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San Giuseppe Moscati nella terra dei suoi avi

Posté par atempodiblog le 15 novembre 2009

San Giuseppe Moscati nella terra dei suoi avi dans Articoli di Giornali e News Blessed-Moscati

Un aspetto poco conosciuto della vita di Giuseppe Moscati è il legame con la sua terra “natale”. Argomento a noi caro perché nostra nonna paterna, Luisa Moscati, lo conosceva bene essendo sua cugina e coetanea.
Parlando di terra “natale” non ci riferiamo a Benevento, città in cui Giuseppe Moscati nasce nel 1880, e neppure a Napoli, città in cui si trasferisce con i genitori nel 1884 e in cui vive fino alla prematura morte nel 1927, bensì alla culla della famiglia Moscati, che è l’antichissimo paese di Santa Lucia di Serino, a sette chilometri dal capoluogo Avellino. Il borgo è situato sulla riva destra del fiume Sabato il quale dà il nome all’omonima ridente valle. Alle spalle dell’abitato troviamo, invece, i suggestivi monti di Serino con i loro ricchi boschi.

Famiglia gentilizia e cattolica
La famiglia Moscati, d’origine gentilizia, è presente in Santa Lucia di Serino sin dal sec. XVI e numerosi documenti la indicano già in tale epoca come ricca ed influente. Capostipite del casato è Palmiero Moscati (1480-1560), guarda caso medico come il suo virtuoso discendente!
Sarà suo pronipote Domenico (1608-1675), laureato in legge, ad abbellire ed ingrandire la sua dimora cinquecentesca che è poi quella in cui nasce nel 1836 il magistrato Francesco Moscati, padre di san Giuseppe. Nel 1867 l’apprezzato uomo di legge, nonché di profonda fede, è costretto, per motivi di lavoro, a lasciare l’amato paese natio, ma ogni anno vi torna in villeggiatura, con tutta la famiglia, per riassaporare piacevolmente le proprie radici.
Nel 1868, infatti, sposa donna Rosa De Luca dei marchesi di Roseto la quale gli dona nove figli. Uno di questi, l’ingegnere Eugenio, testimone al processo di canonizzazione del fratello Peppino, così li rammenta: «I nostri genitori furono ferventissimi cristiani e come prova vada la loro scrupolosità nell’educarci in grembo alla religione cattolica colla frequenza esatta dei doveri cristiani e con la recita quotidiana del santo rosario alla Madonna». Quale migliore esempio di santità, quindi, per il giovane Giuseppe, se non quello di mamma e papà?

