Perché in vacanza spesso non siamo contenti, o ci stanchiamo? A volte abbiamo scelto male, il tour operator, o la compagnia, non andavano bene. Di solito, però, il problema è un altro. Può anche darsi che il posto sia bello, la compagnia ottima, tutto insomma funzioni ma… non ci sentiamo a posto. E torniamo a casa più stanchi di quando siamo partiti. Come mai? Di solito, perché vogliamo «riempire» la vacanza di cose, eventi, persone. Mentre dovrebbe essere un’esperienza di vuoto.
La radice della parola vacanza è la stessa del latino vacuum, che significa, appunto, vuoto. Questo periodo può ristorarci proprio perché fa succedere un momento di svuotamento dagli impegni, incontri, pensieri, alla normale vita quotidiana, che invece è zeppa di tutte queste e altre cose.
La prima necessità della vacanza, per funzionare davvero, è dunque quella di cambiare la nostra vita di ogni giorno. Ciò viene sempre più spesso interpretato come un dover cambiare luogo, abitazione. Stiamo in città, e andiamo in un paese di mare, stiamo in Italia, e andiamo all’estero, convinti che questo cambiamento, di per sé, ci metta «in vacanza».
In realtà il luogo dove stiamo è un elemento importante, ma ancora superficiale. Decisivo è invece sostituire, alle abituali preoccupazioni, assilli, pensieri, un momento, appunto di vuoto. I padri della Chiesa lo chiamavano «deserto». Vedendolo come un luogo psicologico e mentale caratterizzato appunto da un’assenza di contenuti, e proprio per questo idoneo a farci trovare ciò che di solito non vediamo: chi siamo noi stessi, e (nella loro ricerca), persino Dio.
Questi contenuti importanti, che quando vengono trovati ci riempiono di felicità, ci appaiono però quando meno ce li aspettiamo: nel linguaggio della patristica appunto nel «deserto», non nel monastero o nella cattedrale, luoghi impegnativi, iperorganizzati, dove difficilmente può prodursi qualcosa di nuovo.
Le vacanze di oggi spesso non funzionano perché sono troppo affollate: non tanto di persone, ma di idee, cose da fare, impegni. L’industria delle vacanze, ma anche l’editoria, le comunicazioni che si occupano di questa parte della vita umana, sono sempre più impegnate nell’evitare a chi smette di lavorare ogni momento di noia. Questo, però, è un gravissimo errore. In realtà, quelle prime ore di noia, o almeno di straniamento, che seguono all’inizio della vacanza sono la migliore garanzia che quel periodo funzionerà, andrà bene.
La noia infatti, il senso di straniamento, intervengono appunto quando noi stiamo uscendo dai riti, dalle ansie, dai pensieri che affollano, riempiono incessantemente, la nostra vita quotidiana. Allo sparire di tutto ciò, che indica appunto una situazione diversa, più «vuota», nella quale potremo finalmente riposarci, e magari anche accorgerci di qualcosa di davvero nuovo, il nevrotico superimpegnato e abitudinario che è in noi viene preso da un leggero panico. Com’è possibile non far nulla, o quasi? Sarà poi giusto, morale?
A questi interrogativi preoccupati risponde subito l’industria turistica proponendoci incontri, dibattiti, escursioni, avventure, feste. A quel punto, la nostra vacanza è già fortemente in pericolo. Lo sperimentare tranquillamente il vuoto, l’otium dei latini, rischia di diventare impossibile perché siamo di nuovo impegnati fino al collo in mille «negotia», occupazioni e progetti. A quel punto, abbiamo prontamente evitato la noia, e quel senso di straniamento che accompagna ogni reale cambiamento di ambiente, ma abbiamo anche liquidato la nostra sospirata vacanza. Per continuare a stancarci, come sempre.
di Claudio Risé da “Il Mattino di Napoli”