo nella storia della Chiesa e dei santuari mariani. P. Angelo Rainero nota al riguardo che: “E’ un titolo legittimo e vero in se stesso, tanto espressivo e consolante per noi” [...].
Maria Santissima ci ricorda i valori del Vangelo, in particolare lo spirito di povertà, per poter seguire Gesù con cuore libero. Poi lo spirito di fede e la preghiera, che non deve essere ridotta, ma aumentata. Ci fa capire che Lei ci guida a Cristo, simboleggiato dalla sorgente: “Se qualcuno ha sete”, diceva Gesù, “venga a me e beva” (Gv 7,37). “Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete” (Gv 4,14).

Padre Angelo Maria Tentori – Sorriso tra gli abeti. La Vergine dei Poveri di Banneux

Publié dans Apparizioni mariane e santuari, Banneux, Libri, Padre Angelo Maria Tentori | 3 Commentaires »

Cristiani e voodoo, una sola preghiera

Posté par atempodiblog le 15 janvier 2010

Cristiani e voodoo, una sola preghiera dans Articoli di Giornali e News haitih

[...] Ha scritto Eugène Ionesco: «La donna che nessuno ama, l’uomo cui diagnosticano un cancro, il pensionato sulla panchina, l’anonimo o l’illustre che si fa la barba e, guardandosi allo specchio, si chiede che ci fa lì: tutti costoro non furono né mai saranno consolati da alcuna politica». I canti e le preghiere di cristiani e voodoo nella notte di Port-au-Prince sono l’urlo di ciascuno di noi di fronte alla morte; l’urlo di un’umanità che – per quanto si illuda – non può che prendere atto, infine, di non poter bastare a se stessa.

di Michele Brambilla

Publié dans Articoli di Giornali e News, Michele Brambilla | Pas de Commentaire »

12