Il canto dell’asino
Posté par atempodiblog le 22 octobre 2009
«Il mio verso è ripugnante, ali erratiche le orecchie, sono una diabolica parodia ambulante di ogni quadrupede. Cencioso proscritto dal mondo, vecchia capoccia ostinata, affamami, frustami, deridimi: rimarrò muto, tenendo dentro di me il mio segreto. Stolti! Anch’io ho avuto la mia grande ora, un’ora dolce e fiera: sentivo acclamazioni nelle orecchie e avevo palme sotto i miei piedi!».
S’ititola The Wild Knight, ossia “il cavaliere selvaggio”, ed è una bella poesiola di quell’eccezionale scrittore cattolico inglese che è stato Gilbert K. Chesterton (1874-1936). A parlare, come nelle favole, è un animale, l’asino. Alle sue spalle c’è una storia non certo facile: brutto e sgraziato agli occhi di molti, parodia del ben più elegante e ammirato cavallo, vittima di ostinazioni sue e di violenze altrui, questa povera bestia è l’incarnazione del suddito un po’ fallito e un po’ oppresso. C’è, però, un “ma”. E gli ultimi versi lo dicono in modo evocativo: la domenica delle Palme fu un asino al centro della festa perché su di lui Cristo era salito, proprio come usavano fare in tempo di pace i re che optavano per il più pacato e trotterellante somaro durante i loro percorsi in città. La parabola è chiara: tante persone malvestite e brutte, messe ai margini o sfruttate, hanno chi le stima e pensa a loro. E noi dovremmo qualche volta di più rompere lo schema pubblicitario del bello e perfetto per andare oltre le apparenze e scoprire le anime, i valori nascosti, la bellezza interiore. Infatti, normalmente è più prezioso l’asino del cavallo, la gallina rispetto al pavone: metafora che tutti possono capire.
di Gianfranco Ravasi
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