Palazzo Moscati
Palazzo Moscati, a Santa Lucia di Serino, è una costruzione quadrata con un grande cortile interno. Uno scalone austero conduce al piano superiore ove il primo ambiente che s’incontra, dopo il pianerottolo sovrastato dallo stemma nobiliare, è un salone di attesa.
Qui troviamo una grande tela della Madonna del Carmine, protettrice della casata, e tre ritratti ad olio di antenati (l’amore di Giuseppe Moscati per la Vergine Maria sarà tale da fargli emettere il voto di castità proprio dinanzi a quella immagine della Madonna posta nella chiesa delle Sacramentiste, a Napoli, dove ogni giorno c’era l’esposizione del Santissimo Sacramento).
Durante i soggiorni a Santa Lucia di Serino il Santo occupa sempre la camera da letto più piccola, che è quella che dà sul primo balcone della facciata. A pian terreno della dimora troviamo una cappella gentilizia con ingresso dall’interno e dall’esterno del palazzo, in essa sono stati battezzati per secoli diversi esponenti della famiglia Moscati. Giuseppe, sin dall’infanzia, ama molto pregare nella cappella, custodire i suoi arredi sacri, ornarla di fiori e servire la Messa, la quale è sempre celebrata dal sacerdote Carmelo Moscati, da lui molto amato, nonché cugino di suo padre.
Nei giorni festivi, invece, il magistrato Moscati e famiglia partecipano al Sacro Rito celebrato nella stupenda chiesa settecentesca del Monastero delle Clarisse, ubicata a pochi metri dal palazzo. Ecco cosa dichiara suor Maria Chiarina Rossi: «Il signor presidente Francesco Moscati alcune volte serviva la Messa e godeva tanto di portar l’ombrello al Santissimo, quando si esponeva durante il mese di ottobre. Egli ed i ragazzi se ne stavano tutti inginocchiati a lungo come statue». In tale monastero si sono monacate molte antenate del Santo e ancor oggi si conservano i banchi dove in chiesa i Moscati si accomodavano.
Il luogo che il giovane Peppino più ama della dimora avita, dopo la chiesina, è indubbiamente il giardino sopraelevato che si trova dietro il palazzo. Da esso, infatti, può osservare con meraviglia la verdissima cerchia dei monti di Serino dominata dal monte Terminio (m.1786). E nel silenzio del suo giardino, a cui a 17 anni dedica una bella poesia dialettale, studia, prega e si diletta a coltivare piante e fiori.
Con il padre e i fratelli ogni giorno fa allegre passeggiate o lungo il fiume Sabato, o sui monti serinesi, o andando a far visita a parenti oppure raggiungendo la chiesa del Convento dei Padri francescani che dista da casa una mezz’ora.
Anche dopo la morte dell’amato genitore, il Medico Santo continua periodicamente a tornare nella terra dei suoi avi, terra che ha sempre nel cuore, pure quando si trova molto, molto lontano da essa. Per esempio il 20 luglio 1923, durante il suo viaggio di andata a Edimburgo attraverso la Francia, così annota sul suo diario: «…Attraversiamo delle valli chiuse da monti ricoperti di castagni (Borgone). Qua e là il nastro argenteo dei fiumi: come è simile questo paesaggio a quello indimenticabile di Serino, l’unico posto al mondo, l’Irpinia, ove volentieri trascorrerei i miei giorni, perché rinserra le più care, le più dolci memorie della mia infanzia e le ossa dei miei cari».

“Medico dei poveri”… povero per i poveri
Giuseppe Moscati non sceglie di diventare medico perché suggestionato dai lauti guadagni, bensì perché vuole aiutare i malati in quanto in essi scorge il Cristo sofferente. Il grande clinico Moscati, quindi, è povero, povero perché ciò che guadagna lo dà ai malati poveri, trattiene per sé giusto quel poco che gli basta per vivere! Tutti coloro che lo conoscono, con grande ammirazione, sono consapevoli di ciò. Agli infermi, inoltre, con amore e delicatezza, rammenta pure le “medicine” per “curarsi” l’anima… e quante anime aiuta, il dott. Moscati, in extremis, a salvarsi!
Quando Giuseppe Moscati, in età adulta, va “in campagna”, con questa espressione, infatti, chiama la terra dei suoi avi, lo accompagna di solito la sorella Nina, instancabile catechista e sempre pronta ad assecondare le sue opere caritative.
I due fratelli invero, sono molto uniti e a Napoli vivono insieme. Legatissimi a loro e anch’essi sinceramente credenti erano i cugini, tra cui nostra nonna paterna, Luisa Moscati; costei, una donna minuta e vispa, aveva avuto, per l’epoca, un’ottima formazione scolastica presso l’educandato del Monastero delle Clarisse.
Fino al 1910, anno in cui si sposa con nostro nonno (il farmacista Rocco Perrottelli di San Michele di Serino), vive con i suoi in un secondo palazzo Moscati, a Santa Lucia di Serino, ubicato a pochi metri da una graziosa seicentesca chiesetta dedicata a San Rocco. Nel 1902 i familiari del Santo elargiscono una generosa offerta per il suo restauro.

Scene di vita familiare
L’anno dopo Peppino si laurea, ma rinuncia a feste e a doni da parte dei suoi a condizione che la somma corrispondente venga versata per terminare i lavori di restauro di tale chiesetta. E così avviene! Peppino, quando si trova in paese, spesso va a pregare nella “sua” chiesetta di San Rocco, la quale, di solito, è chiusa, ma lui, avendo avuto la chiave dal rev. don Mariano De Luca, ha libero accesso.
Terminate le orazioni, va a far visita ai suoi cugini che abitano poco distante e sovente è raggiunto dalla sorella Nina. Vengono pertanto accolti con gioia dai nostri bisnonni, entrambi Moscati, da nostra nonna Luisa, la primogenita, e dai suoi sette fratelli. Tutti si radunano nel grande salotto di casa il quale, all’occorrenza, viene illuminato da artistici lumi a petrolio. In questo caso le pareti, rivestite di velluto rosso con piccoli ricami floreali in oro, assumono una calda tonalità che ben accompagna il clima d’affetto e di cordialità in cui si svolge l’incontro tra parenti.
Una volta accomodati su divani e poltrone, la conversazione inizia con il reciproco aggiornarsi sulle novità della città (Napoli) e quelle della campagna (il serinese). I più piccoli di casa intanto servono dolcetti fatti con antiche ricette di famiglia.
Dopo un po’Peppino si alza perché la “tentazione” è troppo forte… in fondo al salone infatti troneggia il pianoforte e lui, amando e conoscendo la musica, non resiste dall’andare a suonare allietando i presenti. Spesso, inoltre, su un grosso volume trascrive musica, trattasi di noti pezzi classici.
A volte poi, in età giovanile, si diverte a fare anche dei bei disegni umoristici che i cugini contenti conservano. Immancabile, infine, e bel tempo permettendo, la passeggiata nel grande giardino dei parenti dove il Santo, forse, si trova ancora più a suo agio in quanto è risaputo il suo amore per la natura.

Verso il Paradiso
Il 12 aprile 1927, martedì della Settimana Santa, improvvisamente, lasciando tutti costernati, “sorella morte” abbraccia il Medico Santo. Il cardinale di Napoli, Alessio Ascalesi, tra i primi a giungere alla camera ardente, si rivolge ai presenti con queste significative parole: «Il professore non apparteneva a voi, ma alla Chiesa. Non quelli di cui ha sanato i corpi, ma quelli che ha salvato nell’Anima gli sono andati incontro quando è salito lassù».
Il giorno del funerale una folla immensa e commossa si stringe attorno alla bara, il Municipio di Santa Lucia di Serino, culla del suo casato, invia una delegazione con l’antico gonfalone comunale.
Le spoglie del medico dei poveri, come sovente veniva chiamato già in vita Giuseppe Moscati, riposano a Napoli, nella chiesa del Gesù Nuovo. Tra i suoi scritti, in famiglia, abbiamo sempre pensato che uno più di tutti potesse riassumere lo stato d’animo che per una vita intera lo ha animato.
Eccolo (datato 17 ottobre 1922): «Ama la verità, mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala; e se tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio».

Tratto da: Radici Cristiane

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San Giuseppe Moscati

Posté par atempodiblog le 15 novembre 2009

San Giuseppe Moscati dans Fede, morale e teologia San-Moscati-Giuseppe

Giuseppe Moscati nacque il 25 luglio 1880 a Benevento, settimo tra i nove figli del magistrato Francesco Moscati e di Rosa De Luca, dei marchesi di Roseto. Fu battezzato il 31 luglio 1880.
Nel 1881 la famiglia Moscati si trasferí ad Ancona e poi a Napoli, ove Giuseppe fece la sua prima comunione nella festa dell’Immacolata del 1888. Dal 1889 al 1894 Giuseppe compì i suoi studi ginnasiali e poi quelli liceali al  » Vittorio Emanuele « , conseguendovi con voti brillanti la licenza liceale nel 1897, all’etá di appena 17 anni. Pochi mesi dopo, cominciò gli studi universitari presso la facoltà di medicina dell’Ateneo partenopeo.

E’ possibile che la decisione di scegliere la professione medica sia stata in parte influenzata dal fatto che negli anni dell’adolescenza Giuseppe si era confrontato, in modo diretto e personale, con il dramma della sofferenza umana. Nel 1893, infatti, suo fratello Alberto, tenente di artiglieria, fu portato a casa dopo aver subito un trauma inguaribile in seguito ad una caduta da cavallo. Per anni Giuseppe prodigò le sue cure premurose al fratello tanto amato, e allora dovette sperimentare la relativa impotenza dei rimedi umani e l’efficacia dei conforti religiosi, che soli possono darci la vera pace e serenità. È comunque un fatto che, fin dalla più giovane età, Giuseppe Moscati dimostra una sensibilità acuta per le sofferenze fisiche altrui; ma il suo sguardo non si ferma ad esse: penetra fino agli ultimi recessi del cuore umano. Vuole guarire o lenire le piaghe del corpo, ma è, al tempo stesso, profondamente convinto che anima e corpo sono tutt’uno e desidera ardentemente di preparare i suoi fratelli sofferenti all’opera salvifica del Medico Divino.

Il 4 agosto 1903, Giuseppe Moscati conseguì la laurea in medicina con pieni voti e diritto alla stampa, coronando così in modo degno il  » curriculum  » dei suoi studi universitari. A distanza di cinque mesi dalla laurea, il dottor Moscati prende parte al concorso pubblico indetto per l’ufficio di assistente ordinario negli Ospedali Riuniti di Napoli; quasi contemporaneamente sostiene un altro concorso per coadiutore straordinario negli stessi ospedali, a base di prove e titoli. Nel primo dei concorsi, su ventun classificati, riesce secondo; nell’altro riesce primo assoluto, e ciò in modo così trionfale che – come si legge in un giudizio qualificato –  » fece sbalordire esaminatori e compagni ».

Dal 1904 il Moscati presta servizio di coadiutore all’ospedale degl’Incurabili, a Napoli, e fra l’altro organizza l’ospedalizzazione dei colpiti di rabbia e, mediante un intervento personale molto coraggioso, salva i ricoverati nell’ospedale di Torre del Greco, durante l’eruzione del Vesuvio nel 1906.

Negli anni successivi Giuseppe Moscati consegue l’idoneità, in un concorso per esami, al servizio di laboratorio presso l’ospedale di malattie infettive  » Domenico Cotugno « . Nel 1911 prende parte al concorso pubblico per sei posti di aiuto ordinario negli Ospedali Riuniti e lo vince in modo clamoroso. Si succedono le nomine a coadiutore ordinario, negli ospedali e poi, in seguito al concorso per medico ordinario, la nomina a direttore di sala, cioè a primario. Durante la prima guerra mondiale è direttore dei reparti militari negli Ospedali Riuniti. A questo  » curriculum  » ospedaliero si affiancano le diverse tappe di quello universitario e scientifico: dagli anni universitari fino al 1908, il Moscati è assistente volontario nel laboratorio di fisiologia; dal 1908 in poi è assistente ordinario nell’Istituto di Chimica fisiologica. Consegue per concorso un posto di studio nella stazione zoologica. In seguito a concorso viene nominato preparatore volontario della III Clinica Medica, e preposto al reparto chimico fino al 1911. Contemporaneamente, percorre i diversi gradi dell’insegnamento.

Nel 1911 ottiene, per titoli, la Libera Docenza in Chimica fisiologica; ha l’incarico di guidare le ricerche scientifiche e sperimentali nell’Istituto di Chimica biologica. Dal 1911 insegna, senza interruzioni,  » Indagini di laboratorio applicate alla clinica  » e  » Chimica applicata alla medicina « , con esercitazioni e dimostrazioni pratiche. A titolo privato, durante alcuni anni scolastici, insegna a numerosi laureati e studenti semeiologia e casuistica ospedaliera, clinica e anatomo-patologica. Per vari anni accademici espleta la supplenza nei corsi ufficiali di Chimica fisiologica e Fisiologia. Nel 1922, consegue la Libera Docenza in Clinica Medica generale, con dispensa dalla lezione o dalla prova pratica ad unanimità di voti della commissione.

Celebre e ricercatissimo nell’ambiente partenopeo quando è ancora giovanissimo, il professor Moscati conquista ben presto una fama di portata nazionale ed internazionale per le sue ricerche originali, i risultati delle quali vengono da lui pubblicati in varie riviste scientifiche italiane ed estere. Queste ricerche di pioniere, che si concentrano specialmente sul glicogeno ed argomenti collegati, assicurano al Moscati un posto d’onore fra i medici ricercatori della prima metà del nostro secolo.

Non sono tuttavia unicamente e neppure principalmente le doti geniali ed i successi clamorosi del Moscati – la sua sicura metodologia innovatrice nel campo della ricerca scientifica, il suo colpo d’occhio diagnostico fuori del comune – che suscitano la meraviglia di chi lo avvicina. Più di ogni altra cosa è la sua stessa personalità che lascia un’impressione profonda in coloro che lo incontrano, la sua vita limpida e coerente, tutta impregnata di fede e di carità verso Dio e verso gli uomini. Il Moscati è uno scienziato di prim’ordine; ma per lui non esistono contrasti tra la fede e la scienza: come ricercatore è al servizio della verità e la verità non è mai in contraddizione con se stessa né, tanto meno, con ciò che la Verità eterna ci ha rivelato. L’accettazione della Parola di Dio non è, d’altronde, per il Moscati un semplice atto intellettuale, astratto e teorico: per lui la fede è, invece, la sorgente di tutta la sua vita, l’accettazione incondizionata, calda ed entusiasta della realtà del Dio personale e dei nostri rapporti con lui. Il Moscati vede nei suoi pazienti il Cristo sofferente, lo ama e lo serve in essi. È questo slancio di amore generoso che lo spinge a prodigarsi senza sosta per chi soffre, a non attendere che i malati vadano a lui, ma a cercarli nei quartieri più poveri ed abbandonati della città, a curarli gratuitamente, anzi, a soccorrerli con i suoi propri guadagni. E tutti, ma in modo speciale coloro che vivono nella miseria, intuiscono ammirati la forza divina che anima il loro benefattore. Così il Moscati diventa l’apostolo di Gesù: senza mai predicare, annuncia, con la sua carità e con il modo in cui vive la sua professione di medico, il Divino Pastore e conduce a lui gli uomini oppressi e assetati di verità e di bontà. Mentre gli anni progrediscono, il fuoco dell’amore sembra divorare Giuseppe Moscati. L’attività esterna cresce costantemente, ma si prolungano pure le sue ore di preghiera e si interiorizzano progressivamente i suoi incontri con Gesù sacramentato.

Quando, il 12 aprile 1927, il Moscati muore improvvisamente, stroncato in piena attività, a soli 46 anni, la notizia del suo decesso viene annunciata e propagata di bocca in bocca con le parole:  » È morto il medico santo « . Queste parole, che riassumono tutta la vita del Moscati, ricevono oggi il suggello ufficiale della Chiesa.

Il Prof. Giuseppe Moscati è stato beatificato da S. S. Paolo VI nel corso dell’Anno Santo, il 16 novembre 1975.

Fonte: vatican.va

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San Procolo

Posté par atempodiblog le 15 novembre 2009

San Procolo dans Fede, morale e teologia sanprocolo

Le notizie più antiche sul martirio di San Gennaro, risalgono alla cosiddetta passio bolognese, perché conservata nel codice 1473 della Biblioteca Universitaria di Bologna del 1180.
Secondo questa narrazione, Procolo, diacono della comunità cristiana puteolana sarebbe stato martirizzato nell’anno 305 nel corso della persecuzione voluta dall’imperatore Diocleziano.
Da questi scritti si apprende che il vescovo di Benevento Gennaro si era recato a Pozzuoli per visitare il diacono Sosso di Miseno, incarcerato per aver difeso il proprio vescovo.
Anche Gennaro fu incarcerato perché confessò di essere cristiano e vescovo, stessa sorte subirono il diacono Festo e il lettore Desiderio anch’essi di Benevento. I quattro furono condannati alla decapitazione. Il diacono puteolano Procolo e i laici Eutiche e Acuzio anch’essi di Pozzuoli vennero incarcerati e condannati perché avevano preso le difese dei compagni di fede.
I sette cristiani subirono la decapitazione nei pressi della Solfatara in un luogo dove verso la fine del VI secolo venne eretta una chiesa in onore di san Gennaro.
Secondo la tradizione popolare i sette martiri furono prima rinchiusi nelle celle dell’anfiteatro Flavio in quanto erano stati condannati ad essere divorati dalle belve nel corso di uno dei tanti spettacoli che si svolgevano nell’arena puteolana. Qui, però, avvenne il miracolo, per cui gli animali si inginocchiarono al cospetto dei sette condannati. Perciò furono trasferiti nel Foro dove il Magistrato giudicante li condannò alla decapitazione. Il corpo del martire Procolo fu sepolto, stando alle fonti, nel pretorio di Falcidio che dovrebbe trovarsi nei pressi della necropoli di via Celle.
Il nome Proculus è molto ricorrente nella lingua latina, ed è riferito al figlio nato mentre il padre era lontano.
La festività di san Procolo veniva celebrata il 18 ottobre ma, fu poi spostata, con decreto della Sacra Congregazione dei Riti del 10 dicembre 1718, al 16 novembre in quanto ad ottobre, molti puteolani erano impegnati nei lavori dei campi.
Le reliquie del Santo, insieme ad altre di san Gennaro e di sant’Eutiche, secondo alcune fonti storiche, sarebbero state trafugate nell’anno 871 e portate nell’isola di Reichenau sul lago di Costanza, dove furono conservate in una delle basiliche di questa città.
Una parte delle reliquie del martire puteolano furono riconosciute e recuperate grazie alle ricerche di Monsignore Antonio Gutler, confessore della regina di Napoli Maria Carolina. Le reliquie di san Procolo furono riportate a Pozzuoli il 13 maggio 1781. Da allora la città di Pozzuoli e la Diocesi, con solenni festeggiamenti rievocano il ritorno dei resti mortali di san Procolo nella città natale. Nella seconda domenica di maggio, le reliquie e il busto argenteo del Santo martire vengono portate in solenne processione per le vie della città, insieme al busto marmoreo di san Gennaro e a quello ligneo di san Celso, antico vescovo di Pozzuoli.
La comunità cristiana di Puteoli venerò quasi da subito, il martire Procolo, come principale patrono della città e della diocesi. Tra la fine del V e gli inizi del VI secolo, al Santo fu dedicato, come chiesa, lo splendido edificio marmoreo che il ricco mercante Lucio Calpurnio aveva fatto erigere in onore dell’imperatore Ottaviano Augusto. Soprattutto per merito del vescovo Martin de Leon y Cardenas (1631-1650), questa costruzione divenne una Cattedrale degna delle antiche tradizioni apostoliche di Pozzuoli. Purtroppo questo tempio venne completamente distrutto da un incendio, nella notte tra il 16 e il 17 maggio 1964, e da allora, la chiesa del Carmine svolge le funzioni di Cattedrale della città di Pozzuoli, e dal 1995 la moderna chiesa di San Paolo apostolo, nel nuovo quartiere di Monterusciello è stata elevata a concattedrale.

Antonio Parrino – Nuova guida de’ Forastiero. Napoli, 1750.
Fonte: comune.pozzuoli.na.it

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La pace verrà

Posté par atempodiblog le 15 novembre 2009

La pace verrà dans Beato Charles de Foucauld Beato-Charles-de-Foucauld-Immagine

LA PACE VERRA’

Se tu credi che un sorriso è più forte di un’arma,

Se tu credi alla forza di una mano tesa,

Se tu credi che ciò che riunisce gli uomini è più importante di ciò che li divide,

Se tu credi che essere diversi è una ricchezza e non un pericolo,

Se tu sai scegliere tra la speranza o il timore,

Se tu pensi che sei tu che devi fare il primo passo piuttosto che l’altro, allora…

LA PACE VERRA’

Se lo sguardo di un bambino disarma ancora il tuo cuore,

Se tu sai gioire della gioia del tuo vicino,

Se l’ingiustizia che colpisce gli altri ti rivolta come quella che subisci tu,

Se per te lo straniero che incontri è un fratello,

Se tu sai donare gratuitamente un po’ del tuo tempo per amore,

Se tu sai accettare che un altro, ti renda un servizio,

Se tu dividi il tuo pane e sai aggiungere ad esso un pezzo del tuo cuore, allora…

LA PACE VERRA’

Se tu credi che il perdono ha più valore della vendetta,

Se tu sai cantare la gioia degli altri e dividere la loro allegria,

Se tu sai accogliere il misero che ti fa perdere tempo e guardarlo con dolcezza,

Se tu sai accogliere e accettare un fare diverso dal tuo,

Se tu credi che la pace è possibile, allora…

LA PACE VERRA’

Beato Charles de Foucauld

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